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di Elena Perlino
Perlustrare il Nitassinan, il territorio ancestrale del popolo Innu, diventa possibile grazie ad una residenza fotografica promossa dai Rencontres internationales de la photographie en Gaspésie.
Con il direttore Claude Goulet decidiamo di concentrare l’attenzione sulla zona nel nord del Quebec che collega Sept-Îles à Matimekush-Lac John. Un lungo corridoio corrispondente alla via percorsa dal treno Tshiuetin (Vento del Nord). È impossibile arrivare con le quattro ruote, l’unico accesso alle comunità autoctone della zona è consentito da treno e aereo. Mi colpisce questa scelta radicale di auto-esclusione.
Grazie al sostegno dell’Istituto italiano di cultura di Montreal nel 2017 prende forma la prima residenza d’artista: destinazione Malioténam, Natashquan, Schefferville e Kawawachikamach.
A Sept-Îles incontro Mani Shan, nella comunità di Malioténam. È seduta al centro di poche sedie, disposte in circolo vicino al camino. Non vuole essere registrata mentre parla, non vuole che si prendano appunti. Tutto quello che dice, deve essere ricordato a memoria: si tratta di uno strumento potente, sottolinea, non c’è bisogno di altro.
Mani Shan racconta dell’infanzia nei pensionati: «Da piccola mi obbligavano a disegnare le mucche, ma io volevo disegnare i caribù», il matrimonio con un greco conosciuto a Schefferville, le tre figlie, la voglia di tramandare le tradizioni degli Innu, l’università, le conferenze in giro per il mondo, il centro di guarigione creato per gli autoctoni e sostenuto dal Ministero degli Affari Indiani.
I viaggi diventano a cadenza annuale, fino al 2019, con un soggiorno al confine con il Labrador, in occasione dell’incontro annuale degli Innu più anziani. Grazie a Langis Fortin, Marjolaine Mckenzie e Lucien McKenzie si approfondisce la relazione con la comunità di Matimekush-Lac John.
Le stagioni scandiscono le differenti attività legate alle tradizioni millenarie, dalla caccia a caribù e oche selvatiche, alla raccolta di frutti di bosco, dalla pesca alle trote grigie, alla caccia alle pernici. Si dorme in tenda, si cucina e ci si riscalda con la stufa. Dopo ogni attività, è consuetudine condividere tutto con i membri della comunità. Assaggio la coda di castoro, un panetto solido che assomiglia al lardo: nulla si butta, dell’animale.
Tradizione e innovazione si mescolano, che si tratti di abitudini culinarie, religione o economia. I riti animisti convivono con la religione cattolica, la difesa del territorio non impedisce di firmare intese con i colossi minerari del ferro, per sfruttare – in modo sostenibile – i giacimenti del sottosuolo. Il contrasto tra mondi e culture così diversi può creare pesanti lacerazioni nella gente.
Lo scopro durante la cerimonia dello sweat lodge. Sotto la tenda, realizzata con rami intrecciati, inizia il rito di purificazione che permette di entrare in comunicazione con gli antenati. Questi ultimi sono simboleggiati da pietre incandescenti deposte, una ad una, su un tappeto di aghi di pino al centro della tenda. L’acqua, la terra, il fuoco e l’aria diventano protagonisti: la potenza della natura si unisce ad una dimensione spirituale che ti trasporta altrove.
Il rituale prevede quattro round, il calore provocato dal vapore aumenta, fino a diventare insopportabile. Il tamburo, suonato dagli uomini, introduce parti di musica e canto: serve a mettersi in contatto con l’invisibile. I minuti passano nel silenzio. Si sente solo il crepitìo delle pietre a contatto con l’acqua che crea vapore.
Alla fine della cerimonia chi vuole prende la parola. Un uomo Innu di circa quarantacinque anni scandisce poche frasi: «J’ai été abusé et j’ai abusé», sono stato vittima di abusi sessuali e a mia volta li ho riprodotti.
Condivide senza censure il suo passato, non lo intimorisce che ci siano persone estranee che potrebbero giudicarlo. Conta una cosa sola: non aver paura di mostrarsi vulnerabili.
Parte da qui la riappropriazione della propria identità e la tutela delle tradizioni autoctone di cui gli Innu del Quebec diventano portavoci, perché un passato neanche troppo remoto possa convivere con la sfida del presente.
Agli Innu che hanno reso possibile questo incontro, il mio grazie: Tshinashkumitin.
Dialoghi Mediterranei, n. 58, novembre 2022
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Elena Perlino, fotografa professionista che ha collaborato con Magnum Emergency Fund, il Cnap – Centre National des Arts Plastiques – e Open Society Foundations. Il suo recente lavoro si è concentrato su migrazioni, tratta di esseri umani e questioni di genere, ponendo la fotografia al centro di questioni sociali e politiche cruciali. Ha pubblicato i libri Pipeline (Schilt Publishing, 2014), Maktoub (Cibele Edizioni, 2017) e Paris Goutte d’Or (Loco Editions, 2018). Nel 2022, grazie alla collaborazione con Éditions Loco, esce il libro fotografico Indian Time (editionsloco.com/Perlino).
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