di Giuseppe Sorce
Una riflessione sul negazionismo del covid-19 inizierebbe con una disamina sociolinguistica del fenomeno [1]; muovendo dalla dimensione internazionale, farebbe riferimento alle varie manifestazioni nazionali, nostre, geograficamente e precisamente collocate, dei no-mask e dei, appunto, cosiddetti negazionisti, verificatesi a settembre e a metà ottobre corrente anno [2]; approfondirebbe il funzionamento e l’articolazione cognitiva dei vari processi mentali (bias e distorsioni cognitive come il primacy effect, il pregiuzio di intenzionalità e di proporzionalità e così via) che condurrebbero al fenomeno negazionista; indugerebbe sui rapporti fra negazionismo e politica, politica e comunicazione, scienze, divulgazione, ancora una volta comunicazione e media e istituzioni, per poi ritornare alla dimensione sociale, di classe, ideologica [3]. Eccetera, eccetera.
Queste riflessioni ci sono già, più o meno approfondite, più o meno pubblicizzate. Giornali, telegiornali, media tradizionali, talk show su reti nazionali, social, blog, interviste agli specialisti di settore, debunker, content creator, eccetera. Ovunque si parla del negazionismo del covid-19, ovunque ci si interroga sull’esistenza di chi rivendica una dittatura sanitaria, in alcuni “luoghi” televisivi, ritagli di un intrattenimento zombie, se ne discute in mala fede, ammiccando a chi di fatto è un negazionista, in altri invece, questi nostri simili che intendono non credere vengono derisi, considerati pazzi – ma mai criminali perseguibili, non sia mai si scavalchi quella sottile linea fra tenero sfottò, ma inoffensivo, e accusa giustificata di responsabilità attiva – disagiati, individui che esercitano comunque il loro diritto a pensarla come meglio credono.
Ma anche qui, non si vuole cadere nella trappola della facile riflessione in cui si dice che la scienza non è democratica, che certe cose non si credono oppure no ma sono e basta; sarebbe una riflessione a portata di mano, che in ogni caso già altri, più autorevoli del sottoscritto, tra le altre cose, hanno sapientemente fatto. Qui vorrei concentrarmi invece su un terreno meno calpestato, un aspetto citato con più cautela, sempre attenti a non dar vita a una riflessione che non sia poi troppo complessa e profonda e, per questo, radicale e inquietante. Sto parlando della separazione netta tra il dato e il suo racconto, tra un fatto e la sua narrazione, tra un’informazione e l’effettiva controparte materiale, fenomenica, e il conseguente scollamento del mondo reale, esperibile e condiviso diffusamente, con la sua narrazione. Questo scollamento è tale da spingerci a considerare le narrazioni di un dato e di un fatto come entità arbitrarie e indipendenti da esso la cui aderenza con il dato è semplicemente una qualità (“questa narrazione è coerente con l’aspetto fenomenico del dato”) che dipende dal grado di condivisione di quella narrazione stessa.
Prendiamo quindi un/una negazionista del covid-19. Si alza al mattino, accende lo smartphone [4] e legge di complotti del nuovo ordine mondiale che vuole schiavizzare ancora una volta il genere umano con la nuova arma, fra tutte le altre, del covid-19, che ci farà fare il vaccino così da inserirci un microchip sottocutaneo per trasformarci in servi-cyborg. Il tempo di un caffè al bar, dove, timidamente o meno, cerca un dialogo su questi temi con i soliti frequentatori dell’ora, magari viene preso in giro e osteggiato bonariamente dai soliti volti, magari no e viene creduto. A lavoro, per chi ce l’ha, di cosa si deve parlare se non del “virus”? Quindi il nostro o la nostra negazionista non può che parlare come sa, sostenendo democraticamente le sue idee, magari qualche collega ride, qualcun altro/a lo/la compatisce, fra tutti c’è chi però trova il suo ragionamento curioso, strambo eh!, però “qualche cosa di vero c’è”, magari è colpa della Cina, magari il covid c’è ma non è poi così grave, magari lui/lei sono un po’ pazzi, poveretto/a, “chissà che problemi ha a casa, però io gente che ha il covid non ne conosco, come è possibile!?”.
È questo il negazionismo. Non è solo il complotto QAnon, complesso, stratificato, quasi mitologico [5]. Il negazionismo è sottile e perverso, ma non per questo complicato. È un virus (volendo fare un paragone in voga), e proprio come un virus è un organismo semplice ma che può essere letale. È un qualcosa che non vedi, che quando ti entra dentro non te ne accorgi, che può dare vita a un morbo asintomatico o mortale. Il negazionismo si annida infatti in processi ben più fondativi, pronto a insidiarsi nell’autostorytelling del mondo e nell’autorappresentazione delle cose. Una cellula di negazionismo si presenta dapprima camuffata come quel tipo di atteggiamento, a volte inconscio, quella disposizione mentale che ci porta a pensare e a dire “vabbè tanto non capiterà mica a me, non c’è bisogno che metto la mascherina a casa dei miei amici”, un po’ come “vabbè ma la tavola è imbandita, il cielo è azzurro, la vacanza l’abbiamo fatta, dov’è questo cambiamento climatico, questo collasso di cui parlano gli scienziati?!”. Qualcuno potrebbe dire: è quel tipo di disposizione mentale che ci porta all’oblio del senso di pericolo ogni qualvolta usiamo l’automobile pur conoscendo le percentuali di rischio mortale per incidente d’auto. Io invece direi: è quello che porta a non considerare l’idea che stiamo proprio vivendo ciò che alcuni scienziati definiscono sesta estinzione di massa [6]. Attenzione! Sta proprio qui il discrimine, parliamo di due forme diverse di ciò che solo all’apparenza sembra una pratica di “negazione”. La prima, rispettivamente, è un atteggiamento mentale che ci consente di vivere il nostro quotidiano fatto irrimediabilmente di automobili (che le guidiamo noi oppure no) ma è più o meno consapevole: sappiamo che gli incidenti d’auto possono capitare, ci mettiamo la cintura per questo, non beviamo prima di metterci alla guida per questo (o comunque ci sono delle leggi che ci dicono esplicitamente che non possiamo farlo), rispettiamo i limiti di velocità, prendiamo la patente, evitiamo distrazioni alla guida, per questo. Il secondo caso è invece più complesso ed è quello che ci spinge a usare proprio il termine di “negazionismo”, in questo caso di negazionismo climatico.
Non vediamo il cambiamento climatico (non ancora in Europa come in altre parti del mondo), non ne subiamo ancora le conseguenze dirette e più gravi (non ancora in Europa come in altre parti del mondo), non ci accorgiamo per esempio che certe specie tropicali o subartiche, o anche più vicine geograficamente ma lontane percettivamente, di flora, fauna, fino a interi ecosistemi, si stanno estinguendo. Alcuni sono scomparsi per sempre. Non ne siamo consapevoli, perché non vedendo, non facendo esperienza, ci viene facile accusare di fallacia uno scienziato X che ci dice che dobbiamo cambiare necessariamente e radicalmente stile di vita e di pensiero se vogliamo lasciare qualche lieve speranza alle prossime due generazione [7]. Chi non è naturalmente o per formazione portato a documentarsi, a prestare attenzione, a studiare certe cose, non si accorge che in realtà i segnali ci sono già, che il cambiamento climatico è già realtà anche in Occidente, mentre chi non lo fa, chi non è attento, facilmente ignorerà le notizie al tg sul climate change, facilmente sarà portato a minimizzare le notizie drammatiche che in questi ultimi anni sono diventate sempre più ricorrenti. E ignorerà e minimizzerà perché l’alternativa sarebbe prendere coscienza e cambiare stile di vita, idee, comportamenti [8]. E questo non vale solo per il popolo incolto, ma è valso in passato anche per scienziati e intellettuali [9], fra questi ultimi, per alcuni, vale ancora adesso.
Banalmente, possiamo allora dire che il negazionismo del covid-19, così come il negazionismo climatico, sono semplicemente forme di negazione di un qualcosa che consapevolmente si decide di negare. La questione non si riduce solo alla scelta, all’attitudine dell’individuo o di una comunità. Al di là dell’attenzione individuale o collettiva alla fenomenologia del virus, sappiamo che il covid-19 ha monopolizzato l’attenzione di tutti i media, è quindi impossibile, parrebbe, non vedere, non leggere, non ascoltare inchieste, racconti, testimonianze in merito. Nonostante molteplici prove e molteplici fonti autorevoli (storiche, scientifiche, massmediatiche, ecc.) dicano che il covid-19 è quello che è e in quanto tale ha quel tipo di pericolosità che fa sì che i governi ove possono intervengono con certe disposizioni ecc. ecc., l’esistenza del virus viene negata oppure ne vengono negate le peculiarità, che è un modo soft di negarne l’esistenza, “non dico che il covid non esiste ma …”.
Non è scopo di questa riflessione cercare di indagare i perché e i come questo possa accadere, oggi, nel cosiddetto Occidente civilizzato, non lo è neanche ragionare sui vari tipi di negazionismo da covid-19. La serie in nota di articoli può già essere sufficiente per farsi un’idea di queste questioni, d’altronde si sta parlando di un fenomeno molto discusso, come già accennato. Dispiace semmai ammettere che la quantità di discussione non è proporzionale alla qualità perché, come detto in precedenza, il negazionismo nostrano o europeo in generale viene discusso in relazione alla sua capacità di fare scalpore, alimentando una sorta di macro-guerra tra poveri in cui c’è chi nega e c’è chi non nega. Come se entrambe le fazioni avessero pari diritto e spazio di parola e visibilità, come se il punto fosse veramente che questi negazionisti hanno semplicemente sbagliato schieramento.
Ciò su cui si vorrebbe porre l’attenzione è dunque il fatto che non esiste una distinzione, una linea netta, che separa il negazionista dal non-negazionista. Facendo umilmente attenzione ai nostri amici, ai nostri familiari e a noi stessi, potremmo scoprire minuscoli embrioni di negazionismo. Quando per sbaglio apri il portone del palazzo e decidi che di disinfettarti le mani, per quella volta, ne puoi fare a meno; quando incontri gli amici per la partita della domenica “tanto noi siamo sicuro negativi perché stiamo attenti” (mi verrebbe da dire, e in realtà lo dico spesso, anche se poi finisce che la partita in quattro/cinque la guardiamo, “ok tu sei stato attento, ma anche i tuoi familiari? Anche i colleghi di lavoro dei tuoi familiari? Anche il fruttivendolo che ti serve la frutta senza le dovute precauzioni? …”). Anche solo lasciarsi trasportare dal dubbio sull’origine più o meno naturale del virus, anche solo per pochi minuti, dopo una conversazione con il nostro amico “un po’ strano, un po’ complottista” può essere fatale. Può essere lo spiraglio in cui l’embrione del negazionismo si annida e cresce. Un po’ come quando si dice “io non sono razzista ma è vero che i rom sono un po’ delinquenti”. Ogni frase, ogni pensiero del genere, apre a vuoti semantici e di logica che la mente non può che cercare di riempire con teoria, ragionamenti, che deviano un passo alla volta dal rigore della logica.
Ho già affrontato qualche anno fa e proprio qui in questa rivista il tema delle teorie del complotto [10]. Il meccanismo è affine perché le teorie del complotto funzionano dal momento che riempiono i vuoti, offrono una narrazione coerente, appassionante e consolatoria. Così come quei vuoti di senso che lascia nei non-biologi, non-virologi e così via, il funzionamento di un virus e di un’epidemia. È troppo più facile e più immediato e meno dispendioso arrabbiarsi di fronte al fatto che la nostra vita oggi è diversa, più difficile e meno “libera”, a causa di un qualcosa di invisibile, intoccabile, inodore, impercettibile, che si diffonde da una persona all’altra e che ci può abitare fatalmente. È difficile fare sacrifici, ripensare e curare i gesti del quotidiano, le abitudini, perché lì fuori “ci dicono” c’è un virus nuovo, un’entità invisibile ancora poco conosciuta, dagli effetti poco conosciuti, è difficile accettare tutto questo e cercare di comprenderlo andandosi a leggere articoli scientifici che, seppur dal tono divulgativo, sono complessi e pesanti per molti, andarsi a vedere dei video di divulgazione dove chi di competenza spiega come interpretare le percentuali, i numeri, i coefficienti di contagio ecc. ecc. È più facile invece cadere nel magismo, è più facile cadere nel negazionismo, più o meno convinti.
Il negazionismo non è solo dei no-mask, individui in cui si riesce fin troppo facilmente a leggere una forma di disagio dietro un sguardo fin troppo spesso spaurito e smarrito. Il negazionismo è anche avere la pretesa di insinuare, sulla base di nulla se non di un comportamento che si dice essere più o meno attento, che il mio amico/a, collega, compagno/a, sicuramente “il virus non ce l’ha”, è avere in cuor proprio la fede che “anche se, muoiono solo gli anziani”, “io l’ho avuto e non sono mai stato meglio quindi è una presa in giro dei governi”, “anche se lo prendi, solo lo 0,04% dei giovani fa a finire in terapia intensiva” [11]. Il negazionismo si annida anche nei deliri delle percentuali e delle conte delle proporzioni su numero di abitanti per tamponi, in quella videoinchiesta della RAI di tre anni fa ripescata in rete, in quel servizio sulla ricercatrice cinese che poi si rivela risalire a Bannon e organizzazioni di ultra-destra [12], la stessa che, per bocca di parlamentari e senatori nostrani, parla di pericolo per la democrazia. Il negazionismo non è solo quello carnevalesco dei no-vax e no-mask, è anche quello di volti delle istituzioni intervistati ogni giorno, di testate giornalistiche “autorevoli” che scrivono ogni giorno, di personaggi illustri che ogni giorno in diretta tv nazionale esprimono democraticamente il loro parere.
Ora, ciò su cui voglio porre l’attenzione è proprio questo. Quando un individuo si interfaccia con una “bolla” social [13] negazionista (intendo, qui, anche quelli che “il covid c’è, ma…”), con show televisivi ove compaiono membri delle istituzioni, presentatori, sedicenti giornalisti soft negazionisti (“la mascherina serve ma quanto è bella la libertà”), con delle amicizie e conoscenze sempre più negazioniste, anche semplicemente del tipo “vabbè puoi toglierla la mascherina in ufficio tanto noi non l’abbiamo”, il risultato è scontato: l’epidemia si è ridiffusa, i contagi avvengono principalmente in famiglia e a lavoro [14]. Tutti lo sappiamo, le notizie, i dati sono chiari. Eppure si continua a negare. Ecco che lo scollamento fra dato reale e autorappresentazione è totale. “Lo sappiamo che fra amici non ci dovremmo vedere ma tanto noi siamo a posto, no?”, “la può togliere la mascherina, signore, io sto bene”. Eccolo lo scollamento fra dato reale, fatto, esperienza, e la sua narrazione. Non è una questione di non rispetto delle regole. Non è più neanche una questione di consapevolezza, di scelta di credere o meno, di negare un fatto o no.
Il mondo del negazionista è diverso dal mondo del non-negazionista. Cioè: non è che un negazionista è intrinsecamente diverso, è più stupido o più pazzo o più ignorante e questo basta a spiegare quello che succede e perché. Il negazionista si autorappresenta il mondo attraverso narrazioni diverse che, per natura di tali narrazioni di stampo principalmente complottista, sono più semplici, sono talmente fantasiose da avere un senso apparente appagante, consolatorio e rivelatorio. Nelle narrazioni complottiste, più o meno profonde e più o meno articolate [15], il covid-19-nemico-invisibile non è più solo un virus, con tutte le astrusità e le incognite ontologiche e gnoseologiche che si porta dietro, ma diventa appunto un’arma, uno strumento, creato da A per condurre a B ecc., oppure è un’invenzione per farci fare C, trasformarci in D, una scusa perché i governi vogliono fare di noi Y [16].
Sarebbe bello svegliarsi domani e venire a sapere che in realtà il Covid-19 è come la SARS o l’influenza suina di qualche anno fa. Spettri esotici, roba per studiosi o per gente “di là”. Ma stavolta, purtroppo, è toccato anche a noi. Gli spettri sono qui e dobbiamo farci i conti.
Dialoghi Mediterranei, n. 46, novembre 2020
Note
[1]https://www.lastampa.it/cronaca/2020/08/30/news/superati-25-milioni-di-casi-nel-mondo-in-europa-manifestano-i-negazionisti-1.39247065; https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/i-negazionisti-vogliono-proteggersi-dalla-verit; https://www.open.online/2020/09/27/coronavirus-negazionisti-europa-francia-spagna-germania/.
[2] Di seguito, qualche link ad articoli, approfondimenti e riprese de cortei negazionisti e no-mask: https://www.corriere.it/cronache/20_ottobre_10/manifestazione-no-mask-negazionisti-covid-roma-0a9f2fd8-0ae3-11eb-a7e3-5ef727c833ab.shtml; https://www.ilmessaggero.it/italia/covid_no_mask_negazionisti_roma_manifestazione_diretta-5515361.html;
https://video.corriere.it/cronaca/no-mask-piazza-roma-manifestazione-negazionisti/6d6cf418-ef8d-11ea-94cc-1f80cc642b17; https://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Coronavirus-Manifestazione-No-Mask-a-Roma-negazionist-Covid-d6d617df-4266-4639-8243-9a47483dcf47.html; https://www.fanpage.it/attualita/il-mio-viaggio-fra-i-negazionisti-del-coronavirus-che-hanno-manifestato-a-roma/.
[3]https://www.ilsole24ore.com/art/il-negazionismo-scientifico-e-psicologia-sociale-ABtG0ocB; https://facta.news/storie/2020/10/06/pandemie-teorie-del-complotto-e-virus-usciti-dal-laboratorio-una-storia-che-si-ripete/?fbclid=IwAR3rrcH5GbZoQEvLV_nEbdxrazHz48UHrz1njx5ODhMZFmkEAlm1JZwUU3U.
[4] Ok. Facciamo chiarezza, perché questa considerazione viene fuori dalla pratica dei media di comunicazione globale. Stando al funzionamento generale e specifico delle piattaforme social, ogni utente è “spinto” e “indirizzato” attraverso suggerimenti automatici e automatizzati, verso contenuti e pagine affini a sé. Per questo rimando, più che a manuali e saggi infiniti comunque facilmente rintracciabili con una breve ricerca su Google, a due documentari, The Social Dilemma e il meno citato per ovvie ragioni – è più complesso, più approfondito, più realisticamente drammatico – The Great Hack della piattaforma Netflix adesso, non casualmente, sotto l’attenzione di tutti i suoi utenti e non solo (cfr. https://www.corriere.it/sette/editoriali/20_settembre_26/smetto-quando-voglio-dilemma-social-f89dfdfe-ff44-11ea-bab8-81c46a04ebd3.shtml). Gli algoritmi inoltre non valutano soltanto gli interessi dell’utente in base a ciò che egli attivamente fa (cliccare su certi contenuti, aprire certi link, seguire certi altri utenti) ma si spingono oltre e cioè concretamente realizzano un modello dell’utente stesso in grado di “prevedere” i suoi futuri interessi, bisogni, desideri. Questo succede perché a contare non sono solo le azioni dell’utente ma anche i millisecondi che un altro tipo di contenuto, cioè quello sponsorizzato, pubblicizzato, né dentro né troppo fuori dalla usa “bolla”, viene visualizzato. Con “bolla” si intende quello spazio virtuale in cui l’utente del social si muove. La bolla è fatta, nel caso dei social come Facebook o Instagram, dagli altri utenti seguiti (amici o meno) e dalle pagine e hashtag seguiti, nel caso di Youtube per esempio dai canali seguiti, dai video commentati e preferiti, da altri utenti seguiti, dalla tipologia di contenuti solitamente frequentati.
Viene così misurata a tutti gli effetti l’attenzione che un contenuto (una pagina, un video, un post, un frammento di intervista o di articolo) attira. A seconda dei millisecondi, a seconda quindi del grado di attenzione/tempo che l’utente rivolge verso quel contenuto vengono sia inserite ulteriori pubblicità (perché le aziende pubblicitarie pagano i social in questione anche, non solo, per questo) sia contenuti simili vengono “suggeriti” all’utente (così da inserire altre pubblicità). Banalmente, se su Facebook o su Youtube mi soffermo su un contenuto in cui si dice che il covid-19 è forse uscito da un laboratorio e magari lo commento o lo condivido a mia volta anche in un altro social, se il mio commento o la mia condivisione inoltre denotano un mio interesse positivo al contenuto, contenuti simili mi verranno proposti via via sempre di più. Moltiplichiamo questo processo migliaia di volte nel tempo, nei giorni e nei mesi, moltiplichiamo questo processo nello spazio (non solo virtuale) delle relazioni fra utenti che condividono interessi, contenuti, e spazi simili. Ciò che si crea è a tutti gli effetti una pandemia di contenuti affini, di rimandi a pagine e utenti che dicono quelle cose lì, che la pensano in quel modo lì. Si crea quindi una nuova “bolla” per l’utente in questione (o si allarga la bolla di prima, dipende dai casi).
[5] Rimando a due articoli esaustivi e completi su QAnon e a un paio di video documentativi del Dott. Polidoro che da anni fa divulgazione e debunking su Youtube: https://www.internazionale.it/reportage/wu-ming-1/2020/09/02/mondo-qanon-prima-parte;
https://www.internazionale.it/opinione/wu-ming-1/2020/09/18/mondo-qanon-seconda-parte; https://www.youtube.com/watch?v=3UPRNh_6zLk;
https://www.youtube.com/watch?v=u3gm6kNb1TY;
https://www.open.online/2020/ 10/15/i-qanon-sono-un- pericolo-youtube-rimuove-i- contenuti-complottisti-che- alimentano-odio-e-violenza/
[6]https://www.iltascabile.com/scienze/negare-crisi/?fbclid=IwAR09UqGn9f7UPpvz5V9j5StMZALjVjpdk8ty0GfeJZroafdPMuoGnEfyHJ8.
[7]https://www.internazionale.it/notizie/stella-levantesi/2020/09/08/realismo-climatico-negazionismo?fbclid=IwAR3WbKkmfyn1zGSwxA31zDwtmaz0L6LV1LgQb1HENedg4YBZHlrKcyGbDiM.
[8] Si rimanda a Ghosh A. 2017, La grande cecità. Il cambiamento climatico e l’impensabile, Vicenza, Neri Pozza.
[9] Cfr. Bonneuil C., Fressoz J.B. 2019, La terra, la storia e noi. L’evento antropocene, Treccani.
[10] https://www.istitutoeuroarabo.it/DM/ripensando-locale-e-globale-la-retorica-dello-storytelling-e-la-cospirologia/
[11] Queste frasi che cito sono scritte sui social, nelle chat private, o sentite in interviste tv, trascritte su articoli. Le leggiamo e le ascoltiamo tutti, tutti i giorni.
[12] Cfr. nota 6.
[13] Cfr. nota 4.
[14]https://www.repubblica.it/economia/2020/09/21/news/inail_contagi_covid_agosto_2020-268031961/; https://www.repubblica.it/cronaca/2020/10/09/news/coronavirus_monitoraggio_iss-270028537/.
[15]https://thevision.com/attualita/complotti-pandemia/; https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/09/15/bill-gates-i-no-vax-non-so-come-abbiano-scoperto-il-mio-complotto/5931837/.
[16] Si rimanda alla nota 5 e alla nota 15.
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Giuseppe Sorce, laureato in lettere moderne all’Università di Palermo, ha discusso una tesi in antropologia culturale (dir. M. Meschiari) dal titolo A new kind of “we”, un tentativo di analisi antropologica del rapporto uomo-tecnologia e le sue implicazioni nella percezione, nella comunicazione, nella narrazione del sé e nella costruzione dell’identità. Ha conseguito la laurea magistrale in Italianistica e scienze linguistiche presso l’Università di Bologna con una tesi su “Pensare il luogo e immaginare lo spazio. Terra, cibernetica e geografia”, relatore prof. Franco Farinelli.
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