omaggio a Guatelli
di Mario Turci
Ero in auto, diretto a Ozzano Taro. Carla Ghirardi, dirigente alla cultura della provincia di Parma, mi aveva invitato a riflettere sulla possibilità di un progetto di gestione del Museo Guatelli, a poco più di un anno dalla morte di Ettore (2000). Con Pietro Clemente avrei dovuto produrre un Progetto di Fattibilità (gestionale, economica, culturale) capace di dare al museo una gestione sotto forma di Fondazione. Avevo avuto contatto con Ettore in relazione ad iniziative regionali (gestite dall’ IBC) che in qualche maniera ci mettevano in dialogo come direttori (dirigevo, dal 1980, il Museo degli Usi e Costumi della Gente di Romagna). Arrivando a Ozzano Taro, Carla Ghirardi, mi prospettò un impegno di un anno per studiare lo stato del museo, progettarne la riapertura e proporre alla nascente Fondazione i documenti museali programmatori, tutto attraverso una stretta collaborazione con Pietro Clemente. Era il gennaio 2002 e da quell’anno ne sono passati venti. Alla nascita della Fondazione (Comune di Collecchio, Comune di Fornovo, Comune di Parma, Comune di Sala Baganza, Fondazione Monte di Parma, Provincia di Parma, Università degli Studi di Parma 2003) fui invitato ad assumere la direzione del museo.
Dirigere un Museo che era opera di un museografo visionario e creativo, etnografo e narratore, si presentava cosa ardua e delicata. Si trattava di assumere la complessa e densa eredità di un Maestro della museografia per continuarne la missione originaria in un non facile equilibrio fra la natura del museo, i suoi caratteri originari, i nuovi dialoghi della museografia contemporanea e il mondo istituzionale con il quale il museo avrebbe dovuto trovare relazioni. Inoltre mantenere alto un rapporto fra la fitta rete di connessioni fra le “intuizioni” museologiche ed etnografiche di Ettore Guatelli e lo svilupparsi delle nuove sfide della museografia. In tutto questo la vicinanza e il continuo dialogo e la collaborazione con Pietro Clemente mi dettero la forza per accettare la sfida.
Ettore contemporaneo
Questi 20 anni di direzione del museo possono essere raffigurati come una linea in curvatura positiva. Da una prima necessaria riflessione sul patrimonio “ereditato” (il necessario lavoro di manutenzione, l’aumento e la riorganizzazione delle potenzialità degli spazi espositivi e di accoglienza) si è passati alla cura del posizionamento istituzionale del museo e ad un continuo impegno per la valorizzazione dell’opera di Ettore mirata al riconoscimento del Museo Guatelli quale patrimonio collettivo nazionale.
L’opera di Ettore è interlocutoria e aperta, disposta ad accogliere e a ospitare. I sentieri del suo museo, quelli che conducono dalle cose alla vita, attraverso gli oggetti del quotidiano, le maestrie, i saperi e gli ingegni popolari, i rattoppi, la poetica degli ibridi, si presentano come la struttura portante dell’intera sua collezione che è racconto, opera narrativa.
Nel museo di Ettore esiste una legge che sottende l’esposizione degli oggetti, una sorta di ordine, apparentemente invisibile, orientato a realizzare un “filo del discorso”, che si manifesta quando al visitatore è offerto un bandolo, un “attacco” che da una parola o dalla particolarità di un insieme o di un oggetto che “si fa notare”, si dispiega verso storie di vita e di vissuti. Nel comporre il suo museo, Ettore Guatelli ha voluto dare una dimora alle biografie e alle storie di umanità che trapelano dalle cose. Quello di Ettore Guatelli è innanzitutto un collezionismo di uomini e donne che si esprime, per palesarsi, in un collezionismo di oggetti che hanno partecipato alla loro vita.
Due anime
Dalle composizioni parietali dove gli oggetti sono ordinati in estetiche elencative, alle decine di mensole sovrapposte che, coprendo intere pareti, accolgono oggetti disposti a comporre insiemi corali, dai cumuli in recipienti di vetro, in casse e valigie, alle composizioni che affollano ogni parete, pavimento e soffitto, Ettore ha dato il compito di stabilire, senza mezzi termini, un patto con il visitatore: patto che vuole che l’insieme di oggetti abbia un senso se riesce a trascendere da sé, per aprire l’orizzonte alle storie e alle vite.
La casa e il museo sono le due anime dell’opera di Guatelli, la realizzazione, su due piani, di un’unica idea, quella della raccolta di oggetti capaci di concorrere ad un grande testo sulla storia degli umili e del quotidiano. Il museo, luogo della sperimentazione di una possibile museografia e di scritture espositive: la stanza delle ruote, lo scalone, la stanza dei giocattoli, il salone, la stanza della cucina e quella delle scarpe e la casa in cui si esprime in maniera più evidente l’anima del collezionista (la camera di Ettore, la stanza della musica, quella dei vetri e poi quella delle latte, degli orologi e il ballatoio delle ceramiche). Nella casa l’accumulo e la collocazione degli oggetti seguono logiche più interne, mappe della mente del collezionista che, seppur pensate anche per l’ospite visitatore, sono legate a tracciati più intimi, a una “visione del mondo” che prima di essere impresa espositiva è una riflessione in appunti, tracce, brani di scrittura aperti.
Estetica del trattenere
La raccolta di Ozzano Taro è espressione di un collezionismo dell’aggiungere, del togliere e del reinventare. Provare e riprovare, ospitare nuovi oggetti magari trovati per caso presso qualche rigattiere, antiquario o raccoglitore, o cercati con pazienza e tenacia. Ogni nuovo arrivo di cose è stato motivo, per Guatelli, di completamento o di reinvenzione da parte della collezione. Il suo è un museo sempre in movimento, come a voler riassumere nel moto e nell’attività continua, il senso di quell’incompleto e non riducibile, come è il tempo nel suo produrre storie e oggetti, nuovi, reinventati, ripensati, riutilizzati. Oggi il Museo ha, negli oggetti esposti, il risultato fissato negli ultimi atti d’allestimento di Ettore Guatelli prima della sua morte, atti di una esperienza di scrittura che oggi forse li avrebbe visti sostituiti da altri o in un’altra posizione, partecipanti a nuove composizioni o forse in altre stanze.
Brusìo
Nel Museo Guatelli ci sono oggetti impegnati in un brusio continuo, altri che improvvisamente gridano la loro presenza, per poi rientrare nel vociare sommesso della collezione. La meraviglia dell’ovvio (ricordava Ettore) è ogni oggetto la cui realizzazione e presenza rientrano nel vociare del quotidiano, in quelle frasi, parole e discorsi di tutti i giorni, dei rapporti e dei fatti che organizzano la rete delle relazioni di tutti i giorni. Diversamente ci sono oggetti, che alzata la voce o gridata la loro natura e particolarità, sono nati dall’ingegno popolare e dalla creatività messa in campo e stimolata al fine di risolvere un problema inaspettato, per superare un ostacolo senza poter contare sull’ausilio di oggetti già presenti in corredi tradizionali. Oggetti inconsueti, originali, frutto di modifiche, trasformazioni o provenienti da un riuso portato all’estremo limite della loro materialità. Erano questi gli oggetti più amati da Ettore Guatelli, oggetti atti a confermare la regola attraverso il loro essere eccezione, spunto innovativo, soluzione geniale. Al “rattoppo”, nella collezione, è dedicata una particolare posizione. Si tratta di quegli oggetti risultato ed espressione di una esperienza umana che non rinunciava, per necessità, ad un’opera di “manutenzione” continua, capace e ingegnosa. Sono pantaloni, scarpe, abiti, strofinacci, lenzuola, attrezzi, terrecotte, contenitori, che oggi si presentano come icone di un “modo di fare e di essere” che, lontano dalle logiche sazie dell’“usa e getta”, scandivano il “tempo delle cose” e la sostanza del tempo vissuto.
Migranti – Ricomposti – Resistenti
Ci sono oggetti che hanno abitato numerosi la quotidianità popolare. Sono gli oggetti trattenuti attraverso la loro capacità di “resistenza” (rattoppo) o la loro disponibilità alla “migranza” (nuova forma-uso). Dal mondo degli oggetti resistenti e migranti emerge, con evidenza, un’estetica del trattenere e del riconnettere in cui, all’ingegno e alla maestria, è affidato il compito di fornire loro nuova linfa o una nuova motivazione al loro “rimanere” al mondo. La comunità degli oggetti migranti popola il Museo Guatelli. Ma cosa ha stimolato tali trasmigrazioni? Cosa ha permesso il ripensamento? A volte la duttilità della materia, a volte la funzione, a volte la disponibilità della forma, a volte il bisogno d’espressione creativa, a volte il piacere della prova. Nel gioco del ripensamento è interessante notare non tanto il risultato ottenuto quanto quel tratto di pensiero e di pratica manuale che si sono espressi e sviluppati fra il prima e il dopo di quel che oggi ci appare dell’oggetto, cioè quel tempo creativo della transizione fra prima (com’era) e dopo (com’è). In tale tratto hanno giocato la creatività e l’aver “saputo vedere” nella forma originale degli oggetti le potenzialità per una possibile trasformazione, una migrazione da un uso ad un altro e conseguentemente da una forma ad un’altra.
Sul sentiero del Museo troviamo oggetti compositi la cui soluzione finale è nell’assemblaggio, altri che si presentano come soluzione creativa per una parte componente di un oggetto (come il vestito della damigiana in vetro), altri totalmente ripensati nella loro funzione approfittando della duttilità della loro forma (ad esempio, l’elmetto tedesco dell’ultima guerra che diventa scaldaletto, la solforatrice e la stappatrice composte da elementi recuperati dalla dissoluzione di altri oggetti).
Sono “resistenti” gli oggetti trattenuti in vita attraverso la loro manutenzione con opere di rattoppo, rammendo, riparazione su riparazione, come nel caso di vecchi pantaloni da lavoro o del lenzuolo, esposti nel Museo Guatelli, che rattoppati su vecchi rattoppi ormai si sorreggono “in vita” sulle pezze aggiunte una sull’altra, avendo ormai perso la base originaria, o nel caso dello scarpone che risuolato e rinforzato con chiodi e toppe vedrà l’intervento, infine, del fil di ferro. La resistenza degli oggetti partecipava all’economia di sussistenza dei ceti popolari ed è denotata da una filosofia del “non buttare via nulla” che era stile di vita e necessità, «non si rideva dei rattoppi, anzi, si biasimava chi scartava quando si sarebbe potuto rattoppare malgrado le toppe già messe» (Ettore Guatelli).
Dialoghi Mediterranei, n. 53, gennaio 2022
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Mario Turci, Antropologo e Architetto. Direttore del Museo Ettore Guatelli (Ozzano Taro – Parma), del Museo degli Usi e Costumi della Gente di Romagna (Santarcangelo di Romagna) dal 1980 al 2018; docente di “Scenografia e allestimento museale” presso la scuola di specializzazione in beni DEA Università degli Studi di Perugia. Direttore del LAECM (Laboratorio permanente di Etnografia della Cultura Materiale – Università di Perugia) svolge ricerche e attività nell’ambito dell’ Antropologia della cultura materiale, della Museologia-museografia e della expografia museale. Museografo nei campi dell’organizzazione gestionale e dell’allestimento del museo, è stato membro della giunta esecutiva di ICOM Italia, è vice-presidemte di Simbdea (Società Italiana di Museografia e Beni demoetnoantropologici). Ha progettato diversi Musei ed è autore di numerose pubblicazioni. Si segnalano tra gli scritti più recenti: Per una critica del Paesaggio Culturale. Sguardo, relazione, percezione (2016); Un’estetica del trattenere; Raccogliere, collezionare e dar voce agli oggetti (2018); Plastica del pensiero. Appunti per un’etnografia della cultura materiale (2018); Guatelli contemporaneo (2018).
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