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Non si può, da europei, non essere cristiani?

978880626204higdi Sabrina Leo

Il volume di Sante Lesti, Il mito delle radici cristiane dell’Europa. Dalla Rivoluzione francese ai giorni nostri (Einaudi 2024), diviso in due parti, rappresenta un’ambiziosa e articolata riflessione sul rapporto tra l’idea di Occidente e il mito delle radici cristiane d’Europa. È infatti sicuramente vero che il cristianesimo ha giocato un ruolo fondamentale per la storia d’Europa; ma quanto, come spesso viene ricordato, è stato proprio questo il suo fattore essenziale? Secondo l’autore, la sua unicità come elemento fondativo è una questione su cui riflettere attentamente. C’è infatti la grossa possibilità che si tratti di una rappresentazione ideologica della realtà, una semplificazione del passato europeo, che nelle varie testimonianze affonda le sue origini in punti sempre diversi di questo passato, senza riuscire a darne una rappresentazione univoca.

Non tutti quelli che si rifanno alle radici cristiane dell’Europa condividono infatti la stessa idea di Europa, ma usano questo concetto per motivare discorsi diversi. Le stesse radici cristiane vengono tirate in ballo per giustificare l’Europa controrivoluzionaria alla fine del ‘700; l’Europa napoleonica, l’Europa della restaurazione, l’Europa liberale, cattolico-liberale, cattolico-democratica… Cosa sono quindi? Il cristianesimo può essere contemporaneamente la radice di tutte queste Europe, a volte contrapposte? Scorrendo poi gli esempi portati nella prima parte del volume, il cristianesimo risulta essere di volta in volta religione fondamento di pace, di guerra, delle istituzioni, della rivoluzione, della conservazione, della democrazia, della dittatura… 

Da più di due secoli, secondo Lesti, si sostiene che il fulcro della storia d’Europa stia nella civilizzazione cristiana. Il nucleo culturale che parla di libertà europea contro dispotismo asiatico è molto antico; ciò si è fuso poi con un elemento religioso essenziale, il cattolicesimo, che ha modellato l’Europa medievale. Nel corso del Settecento però la componente religiosa era stata spinta ai margini dell’idea di Europa: questa nuova tendenza culturale era nata proprio dal ripudio del passato religioso in seguito a eventi come la Riforma protestante, l’Illuminismo e la Rivoluzione francese. Sotto il Terrore, nella penna di diversi intellettuali tardo settecenteschi [1], l’Europa “degli antichi valori”, soprattutto religiosi, va in pezzi; nasce però contemporaneamente, in filoni culturali minoritari, una nuova identificazione tra “civiltà” e “religione” nella lotta tra Rivoluzione e Controrivoluzione cattolica, permettendo la riemersione e la conservazione del mito oltre l’Illuminismo.

Nell’Ottocento troviamo quindi due versioni del mito: il primo che risale alla riscoperta romantica della religione e che presenta il cristianesimo come un evento fondamentale del passato dell’Europa tra gli altri; il secondo, che risale appunto alla controrivoluzione francese ed europea dell’ultimo decennio del Settecento, e presenta il cristianesimo come il principale, l’unico elemento fondamentale di quel passato. Il libro si concentra sulla storia del secondo, che rappresenta il fondamento, secondo Lesti, di un recente mito storico-identitario di notevole diffusione culturale e politica. Questo mito fornisce una legittimazione ad alcuni (i cattolici), limitandone però la libertà: non si può, da europei, non essere cattolici, se questo elemento è intrecciato così strettamente con la storia e la cultura europea; e contemporaneamente ne esclude altri, i non cattolici, definendoli in qualche modo “meno europei” perché privi di un elemento storico e coesivo così importante. Per la maggior parte della storia, il mito delle radici cristiane d’Europa ha avuto comunque come obiettivo principale, con esiti alterni, di elevare la Chiesa e i cattolici al di sopra degli altri, per affermare un predominio sul presente e giustificare una qualche visione politica di organizzazione dello Stato e della società.

2560350061079_0_0_536_0_75Secondo Lesti, il primo grande autore ottocentesco del mito è Chateaubriand [2], che in particolare nel suo Il genio del cristianesimo (1802), testo di importante diffusione e circolazione, fornisce una riedizione del mito delle radici cristiane non solo d’Europa, ma in generale dell’Occidente. Insieme ad altri autori, come De Maistre [3] e Saint-Simon [4], l’idea delle radici romane e cristiane dell’Europa viene rilanciata, con varie differenze di sfumature ed esiti. In questo momento queste radici servono a sostenere le idee più disparate di Europa che i loro autori vogliono sostenere, e ne recuperano elementi diversi a seconda dell’esito che ne vogliono ricavare. Vengono richiamati anche gli elementi che hanno fatto sì che, attraverso il cristianesimo, l’Europa si modellasse “contro” qualcos’altro. Intimamente diversa dall’Oriente, da sempre anti-islamica [5], l’Europa affonda le sue radici, secondo autori come Michaud [6] e Gioberti [7], anche nelle crociate; comincia ad emergere la centralità, che negli scritti di questi autori sarebbe da recuperare, della figura dei pontefici.

In un’Europa che si avvicina a grandi falcate al 1848 alle paure di revival rivoluzionari della metà dell’Ottocento, la ricomposizione politica della cristianità, che sia nazionale o globale, passa attraverso la riscoperta del ruolo del papato. L’Occidente risulta invece un fattore di aggregazione debole rispetto all’Europa, ma soprattutto rispetto alla nazione e alla civiltà (termine mediato dal francese civilization): la civiltà è una, universale, nata in Europa, esportabile e per la quale è accettabile combattere. Da Chateaubriand alla fine dell’Ottocento seguiamo quindi nel volume un percorso delle radici cristiane d’Europa che tende a inglobare l’Europa e l’Occidente come mito secondario.

Negli anni Venti e Trenta del Novecento, Hilaire Bellock [8], storico e politico francese naturalizzato britannico, è il primo che pretende di scrivere la storia delle radici cristiane d’Europa. Nella sua interpretazione, l’impero romano avrebbe dato all’Europa la sua prima identità, ma la seconda e definitiva sarebbe venuta dalla “civilizzazione” operata dalla Chiesa cattolica: impero e Chiesa si sarebbero “fusi” già entro il 300 d.C.

La fine dell’egemonia europea sul mondo, l’inizio del “secolo americano” e la comparsa della “minaccia bolscevica” alimentano in questo periodo una nuova riflessione sul vecchio continente; l’eredità cristiana risulta, nelle analisi di intellettuali come Coudenhove-Kalergi [9], Christopher Dawson [10] e De Reynold [11], una delle vere fondamenta europee. Ma non solo: sotto la penna di Dawson, Europa e Occidente diventano interscambiabili. Il tratto che Dawson in particolare individua come tipicamente occidentale, derivato dall’influenza delle abbazie benedettine sulla società europea, era il dinamismo; inteso come propensione al cambiamento sociale, veniva contrapposto all’immobilismo bizantino e veniva riconfermato il ruolo fondamentale e internazionale del papato.

91w-ftcvvsl-_ac_uf10001000_ql80_Nei primi anni Quaranta, Federico Chabod, storico italiano di grande prestigio, si occupa delle origini dell’idea di Europa; rifacendosi a uno scritto di Benedetto Croce [12], Chabod sostiene che «noi (europei, n.d.r.) siamo cristiani e non possiamo non esserlo». Si tratta di una riflessione che probabilmente risente, in questi anni, della necessità di immaginare un’alternativa culturale al nazismo, costruendo una genealogia diversa delle idee di nazione e d’Europa così come professate dai nazifascisti. Insieme all’esaltazione del cristianesimo, contemporaneamente vi fu anche l’esaltazione della Chiesa come istituzione: vengono a essa attribuiti meriti fondamentali per l’Europa, come la cristianizzazione, la romanizzazione, l’“incivilimento” dei barbari, la repressione delle eresie, la protezione della “civiltà europea” dalla minaccia islamica, la difesa di un ordine morale e religioso alternativo a quello politico momentaneamente al potere. In questo momento, comparve, nella lettura di Lesti, la necessità di elaborare una genealogia culturale incompatibile con quella nazista, che quindi rimette al centro l’elemento cristiano-cattolico come vero fondamento dell’eredità comune del continente.

Fino al secondo dopoguerra i papi avevano osservato da lontano questo mito, mantenendosi completamente estranei alla sua diffusione, sostenendo invece il mito della cristianità medievale come modello inarrivabile e irrimediabilmente perduto. Con il pontificato di Pio XII, però, tutto cambia: dall’aprile del 1946 Pacelli rivendica la cristianità come unico baluardo contro il ripetersi dei tragici eventi appena conclusi, abbracciando l’idea del federalismo europeo come elemento che permetterebbe di superare i nazionalismi europei. La fine della Seconda Guerra Mondiale fu segnata infatti dal ritorno dell’Europa al centro del dibattito, a causa della necessità di un nuovo ordine europeo; in questa occasione, Pio XII si concentra sul nesso, secondo Lesti inventato, tra liberalismo, secolarizzazione e nazionalismo, rivendicando la centralità della Chiesa e del cattolicesimo per ricostruire l’unità europea. Le radici d’Europa sono infatti, secondo il papa, «benedettine, cattoliche e romane» e permettono di schierarsi immediatamente in contrapposizione rispetto alla «dottrina empia che viene da Est», ovvero il comunismo. Tra gli anni Cinquanta e Sessanta, poi, Pacelli allinea il discorso sulle radici cristiane del continente con quello dei partiti democratico-cristiani europei, che definisce in un suo discorso unici rappresentanti legittimi dell’Europa.

Con l’aggiornamento della Chiesa voluto da Giovanni XXIII, poi, il papa e le sue idee sull’Europa entrano nel processo di integrazione europea: il continente, nei suoi discorsi e comunicati, ha sì radici greche e romane, ma, soprattutto, cristiane. La cultura europea è tra l’altro, secondo questo papa, universale, e questo rende anche le sue radici globali. Durante questo pontificato, grande importanza ha anche la campagna per la proclamazione di San Benedetto come patrono d’Europa: si tratta di una campagna che ha come scopo, da parte della Chiesa, la cristianizzazione del processo di integrazione europea. Con il procedere del secolo, però, le sfide da fronteggiare cambiano: la dominazione del progresso tecnico, la crescente secolarizzazione, la frattura tra ottimismo e pessimismo in prossimità dei grandi rivolgimenti sociali del ’68 europeo assumono sempre più importanza.

San Benedetto

San Benedetto

Nel 1978, la proclamazione di Cirillo e Metodio come patroni d’Europa accanto a Benedetto risponde a una nuova esigenza di Giovanni Paolo II: la correzione delle narrazioni occidentalocentriche delle radici cristiane d’Europa, l’integrazione della Chiesa ortodossa e quindi, di conseguenza, di ciò che si trova oltre la cortina di ferro. Le radici cristiane diventano, in questo momento, post-occidentali e nazionalistiche, mettendo al centro strutture sociali statuali e familiari e il perseguimento di una giustizia sociale di qualche genere, e proponendo infine una rievangelizzazione d’Europa e del mondo a partire da questi elementi.

Dopo gli eventi del 1989 e il crollo del Muro, il mito delle radici cristiane d’Europa entra, secondo Lesti, nel regno della perdita e, dunque, nell’età della memoria: molti europei sembrano vivere senza un retroterra religioso e culturale. Il processo di integrazione europea è sempre più avanzato ed è affamato di una sua legittimazione culturale: le radici cristiane d’Europa sono quindi un elemento che viene sempre più rivendicato all’interno dei documenti dell’Unione Europea. Il dibattito più forte, in realtà, viene registrato in occasione dell’emanazione della Costituzione europea, nel 2004: si discuteva, in questo momento, dell’opportunità di una concezione esclusivista del rapporto tra radici d’Europa e cristianesimo, dato il sempre maggiore multiculturalismo della popolazione europea.

Il pontificato di Benedetto XVI fu probabilmente quello caratterizzato dalla più forte rivendicazione del mito doppio delle radici cristiane d’Europa e dell’Unità europea. Secondo Ratzinger, il cattolicesimo è compatibile con la fede, ma anche con la ragione: il cristianesimo è infatti religione del logos, poiché affonda le sue radici nell’evoluzione della filosofia greca, da cui è poi scaturita la cristianità medievale e, infine, la modernità e l’Illuminismo. Ratzinger cristianizza, in un modo che potrebbe apparire controintuitivo, due dei maggiori frutti dell’Illuminismo europeo: la libertà religiosa e la dignità dell’uomo. L’Illuminismo affonda le sue radici, infatti, nell’Europa tardoantica e medievale, che secondo lui diede la sua maggiore impronta culturale e intellettuale al cristianesimo. Ratzinger non si limita a individuare nei diritti della persona ciò che la Chiesa e i partiti cattolici devono rivendicare come eredità intellettuale europea, ma riafferma la necessità del bilanciamento tra interessi nazionali e comunitari; la promozione della famiglia naturale, la difesa dalle tradizioni cristiane nel dialogo con le altre religioni. Per Benedetto, il multiculturalismo risulta spesso infine nel rinnegamento e nell’abbandono di ciò che è proprio, ed è ciò che è successo all’Europa, che ultimamente vede solo ciò che nella sua storia è negativo, ma non ciò che è grande e puro. Le sue radici cristiane d’Europa sono tra l’altro assolutamente compatibili con ciò che è Occidente: le sue idee sono state saccheggiate dai conservatori europei, che hanno rispolverato anche il mito dello scontro di civiltà tra Occidente e Islam in occasione dei fenomeni del terrorismo islamico, in coerenza con l’idea di Europa fondata anche sul mito anti-islamico.

Alla sua ascesa al soglio pontificio, nel 2013, Francesco, primo papa a venire dal Sud del mondo, cerca di aggiornare il mito ponendo l’attenzione sui valori trascendenti insiti nell’uomo e lungamente analizzati e riconosciuti dalle diverse forme di pensiero europeo, dai Greci ai Romani a popoli germanici, ma cerca contemporaneamente di accantonarlo, per non avallare l’uso identitario e antimigratorio di cui le destre europee l’hanno ammantato. In questo discorso, le radici cristiane ed europee servono a difendere un’identità europea in stato di assedio attraverso un’identità chiusa, che si basa sull’eredità classica e giudaico-cristiana. Francesco, di fronte all’acquisizione del mito da parte dei partiti conservatori europei, che infatti si riferiscono molto più spesso a Ratzinger come fonte di ispirazione delle loro convinzioni, si trova in difficoltà e ad un bivio: abbandonare l’eredità culturale delle radici cristiane d’Europa di cui la Chiesa si è appropriata nell’ultimo secolo o abbracciarle, rischiando l’identificazione con i nuovi valori che queste simboleggiano? Si tratta di una scelta ancora tutta da compiere, e che lascia aperta la prossima declinazione delle radici cristiane d’Europa a cui ci si riferisce di solito in modo granitico, ma che, analizzandole più da vicino, fanno intravedere tutta la loro mobilità, leggerezza, mancanza di definizione. 

Dialoghi Mediterranei, n. 72, marzo 2025 
Note
[1] Lesti si rifà a un testo letterario di Pierre-Simon Ballanche (1776-1847, scrittore e filosofo francese), l’Épopéé lyonnaise; a un testo filosofico, la Théorie du pouvoir politique et religieux, del visconte Louis De Bonald (1754-1840); e allo Studio sul Cattolicesimo (1799) del poeta tedesco Novalis (pseudonimo di Georg Friedrich Philipp Freiherr von Hardenberg, 1772-1801), rinominato dalla data della sua prima edizione del 1826 proprio La Cristianità o Europa.
[2] François-René de Chateaubriand (1768-1848), scrittore, politico e diplomatico francese, uno dei più importanti esponenti del movimento romantico europeo.
[3] Uno tra i più noti pensatori reazionari del periodo post-rivoluzionario, il conte sabaudo di lingua francese Joseph Marie De Maistre: il riconoscimento maggiore dell’importanza del cristianesimo per la storia europea viene riconosciuta nel Saggio sul principio generatore delle costituzioni politiche e delle altre istituzioni umane pubblicato nel 1812.
[4] 1760-1825, il conte Claude Henri de Rouvroy di Saint-Simon fu un filosofo e scrittore, considerato il fondatore del socialismo francese. Nel suo De la réorganisation de la société européenne (1814), Saint-Simon, insieme al suo segretario e futuro storico Augustin Thierry, rispolvera il mito delle radici cristiane d’Europa sostenendo un regime liberal-parlamentare.
[5] L’autore ci ricorda, molto opportunamente, che la prima volta che si usa il termine di “europei” si tratta di una cronaca della battaglia di Poitiers, in cui si racconta l’impresa del re dei Franchi Carlo Martello contro l’avanzata dell’impero arabo.
[6] Joseph-François Michaud (1767-1839), storico francese testimone della Rivoluzione, da cui derivò una profonda avversione ai principi rivoluzionari. Autore di una storia delle crociate in sei volumi (Histoire des croisades, 1813), in cui si interroga sul valore di questa esperienza storica e sulla sua influenza sulla storia europea.
[7] Filosofo e uomo politico torinese (1801-1852), la sua principale opera è Del primato morale e civile degli italiani, in cui proponeva una soluzione federalista del problema nazionale sotto la guida papale, ritenendo la forza morale e la tradizione del cattolicesimo l’unica in grado di sostenere l’aspirazione ottocentesca dell’indipendenza italiana. Quest’idea fu poi rivista nella sua seconda opera Del rinnovamento civile d’Italia, nella quale affida questo compito, dopo la delusione rispetto alla politica ecclesiastica e pontificia del suo tempo, alla corona sabauda.
[8] Joseph Hilaire Pierre René Belloc (1870-1953), autore de L’Europa e la fede (1920), fervente difensore del cattolicesimo, considerava la Riforma protestante e i nazionalismi laici europei enormemente dannosi rispetto all’idea di Europa fondata sulla fede, l’unica di cui nel suo pensiero è legittimo parlare.
[9] Il conte austriaco Richard Nikolaus di Coudenhove-Kalergi (1894-1972) fu il primo uomo politico a proporre l’idea di un’Europa unita.
[10] Storico britannico (1889-1970), studiò a lungo i rapporti tra religione, cultura e civiltà. L’importanza del ruolo della religione nella formazione della civiltà europea è un tema centrale nella riflessione storico-filosofica di Dowson (soprattutto in La religione e l’ascesa della cultura occidentale, 1947-1948).
[11] Gonzague de Reynold (1880-1970) fu uno scrittore e storico svizzero, il cui pensiero fu caratterizzato da una visione tradizionalista cattolica e nazionalista, appoggiando i regimi portoghese di Salazar e italiano di Mussolini. Si oppose alle visioni secolariste che si diffondevano tra gli autori del Novecento, promuovendo interessi e valori della Chiesa cattolica romana.
[12] B. Croce, Perché non possiamo non dirci “cristiani”, 1942.

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Sabrina Leo. ha conseguito la laurea triennale in Studi letterari e filosofici nel 2017 e la laurea magistrale in Lettere moderne nel 2020, entrambe presso l’Università di Siena. Nel 2024 ha completato il dottorato in Scienze storiche all’Università di Firenze. La sua ricerca dottorale si è concentrata sulla storia della sanità in Italia nel periodo della prima Repubblica (1945-1978), indagando temi chiave nell’evoluzione del sistema sanitario e delle politiche pubbliche. Ha collaborato con il progetto “Intellettuali in fuga” diretto da Patrizia Guarnieri presso l’Università di Firenze, con l’Istituto Storico della Resistenza di Siena.

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