di Rossana Salerno
«Les choses sacrées sont celles que les interdits protègent et isolent; [...] les rites sont des règles de conduite qui prescrivent comment l’homme doit se comporter avec les choses sacrées» (Emile Durkheim, 1912: 56)
Introduzione
L’esperienza del “viaggio”, del “cammino”, è all’origine di ogni esperienza umana. L’analisi etimologica permette di selezionare le terminologie dell’andar lontano dal latino “peregrinari” e del “peregrinus” di colui che viaggia lontano, entrambe derivano dall’avverbio “peregre”: attraverso il territorio o il campo.
Queste terminologie assumono un significato ed un significante nel processo del mutamento socioantropologico dei luoghi, degli spazi sacri e profani, nei quali gli attori sociali creano una connessione sia virtuale che reale della loro “religiosità” rendendola pubblica o privata attraverso il pellegrinaggio. Persone e organizzazioni, credenze e riti, valori e simboli, tradizioni e acquisizioni sono in grado di resistere ai cambiamenti più drastici e di adattarsi a quelli di minore incidenza (Cipriani, 2012).
In una società sempre più orientata verso la secolarizzazione, osserviamo come i viaggi verso luoghi sacri perdano la loro connotazione strettamente religiosa. Le persone si avventurano in viaggi, non solo per ragioni spirituali, ma anche per esplorare aspetti culturali e storici, o semplicemente per sperimentare una connessione “spirituale” più profonda con sé stessi. Questa evoluzione ha dato vita a una forma di pellegrinaggio secolare, dove la ricerca di significato personale e l’esplorazione della natura diventano le linee guida principali per il cammino verso l’alto. Allo stesso tempo, alcuni luoghi sacri si sono trasformati in destinazioni turistiche, creando così un’esperienza che va al di là della spiritualità per abbracciare aspetti di intrattenimento e di consumo. La secolarizzazione ha dunque portato a una reinterpretazione del pellegrinaggio, trasformandolo in un cammino alla ricerca di significato e di connessioni spirituali più profonde, indipendentemente dalla dimensione religiosa.
Lo studio sul pellegrinaggio in modo pluridisciplinare dall’antropologia alla sociologia, attraverso la ricerca qualitativa come metodologia di analisi (osservazione e partecipazione sul campo), porterebbe a riconsiderare un’inversione teorica e pragmatica del concetto moderno di “liquidità” (dell’individuo e della società stessa). Infatti, da una forma di “società liquida” (Bauman, 2012) si ritornerebbe a una società di tipo “strutturale” in cui l’agire sociale degli individui necessita di punti di riferimento “materiali”, “tangibili”, appigli o radici nei quali i soggetti possano riconoscersi e ritrovarsi. Anche all’interno di una società “alienata” dall’eccesso di modernità si ritornerebbe pertanto a una nuova forma di de-modernizzazione de-secolarizzata: in cui la “spiritualità”, termine differente e affine a quello di “religiosità”, influenzerebbe l’agire degli attori sociali verso il senso di appartenenza fisico, laddove il corpo, inteso come materia, possa essere l’unico tramite per l’ascesi del peregrino. La condivisione dei valori e della tradizione, con un carisma legato ad un potere personale non condivisibile, rappresenta un nuovo processo di mutamento dell’agire sociale, basato sulla condivisione della propria spiritualità attraverso il corpo. La capacità di resilienza, dunque, non è più connessa soltanto allo spirito ma anche alla materialità del corpo stesso durante i pellegrinaggi. Infatti, anche i rituali durante i pellegrinaggi, strettamente correlati alla religione, ora si manifestano in molteplici forme. Gli individui cercano la spiritualità in luoghi che hanno un significato strettamente personale per la loro vita, non necessariamente vincolato al senso di comunità ma appartenente al vissuto attraverso l’esperienza corporea. A guardar bene, il processo di de-secolarizzazione coinvolge la rinegoziazione dei confini tra la sfera religiosa e quella secolare nella società contemporanea così come la riduzione della sfera pubblica a vantaggio dell’ambito privato di azione.
Strutture istituzionali e significanti implicati
La pratica del pellegrinaggio mantiene la sua rilevanza nell’esperienza umana, nonostante le trasformazioni di modernizzazione della società e dei cambiamenti nei costumi culturali mediatici. Diverse questioni riguardanti le connessioni tra l’ambiente, la società e i luoghi sacri emergono quando si esamina il significato degli itinerari dei pellegrinaggi in relazione alla variegata composizione delle “comunità di pellegrinaggio”. È interessante esplorare le motivazioni “religiose” che hanno contribuito a mantenere nel tempo la frequenza dei luoghi di culto e le pratiche rituali a essi associate.
“Santuario” e “pellegrinaggio” sono terminologie concettuali che si riferiscono, rispettivamente, a luoghi e azioni con caratteristiche specifiche, nonostante le differenze storico-culturali e le sfumature semantiche. Anche se utilizzate nelle definizioni basilari di “luogo sacro” e “viaggio verso un luogo sacro”, questi concetti possono essere applicati in modo descrittivo a luoghi e fenomeni con connotazioni religiose in vari contesti storico-culturali. Tuttavia, è importante sottolineare che ciò non implica una loro considerazione come costanti religiose o fatti universali, ma piuttosto come risultati mutevoli del processo umano di dare significato e delimitare lo spazio sacro.
Secondo l’antropologo Victor Turner i pellegrinaggi sono dei fenomeni “liminali” (Van Gennep, 1909), caratterizzati da una communitas, che consente loro di celebrare una umanità universale e la libertà dalle divisioni strutturali. Dunque, la “communitas” rappresenta un’esperienza spontanea e primordiale nell’evoluzione umana, emergendo come un momento trascendente al di là dei confini individuali, sospeso tra il tempo e l’atemporalità; priva di localizzazione precisa e dotata di un’ineguagliabile potenza trasformativa: «La Communitas essenzialmente è un rapporto tra individui concreti, storici, particolari. Questi individui non sono frazionati in ruoli e status, ma si trovano gli uni di fronte agli altri al modo dell’“Io e del Tu” di Martin Buber. Insieme con questo incontro diretto, immediato e totale tra identità umane tende a porsi un modello della società come communitas omogenea e non strutturata, dai confini idealmente contermini con quelli della specie umana» (Turner, 1972: 147-148).
Il concetto di “communitas” è un’esperienza spontanea, situata dentro il tempo e fuori dal tempo, si contrappone a quello di “proprio” – e può dunque riecheggiare la dicotomia durkhemiana del sacro e del profano: «insomma sacro e profano si mescolano, ma senza che l’uno escluda l’altro» (Cipriani, 2012:58); ciò che è condivisibile da ciò che non lo è: «l’esperienza della sacralità e le contingenze profane, integrandole insieme, senza soluzione di continuità» (ivi). All’interno di una communitas il tempo ordinario appartiene al profano e il tempo straordinario ad un processo di sacralizzazione. È noto il processo di sacralizzazione del territorio attraverso il rituale del pellegrinaggio. La presenza del sacro (attraverso l’eucarestia, l’edicola votiva lungo il percorso, la benedizione prima della partenza o all’arrivo dei pellegrini) fa parte del tempo straordinario in cui gli attori sociali condividono il senso valoriale spirituale del cammino. Il pellegrinaggio “corporeo” necessita di uno spazio nel quale l’individuo possa sentirsi “parte” di una dimensione spirituale condivisa con la communitas. L’individuo, il pellegrino in solitudine, non si esclude dalla communitas (religione comunitaria), ma lungo questo cammino (introspettivo) ricerca il senso di quest’ultimo: «egli rimette i suoi piedi sulle tracce di migliaia di suoi simili venuti nel luogo sacro in cerca di un miracolo, di guarigione di una salvezza personale» (Cipriani, 2012: 58).
Il legame tra cammino e rito di passaggio è necessario per comprendere l’esperienza emotiva, significativa del cammino a piedi nudi. Un modo di vivere il tempo e lo spazio straordinario simile a quello sperimentato antecedentemente negli antichi riti dai primi pellegrini poi divenuti santi. Un’esperienza individuale e collettiva in cui il legame valoriale di solidarietà è contiguo a quello spirituale.
La concettualizzazione di liminalità a cui Victor Turner fa riferimento si basa sulla nozione di riti di passaggio introdotta, già nel 1909, da Arnold van Gennep. Come noto, i riti di passaggio sono cerimonie in cui una comunità partecipa alla trasformazione di un individuo nel processo di transizione da uno stato o posizione sociale a un altro. Questi riti generalmente si articolano in tre fasi: separazione, margine e riaggregazione. La fase liminare, situata in mezzo, è essenziale poiché cancella lo status precedente, facilitando l’assunzione di quello nuovo. Dunque, la liminalità rappresenta un momento sociale in cui gli status sociali quotidiani vengono temporaneamente annullati, consentendo la riorganizzazione dei rapporti sociali.
L’ipotesi della “communitas” nel pellegrinaggio è inequivocabilmente un’occasione di affermazione della “struttura” (Turner, 1981); enfatizza l’autonomia culturale di ciascun sistema religioso e postula un pellegrinaggio che serva a evidenziare i principali temi peculiari di un sistema religioso (Turner, 1981).
L’analisi in questo contesto come oggetto di studio teorico di “pellegrinaggio liquido” (Bauman, 2012) è strettamente legata alla contestualizzazione odierna del “pellegrinaggio strutturale”, infatti, se fosse “liquido” esso dovrebbe essere considerato non come qualcosa che avviene al di fuori della vita quotidiana ma qualcosa che avviene quotidianamente nella fluidità giornaliera dell’individuo o del gruppo, rompendone così il flusso regolare della ciclicità annuale o “straordinaria del cammino in se per sé”. Secondo l’antropologo John Eade il necessario allineamento tra pellegrinaggio e antistruttura non solo pregiudica il carattere complesso del fenomeno ma impone anche una spuria omogeneità alla pratica del pellegrinaggio in contesti storici e culturali molto diversi (Eade, 1991). Il modello turneriano potrebbe essere interpretato come rappresentativo di un discorso specifico sul pellegrinaggio, piuttosto che come una sua descrizione empirica (Eade, 1991).
Pertanto, anziché adottare dicotomie basate su fondamenti strutturalisti, dovremmo affrontare il pellegrinaggio non solo come un campo di relazioni sociali, ma anche come un regno di discorsi concorrenti sulle molteplici modalità e dimensioni con cui gli individui o gruppi perseguono concezioni diverse e spesso contrastanti di spiritualità e religiosità.
Zygmunt Bauman e Roberto Cipriani: il pellegrinaggio
La nostra società è costantemente attraversata e coinvolta da espressioni di sensibilità religiosa. Queste manifestazioni, pur senza stravolgere l’intero quadro, non possono essere ridotte a una mera persistenza del passato, né essere considerate come una manifestazione superficiale e temporanea della cultura prevalente: «la tesi della secolarizzazione investe direttamente la qualità degli indicatori. Il fatto che nelle inchieste ricorrenti vi siano percentuali più o meno vistose di soggetti che affermino il proprio credo religioso non ha, grosso modo, alcun senso, a partire dal momento in cui gli stessi soggetti non sembrano tenere in nessuna considerazione i valori e i principi sottoscritti al momento delle loro azioni concrete» (Abruzzese, 2016: 23). Dunque, nell’affrontare un “pellegrinaggio liquido” occorrerebbe mettere ordine, ma nel senso stretto della “fluidità”, del tutto scorre, i comportamenti quotidiani non possono essere accostati a quelli lungo il percorso dei pellegrinaggi. Questo concetto di “riordinare” e dare una struttura è in netto contrasto con quello di fluidità, perché esso stesso (il pellegrinaggio) non fa parte della quotidianità e della fluidità così come intesa da Bauman.
Il pellegrinaggio possiede al suo interno una struttura e delle fasi ben definite: il pellegrino ancor prima di mettersi in cammino, compie dei gesti rituali, (preghiera – il segno della croce – canto verso l’alto indirizzato al cielo); questi modelli di relazione diretta con la divinità (prescrizioni rituali) sono strettamente legati a quelli compiuti con gli altri soggetti in gruppo (associazioni che organizzano il pellegrinaggio) ed infine, l’insieme della collettività attraverso i comportamenti sociali e morali creano un ordine alla pre-struttura del pellegrinaggio. L’organizzazione dello stesso è fondamentale per la coesione del gruppo (la preghiera condivisa, il canto, gli strumenti musicali presenti lungo il percorso, le fiaccole).
Secondo il sociologo Roberto Cipriani, nel pellegrinaggio, il corpo affronta la sofferenza ma riacquista la sintonia con il significato da assegnare alla vita e alle azioni quotidiane (Cipriani, 2012). Il pellegrinaggio comporta un forte grado di impegno, analisi e progettualità, l’attesa stessa è mossa dalle esigenze corporali di ricerca espiatoria o di gratificazione esistenziale da parte del pellegrino. Il pellegrinaggio è la soluzione dei propri problemi psicologici, familiari, di salute (Cipriani, 2012). L’attesa e l’attuazione del pellegrinaggio, come fosse una concezione foucaltiana, oscillano all’interno del tempo stra-ordinario dell’individuo che si accinge a compierlo: a piedi nudi o in ginocchio.
In alcune occasioni, il pellegrinaggio viene intrapreso con l’intento di redimere una colpa commessa o di scontare la pena per un peccato compiuto. Il pellegrinaggio si configura come un viaggio in uno spazio temporale dedicato a riflettere sull’esperienza personale e sulle azioni compiute, lontano dalle consuete attività quotidiane.
L’esperienza del pellegrinaggio, del viaggio, è comune a molte religioni ed è carica di elementi simbolici e metaforici che la rendono attraente, gioiosa e insieme faticosa, difficile da dimenticare e degna di essere ripetuta (Cipriani, 2012). La precarietà è una condizione tipica del pellegrinaggio laddove i fattori sono mutevoli e imprevedibili; infatti il cammino o il viaggio è una forma rituale, e il corpo, le sue rappresentazioni e le relazioni sociali sono strettamente concatenate. L’immagine dell’uomo, che il pellegrinaggio propone, è un ideale rimedio alla rottura antropologica del postmoderno, che spesso descrive l’uomo come un individuo lacerato, senza patria, senza riferimenti e senza prospettiva (Bauman, 1995).
La riflessione teorica a confronto comporta un ridimensionamento della definizione del termine “pellegrinaggio”, ossia, dal “pellegrinaggio liquido” così definito da Bauman (2012) come prodotto della “società liquida” e della “modernizzazione liquida” al “pellegrinaggio strutturale” [1] (Salerno, 2024) che non ha mai mutato la propria natura e dunque de-secolarizzandosi è definito da Roberto Cipriani come espressione della religiosità popolare nel quale i pellegrini, attraverso la loro corporeità e materialità, si muovono dal luogo intramondano a quello extramondano. Il pellegrinaggio, viaggio segnato da una successione di prove e tribolazioni, assume, in particolar modo in ambito cristiano, un preciso valore penitenziale configurandosi come «une sorte de prière physique qui est un sacrifice en même temps qu’une profession de foi» (Roussel, 1954: 100) come «paradigma della via crucis» (Turner, 1997: 53).
Le difficoltà del viaggio e i patimenti che esso comporta hanno, inoltre, valore catartico, introducono il fedele nella necessaria dimensione psicologica dell’attesa e lo mettono nella condizione di purezza necessaria all’incontro positivo con il Santo (Dupront, 1993; Cipriani, 1999). L’itinerario “penitenziale” rappresenta l’inizio di un percorso più complesso. La forza del rituale si manifesta appieno attraverso la partecipazione attiva alla processione che si crea lungo il cammino.
La terminologia utilizzata da entrambi gli studiosi necessita di una riformulazione in quanto il pellegrinaggio è stato definito come “viaggio” (Bauman, 2012) e come “cammino” (Cipriani, 2012) ma entrambi denotano un utilizzo del “tempo” e dello “spazio” in modo differente. Il contatto fisico tra il pellegrino ed il sacro è necessario, sancisce la riconciliazione tra l’individuo materiale e quello spirituale.
Nel primo, il “viaggio” baumiano «per i pellegrini nel tempo, la verità è altrove; il vero luogo è sempre a una certa distanza, lontano nel tempo. L’esperienza del viaggio baumiano possiede una forma di apertura che oltrepassa la spiritualità del luogo e la sacralizzazione dello spazio, infatti, questa forma di “liquidità” spinge l’individuo a scegliere tra i corsi di vita possibili e tali scelte sono modificabili, in quanto: “il pellegrinaggio non è più una scelta del modo di vivere, è ciò che si compie per necessità” (Bauman 2012:32), aldilà della devozione tipica della religiosità popolare e molto più in linea con il turismo religioso. Dovunque il pellegrino sia ora, non è il luogo dove dovrebbe essere o dove sogna di essere…per il pellegrino, solo le strade hanno un senso, non le case – le case sono una tentazione al riposo ed al rilassamento» (Bauman, 2012: 33).
Nella seconda terminologia, il sociologo della religione Roberto Cipriani, denota con il “cammino” l’atto stesso di mettersi in moto verso un luogo, uno spazio già sacralizzato dalla presenza stessa del sacro (santuario, reliquie), nel quale l’individuo si “muove” verso la “redenzione” o l’“espiazione” e ove l’attesa è ciclica nel tempo e in un luogo del ritorno. Secondo il sociologo Cipriani, infatti, l’atto del pellegrinaggio si compie nell’esperienza dell’incontro, vissuto, forse raggiunto, nell’osservanza di un rituale: il luogo sacro è una necessità (Cipriani, 2012: 54).
In questo caso il luogo, nel quale il sacro è immutato, si rivela come un crocevia in cui gli attori sociali, i pellegrini, si incontrano e si riuniscono spiritualmente, il sentimento di solidarietà, di appartenenza, della “communitas” si lega al sentimento religioso in un luogo, in quel luogo. La “de-secolarizzazione” ci fa riflettere su una sorta di rinascita della fede, spirituale o religiosa, in cui la religione riacquista una presenza più significativa nella vita della collettività. Questa tendenza si può notare attraverso un aumento della partecipazione alle pratiche religiose, un rinnovato interesse per tematiche spirituali e una maggiore visibilità delle istituzioni religiose nel nostro quotidiano. Numerosi pellegrinaggi conservano una chiara matrice devozionale e una ricca dimensione rituale “tradizionale” rivelando, nel primo come nel secondo caso, che il pellegrinaggio resta un «istituto capace di fornire risposte ad esigenze lasciate insoddisfatte dai modelli di sviluppo dominanti» (Buttitta, 2016: 121).
Sembrerebbe che la dimensione spirituale stia riacquistando rilevanza e influenza nella vita delle persone e nella società stessa dopo la pandemia di Coronavirus che ha costretto a una chiusura forzata verso l’altro e il mondo stesso.
Conclusioni
Il pellegrinaggio è un’esperienza articolata (emotivamente, psicologicamente e fisicamente) che coinvolge il pellegrino in vari momenti, sia individualmente, in una riflessione personale, che collettivamente, facendo parte della “communitas”. I pellegrinaggi, a differenza del turismo religioso, sono strutturati in delle fasi specifiche, nelle quali la ritualità è necessaria per lo scandire del tempo: dall’attesa iniziale alla fase finale di congedo. I pellegrini formano una “processione” lungo il cammino, l’accoglienza nel luogo sacro funge da “liturgia della soglia”, ossia, un processo di sacralizzazione nell’accoglienza da parte dei custodi del santuario o dello spazio sacrale verso i pellegrini.
Il momento più significativo del pellegrinaggio si distingue per l’arduo impegno (la fatica fisica) verso una trasformazione interiore (spirituale), il cammino si rafforza all’arrivo attraverso la celebrazione del sacramento eucaristico della riconciliazione.
Le espressioni della fede possono emergere dalla riflessione sui significati della vita e dall’influenza determinante dei valori nell’orientamento delle azioni umane. In altre parole, ciò che può essere identificato come aspetto religioso non è vincolato alle tradizioni canoniche delle religioni storicamente riconosciute. È tuttavia cruciale evidenziare che la presenza dei valori deve raggiungere un livello tale da assumere un ruolo predominante e essenziale nel modo di pensare e agire, al fine di evitare interpretazioni eccessivamente ampie ed ingiustificate.
L’accesso al sacro deve avvenire in certi spazi (dove esso è conchiuso) e in determinati tempi (quelli in cui si crede esso pienamente si manifesti); deve, inoltre, necessariamente, seguire determinate prassi rituali (Dupront, 1993). La complessa trama culturale del turismo religioso suscita ambiguità, con la mescolanza di elementi che, a volte, risultano solo giustapposti. In questo intreccio, il turismo si fonde con la cultura, la cultura con l’esperienza religiosa, l’esperienza religiosa con le dinamiche di mercato, e queste a loro volta si legano ai bisogni umani, che possono essere sia latenti che manifesti.
Per alcune forme di pellegrinaggio contemporaneo la destinazione svilisce l’impresa del cammino (Rech, 2006), ed emergono così nuove sfaccettature di mercato, nuove aspettative nei desideri e nelle offerte, nuovi imprenditori e nuovi percorsi turistici, tutti intrecciati con manifestazioni di religiosità raramente di spiritualità. La sensibilità contemporanea del turismo religioso spinge verso una valorizzazione globale dell’ambiente territoriale, prendendo in considerazione la sua conformazione geografica, antropica, storica e spirituale, tralasciando la struttura del pellegrinaggio alla peculiarità della religiosità popolare.
Attraverso i secoli, sul territorio sono germogliati luoghi permeati da devozione e pietà popolare, che non solo si distinguono per motivi storico-artistici e religiosi, ma anche per il felice connubio tra spiritualità e natura, spesso risolto in un’armonia coinvolgente. Santuari e ambiente, pietà ed ecosistema, costituiscono una peculiarità distintiva che merita di essere custodita e promossa, prima di tutto per i residenti e poi anche per i visitatori. Questa specificità si trasforma in un circuito-itinerario con una propria identità, accessibile e attrezzato in modo adeguato, umanizzando l’esperienza turistica.
Con il termine “de-secolarizzazione” si indica un processo in cui aspetti della nostra vita sociale, culturale e individuale, precedentemente influenzati dalla secolarizzazione o dalla laicità, vengono reinterpretati o riportati a manifestare nuovamente connotazioni religiose. In altre parole, si tratta di un movimento contrario alla secolarizzazione, dove la religione ritorna a occupare uno spazio più evidente nella società rispetto a periodi precedenti. Il pellegrino, rientrando a casa, «come ogni viaggiatore, porterà con sé oggetti sacri che gli permetteranno non solo e non tanto di conservare una qualche aura della potenza del sacro incontrato, sperimentato e vissuto nel luogo visitato, ma anche e soprattutto di iscrivere nella propria memoria in modo più stabile l’unicità irripetibile di quell’incontro» (Filoramo, 2004: 251)
Questo concetto è strettamente legato all’osservazione di un risveglio dell’influenza religiosa in contesti sociali o culturali che in passato erano considerati prevalentemente secolarizzati. Questa nuova reinterpretazione del passato può tradursi in un aumento della partecipazione a pratiche religiose, un rinnovato interesse pubblico per tematiche spirituali, una crescente influenza delle istituzioni religiose nella sfera pubblica. Infine, la “de-secolarizzazione” ci suggerisce che stiamo assistendo a una sorta di ritorno di fede, con la religione che recupera una posizione più centrale nella nostra vita collettiva. Questa tendenza potrebbe manifestarsi attraverso una crescente partecipazione alle pratiche religiose, un rinnovato interesse per questioni spirituali o una maggiore visibilità delle istituzioni religiose nella nostra vita di tutti i giorni.
Dialoghi Mediterranei, n. 66, marzo 2024
Note
[1] “Pellegrinaggio strutturale”: il termine in antropologia si oppone a quello di funzionale, ma in questo caso non afferisce alla cosiddetta “struttura ed anti-struttura turneriana ma è utilizzato come chiave per comprendere il senso di “movimento”, di “attraversamento di un luogo”. Dunque, la “corporeità” e la “spiritualità” sono strettamente legate nel “cammino” definito dal sociologo delle religioni Roberto Cipriani. Il pellegrinaggio possiede non solo una “struttura” come ciclicità temporale, ma anche una struttura rituale, soprattutto corporea all’interno di un percorso di luogo nel tempo “straordinario”.
Riferimenti bibliografici
Abruzzese S., (2009), “Il posto del sacro” in La via italiana alla postmodernità. Verso una nuova architettura dei valori, R. Gubert (a cura di), Franco Angeli, Milano: 397-455.
Abruzzese, S., (2015), “Il caso delle credenze religiose: buone ragioni o dimissioni dalla ragione?”, Quaderni di Sociologia [Online], 68: 107-122
Augé M., (2009), Nonluoghi – introduzione a una antropologia della surmodernità, ed. Elèuthera, Milano.
Augé M., (2007), Tra i confini. Città, luoghi, interazioni, Mondadori, Milano.
Bauman, Z., (1995) “Da pellegrino a turista”, Rassegna Italiana di Sociologia (1995/1): 3-26.
Bauman, Z., (2012), Modernità liquida, ed. Laterza, Roma-Bari.
Bauman, Z., (2012), L’arte della vita, ed. Laterza, Roma-Bari.
Bauman, Z., (2014) “La società dell’incertezza”, ed. Il Mulino, Bologna.
Buttitta, I., (2016), “Cosa può dirci l’antico. Spazi, forme e funzioni dei pellegrinaggi cristiani “minori”, Rivista Civiltà e Religioni, Padova: 91-130.
Cipriani R., (1999), “Pellegrinaggio e religiosità popolare”, in Canta C.C. – Cipriani R. – Turchini A. (a cura di), 1999, Il viaggio. Pellegrinaggio e culto nella Sicilia centrale: lu Signuri di Bilìci, Caltanissetta-Roma: 23-52.
Cipriani, R., (2009), Corpo e religione, ed. Città Nuova, Roma.
Cipriani, R., (2012), Sociologia del pellegrinaggio, ed. Franco Angeli, Milano.
Coleman S. – Elsner J. (1995), Pilgrimage. Past and Present in the World Religions, Cambridge MA: Harvard University Press Coleman, S., Eade, J., (2004), Reframing Pilgrimage: cultures in motion, ed. Routledge, London..
Dionigi, A., Eade, J., (2015), International Perspectives on Pilgrimage Studies: itineraries, gaps and obstacles, ed. Routledge, London.
Dupront A., (1993), Il sacro. Crociate e pellegrinaggi. Linguaggi e immagini, ed. Einaudi Torino (ed. or. 1987, Du sacré. Croisades et pèlerinages. Images et langages, Paris).
Durkheim, É., (1912), Le forme elementari della vita religiosa, Newton Compton ed., Roma, 1973. Ed. originale: Les formes élémentaires de la vie religieuse. Le système totémique en Australie, Presses Universitaires de France, Paris, 1973.
Filoramo, G., (2004) ,“Che cos’è la religione. Teorie, metodi, problemi”, ed. Einaudi, Torino.
Rahmann, R. (1980), “Review of Image and Pilgrimage in Christian Culture. Anthropological Perspectives”, by V. Turner & E. Turner. Anthropos, 75(5/6): 957-961.
Rech, G., (2019), “Spiritualità e turismo: il caso del Cristo pensante”, Religioni e società, anno XXXIV, 94, maggio-agosto: 97-104.
Roussel R., (1954), Les pèlerinages a travers les siècles, Payot, Paris.
Turner, V., (1972), Il processo rituale: struttura ed anti-struttura, ed. Morcelliana, Brescia.
Turner, V., (1972), “Symbols” in African Ritual, Science, American Association for the advancement of Science, marzo 16, vol. 179: 1100-1105.
_____________________________________________________________
Rossana Salerno, ha studiato presso la Facoltà di Sociologia dell’Università degli studi di Trento, si laurea in Sociologia Territorio ed Ambiente nel settembre 2008. Prosegue i suoi studi con il Master I in Comunicazione, Educazione ed Interpretazione Ambientale presso il Dipartimento Ethos e Dismot dell’Università degli studi di Palermo. Nel 2010 vince il Dottorato di Ricerca in Sociologia, seguita dal prof. Salvatore Abbruzzese nello svolgimento delle attività di ricerca, presso la Libera Università “Kore” degli studi di Enna. Nel 2013 diviene membro di diverse associazioni accademiche nazionali ed internazionali e nel 2014 consegue il Dottorato di Ricerca in Sociologia dell’Innovazione e dello Sviluppo. Nel 2016 prosegue i suoi studi specializzandosi con il master universitario internazionale di II livello in Sociologia – teoria, metodologia e ricerca – interuniversitario Roma tre, La Sapienza di Roma e Tor Vergata sotto la tutela direttiva del prof. Roberto Cipriani. Nel 2017 è impegnata come “Researcher” in Francia in partenariato con A.R.S – Università di Lille2 (France) e Università Kore degli studi di Enna. Ad oggi è autrice di testi ed articoli nazionali ed internazionali sulla Sociologia della Religione, del Territorio e dell’Ambiente. Nel 2023 riceve da parte della Scuola di Medicina e Chirurgia di Palermo con sede presso il Policlinico Universitario “Paolo Giaccone” un incarico di docenza come professoressa a contratto in Sociologia dei processi culturali e comunicativi in ambito lavorativo.
______________________________________________________________