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Occidentalizzazione o universalità? Esplorando le radici della burocrazia

Centro accoglienza ENTRO ACCOGLIENRimini "Intrecci" (ph. Anna Maria Francioni)

Centro accoglienza a Rimini “Intrecci” (ph. Anna Maria Francioni)

di Anna Maria Francioni 

Una parete bianca, un divano allegramente macchiato. Polvere, giochi ovunque. Una fredda mattina di gennaio ci riuniamo in una sala all’interno di una delle strutture di accoglienza per migranti. La parete bianca è visibilmente sporca e lo stile di pittura utilizzato da un ospite al quale è stato chiesto di riverniciarla non rispecchia certo i canoni di imbiancatura occidentali. Non ha dato, infatti, troppa importanza al battiscopa o all’onda della pennellata. La parte bassa della parete è disegnata dai bambini, che danno spazio alla loro fantasia animando la stanza. Il divano è ricoperto e, ovviamente, è vissuto.

“Dove nasce il concetto di parete bianca e di igiene? Per quale motivo altri avrebbero dovuto insegnare agli ospiti come verniciare una parete o quanto spolverare?”. Queste persone passano il proprio tempo in questo spazio limitato e precario, attendendo un destino incerto, reduci da un viaggio estenuante; spesso quelli che soggiornano in questa struttura sono arrivati anche da mesi, ma le loro giornate si susseguono tra file infinite in questura e nei diversi uffici, che non fanno che arricchire la loro quotidianità di attesa e incertezza. Incertezza che forse noi non possiamo nemmeno comprendere, data l’ampiezza che riveste questo concetto che caratterizza tutta la permanenza dei cittadini stranieri. Questo mio spunto di analisi sembra allontanarsi dal concetto di burocrazia, ma non è così, perché la burocrazia arriva ovunque persino ad influenzare la scelta di una vernice o i canoni di igiene personale. Questo è comprovato anche dai kit di igiene consegnati a tutti gli utenti all’arrivo, perché anche il bagnoschiuma utilizzabile è inserito in griglie precompilate ed informatizzate e deve rispettare determinati standard.

Il concetto occidentale d’igiene e di modello di spazio, inteso nel senso più ampio del termine, è prepotente come tutte le stimmate occidentali, che si impongono da secoli viaggiando per il pianeta. Di Neocolonialismo si parla ogni volta che ci si riferisce alle nuove forme di subordinazione del sud del mondo al modello occidentale. L’idea di progresso che ha caratterizzato e giustificato le atrocità del colonialismo filtra ancora oggi, in forma silente, in ogni ambiente, arrivando ad indagare anche quello più intimo e ponendo tutto sotto le lenti del giudizio, operato secondo il canone occidentale.

Già in passato, nel nome dello sviluppo e dell’apparente aiuto portato dai colonizzatori sotto forma di progresso, sono state distrutte la cultura, l’identità e la religione di intere popolazioni. Ancora oggi si rischia che lo “sviluppo” forzato portato dal Neocolonialismo, che si dirama in un’infinità di forme, più discrete o maggiormente invasive, trovi spazio anche nelle vite dei migranti, che viaggiano in cerca di ciò che da sempre attira l’animo umano: libertà, dignità, una vita più giusta [1]. Insegnare quale sia il modo di vivere lo spazio, così come imporre di sottoporsi al rilevamento delle impronte digitali senza prima spiegarne il motivo, l’obbligo di raccontare una vita non di rado costellata di atrocità ad addetti il più delle volte impreparati non solo a capire, ma soprattutto ad interpretare e ad accettare le verità del racconto, sono forme alterate, ma molto allineate, della prepotenza dello sviluppo occidentale. L’arrivo di migranti, in fila, che attendono all’Hub regionale di essere smistati, come prigionieri, nei diversi centri, senza che venga prestata attenzione ai gradi di parentela reciproca li fa sembrare merce umana mossa sul rullo di una macchina. In questo modo essi rappresentano, con i loro corpi e la loro identità inascoltata, la società capitalistica, dove tutto è merce, in primis il corpo.

71gk3vzgksl-_sl1500_L’antropologo australiano Michael Taussing, analizzando il marxismo attraverso il saggio La reificazione e la coscienza di classe del proletariato, contenuto in una raccolta di relazioni pubblicata da Gyogy Lukács nel 1923 con il nome di Storia e coscienza di classe, indaga come il corpo, i suoi sintomi e persino la malattia, intesa anche come esperienza totale, facciano parte della struttura della nostra società, sottolineandone la perdita della loro soggettività. In questo modo, il concetto di incorporazione ben ci spiega che siamo corpi che assorbono il mondo e attraverso il corpo, a nostra volta, formiamo il mondo [2]. Quanto appreso tramite la mimesi, tramite quello che abbiamo visto fare, è ciò che siamo. Ma è possibile che i concetti occidentali di igiene, di cura degli spazi, di odori, ancora siano da ritenere i più corretti? Molti addetti che operano nel campo del sociale, e questo è ancora più tremendo, probabilmente perché scevri di preparazione antropologica, ancora ricoprono il ruolo della mamma che educa o dell’insegnante che dirige e vogliono cambiare prepotentemente ciò che non ritengono conforme al modello conosciuto e adottato, deridendo, così, usi e costumi che definiscono il modo di vivere di altri. 

«L’essenza della struttura di merce [….] – afferma Lukács – consiste nel fatto che un rapporto, una relazione tra persone riceve il carattere della cosalità (Dinghaftigkeit) e quindi un’oggettualità spettrale (gespenstige Gegenstaendlichkeit), che occulta nella sua legalità autonoma (Eigengesetzlichkeit), rigorosa, apparentemente conclusa e razionale, ogni traccia della propria essenza fondamentale: il rapporto tra uomini» [3]. 

L’interconnessione globale promossa dal libero scambio è intrecciata alle strutture burocratiche che lo regolano. Esplorare le origini di questo sistema richiede un’analisi antropologica e sociologica che metta in luce sia gli elementi di occidentalizzazione che di universalità. Inoltre, è cruciale esaminare come questo sistema sociale affronti le sfide attuali legate all’accoglienza dei migranti. Max Weber per primo, con la sua teoria della razionalizzazione e della burocrazia, fornisce un punto di partenza fondamentale. Egli traccia l’evoluzione delle strutture burocratiche nelle società occidentali, evidenziando come tali modelli siano stati esportati e adattati in contesti globali [4]. Tale modello teorico si affianca alla teoria della dominazione e della gerarchia, influenzata da studiosi come Friedrich Nietzsche, secondo la quale le istituzioni possono cercare di mantenere le disuguaglianze sociali e di potere per proteggere gli interessi delle élite dominanti. Tali élite, definibili anche come interi Paesi, se il modello viene ripensato su scala globale, possono beneficiare delle disuguaglianze attraverso l’accesso privilegiato a risorse e opportunità. Le istituzioni possono quindi svolgere un ruolo nel mantenere queste disuguaglianze per preservare il proprio status e il potere di cui godono.

La teoria della dominazione e della gerarchia spiega così che le élite dominanti detentrici del potere economico, politico o culturale, lavorano attraverso le istituzioni per perpetuare la loro supremazia e ciò può coinvolgere la manipolazione delle strutture sociali, politiche ed economiche, plasmate per proteggere i propri interessi. Si mette così in atto l’influenza sul modello legislativo, sulle norme culturali e sulla distribuzione delle risorse per garantire una gerarchia sociale che favorisca le élite. Questa teoria, sviluppata da Max Weber, si riconnette strettamente con la teoria della razionalizzazione, poiché essa sostiene che le istituzioni possano cercare proprio di razionalizzare le disuguaglianze che esse stesse vanno creando e alimentando, giustificandole attraverso ideologie e discorsi legittimanti.

Le istituzioni tendono così a creare norme, regole e procedure che sembrano oggettive e neutrali, ma che in realtà favoriscono determinati gruppi e perpetuano le disuguaglianze esistenti. Questo processo di razionalizzazione può contribuire alla stabilità e al mantenimento dell’ordine sociale esistente. A tali riflessioni Weber ha contribuito, infine, con il concetto di autorità legittima, cui si lega lo studio delle tre tipologie di dominio legittimo individuate: tradizionale, carismatico e legale-razionale [5]. Anche da un punto di vista storico-politico emerge come le pratiche burocratiche abbiano avuto radici profonde nella storia europea, influenzando la forma attuale delle istituzioni globali. Già l’avvento del libero scambio, infatti, ha segnato una svolta significativa nella storia economica mondiale, portando con sé profonde implicazioni globali. Analizzando il primo sistema amministrativo burocratico connesso al libero scambio, è possibile comprendere meglio come questo paradigma abbia plasmato il mondo contemporaneo. Questo sistema si basa su principi di apertura dei mercati, eliminazione delle barriere commerciali e libera circolazione di beni e servizi.

Porto di Rimini (ph. Anna Maria Francioni)

Porto di Rimini (ph. Anna Maria Francioni)

Il concetto di disuguaglianza tra Paesi come fenomeno naturale può essere ricondotto alle élite dominanti che hanno modellato una versione della storia internazionale dei secoli precedenti. Nel 1500, infatti, la disparità di sviluppo socio-economico e culturale tra l’Europa e il resto del mondo era pressoché inesistente. Anzi, vi erano alcuni aspetti che evidenziavano addirittura una condizione di vita migliore, ad esempio, nelle popolazioni latinoamericane, indiane e asiatiche rispetto a quelle degli europei. Tali popolazioni presentavano aspettative di vita più elevate, anche grazie a standard nutrizionali superiori, città più grandi dotate di servizi igienico-sanitari avanzati e tecnologie di trasporto più sviluppate. Affermazione avvalorata se si considera che nel 1500 l’Europa rappresentava solo il 15% del Pil mondiale, sottolineando l’assenza di una disuguaglianza strutturale preesistente.

Il divario economico tra l’Europa e il resto del mondo non può essere attribuito a un presunto sviluppo intrinseco occidentale, ma è stato creato intenzionalmente dai Paesi occidentali, in particolare attraverso le relazioni da essi strutturate con quelle aree continentali definite come la periferia del mondo: America Latina, Africa e Asia. La Gran Bretagna, madre dell’industrializzazione, ha avuto un ruolo chiave in questo processo, modellando il suo impero coloniale attraverso legami caratterizzati da violenza e coercizione. Il processo di enclosure coloniale, fondamentale per alcune potenze, ha attivamente sottosviluppato altre regioni del mondo. Questo si è manifestato attraverso l’esportazione forzata di cereali e prodotti agricoli, che hanno concorso alla creazione di un mercato di consumatori di massa. Il ruolo dell’Europa nel sottosviluppo delle colonie diviene così fondamentale perché, se gli inglesi hanno potuto giustificare gli espropri di massa, camuffando il processo di enclosures come necessario miglioramento della produttività, ciò può essere attribuito, in parte, anche alla dislettura dei dettami e dei principi Positivisti. Infatti, è a pensatori come John Locke e alle sue opere, come il Secondo trattato sul governo che si deve la diffusione di ideali che nobilitano teoricamente un processo ingiusto e brutale, fornendo una base ideologica che ha contribuito a giustificare le pratiche come le espropriazioni di massa attraverso un’apparente legittimità filosofica. Locke sottolineava, infatti, il concetto di proprietà privata basato sul lavoro, affermando che, quando gli individui mescolano il proprio lavoro con la terra, acquisiscono il diritto di proprietà su di essa.

Questo concetto di mescolare il lavoro con la terra potrebbe essere stato interpretato nel contesto delle enclosures come una giustificazione per l’espropriazione di terre comuni, sostenendo che chi le aveva rese più produttive attraverso il lavoro avesse il diritto di possederle. Allo stesso modo, secondo Locke, il lavoro è finalizzato a migliorare la vita umana. Tale relazione con la proprietà può essere stata utilizzata per giustificare gli sforzi di migliorare la produttività attraverso l’enclosure, con una teoria che tale misura avrebbe portato a una maggiore prosperità. Infine, Locke discuteva il concetto di diritto naturale e sosteneva che la legittimità del governo deriva dal consenso degli individui. Questo principio potrebbe essere stato interpretato per giustificare il governo e le politiche che supportavano le enclosures, con il principio che queste misure erano conformi al diritto naturale e al consenso implicito [6].

Il libero scambio ha generato, nei secoli, conseguenze sociali e ambientali, contribuendo a causare disuguaglianze crescenti e sfruttamento selvaggio delle risorse naturali. La mercificazione delle risorse può portare a sfruttamento e degrado ambientale, con conseguenze gravi per le comunità locali e lo stato di salute della biodiversità. La speculazione delle risorse naturali, come la deforestazione e l’estrazione mineraria su larga scala, per esempio, possono portare al degrado ambientale e tali fenomeni sono storicamente collegati allo sviluppo economico innescatosi a partire dalla prima Rivoluzione Industriale. Questo processo danneggia gli ecosistemi locali e riduce la disponibilità di risorse fondamentali per la sopravvivenza delle comunità, come l’acqua potabile e la fertilità del suolo.

La perdita di mezzi di sussistenza tradizionali può costringere le persone a migrare altrove, in cerca di opportunità economiche e di condizioni di vita migliori. La competizione per le risorse naturali che tali processi innescano, specialmente in regioni ricche di biodiversità o risorse energetiche, può scatenare anche conflitti tra comunità e gruppi etnici, a livello nazionale o internazionale. Guerre e conflitti che si vengono così a creare, possono portare a sfollamenti forzati e esodi causati da condizioni di instabilità e violenza diffuse. Lo sfruttamento eccessivo delle risorse è un fenomeno che, a sua volta, può contribuire ad incrementare i livelli dei cambiamenti climatici e aumentare la frequenza di eventi estremi, come alluvioni, siccità e uragani. Questi fenomeni climatici possono distruggere le infrastrutture, causare la perdita di raccolti e ridurre la capacità delle comunità di sostenersi.

Costa d'Avorio, Casa  espressione metaforica dell'organizzazione culturale (ph. Anna Maria Francioni)

Costa d’Avorio, Casa espressione metaforica dell’organizzazione culturale (ph. Anna Maria Francioni)

I Paesi che basano la propria economia principalmente sull’estrazione e sulla vendita di risorse naturali possono, in aggiunta, essere vulnerabili alle fluttuazioni dei prezzi dettate alle condizioni del mercato globale. La dipendenza eccessiva da settori legati alle risorse può portare, così, a cicli di povertà, con conseguente migrazione di persone alla ricerca di opportunità economiche più stabili altrove. Questi processi sono spesso interconnessi e richiedono una comprensione approfondita delle dinamiche economiche, sociali e ambientali per affrontarli in modo efficace [7].

9780127859217-itLe implicazioni economiche globali fino ad ora presentate aprono a riflessioni sulle teorie del sistema-mondo di Immanuel Wallerstein, sociologo e teorico sociale, sulla Modern World Systema. Nel suo lavoro, Wallerstein ha analizzato la storia economica e politica globale dal XVI secolo in poi, focalizzandosi sulla formazione e l’evoluzione di ciò che chiama il sistema-mondo capitalistico. La visione di Wallerstein si basa su tre componenti chiave: core (nucleo), semiperiferia e periferia. Il nucleo rappresenta le regioni economicamente avanzate e industrializzate, mentre la semiperiferia è composta da Paesi che occupano una posizione intermedia tra il nucleo e la periferia. La periferia comprende Paesi meno sviluppati e sfruttati economicamente. Wallerstein sostiene che il capitalismo è un sistema globale in cui la ricchezza e lo sviluppo sono il risultato dell’exploit delle regioni periferiche da parte del nucleo. Questo sistema-mondo capitalistico è caratterizzato da una logica economica che impone disuguaglianze strutturali, dove i Paesi nel nucleo traggono beneficio dalle risorse e dal lavoro della periferia. Tale visione critica del capitalismo è in sintonia con le teorie della dipendenza e dell’imperialismo economico, evidenziando come le dinamiche economiche e politiche siano connesse su scala mondiale, influenzando la distribuzione del potere e delle risorse [8].

61l0fhpvm5l-_ac_uf10001000_ql80_Il libero scambio ha consolidato la divisione internazionale del lavoro, creando centri di potere economico e periferie sfruttate. In tal senso, anche le teorie antropologiche di Claude Lévi-Strauss possono essere utilizzate per esaminare come le dinamiche culturali si intrecciano con queste strutture economiche globali. In Histoire du Lynx Claude Lévi-Strauss parla di una cultura intesa come prestito o come predazione, nei confronti dell’apertura all’altro. Tale teoria è ripresa anche nell’opera Tristi tropici, nella quale l’antropologo francese afferma che ci sarebbero due tipi di società. La prima è definita dei cannibali, ossia quelli che vedono nell’assorbimento di alcuni individui delle altre società l’unico modo per neutralizzarli o per trarre profitto da essi. Questa strategia è finalizzata all’annullamento delle caratteristiche identitarie dello straniero, che arriva così a perdere le proprie peculiarità linguistiche e culturali. L’apice di tale processo sociale si raggiunge quando vengono proibite le tradizioni diverse da quelle del Paese ospitante in un modello definibile come l’egualitarismo coercitivo, contrapposto al diritto alla differenza dei popoli, che si preserva riconoscendo ad ognuno di essi uno specifico valore. Il secondo gruppo è, invece, quello di coloro i quali praticano l’antropoemia e scelgono, così, la soluzione opposta, ossia quella di espellere gli “altri” dal corpo sociale, isolandoli temporaneamente o permanentemente [9].

Zygmunt Bauman, sociologo britannico del ventesimo secolo, definisce la figura dello straniero all’interno del sistema sociale dello Stato moderno, che lui descrive come caratterizzato dalla lotta tra mobilità e immobilizzazione. L’autore definisce la figura dello straniero come l’elemento che mina la costruzione dell’ordine sociale e che, provocando nella popolazione sentimenti di incertezza e di ambiguità, viene utilizzato per definire la strategia del dominio.

Questo significa che l’ordine sociale relega lo straniero in una posizione sospesa, definendolo come un soggetto non incluso nelle mappe cognitive, morali ed estetiche del modello sociale all’interno del quale si è inserito. Per rendere tale condizione definitiva, il processo di esclusione si completa con la promulgazione di divieti di interazione sociale, così che le occasioni di condivisione siano talmente rare da diffondere implicitamente l’idea che la presenza degli stranieri sia temporanea e la convivenza a lungo termine solo una possibilità remota. Questa costruzione di contrapposizione identitaria tra noi e loro permette di sfruttare lo straniero come strumento per definire il processo di costruzione dell’identità sociale. In questo caso specifico, nel rifiuto dell’Altro si definiscono le caratteristiche del [10].

Alla luce di queste considerazioni, è possibile riflettere criticamente sulle risposte burocratiche alle migrazioni contemporanee incorporando il modello sociale attuale nella teoria di Bauman sulla modernità liquida, che offre un interessante quadro di analisi per comprendere le sfide e le tensioni connesse al problema dei migranti nel contesto contemporaneo. Questo perché Bauman riprende alcuni concetti chiave sulla fluidità delle istituzioni e delle relazioni sociali, che possono essere applicati per illuminare le dinamiche complesse caratterizzanti il fenomeno migratorio nella società odierna. Bauman ha coniato il termine modernità liquida per descrivere quel particolare momento storico contemporaneo, nel quale le istituzioni e le relazioni sociali diventano sempre più instabili, fugaci e difficili da prevedere. Questa fluidità caratterizza anche il fenomeno delle migrazioni, poiché individui e comunità sono spinti a muoversi da circostanze geopolitiche, economiche e ambientali mutevoli.

La modernità liquida pone i migranti in una condizione di costante precarietà, dovuta anche al processo di globalizzazione, che ha contribuito alla creazione di borderland fluidi, in cui le frontiere nazionali diventano sempre più permeabili e complesse. In questo nuovo modello sociale, la connettività globale aumenta, tanto che le barriere materiali possono sembrare più deboli, ma al contempo emergono nuove forme di restrizione e controllo che si scontra con la precarietà strutturale che si riflette nella vita quotidiana dei migranti. La mancanza di stabilità istituzionale, che spesso si registra nei Paesi di provenienza, rende difficile la creazione di legami duraturi e l’integrazione nelle nuove società. Infatti, la fluidità dei confini e il rischio della conseguente fluidità delle identità, accentua il senso di vulnerabilità, come la mancanza di strutture stabili e la fluidità delle relazioni sociali nel contesto contemporaneo [11].

 Oltre il concetto occidentale di parete bianca (ph. Anna Maria Francioni)

Centro Accoglienza, Rimini: Oltre il concetto occidentale di parete bianca (ph. Anna Maria Francioni)

Secondo l’antropologo Arjun Appadurai, le comunità locali sperimentano cambiamenti nei loro modi di vita, per esempio a causa dell’urbanizzazione accelerata o delle crisi sociali e politiche che innescano i grandi processi di migrazione. Arjun Appadurai con il concetto di dislocazione culturale vuole indicare proprio quella prospettiva critica che si applica all’analisi dell’impatto del libero scambio sulle identità culturali. L’accelerazione dei flussi globali può infatti portare a una frammentazione delle tradizioni locali, generando nuove dinamiche culturali e identitarie. Questo perché la diffusione del modello del libero scambio ha ridefinito le dinamiche economiche e culturali a livello globale, con conseguenze sulla formazione delle identità culturali.

L’analisi di Appadurai definisce il concetto di ethnoscapes, che si riferisce ai flussi globali di persone che si spostano attraverso le frontiere. Tale crescente mobilità ha portato alla mescolanza e all’interazione tra culture diverse, ma ha anche generato sentimenti di disorientamento e perdita d’identità, che fanno emergere il problema della dislocazione culturale, influenzata da forze economiche globali. Uno degli aspetti centrali della dislocazione culturale è proprio la sfida alla stabilità e all’ancoraggio delle identità culturali, poiché le comunità si trovano ad affrontare la minaccia della standardizzazione culturale, con i prodotti globali che spesso soppiantano le pratiche e i manufatti tradizionali.

Habitus (ph. Anna Maria Francioni)

Centro Accoglienza di Rimini: Habitus (ph. Anna Maria Francioni)

Inoltre, Appadurai evidenzia come le nuove tecnologie della comunicazione amplifichino la dislocazione culturale. Internet e i mass media consentono una connettività senza precedenti, ma allo stesso tempo contribuiscono alla diffusione omogeneizzante di modelli culturali dominanti, alimentando il senso di alienazione in molte società. Quindi, la dislocazione culturale non è semplicemente una perdita di radici, ma anche una riconfigurazione delle identità in risposta ai nuovi contesti globali. Appadurai sottolinea, in questo modo, la capacità di adattamento delle identità culturali che, in risposta alle sfide della dislocazione, portano alla creazione di nuove forme di espressione culturale, ibridazione e resistenza [12].

Nel 1995, con la creazione dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), si è cercato di stabilire alcune regole globali per il libero scambio. Tuttavia, questo sistema commerciale internazionale regolato, secondo alcuni teorici della globalizzazione come Joseph Stiglitz, riflette gli interessi delle nazioni più potenti. L’OMC è stata fondata, infatti, con l’intento di facilitare il commercio globale attraverso la creazione di regole chiare e di un meccanismo di risoluzione delle dispute. Tuttavia, secondo Stiglitz, ex economista capo della Banca Mondiale, l’organizzazione spesso favorisce le nazioni più potenti a scapito dei Paesi in via di sviluppo. L’antropologo Clifford Geertz introduce, nel suo saggio del 1973 intitolato The Interpretation of Cultures, il concetto di descrizione densa, con il quale considera la burocrazia come un fenomeno culturale radicato, ad esempio, nella cultura occidentale, ma che si trasformano e si adatta quando entra in contatto con diverse società. Infatti, da un’analisi storica, emerge la tensione tra occidentalizzazione e adattamento locale, e tale punto di vista apre ad una prospettiva che invita a considerare la burocrazia non solo come un sistema amministrativo, ma come un fenomeno culturale intricato. La descrizione densa implica un’analisi approfondita dei significati culturali sottostanti alle pratiche sociali e istituzionali, andando oltre la superficie delle strutture burocratiche per esaminare le interpretazioni locali dei processi. Infatti, secondo Geertz, per comprendere appieno la burocrazia è necessario comprendere appieno quali sono i contesti culturali e sociali in cui essa si sviluppa. Da tale analisi emerge, in primo luogo, la tensione tra occidentalizzazione e adattamento locale che emerge quando le società affrontano sistemi burocratici importati in conflitto con valori locali. Esplorare i significati simbolici, le rappresentazioni culturali e le pratiche quotidiane rivela una comprensione più profonda delle dinamiche di potere, poiché le istituzioni burocratiche possono essere strumenti di dominio o resistenza, con cui le comunità locali affrontano la sfida di mantenere la propria identità culturale mentre rispondono alle pressioni dell’occidentalizzazione burocratica.

Esseri e sogni (ph. Anna Maria Francioni)

Esseri umani e sogni (ph. Anna Maria Francioni)

L’antropologia interpretativa di Geertz si distingue, così, da altri approcci nel campo e sottolinea l’importanza di considerare la burocrazia non solo come un sistema amministrativo, ma come parte intrinseca della cultura e della storia delle società. All’interno di tali modelli, rituali, gesti o simboli sono manifestazioni esteriori di azioni e espressioni culturali che vanno considerate come traccia delle connessioni simboliche e delle interpretazioni locali, utili a cogliere l’insieme di significati culturali condivisi dagli individui. Questo richiede uno sforzo interpretativo che va oltre l’osservazione diretta degli eventi, incorporando la comprensione dei significati culturali impliciti [13].  Anche le istituzioni culturali come l’istruzione o i media possono essere coinvolte nel mantenimento di disuguaglianze attraverso processi di legittimazione e riproduzione sociale, così come la dimensione burocratica, se va a costituire una sfera d’azione chiusa e autoreferenziale [14]

Dialoghi Mediterranei, n. 69, settembre 2024 
Note
[1] Duffield, M., (2013), Guerre postmoderne. L’aiuto umanitario come tecnica politica di controllo, Firenze, Il Ponte Editore: 167-18
[2] Quaranta I., (2006), Antropologia Medica. I testi Fondamentali, Milano, Raffaello Cortina Editore
[3]  Lukács, G., tr. it. (1967), Storia e coscienza di classe, Milano, Sugar: 108
[4] Segre, S. (1982), Analisi struttural-funzionale della burocrazia e concezione dello stato nelle teorie politiche di Gaetano Mosca e Max Weber, Giornale Degli Economisti e Annali Di Economia, 41(1/2): 117–121.
[5] Giosi, A., (2008), Teoria classica della burocrazia e processi di modernizzazione della Pubblica Amministrazione, Roma, Aracne: 38-45
[6] Hickel, J., (2018), The divide. Guida per risolvere la disuguaglianza globale, Milano, Il Saggiatore
[7] Shiva, V., (2005), Earth Democracy: Justice, Sustainability, And Peace, Boston: South End Press
[8] Wallerstein, I., (1998), Utopistics: Or, Historical Choices of the Twenty-first Century, Lomazzo, The New Press
[9] Eriksen, T., H., (2017), Fuori controllo. Un’antropologia del cambiamento accelerato, Torino, Einaudi
[10] Bauman, Z. (1999), La società dell’incertezza, Bologna, Il Mulino
[11] Bauman, Z., (2001), Modernità liquida, Roma, Laterza
[12] Appadurai, A. (1990) Disjuncture and difference in the global cultural economy, Public Culture 2 (2): 1–24
[13] Geertz, C., (1973), The Interpretations of Cultures, New York, Basic Books Inc., trad. it. (1987), Interpretazione di Culture, Bologna, il Mulino: 17-123
[14] Bourdieu, P., (2001) La distinzione. Critica sociale del gusto, Bologna, Il Mulino: 16-127
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Anna Maria Francioni, laureata in Antropologia culturale ed etnologia all’Università di Bologna con il massimo dei voti, il principale tema di ricerca è la burocrazia rivolta ai migranti. Si occupa di progetti all’interno di CAS e cooperative di accoglienza. Ha pubblicato un libro a novembre 2023 con la casa editrice Dialoghi dal titolo: Le parole degli altri per un approccio etnopragmatico alla relatività linguistica.

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