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«Noi accogliamo con la cultura». Accade a Bologna

 Iftar a Bologna

Iftar a Bologna (ph. Ass. Sopra i ponti)

di Lella Di Marco 

Il libro completo sulla epocale immigrazione in Italia ancora non è stato scritto. Il fenomeno è in continua trasformazione: negli arrivi-partenze, nuove e vecchie generazioni, motivazioni economiche, spinte politiche, ricerca di un maggiore benessere e non soltanto materiale, flussi ininterrotti che  sfuggono ad ogni previsione  o indagini statistiche.  Campo aperto invece, ad ogni sperimentazione d’incontro, connessioni, elaborazioni culturali, sperimentazioni letterarie, narrazioni, scritture, senza costi, ovviamente, per l’amministrazione locale. Operazioni  dal basso. Di  accoglienza umana e civile, anche come provocazione  politica non violenta   verso chi avrebbe avuto  ed ha  il dovere di  elaborare  una strategia sull’immigrazione nel nostro Paese. Senza alcuna logica di mercificazione.

Chi parte, lasciando la propria terra ha sempre qualcosa da narrare. Quella terra lasciata è sempre dentro di lui e costituisce, assieme alla sua vita trascorsa, il suo bagaglio, la valigia dove è riposta  e custodita gelosamente, anche se il suo progetto di vita  non è fare ritorno al paese di provenienza ma rigenerarsi come terra fertile e magari fermarsi. Un intellettuale palestinese, nonostante la lotta estenuante e sanguinosa di quel popolo per il diritto alla sua terra, mi ha convinta con una spiegazione, tanto lucida quanto serena  che la terra è soltanto un fatto simbolicamente forte e rivendicato come tale, ma che non può essere mai di alcuni, essendo di tutti. Allo stesso modo, assieme ad altre associazioni di migranti, noi di Annassim abbiamo risposto all’invito rivolto dal Comune di Bologna alle libere forme associative presenti sul territorio a partecipare al bando su Dialoghi interculturali  e inter-religiosi. Si tratta di un progetto “Noi accogliamo con la cultura. Sentirsi straniero/a a Bologna”, con pratiche-azioni nuove, individuali e collettive, destinate a  richiedenti asilo o in attesa di permesso di accoglienza.

Sono stati programmati “Laboratori di parola e scrittura” diffusi sul territorio, con focus privilegiato presso il Centro Interculturale Zonarelli dove gestiamo, da anni, corsi di L2 a livelli diversi e una Biblioteca comune con testi  anche in lingua straniera.  Così il Mondo è arrivato  nelle nostre aule. Moltissimi giovani dall’Africa nera, gruppi di  donne venezuelane, pakistane, moldave, qualche russa, poche marocchine o comunque provenienti  dal Nord Africa. Il nostro modo di “incontro” non è mai stato costruito su lezioni frontali o direttive, ma si affida soprattutto alle risorse della comunicazione non verbale, così da ispirare fiducia e “sincerità nell’accoglienza”, elementi che hanno sempre raggiunto lo scopo. Non è facile avere subito la fiducia, anche se hai l’aspetto e l’atteggiamento di una mamma o di una nonna. E dire che un amico di lunga data del Camerun mi aveva avvisata che avrei avuto scarsa credibilità e nulla di più della buona educazione e degli atteggiamenti formali, «perché nessun  nero si fida mai di nessun uomo o donna bianchi ….». Capisco e, del resto, come dare loro torto pensando alla storia recente e meno recente del continente africano?

Superati – almeno apparentemente – i primi ostacoli emotivi e i giudizi pre-costituiti, molto piacevole e sorprendente è stata la scoperta. Forte  in tutti la  decisione di venire in Italia  perché entusiasti del sistema scolastico e formativo con la speranza di poterne godere  pienamente.

Sami – 20 anni  proveniente dal Benin – si lascia andare senza remore nella descrizione del suo drammatico viaggio e dei fratelli e della sorella rimasti al suo paese. Dice di essere stato «costretto a partire» perché voleva studiare  assolutamente. Chi è povero al suo paese non può avere istruzione. Le scuole dello Stato non esistono, le uniche che ci sono costano molto, sono private  e gestite dai francesi. In Italia da sei mesi, Sami si fa capire bene parlando l’italiano. Sembra conoscere  storicamente il colonialismo e i suoi effetti devastanti nonché alcuni pensatori-leader antagonisti neri. Dice  di voler realizzare in Italia un percorso completo di studi fino al livello universitario e di volere conseguire una buona specializzazione professionale per essere apprezzato e stimato per quello che vale e che riescirà a fare, per il Paese e la comunità che lo sta accogliendo. Con la forza dell’istruzione vuole contrastare anche il razzismo che definisce frutto di ignoranza e maleducazione.

 Iftar a Bologna

Iftar a Bologna

L’idea che tutti  in Italia possano avere l’opportunità di studiare, gli fa vedere il nostro come un grande paese nel quale presto spera fare arrivare anche  il suo fratellino. È fortemente critico nei confronti  dei governanti  del Benin. Conosce  bene i loro  livelli di complicità con gli  Stati ex colonizzatori, ma il suo sorriso riaffiora quando parla dell’atteggiamento che il Presidente del suo Paese ha nei confronti delle ragazze e delle donne che vogliono emigrare. Sembra che, pur di proteggerle dalla “contaminazione” dei costumi occidentali, sia generoso nei loro confronti  migliorando, per legge, la loro condizione economica, pur di non farle emigrare.

Said   – 23  anni, Costa d’Avorio  – e Hadama  – 27 anni, Ghana sono visibilmente diffidenti. Si capisce che non hanno voglia di parlare dei fatti loro, tento di  suscitare fiducia presentandomi come siciliana, originaria di Trapani, città di fronte a Lampedusa, esprimendo le mie opinioni sulle migrazioni e l’attuale condizione del continente africano. Non so se sia stata  tale presentazione  o il vedermi  nonna, ma mi hanno sorriso e e sono diventate  più disponibili a parlare. Certo che,  come donna anziana sono “garantita” anche nel Corano,  tanto più che non ho potuto assolutamente contraddirli quando mi hanno detto che «ogni bianco arrivato in Africa li ha sempre fregati». Anche per loro  l’attrazione per l’Italia sembra essere la possibilità di studiare e acquisire strumenti culturali di autodifesa  per farsi ri-conoscere e apprezzare.

Haben 25 anni,  eritreo  – è già meno timido e più determinato. Avrà pure più dimestichezza con il nostro Paese, dati i precedenti coloniali dell’Italia in Eritrea. Così, scherzando allegramente, quando sente che sono siciliana  mi fa «i bastardi culturalmente sono dei gran popoli. Mi piacciono per la ricchezza culturale che esprimono, come  sintesi di tutte le culture lasciate da chi li ha dominati. Dopo Bologna  sceglierò di  andare a vivere in Sicilia. Quella terra mi piace anche per il paesaggio. Farò come un mio amico  che ha visto Firenze e se ne è innamorato per l’arte, la cultura  che esprime  e adesso vive felice, in Toscana»

Stesso atteggiamento, anche se con altre storie alle spalle, quello manifestato dal gruppo delle ragazze venezuelane, fornite di laurea, con master in Messico, determinate nel conseguire alte qualifiche professionali in Italia e intraprendere il lavoro di architetto o avvocato con specializzazione in diritti umani o in scienze pedagogiche. Con immersione in nuove teorie professionali che tengano conto delle trasformazioni sociali, delle contaminazioni culturali, delle innovazioni scientifiche e tecnologiche  in un paese democratico, con libertà di movimenti e di espressioni .

Mi ha sorpreso positivamente come tali ragazze avessero sposato uomini di origine migrante europea, e che, forniti di  lauree forti e  specializzazioni tecnico-scientifiche, siano impiegati  come progettatori di motori alla Lamborghini o collaudatori alla Ferrari.

Meno intraprendenti sono le donne pakistane ma acculturate con laurea in scienze finanziarie o economiche o religiose, conseguite a Islamabad e determinate a chiederne  il riconoscimento in Italia ed eventuale specializzazione, per poter lavorare  come libere professioniste.

Saud  – 25 anni figlio di un palestinese immigrato a Bologna negli anni 80 e di una calabrese, laureato con 110 e lode in Ingegneria e Scienze architettoniche, già con contratto di ricercatore offerto subito dall’Università, dall’Italia non vuole andare via. Farà, sempre per contratto, ulteriori master in Canada e USA  ma, attaccato all’Italia e alla cultura artistica  che rappresenta, ha deciso di non abbandonare il nostro Paese. Almeno una buona  notizia: un bel cervello che non è in fuga!

Tanto basta, contro ogni stereotipo che ci  ha abituati a vedere gli immigrati come dei miserabili accattoni, senza dignità, incolti, con la voglia soltanto di accaparrare più possibile beni materiali. Per quanto i pochi esempi cui facciamo riferimento non possono rappresentare le caratteristiche dei nuovi arrivati, la sensazione  comunque è che siano portatori di nuovi valori, della ricerca di una nuova dignità, del desiderio-bisogno di impadronirsi del sapere come nuovo strumento per stare al mondo, difendersi, progettare un futuro.

Bologna

Bologna (ph. M. Droghetti)

E i nuovi marocchini che arrivano? Ritengo che il fenomeno sia in calo, stanno arrivando  giovanissimi che  rimasti fin da piccoli con i nonni,  adesso si ricongiungono con i genitori in Italia da anni. Oppure qualche fratello o sorella che viene in Italia per studiare e fare “un lavoro  intellettuale”. In tale campo la situazione è molto differente a secondo se provengono dai centri urbani o dalle zone rurali del Marocco.

Così, per esempio, Fatima 22 anni proveniente da Foum Zguitdistante qualche centinaio di chilometri da Casablanca, paesino sperduto sul Medio Atlante, senza un presidio medico né farmacia nè scuole, di origine berbera con scarsa conoscenza della sua lingua amazight / lingua camita di famiglia linguistica afro/asiatica. Pur con qualche difficoltà ad apprendere l’italiano, sa tutto dei movimenti giovanili, delle tendenze artistiche, della musica dei graffiti sui muri di Casablanca, della moda  anche fuori dal Marocco. Nel suo paese non ci sono libri e librerie né tantomeno biblioteche e la non scolarizzazione continua a prevalere contestualmente ad una mentalità tradizionale patriarcale di oppressione e imposizioni soprattutto per le ragazze. Le famiglie non hanno soldi per comprare il computer ma ci sono i cyber cafè  che stanno rappresentando uno straordinario fenomeno di cambiamento, di conoscenza e socializzazione. Così i giovani trascorrono molto tempo in quei locali e  perfino le ragazze  vi si fermano fino alle 11 di sera. Davanti al piccolo schermo ragazzi e ragazze sono uguali. Socializzano e si connettono senza  sanzioni sociali e discriminazioni.

Io stessa quasi dieci anni fa avevo notato il fenomeno, ospite di un’amica marocchina  in un paesino a 60 km da Casablanca: molti internet cafè, molte postazioni con p.c. e tastiere  con tasti così anneriti che l’unico spazio bianco era quello battuto dai polpastrelli delle dita delle mani. Molti ragazzi e ragazze  stavano assieme gioiosi,  impegnati a visitare siti stranieri e a chattare. Ridevano “come non si addice in pubblico ad una ragazza musulmana” e i maschi tralasciando gli insegnamenti materni nella relazione con l’altro genere molto gentili e premurosi, aiutavano le ragazze. La verità è che le nuove arrivate dal Marocco non acculturate o scarsamente alfabetizzate vogliono imparare bene sia l’italiano che l’arabo, per conoscere persone nuove in rete, magari  da sposare. Come Fatima,  appassionata di danza, arti espressive e moda pronta ad entrare in contatto con gli artisti di strada o gruppi teatrali. Aspettative che non avremmo mai immaginato quando negli anni 80 ci furono i primi flussi migratori  in Italia. Ma occorre farci i conti,  nel cambiamento che è  dei migranti ma anche di chi accoglie.

Mi piace concludere con le  testimonianze di una donna marocchina e di una donna russa, che ritengo molto istruttive.

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Bologna, la preghiera dell’Aid (ph. M. Droghetti)

Aima  – da Casablanca  –  parafrasando le  parole del suo professore di Geopolitica all’Università  mi dice: «Arrivata in questo Paese ho capito subito che il mio prof in Marocco aveva ragione quando nel presentarci l’Italia  tentava di farci capire che «in questo Paese ci sono tre grandi poteri: la Mafia, il Vaticano e i Partiti. Questi ultimi sono variabili ma una voltadesignati democraticamente dal popolo, devono fare in modo da non disturbare gli altri due. E così in Italia non cambia mai nulla quindi non aspettatevi situazioni innovative».  

Natalia – da Vladimir anomala nella immigrazione russa in Emilia Romagna ci vede e ci giudica nel bene e nel male. Dice di voler rimanere in Italia per la sua cultura storica e l’arte. In generale i Russi vedono gli Italiani come  persone allegre, carine e buffe,  uomni e donne che gesticolano in modo particolare, tanto che anche da lontano si capisce che sono italiani .Sono molto creative, pare che per loro  esistono centocinquanta sfumature di rosso, mente i popoli nordici (russi inclusi) ne riconoscerebbero al massimo una cinquantina. In Italia c’è bellezza e stile, un gusto estetico diventato famoso  in tutto il mondo.  L’ Italia è  un Paese bellissimo e meraviglioso,  anche per l’arte diffusa  sul territorio ma questa cosa appare poco vantaggiosa economicamente per il Paese. Un luogo dove c’è tanta creatività, però manca sempre l’ordine. E quindi i russi vedono gli italiani come persone piuttosto caotiche, che fanno fatica a mettere ordine: sembra che non capiscano a cosa serva essere precisi e ordinati. C’è il Papa in Italia, la presenza della Chiesa appare molto forte e nonostante ciò il popolo in generale non è devoto per niente. Invece in Russia, ai tempi dell’ Unione Sovietica, era al contrario La Chiesa era proibita, la gente andava di nascosto a battezzare i propri figli per evitare la punizione severa. A quei tempi lavorare per la Chiesa significava  diventare emarginati sociali, essere isolati da tutti, e condannati  alla povertà per tutta la vita. Nella Russia di oggi la Chiesa è diventata ricca e potente, partecipa molto nella politica.

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Bologna, la preghiera dell’Aid (ph. M. Droghetti)

Dalle diverse voci che abbiamo raccolto, ci chiediamo quale futuro si prepara per i nuovi immigrati arrivati che sembrano avanzare nuovi bisogni, nuove soggettività, nuove aspettative all’interno di pratiche di accoglienza non istituzionali. È vero, non tutti scappano da zone di guerra o di miseria  ma sono pur sempre affamati, affamati di libertà, di dignità, di futuro. Non sono più sufficienti la Caritas o le mense popolari che pure a Bologna stanno avendo grande successo, con l’avvio di progetti interessanti contro lo spreco del cibo e nel segno della solidarietà come contrasto alla solitudine e non solo dei migranti.

I nuovi arrivati hanno espresso un bisogno di cibo intellettuale, di sapere, conoscenza,  appropriazione di nuove tecnologie, specializzazioni lavorative, riconoscimento come persone, di accoglienza con dignità, rispetto per il diritto a partecipare alla vita comune, in nome delle loro competenze, delle loro inalienabili qualità umane. E come ha detto  il giovane Sami, vogliono   «essere apprezzati per il loro valore e poter contribuire al benessere del Paese che li ospita. Per un’inclusione a tutti gli effetti»..Chi è arrivato prima ha fatto sapere loro che l’Italia è un bel Paese, libero, democratico, dove è possibile esprimersi senza repressione né controllo sociale. Loro ci hanno creduto e pur di arrivare hanno rischiato la morte, le torture, le aberrazioni più inenarrabili.

Lo studio, la conoscenza, appaiono loro,  come opportunità di riscatto, di emancipazione, per confutare lo stereotipo dello sporco negro ed essere veramente cittadini del mondo. Non è poi vero che sono tutti musulmani. Abbiamo parlato con cristiani evangelisti che ci chiedevano un luogo di culto perché sono molti e non sanno dove riunirsi. Reclamano attenzione anche sulle loro tendenze religiose.

Giuda  –  20 anni, nigerino ha chiesto di intercedere presso il sindaco perché possa riunirsi con i suoi fratelli e sorelle che rappresentano la sua comunità, quella famiglia che non ha vicino. Dice che l’unica cosa che gli manca, in Italia,  sono le indicazioni, al mattino,  del prete che  con il megafono indica nel villaggio la scansione della giornata.

A Bologna sembra che oltre ai cristiani l’attenzione sia rivolta alla presenza ebraica e musulmana. Gli ebrei non hanno bisogno di attenzioni particolari, sono presenti con centri di cultura e spazi dove pregare, con cattedre universitarie e dirigenza nei luoghi di ricerca scientifica e astronomica. I musulmani stanno avendo attenzione da qualche anno  anche perché sono stati loro a fare le prime mosse, cercando di negoziare e dialettizzarsi con i politici locali. La moschea aperta è stata una loro azione, con precedenti esperienze a Roma e a Torino, forti anche del richiamo all’Islam di molti italiani e italiane protagonisti di matrimoni misti. La Chiesa cattolica e l’amministrazione comunale hanno fatto il resto, oltre che per aprire un dialogo inter religioso per cercare di “controllare” i musulmani da vicino. La paura del terrorismo resta sempre in agguato e si legge in controluce negli atti e nei gesti delle istituzioni.

L’iniziativa del 10 giugno con il pranzo collettivo per spezzare il digiuno è stata molto partecipata, si parla di più di mille pasti offerti dalla moschea: attori principali le marocchine già inserite nel tessuto sociale, anche con figli e nipoti di seconda e terza generazione e numerosi curiosi locali. Ha partecipato qualche negoziante pakistano della zona, nessuna presenza invece di kossovari o nigeriani o altre comunità pur numerose a Bologna. Grandi ed efficienti organizzatori i Giovani Musulmani Italiani, che rivendicano il loro essere italiani musulmani senza rinnegare le tradizioni dei Paesi di appartenenza dei loro genitori.

La verità è che il cambiamento è sempre in corso – le mutazioni antropologiche  dei migranti sono reali, naturali. E alle loro aspettative occorrerà dare una risposta politica perché come sostiene ed ha affermato in pubblico un giovane pakistano: «Le nuove generazioni di migranti non sono disposte ad essere umiliate come i loro genitori. Ritengo che anche l’Africa e gli africani meritino attenzione e politiche diverse – pena prima o poi una ribellione incontenibile e cruenta».

Dialoghi Mediterranei, n.32, luglio 2018
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Lella Di Marco, laureata in filosofia all’Università di Palermo, emigrata a Bologna dove vive, per insegnare nella scuola secondaria. Da sempre attiva nel movimento degli insegnanti, è fra le fondatrici delle riviste Eco-Ecole e dell’associazione “Scholefuturo”. Si occupa di problemi legati all’immigrazione, ai diritti umani, all’ambiente, al genere. È fra le fondatrici dell’associazione Annassim.

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