Ho già scritto circa 15 anni fa un articolo con il titolo “Report dalla Palestina”. A quel tempo, facevo parte del Comitato mondiale per la pace e il rappresentante della Palestina era Yasser Arafat. Ogni qualvolta si facevano le riunioni del comitato in Paesi diversi (Berlino Est, Parigi, Il Cairo, Mosca ecc.), lo incontravo e ricordo che egli mi veniva incontro con un grande abbraccio. Dico questo perché fin quando c’è stato Arafat a capo dei palestinesi, c’era sempre aperto un dialogo con Israele. Dopo la sua morte misteriosa – si è parlato di un avvelenamento – le cose sono cambiate.
Ero andato in Israele con una delegazione della provincia di Roma e la prima cosa che mi ha sorpreso è che all’aeroporto di Fiumicino le piste di Israele e degli Stati Uniti erano dislocate ad alcuni chilometri di distanza da tutti gli altri Paesi e molto più sorvegliate.
Arrivati all’aeroporto di Gerusalemme, siamo stati sottoposti a controlli molto severi. Inoltre, sono rimasto sbigottito girando per Gerusalemme ma anche nella striscia di Gaza nel vedere che, nei pochi territori che dovevano essere governati dai palestinesi c’erano sempre, sia ai semafori o nelle piattaforme circolari al centro delle piazze, vigili israeliani. Guardando in alto, vedevo le colline intorno piene di case di israeliani.
Un giorno, mentre aspettavamo dal nostro ambasciatore il visto per potere andare nella striscia di Gaza, a un certo punto ci accorgiamo che gli israeliani che passavano continuamente dalla stanza dove noi eravamo, erano inquieti e agitati. Dopo qualche minuto ci hanno intimato di uscire fuori dalla stanza e mentre uscivamo c’erano aerei sopra di noi che bombardavano la striscia di Gaza e siamo stati costretti a rifugiarci dietro i contenitori dell’immondizia.
Racconto questo episodio per dire che il conflitto tra israeliani e palestinesi è stato sempre acceso, alternando periodi di tregua armata e periodi di violenza. E tutto ciò per colpa o incapacità a risolvere i problemi di coloro che governano il mondo, dalle grandi potenze alle istituzioni internazionali come l’ONU, secondo la saggia idea che era stata pensata e annunciata di due popoli e due Stati e che è rimasta nell’empireo. È proprio questo fallimento delle istituzioni internazionali all’origine di quel che succede periodicamente in quella zona del Medio Oriente. Purtroppo, quando i problemi si lasciano aperti e insoluti s’incancreniscono e generano sofferenze ai più deboli, in questo caso ai palestinesi ma anche ai cittadini israeliani. Inoltre, prima o poi i problemi irrisolti si radicalizzano e allora nascono gruppi più violenti che difendono la causa palestinese, come Hamas.
A mio modesto avviso, i palestinesi hanno diritto al loro spazio vitale nella terra di Palestina, dove sono sempre vissuti. Ma anche gli israeliani, dopo la lunga diaspora e dopo la tragedia hitleriana, hanno diritto al loro spazio vitale. Perciò è auspicabile che classi dirigenti più adeguate svolgano ruoli di responsabilità al più presto, perché non si ripetano più stragi come quella all’alba del 7 ottobre, dove sono morti circa 260 ragazzi per mano dei miliziani di Hamas. La situazione di Gaza è nel frattempo terribile. Tutti i palestinesi che vivevano ai confini sono già fuggiti. Un esodo di massa. Molti però sono bloccati, perché quelli che fuggono verso il sud della striscia sono in tanti per strada e tante donne sono con i bambini in braccio e vanno verso un’area già abbastanza popolata e che non li può accogliere tutti. Si aggiunga che non c’è né elettricità, né internet.
Dopo il feroce attacco terroristico di Hamas, gli israeliani hanno colpito perfino scuole e ambulanze, hanno massacrato intere famiglie e bombardato tante case, senza avvisare le persone che le abitano, fino a configurare un vero e proprio genocidio a Gaza, come quello della Nokba del 1948. A fronte di questa situazione drammatica, L’Occidente tace, il diritto internazionale viene ignorato. Dove sono le organizzazioni umanitarie e l’ONU mentre viene violato ogni diritto?
Le cose sono alquanto peggiorate da quando c’è Netanyahu, il quale certamente non si può annoverare tra i pacifisti e tra l’altro è anche un personaggio discusso in patria e cresciuto con un padre per il quale non c’era spazio per uno Stato palestinese, a differenza di Ben Gurion, che aveva capito che Israele avrebbe dovuto lasciare ai palestinesi una parte della Palestina storica ed ebbe voce in capitolo fino agli accordi di Oslo. Ma poi, con Netanyahu, erede del revisionismo sionista che non contemplava un altro popolo né una soluzione negoziata della questione palestinese, le cose sono cambiate e il dialogo si è interrotto.
Anche Mahmud Abbas, presidente dell’organizzazione per la liberazione della Palestina, ha la sua parte di responsabilità, seppure motivata dallo stallo di una situazione insostenibile. In sostanza, si può dire che Israele, dopo tutte le vicissitudini della tragedia hitleriana, che ha sterminato milioni di ebrei, abbia il diritto a un suo territorio e alla sua sicurezza. L’errore di Netanyahu è la sua non volontà a riconoscere che anche i palestinesi hanno diritto a un loro territorio autonomo e ciò ha comportato la radicalizzazione di una parte dei palestinesi, come dimostra l’attacco violento e brutale anche contro bambini sferrato da Hamas.
È tempo di pacificare al più presto quel territorio, come, d’altronde, chiedono noti intellettuali israeliani come David Grossman e Yual Noah Harari, rappresentanti di un dissenso democratico, che ha prodotto manifestazioni imponenti.
D’altronde, la situazione di oggi affonda le radici nel 1967, allorché, dopo la guerra dei sei giorni, iniziò la prima occupazione, solo temporanea dei territori, da parte di Israele. Nel 1995, l’assassinio di Rabin a Tel Aviv, interruppe l’accordo di pace con Yasser Arafat, noti come accordi di Oslo i quali, per la prima volta, riconoscevano nell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) un interlocutore ufficiale e l’OLP sanciva il diritto di Israele a esistere. E tuttavia gli estremisti delle due parti li hanno fatti fallire.
Oggi, si sente il bisogno di due interlocutori come Rabin e Arafat e invece ci troviamo di fronte a delle leadership non all’altezza dei compiti e perciò è importante che gli organismi internazionali facciano di tutto per riprendere l’unico progetto credibile, quello di due popoli e di due Stati.
Dialoghi Mediterranei, n. 64, novembre 2023
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Piero Di Giorgi, già docente presso la Facoltà di Psicologia di Roma “La Sapienza” e di Palermo, psicologo e avvocato, già redattore del Manifesto, fondatore dell’Agenzia di stampa Adista, ha diretto diverse riviste e scritto molti saggi. Tra i più recenti: Persona, globalizzazione e democrazia partecipativa (F. Angeli, Milano 2004); Dalle oligarchie alla democrazia partecipata (Sellerio, Palermo 2009); Il ’68 dei cristiani: Il Vaticano II e le due Chiese (Luiss University, Roma 2008), Il codice del cosmo e la sfinge della mente (2014); Siamo tutti politici (2018); Scuola ed educazione alla democrazia (2021).
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