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Olimpiadi e antropologia: il doppio volto dei Giochi di St. Louis 1904, tra scienza, sport e pregiudizio

Locandina

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di Giovanni Gugg 

All’inizio del Novecento, esattamente 120 anni fa, si svolse la terza Olimpiade dell’era moderna a St. Louis, negli Stati Uniti, dal 1° luglio al 23 novembre 1904. Inizialmente, i giochi erano stati assegnati a Chicago, ma ritardi organizzativi e la concomitante Louisiana Purschase Exposition, ossia l’Esposizione universale a St. Louis, portarono allo spostamento della sede. Questa scelta si rivelò sfortunata, con una scarsa partecipazione di atleti e nazioni (solo 651 atleti da 12 nazioni) e la competizione sportiva oscurata dalla Fiera. Tuttavia, queste Olimpiadi introdussero innovazioni significative come la consegna di medaglie d’oro, d’argento e di bronzo ai primi tre classificati e la disputa della prima maratona con un percorso standardizzato.

Le Olimpiadi del 1904 furono segnate da un evento non sportivo incluso nel programma ufficiale: gli “Anthropology Days”. Questi giorni, organizzati da William J. McGee e James Sullivan, figure di spicco rispettivamente dell’Antropologia culturale e fisica, rappresentarono un tentativo fallimentare di unire le due discipline. Tenutesi il 12 e 13 agosto 1904, le “Giornate Antropologiche” furono caratterizzate da esposizioni razziste che sfruttavano atleti provenienti da culture considerate “esotiche” per misurare le loro abilità fisiche rispetto a quelle degli “uomini civilizzati”. Crow, Sioux, Pawnee, Navajo, Chippewa e “altri popoli degli Stati Uniti”, Ainu del Giappone, Cocopa “della Bassa California in Messico”, Siriani di Beirut, “Patagoni del Sud America”, “Zulù e Pigmei d’Africa” e, dalle Filippine, Moros, Negritos e Igorot, divisi in otto diversi “gruppi culturali” furono trattati come “specimen antropologici” piuttosto che come veri atleti olimpici [1]. Tra le personalità che gli antropologi avevano convinto a comparire durante l’esposizione ci fu addirittura il leggendario capotribù degli Apache, Geronimo.

Per l’occasione, vennero ideate gare, dette anche “Giochi Tribali” o “Wild Olympics”, come la lotta nel fango e il lancio della palla contro un palo del telegrafo, che non avevano alcun valore sportivo e servivano solo a sottolineare le presunte differenze tra bianchi e non bianchi.

1904

1904

La Louisiana Purchase Exposition

L’Esposizione universale di St. Louis, Missouri, si tenne dal 30 aprile al 1º dicembre 1904. Fu finanziata con fondi locali, statali e federali per un totale di 15 milioni di dollari (equivalenti a circa 510 milioni di dollari attuali) e oltre 60 Paesi e 43 dei 45 Stati americani dell’epoca vi allestirono degli spazi espositivi, mentre i visitatori furono quasi 19,7 milioni.

Le persone parteciparono con entusiasmo, perché la “fiera” promosse principalmente intrattenimento, beni di consumo e cultura popolare: meraviglie ingegneristiche come il telefono senza fili di Alexander Graham Bell, precursore della radio e del telefono moderno, progressi tecnologici rivoluzionari come il tram elettrico, le automobili (a benzina, a vapore e persino elettriche) e i primi dirigibili a motore, che segnarono l’inizio dell’era dell’aviazione; pietre miliari della medicina come la prima incubatrice per neonati prematuri e la macchina a raggi X, entrambe fondamentali per la medicina contemporanea. Inoltre, non vanno dimenticate le numerose esperienze musicali, culturali e culinarie [2], che permisero uno sguardo su un mondo sempre più interconnesso. Un forte impatto arrivò anche dall’architettura degli stand, di tipo “monumentale greco-romana”, che si ripercosse nell’edificazione dei nuovi edifici permanenti e nei piani urbanistici delle grandi città del tempo. Gli storici, tuttavia, generalmente enfatizzano un altro aspetto, ossia l’importanza che quel grandioso evento ebbe per i temi della razza e dell’imperialismo: le rappresentazioni di persone provenienti da colonie e territori americani spesso cadevano in rappresentazioni stereotipate e umilianti, con la conseguenza di rafforzare le nozioni di gerarchia razziale e il ruolo crescente dell’America come potenza imperiale (Kennedy 1998).

La “Fiera Mondiale” di St. Louis di quell’anno nacque dalla necessità di celebrare il centenario dell’Acquisto della Louisiana nel 1803 dalla Francia: per 23.213.568 dollari (equivalenti a circa 337 milioni di dollari americani del 2021), gli Stati Uniti acquisirono i 2.140.000 km² di territorio allora conosciuto con il nome di “Louisiana francese”, che così raddoppiarono la propria superficie ed estesero il loro dominio sull’intero bacino del Mississippi-Missouri, raggiungendo il confine delle Montagne Rocciose. Quell’area oggi corrisponde all’Arkansas, Missouri, Iowa, Oklahoma, Kansas, Nebraska, parte del Minnesota, la maggior parte del Dakota del Nord, il Dakota del Sud, la parte nord-est del Nuovo Messico, l’estremità nord del Texas, parte del Montana, il Wyoming, la zona ad est del Colorado e parte della Louisiana, incluso la città di New Orleans. La zona all’estremo nord occupava anche parte delle attuali province canadesi di Alberta e Saskatchewan [3].

1904_barbarians-meet-athletic-games_st-louis-dispach_anthropological-daysL’idea di un evento commemorativo pare che fosse emersa all’inizio del 1898, con Kansas City e St. Louis inizialmente presentate come potenziali sedi, data la loro posizione centrale nel territorio dell’annessione del 1803. Dopo poco più di un anno, nell’aprile del 1899, furono stanziati 5 milioni di dollari da parte della città di St. Louis, tramite la vendita di obbligazioni cittadine, autorizzata dalla legislatura statale del Missouri, e per il gennaio 1901 furono raccolti altri 5 milioni attraverso donazioni private da cittadini e aziende interessate del Missouri. La rata finale di ulteriori 5 milioni di dollari del capitale dell’Esposizione provenne da fondi previsti da una legge di stanziamenti del Congresso approvata alla fine di maggio 1900.

L’Esposizione fu grandiosa e si estese su 1.200 acri (4,9 km²), progettati da George Kessler, un pioniere americano dell’urbanistica e dell’architettura paesaggistica: furono costruiti oltre 1.500 edifici, collegati da circa 75 miglia (121 km) di strade e passerelle all’interno di quella che oggi è l’area di Forest Park e del campus della Washington University. Al tempo fu la più grande fiera (per area) mai realizzata, al punto che si disse che fosse impossibile dare anche solo una rapida occhiata a tutto in meno di una settimana (Tremeear 2011).

Oltre che dalle nazioni, le Esposizioni furono allestite anche da industrie, città, organizzazioni private e corporazioni, troupe teatrali e scuole di musica. C’erano anche oltre 50 attrazioni di tipo didattico, come installazioni educative e scientifiche, mostre e viaggi immaginari in terre lontane, storia e promozione locale, e puro intrattenimento. Per tutto questo – e nonostante le controversie – la Louisiana Purchase Exposition rimane un evento fondamentale, perché fu un’occasione per mostrare al mondo le invenzioni che avrebbero rivoluzionato la vita quotidiana e gettato le basi per la tecnologia di oggi, nonché per offrire una lente sfaccettata attraverso la quale esaminare la società americana in un momento cruciale della storia globale: da un lato celebrava il progresso e l’innovazione, dall’altro esaltava le correnti di pensiero (sociali, politiche e scientifiche) prevalenti dell’epoca.

11Le Olimpiadi di St. Louis

Dopo Atene 1896 e Parigi 1900, le Olimpiadi estive del 1904 si tennero per la prima volta al di fuori dell’Europa: a St. Louis dal 29 agosto al 3 settembre, ma dopo una serie di dispute con Chicago e, comunque, all’interno di un programma sportivo più esteso, che durò dal 1º luglio al 23 novembre di quell’anno.

La candidatura per quell’edizione fu vinta da Chicago, in Illinois, ma gli organizzatori della Louisiana Purchase Exposition a St. Louis si impegnarono nel boicottarla, perché non accettavano un altro evento internazionale nello stesso periodo. Per tale ragione, i promotori dell’Esposizione iniziarono a pianificare le proprie attività sportive, informando il Comitato Organizzatore di Chicago che i propri eventi sportivi internazionali avrebbero eclissato i Giochi Olimpici, a meno che non fossero stati spostati a St. Louis. A quel punto intervenne Pierre de Coubertin, fondatore del movimento olimpico moderno, che assegnò i Giochi a St. Louis.

A causa delle tensioni provocate dalla guerra russo-giapponese (dall’8 febbraio 1904 al 5 settembre 1905) e delle difficoltà nel viaggiare fino a St. Louis, pochissimi atleti di alto livello provenienti da fuori degli Stati Uniti e del Canada parteciparono ai Giochi della III Olimpiade moderna. I numeri sono incerti, ma solo tra 69 e 74 dei 651 atleti che gareggiarono provenivano da fuori del Nord America, e solo tra 12 e 15 nazioni furono rappresentate in totale.

Tra gli sport che debuttarono a St. Louis ci furono la boxe, il sollevamento pesi, la lotta libera e il decathlon; le gare di nuoto, invece, si disputarono in un’atmosfera ibrida di marketing e promozione di efficienza, perché erano presenti anche dimostrazioni di “salvataggio” ed esibizioni di scialuppe inaffondabili per navi oceaniche. Nel complesso, il programma di quelle Olimpiadi includeva 16 sport, comprendenti 95 eventi in 18 discipline (nel senso che nuoto, tuffi e pallanuoto erano considerate tre discipline dello stesso sport: acquatici). Ci furono anche le presentazioni di alcuni sport “non ufficiali”, come la pallacanestro, l’hurling, il football americano e il calcio gaelico, ma ci fu anche un incontro dimostrativo di boxe femminile e alcune partite di baseball (Lucas 1905).

La gara più epica e drammatica fu la maratona, una competizione caotica e piena di polemiche, stando alla descrizione di Charles J.P. Lucas (1905). La gara fu disputata su un percorso dissestato, con vari dislivelli e terreno irregolare, ma soprattutto con un caldo torrido e una gran quantità di polvere sollevata dalle automobili al seguito dei corridori, che dunque ebbero molti problemi respiratori:

«Accompanying the runners were a number of automobiles, which raised a great quantity of dust, obscuring the runners many times, and choking the men until they were forced off the road, or causing them to choke and cough until they cleared their throats» (Lucas 1905: 49-50) [4].

Non sorprende che molti atleti abbiano ceduto a crampi, vomito e pura stanchezza. Ma forse l’episodio più surreale è quello compiuto dal maratoneta Fred Lorz, del Mohawk Athletic Club di New York, che, dopo essersi ritirato, salì in macchina e poi rientrò in gara fingendo di correre ancora, arrivando addirittura a tagliare per primo il traguardo. Gli ispettori di gara, tuttavia, lo smascherarono e squalificarono.

Parallelamente, emerse un eroe improbabile: la gara fu ufficialmente vinta da Thomas Hicks, un corridore di origine britannica che rappresentava gli Stati Uniti, eppure neanche la sua prova fu cristallina, dal momento che, trovandosi in difficoltà per tutta la corsa, ricevette più volte cure mediche e stimolanti per proseguire (una combinazione di stricnina e brandy, piuttosto comune all’epoca), al contrario di atleti più forti come il terzo e il quarto classificati: A. L. Newton (di New York) e Felix Carvajal (di Cuba), ai quali tuttavia mancò il supporto adeguato durante l’estenuante competizione.

In questa gara ci fu, per la prima volta, una vera partecipazione internazionale, grazie a due corridori sudafricani della tribù Kaffir (Lentauw e Yamasani, rispettivamente arrivati nono e dodicesimo; e il primo fu addirittura inseguito da cani randagi), che sorpresero molti osservatori, nonché il minuto cubano Felix Carvajal, che impressionò con un quarto posto raggiunto nonostante vari ostacoli come gli abiti improvvisati e le brevissime pause. Dei 32 partecipanti, solo 14 terminarono la gara, il che rese evidente l’importanza della regolamentazione e della preparazione nelle competizioni sportive, ma anche la forza della determinazione della caparbietà.

1904_vignetta-razzista_st-louis-dispach_anthropological-daysLe Giornate Antropologiche

Presso le Esposizioni etnografiche del XIX e XX secolo era abituale imbattersi in “zoo umani”, delle vere e proprie mostre di esseri umani di diverse etnie, in genere ridotti in condizioni di schiavitù ed esibiti in un cosiddetto stato naturale o primitivo (Bancel, Boetsch 2004). Le prime esposizioni di questo tipo si tennero in Europa già nel XVI secolo, ma raggiunsero il loro apice tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, coincidendo con l’epoca dell’imperialismo europeo, quando le potenze del tempo conquistavano e dominavano territori stranieri e le popolazioni indigene venivano spesso catturate, portate via dalle loro terre e messe in mostra come curiosità esotiche per il pubblico occidentale. Una pratica già all’epoca raccapricciante per molti, ma che aveva come scopo primario quello di giustificare il colonialismo, mostrando le culture esotiche come inferiori e selvagge e, dunque, rafforzando l’idea della superiorità europea.

Le Esposizioni si svolgevano in vari contesti, come fiere mondiali, giardini zoologici e musei coloniali, spesso in condizioni orribili: veri e propri ostaggi, gli indigeni erano costretti a vivere in recinti o gabbie, esposti al pubblico come animali, nutriti con cibo inadeguato e affetti da malattie dovute a vari patogeni, ma anche a malnutrizione e stress. Inoltre, erano sottoposti a umiliazioni, vessazioni e spettacoli degradanti per il divertimento del pubblico.

Anche nell’ambito della Louisiana Purchase Exposition (LPE), dunque, furono previste delle esibizioni di umani “altri”, che nel caso di St. Louis fu soprattutto di filippini. Dopo la guerra ispano-americana (dal 21 aprile al 10 dicembre 1898), infatti, gli Stati Uniti ottennero il controllo su Guam, le Filippine e Porto Rico. Quest’ultimo aveva un governo quasi autonomo sotto la Spagna, mentre le Filippine, che avevano dichiarato l’indipendenza dopo la rivoluzione filippina (1896-1898), combatterono contro l’annessione degli Stati Uniti nella guerra filippino-americana (dal giugno 1899 al luglio 1902). Nel 1899, queste aree divennero territori statunitensi controversi e senza personalità giuridica, e 1.102 dei loro abitanti furono portati alla fiera del 1904 per essere esposti.

71iak90nsdl-_ac_uf350350_ql50_A St. Louis, le esposizioni comprendevano popoli considerati “primitivi” come gli Apache e gli Igorot, ma ci furono anche membri della tribù Tlingit dell’Alaska e una nota tessitrice di cesti di Pomo, Mary Benson, tutti presenti per dimostrare le loro abilità pratiche e culturali, con l’obiettivo di promuovere il nuovo ruolo dell’America come potenza imperiale. Da questo punto di vista, la rappresentazione di popoli “primitivi” rafforzava l’idea di superiorità razziale e creava un legame tra l’espansione verso ovest e il nuovo impero oltremare.

C’erano anche delle varianti, come nel caso del padiglione del Giappone, dove veniva presentata una cultura moderna ma esotica: lo stesso governo giapponese aveva allestito un giardino e una replica del Kinkakuji di Kyoto, oltre a una villa e una casa da tè di Taiwan (all’epoca Formosa), mostrando sia l’antica raffinatezza che gli sforzi coloniali moderni del Giappone.

In questo contesto, William John McGee (capo del Dipartimento di Antropologia della LPE e presidente fondatore della American Anthropological Association) e James Edward Sullivan idearono un evento che avrebbe unito, secondo gli organizzatori, antropologia e sport: fondendo gli zoo umani e le Olimpiadi, in una combinazione che all’epoca appariva logica, tra il 12 e il 13 agosto si tennero i cosiddetti “Anthropology Days”, a cui parteciparono (pagati) circa 100 uomini indigeni provenienti dal Sud-est asiatico, dalle isole del Pacifico, dall’Asia orientale, dall’Africa, dal Medio Oriente, dal Sud America e dal Nord America. Ai “Giochi” non ci furono donne, sebbene alcune, in particolare la squadra di basket delle ragazze della Fort Shaw Indian School, parteciparono ad altri eventi atletici alla LPE.

St. Louis 1994, Arciere Ainu

St. Louis 1994, Arciere Ainu

Le competizioni delle “Giornate Antropologiche” riguardarono il getto del peso, la corsa, il salto in lungo, il sollevamento pesi, l’arrampicata sul palo, la lotta nel fango e il tiro alla fune davanti a una folla di circa diecimila spettatori. Quell’evento rispecchiò le teorie razziali dell’epoca, che giustificavano lo sfruttamento coloniale e la discriminazione con la presunta superiorità dei bianchi. Gli atleti non bianchi erano visti con un atteggiamento paternalistico e dispregiativo, esposti al pubblico come, appunto, “animali in uno zoo” per il divertimento e l’istruzione dei visitatori bianchi. Troppo poveri o isolati per protestare efficacemente, subirono umiliazioni e strumentalizzazioni, perché vennero esposti a sguardi indiscreti e a commenti razzisti, contribuendo a rafforzare gli stereotipi negativi su queste culture. La loro partecipazione alle gare non solo non migliorò la loro vita, ma li confermò e stigmatizzò ulteriormente come “inferiori” agli occhi della società bianca, come i Pigmei presentati come primitivi selvaggi e gli Inuit come semplici cacciatori di foche.

Tali rappresentazioni distorte ebbero, come è noto, un impatto duraturo sulla percezione di queste culture da parte del mondo occidentale. Parallelamente, però, ci furono anche delle voci contrarie, come quella di Pierre de Coubertin, presidente del Comitato Olimpico Internazionale, che non presenziò alle Olimpiadi di Saint Louis proprio in opposizione all’organizzazione delle Giornate Antropologiche. La sua critica, tuttavia, oggi risulta altrettanto problematica, perché per de Coubertin i Giochi olimpici erano simbolo della “missione civilizzatrice dell’atletica”, “un vigoroso strumento di disciplina” dei popoli colonizzati; nella sua visione, solo gli sport occidentali erano considerabili attività civili mentre i giochi popolari e gli sport indigeni non potevano essere niente più che divertimento (Brohm 2024).

Più incisivo, invece, fu un intervento di Franz Boas, considerato il padre dell’antropologia antirazzista contemporanea, che squalificò scientificamente le tesi razziste, sostenendo che tali idee perpetravano gli “istinti di divisione tra i popoli” e il depauperamento coloniale (Brownell 2008). Grazie a quelle prese di posizione, gli eventi di St. Louis testimoniarono, dunque, anche l’inizio del passaggio nella ricerca antropologica dai modelli razziali evolutivi del diciannovesimo secolo al paradigma relativista culturale che ora è una pietra angolare della moderna antropologia socio-culturale (Delsahut 2011).

zoo-humains_2004_copertinaAntropologia e Olimpiadi, un rapporto complicato

Sebbene gli Anthropology Days non facessero ufficialmente parte del programma delle Olimpiadi, ne erano strettamente associati, tant’è vero che ancora oggi gli storici discutono su quali degli eventi LPE fossero i “veri” Giochi Olimpici e notano, inoltre, che quasi tutti i 400 eventi atletici furono definiti “olimpici”. Secondo Christine O’Bonsawin (2012), che ha studiato i modi in cui le immagini dei popoli nativi sono state utilizzate nelle cerimonie per i Giochi olimpici tenuti in Canada (Montreal, Calgary e Vancouver), l’olimpismo è una filosofia che ufficialmente parla «di equità, antidiscriminazione, riconoscimento e rispetto reciproci, tolleranza e solidarietà», ma in realtà «serve come scusa per un movimento che è profondamente politicizzato e xenofobo», perché – invitando a mettere da parte le esperienze quotidiane plasmate da fattori quali razza, genere, sessualità, religione, cultura, ideologia e classe – cancella le realtà umane dei popoli emarginati.

In varie occasioni i Giochi Olimpici hanno di fatto sostenuto (e in alcuni casi implementato) le politiche e le pratiche coloniali di alcune nazioni e città ospitanti, sia perché hanno prodotto conoscenze antropologiche e coloniali errate, sia per episodi di cancellazione, mercificazione e appropriazione di cerimonie e simbolismi indigeni, nonché per casi di furto ed esposizione inappropriata di oggetti indigeni e per una diffusa trascuratezza delle cattive condizioni sociali per i popoli nativi.

Ad esempio, le Olimpiadi estive del 1976 a Montreal hanno spettacolarizzato persone indigene nella cerimonia di chiusura senza che vi fosse stata prima una consultazione con le First Nations locali (O’Bonsawin 2012): 450 persone eseguirono una danza “tribale” messa in scena da un coreografo non indigeno, su una colonna sonora (“La Danse Sauvage”) creata da un compositore non indigeno, ma solo 200 di loro erano realmente indigeni, mentre gli altri erano interpreti che indossavano costumi realizzati per l’occasione. Similmente, anche in occasione delle Olimpiadi invernali del 1988 a Calgary, Alberta, si ripeterono casi di appropriazione culturale e di terre, al punto che vi furono delle significative proteste da parte dei popoli indigeni contro l’uso e l’appropriazione dell’immaginario indigeno, come ad esempio un enorme teepee nella cerimonia di apertura, ma soprattutto il boicottaggio indetto dalla Nazione Indiana di Lubicon Lake, una piccola comunità nel nord dell’Alberta, per protestare contro la vendita illegale delle loro terre non cedute alle compagnie petrolifere.

Nessuna Olimpiade sulle natali rubate

Nessuna Olimpiade sulle terre natali rubate, Montreal 2012

Ma gli esempi sono più numerosi e diffusi, come nel caso delle tensioni tibetane alle Olimpiadi estive del 2008 a Pechino, in Cina, quando vari gruppi pro-indipendenza tibetani (“Students for a Free Tibet”) iniziarono una campagna contro quelle Olimpiadi, opponendosi all’uso dell’antilope tibetana (chiru) come mascotte dei giochi [5]. Oppure in Russia, per le Olimpiadi invernali del 2014 a Sochi (Krasnodar Krai), quando alcune organizzazioni circasse criticarono quei Giochi sostenendo che si sarebbero tenuti su terre (in particolare la “Red Hill”) abitate dai loro antenati fino al 1864, quando la guerra russo-circassa portò alla scomparsa di 1,5 milioni di circassi [6]. O, ancora, nel caso delle Olimpiadi estive di Londra nel 2012, quando vi furono proteste da parte dell’Irlanda durante la staffetta della torcia olimpica in Irlanda del Nord [7] e provocazioni da parte dell’Argentina con un video in cui il capitano della squadra di hockey argentina, Fernando Zylberberg, si allenava a Stanley, nelle Isole Falkland (o Malvinas, in argentino), con lo slogan “Per competere sul suolo britannico, ci alleniamo sul suolo argentino” [8].

Nonostante siano unanimemente considerate il punto più basso della storia delle Olimpiadi moderne, le Giornate Antropologiche di St. Louis possono essere valutate anche come un punto di svolta sia nella storia dei Giochi, che nello sviluppo dell’antropologia contemporanea. Ricordare quell’evento del 1904 è essenziale per mantenere vivo il monito contro il razzismo e lo sfruttamento, poiché, nonostante il tempo passato, le disuguaglianze razziali e la discriminazione continuano ad esistere. La comprensione delle Giornate Antropologiche è fondamentale per riconoscere le radici del razzismo e costruire una società più giusta e inclusiva, ma anche per organizzare delle competizioni più rispettose dei diritti umani e delle esigenze delle popolazioni emarginate.

L’intersezione tra scienza e sport può produrre effetti potenti, sia positivi che negativi, come dimostrato dalle Olimpiadi del 1904. Da un lato, l’antropologia può contribuire a una comprensione più profonda della diversità umana e promuovere l’inclusione attraverso lo sport. L’analisi delle capacità fisiche e delle performance atletiche può sfidare e superare i pregiudizi, dimostrando che le differenze culturali e biologiche non implicano inferiorità o superiorità. Ad esempio, la partecipazione di atleti provenienti da diverse culture può evidenziare la varietà delle tecniche e delle tradizioni sportive, arricchendo l’evento olimpico e favorendo il rispetto reciproco.

9788815294784_0_536_0_75Dall’altro lato, come visto nelle Giornate Antropologiche, la scienza può essere mal utilizzata per giustificare ideologie razziste e perpetuare stereotipi dannosi. L’uso improprio delle teorie scientifiche per sostenere gerarchie razziali ha avuto conseguenze devastanti per gli atleti coinvolti e ha distorto la percezione delle loro culture. Quell’episodio storico evidenzia la responsabilità degli scienziati e degli organizzatori sportivi nel garantire che la loro collaborazione promuova l’uguaglianza e il rispetto, piuttosto che l’emarginazione.

Come evidenzia Umberto Tulli (2012), le Olimpiadi moderne sono spesso considerate un fenomeno squisitamente sportivo, mentre invece fin dall’inizio hanno incrociato la politica internazionale e i rapporti socio-culturali, scandendo la storia e contribuendo al loro successo, raccontando le trasformazioni del nostro mondo attraverso record e boicottaggi, propaganda e doping, ma anche passione e collaborazione. In particolare, la storia dei Giochi olimpici contemporanei ha mostrato anche come la sinergia tra scienza e sport abbia il potenziale di cambiare la visione delle cose, sia in meglio che in peggio. Se utilizzata correttamente, può essere un potente strumento per promuovere l’accoglienza, la comprensione interculturale e il progresso umano (Mancuso 2022). Tuttavia, è fondamentale essere consapevoli dei rischi e lavorare attivamente per prevenire l’abuso delle conoscenze scientifiche a fini discriminatori e contribuire a costruire una società più giusta e inclusiva.

Dialoghi Mediterranei, n. 68, luglio 2024
Note
[1] Redazionale, 1904: Barbarians meet in athletics games, in “St. Louis Post-Dispatch”, 13 agosto, p. 8; disponibile online: https://stltoday.newspapers.com/article/st-louis-post-dispatch-1904-08-13barba/77184439/
[2] Secondo gli storici, quell’anno a St. Louis furono presentati il cono gelato a cialda, l’hamburger e l’hot dog, il burro di arachidi, il tè freddo e lo zucchero filato. Va sottolineato che, molto probabilmente, quei cibi già esistevano, ma l’Esposizione li rese popolari.
[3] Redazionale, 1998: Louisiana Purchase Definition, Date, Cost, History, Map, States, Significance, & Facts, in “Encyclopedia Britannica”, 20 luglio, disponibile online: https://www.britannica.com/event/Louisiana-Purchase
[4] Traduzione dall’inglese: “Ad accompagnare i corridori c’erano numerose automobili, che sollevavano una grande quantità di polvere, oscurando i corridori molte volte e soffocando gli uomini finché non venivano costretti fuori strada, o facendoli respirare male e tossire finché non si schiarivano la gola”.
[5] Wade, Stephan, 2008: Protests, Smog Cloud Olympics a Year Out, in “Associated Press”, 7 agosto.
[6] Barry, Ellen, 2011: Georgia Says Russia Committed Genocide in 19th Century, in “The New York Times”, 20 maggio.
[7] Redazionale, 2012: IRA supporters force Olympic torch to alter course, in “CBS News”, 4 giugno.
[8] Redazionale, 2012: Argentinian Olympic advert depicts Falkland Islands as ‘Argentine soil’, in “The Guardian”, 4 maggio.a 
Riferimenti bibliografici
Bancel, Nicolas; Boetsch, Gilles (a cura di), 2004: Zoos humains. Au temps des exhibitions humaines, La Découverte, Parigi.
Brohm, Jean-Marie, 2024: La religion athlétique de Coubertin, admirateur de l’olympisme nazi, in “Pouvoirs”, vol. 2, n. 189: 61-71.
Brownell, Susan (a cura di), 2008: The 1904 Anthropology Days and Olympic Games. Sport, Race, and American Imperialism, University of Nebraska Press.
Delsahut, Fabrice, 2011: Los Juegos antropológicos de Saint-Louis, in “Revista Brasileira de Ciencias do Esporte”, dicembre.
Kennedy, Richard, 1998: Rethinking the Philippine Exhibit at the 1904 St. Louis World’s Fair, in “Smithsonian Folklife Festival 1998”: 41-45; disponibile online: https://folklife-media.si.edu/docs/festival/program-books/FESTBK1998.pdf
Lucas, Charles J.P., 1905: Official Report of the 1904 Olympic Games, Woodward & Tiernan Printing Co, St. Louis (MO, USA); disponibile online: https://digital.la84.org/digital/collection/p17103coll8/id/8216/rec/4
Mancuso, Claudio (a cura di), 2022: Percorsi di storia e antropologia dello sport, Il Mulino, Bologna.
O’Bonsawin, Christine, 2012: Indigenous Peoples and Canadian-Hosted Olympic Games, in Forsyth, Janice; Giles, Audrey R. (a cura di), Aboriginal peoples and sport in Canada. Historical Foundations and Contemporary Issues, University of British Columbia Press, Vancouver (Canada).
Tremeear, Janice, 2011: Wicked St. Louis, Arcadia Publishing Incorporated, Mount Pleasant (Carolina del Sud, Stati Uniti).
Tulli, Umberto, 2012: Breve storia delle Olimpiadi. Lo sport, la politica da de Coubertin a oggi, Carocci, Roma.

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Giovanni Gugg, dottore di ricerca in Antropologia culturale è assegnista di ricerca presso il LESC (Laboratoire d’Ethnologie et de Sociologie Comparative) dell’Université Paris-Nanterre e del CNRS (Centre National de la Recherche Scientifique) e docente a contratto di Antropologia urbana presso il Dipartimento di Ingegneria dell’Università “Federico II” di Napoli. Attualmente è scientific advisor per ISSNOVA (Institute for Sustainable Society and Innovation) e membro del consiglio di amministrazione del CMEA (Centro Meridionale di Educazione Ambientale). I suoi studi riguardano il rapporto tra le comunità umane e il loro ambiente, soprattutto quando si tratta di territori a rischio, e la relazione tra umani e animali, con particolare attenzione al contesto giuridico e giudiziario. Ha recentemente pubblicato per le edizioni del Museo Pasqualino il volume: Crisi e riti della contemporaneità. Antropologia ed emergenze sanitarie, belliche e climatiche.

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