di Meriem Dhouib
Ogni anno nel mese di Ramadan (il mese di digiuno per tutti i musulmani del mondo) si offre al pubblico tunisino dopo il tramonto una serie di produzioni televisive, da quelle più religiose a quelle più trasgressive, da quelle più romantiche, mielose a quelle più storiche e realistiche. Perché in questo mese in particolare? Perché la maggior parte dei tunisini guarda in massa dopo la rottura del digiuno quotidiano i canali pubblici e privati arabi per tante ore. Le grandi produzioni di piccolo schermo presentano pertanto i loro lavori nel mese di Ramadan.
Premettendo che per quest’anno non ci è stata una grande produzione, intendo per numero, proprio per via del confinamento, tanti artisti non hanno potuto finire i loro lavori.
Ogni anno in Tunisia si apre un dibattito soprattutto dopo la rivoluzione della primavera araba su alcune serie televisive che creano polemiche sui social e sui quotidiani. Per tanti anni c’è stata una bulimia di serie basate sulla violenza e sul culto del consumismo allo stato puro, sul sesso, sulla droga nella lunga produzione di Sami El Fehri (animatore, produttore e proprietario di una rete Al Hiwar Ettounsi) e regista della serie TV Ouled Moufida, « i figli di Mufida » prodotta in 5 stagioni. Non voglio entrare nel vivo o nei dettagli di questi argomenti e vorrei semplicemente mettere l’accento su una produzione iniziata l’anno scorso sempre nel mese di Ramadan, Nuba 1 (prima stagione). Nuba significa musica popolare tra il profano e il mistico derivante dal mezoued, ma significa anche estasi, piacere assoluto. Il regista è Abdelhamid Bouchnak, niente meno che il figlio di uno dei più grandi cantautori tunisini, Lotfi Bouchnak, un’icona mondiale nella musica araba d’autore.
L’anno scorso la prima stagione ha avuto molta risonanza soprattutto presso la popolazione degli ultra trentenni. Quest’anno Nuba è stata straziante, emotiva, profonda, sarcastica, comica. Una profusione di sentimenti e di riferimenti all’attualità. Nuba ha risposto a quella sete di socialità e di affetto dopo un lungo periodo di confinamento. Nuba 2 non è altro che un inno al perdono e all’ amore in tutte le sue forme: il rapporto padre-figlio, la maternità, la prostituzione, il transgenere, il dolore, lo stupro, la prigionia e la follia. Un’epopea sociale sulla tolleranza, sulla differenza e un elogio assoluto della donna tunisina in tutti i sensi.
La trama della prima stagione così come la seconda di quest’anno è fittissima, un vero e proprio mosaico. Si tratta di un viaggio nel microscosmo della società tunisina degli anni ’90. Tutto si svolge tra le mura della medina di Tunisi e alcune scene rinviano ad un quartiere di media borghesia, El Menzah, sempre nella capitale, e altre ambientate nella campagna del nord della Tunisia.
Gli argomenti girano attorno a un’intensissima storia d’amore tra Habiba, la figlia di un cantante di musica popolare ‘el mezoued’ e Maher, un ragazzo che viene da un quartiere di media borghesia ma da una famiglia priva del padre partito per un lungo periodo in Francia e con una madre tipica immagine della donna lavoratrice che fatica a educare il figlio. Questi due mondi incomunicabili si sfiorano nel bene e nel male attraverso vari episodi. Nuba racconta la condizione della donna tunisina libera, protetta dalle leggi del vecchio statuto voluto da Habib Bourguiba e da leggi eccezionali nel mondo arabo musulmano attuale. Tuttavia subisce in alcuni strati sociali l’oppressione maschile e la violenza familiare.
Ma veniamo a Nuba 2 (seconda stagione) e alla magicità del suo verismo e a quest’inno a Habiba, il perno di questo mondo tragicamente instabile. Lasciando da parte gli argomenti sui traffici, le miserie, la droga, la prostituzione, la corruzione, la polizia, la dittatura, Bouchnak sceglie di evocare un episodio realmente accaduto negli anni novanta ovvero l’omicidio del fratello dell’ex presidente Zine El Abidine Ben Ali e la sua condanna all’epoca per traffico di valuta pregiata e corruzione.
La bravura del regista sta nell’aver ripreso questi ammicamenti senza dare nomi e cognomi. Dalla rivoluzione in poi, 2011-2020, pochi registi si sono interessati a questo periodo storico come Bouchnak. Infatti nella serie il lavoro certosino della sceneggiatura e della musica ci restituisce con fedeltà filologica i vestiti, le canzoni, le mode dell’epoca e i dialoghi e anche le battute ci buttano negli anni di quel neorealismo italiano dove tutto si rappresenta nella bellezza e nella bruttezza di personaggi, luoghi e circostanze che sembrano parte integrante del piccolo mondo della medina. Tutti i sottili dettagli attorno ai sentimenti dei personaggi maggiori e minori della serie si trasformano in poche ore, subito dopo la diffusione dell’episodio, in vere e proprie massime e citazioni che girano in vari video condivisi e nei social, come la frase di Wajdi, uno dei protagonisti della serie «Il cuore di panna», il romanticone che dice in lacrime: «amatevi intensamente perché non si sa quando si potrebbe morire».
Lo stesso regista non s’immaginava tutto questo successo. L’alto livello dell’équipe denota la profondità dell’intertestualità della cultura tunisina e del suo popolo che canta in inglese, parla in tunisino e s’identifica con certe espressioni francesi o italiane. Un tuffo nel passato dove ognuno degli spettatori ha visto la Tunisia di oggi e gran parte della sua gioventù oggi al potere, quegli stessi giovani che hanno vissuto l’umiliazione dello stato poliziesco, dei tabù…
In linea di massima, Nuba 2 è la celebrazione dell’araba fenice che dalle sue ceneri riemerge, un inno a quella donna come Habiba che ha vissuto lo stupro in silenzio e ne ha fatto una forza per portare avanti il suo progetto di vita, la figlia Farah, ‘gioia’. Habiba si sposa con il pancione in un quartiere popolare non con il suo stupratore ma con l’amore salvifico della sua vita, Maher. I dialoghi tra i due innamorati sono intensi e passionali, gli sguardi degli attori sono gli occhi di ognuno di noi che, sperando nella propria vita un domani migliore, sceglie il proprio destino. La serie è di grande tragicità visto che tanti personaggi muoiono.
Perfino la morte è rappresentata come un ballo, una melodia. Alcuni personaggi che spariscono si ritrovano in un’atmosfera bucolica nella stessa casa a ballare sulle note del mezoued. In fondo Nuba 2 è anche un inno al corpo: si balla, si canta, si grida, al centro c’è sempre il corpo, il corpo del carnefice, il corpo dilaniato dal lupo assassino, il corpo del disabile, il corpo del folle che gira tra le viuzze della medina.
Il mondo di Nuba è circolare come la struttura della medina con vestiboli e porte per uscire ed entrare. Il destino si fa a cerchio, chi era sano di mente impazzisce, chi era ricco diventa povero ma nessuna legge è uguale per tutti. Il mondo dei personaggi si presenta assimilabile alla struttura delle case arabe: l’interno aperto e senza finestre all’esterno, tutto si svolge tra quei muri, i segreti di famiglia, i momenti più cupi a quelli più teneri, i ricatti e le vendette.
Nella serie si parla perfino delicatamente della memoria e dell’alzaimer e si mette l’accento sulla sofferenza del paziente e di chi gli vuole bene, un soggetto incarnato nel personaggio di baba Hedi, padre di Habiba. Tutti i problemi mentali legati alle ferite infantili si rirovano nel personaggio di Karim. L’argomento della bisessualità e dell’AIDS nel personaggio di Dandy, il PR del cabaret e padre di Maher.
Anche il pubblico maschile si è immedesimato in tutti questi personaggi. Numerosi sono i commenti maschili sui social che apprezzano le dinamiche sociali raccontate da Nuba.
Ho cercato di non raccontare tutti i dettagli di questa serie per lasciare la curiosità a chi vuole seguirla per esserne coinvolto emotivamente. Ho voluto rendere omaggio al lavoro di un giovane regista che ha già avuto tanti premi internazionali per il suo film ‘Dascra’, primo thriller della storia del cinema tunisino e ho voluto far conoscere anche all’estero il profilo di Abdelhamid Bouchnak, la speranza della nuova generazione e del nuovo mondo che si sta creando qui dall’altra parte del Mediterraneo. Un regista che ha saputo nei suoi lavori, e in particolar modo in questo ultimo, riferirsi ai grandi del cinema, da Rossellini a Hitchcock e non solo. Alcune scene alludono anche a quadri di rinomata fama internazionale. Tutto sembra svolgersi e compiersi in questo corso e ricorso non solo vichiano ma socialmente e radicalmente legato alla filosofia di Ibn Khaldun.
Dialoghi Mediterranei, n. 44, luglio 2020
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Meriem Dhouib, nata a Tunisi, è professore associato di lingua, letteratura e civiltà italiana presso il dipartimento di lingue della Facoltà di Lettere e di Scienze Umanistiche della Manouba. Si occupa essenzialmente del periodo Quattro-Cinquecentesco, ha pubblicato nel 2009 I volgarizzamenti di Liber peregrinationis di Riccoldo da Montecroce (éditions Orient-Occident, Université de Strasbourg).
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