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Pensare meridiano

153838388-ee647d28-4c5f-47ac-a460-0e7adfaeb1bedi Enzo Pace 

Sono andato a rileggermi, nei giorni del naufragio di Cutro, alcune pagine de Il pensiero meridiano di Franco Cassano [1], pubblicato nel 1996. Il libro è ancora oggi una miniera di idee, in particolare per quanti continuano a immaginare vitale la circolazione di idee, persone, memorie, esperienze di ricerca e gesti di prossimità tra la riva sud e quella nord del Mediterraneo. In un’intervista raccolta nel 2007 da Claudio Fogu, parlando del suo libro, Cassano diceva: 

«il sud non è solo un non ancora nord, una patologia infinita dalla quale guarire per diventare finalmente civili e degni della parola, il sud è sicuramente una terra piagata, con molti problemi, però è anche una prospettiva diversa»[2] . 

Una prospettiva diversa, dunque: un’angolazione da dove guardare verso dove? Ricordo cosa mi disse un caro amico tunisino di professione geografo, quando ancora il movimento migratorio era agli inizi, almeno per l’Italia, e gli chiedevo perché i suoi connazionali scegliessero il nostro Paese come meta. Erano i tempi quando arrivavano a Mazara del Vallo i primi migranti per essere impiegati nei pescherecci. La sua risposta fu chiarissima. Da allora la conservo nella memoria come una preziosa bussola morale: «le migrazioni le avrete sempre sin tanto che la vostra economia crescerà più della nostra; dove volete che i nostri volgano lo sguardo? Indietro? Ma indietro c’è solo il deserto!». A distanza di quaranta anni, il deserto avanza e divora terre, sotterrando oasi e le poche zone fertili che c’erano un tempo. Nel sud della Mauritania è ciò che sta accadendo da alcuni anni.

Dal punto di vista del pensiero meridiano, il nord più a nord è un sacrificio che, comunque, vale la pena sopportare, se la qualità della vita può cambiare in meglio. I numeri possono essere più alti e contare assai negli orientamenti politici, ma il caso finlandese, visto dalla prospettiva del sud, ci induce a pensare che conti di più come ci rappresentiamo collettivamente la differenza tra “noi e gli altri”.

Tra gli effetti inattesi e, per alcuni aspetti, perversi, del nostro tempo segnato dalla elevata mobilità delle persone che migrano e si spostano da un punto all’altro del globo in cerca di lavoro e di pace per sé e le loro famiglie, c’è, difatti, il ritorno furioso del principio etnico. Uno schema della mente collettiva che si nutre di stereotipi, giacché si attiva per il riflesso condizionato di catalogare gli altri per grandi tipi socio-culturali spesso inferiorizzanti, che riducono la complessità delle biografie individuali, la porosità delle culture e la potenziale capacità delle religioni di comunicare fra loro. Per i Veri Finlandesi, Lampedusa dovrebbe essere una porta chiusa ermeticamente e non un porto più o meno sicuro da cui i migranti iniziano la loro marcia di avvicinamento al nord dell’Europa. 

Migranti a Lampedusa

Migranti a Lampedusa

Lampedusa – si chiederebbe oggi Cassano, se fosse ancora con noi – non è forse diventata un luogo, non solo geografico, ma simbolico degli opposti immaginari meridiani? Un confine che può essere valicato da chi, spinto dal principio speranza, cerca un altro mondo possibile dove vivere dignitosamente; per altri, è una frontiera, che va sempre più sorvegliata e, se possibile, sbarrata.

Alcuni Paesi del nord Europa lo fanno già. Danimarca e Svezia, da quando sono governate dalle nuove destre nazionaliste, hanno deciso di non far mettere piede sul loro territorio anche a quanti avrebbero titolo per chiedere l’asilo politico. Le persone sono esternalizzate, affidate soprattutto a Stati costieri del Mediterraneo (in Tunisia e in Egitto o ancora più in là, in Etiopia), ristrette in campi di concentramento in attesa che il dossier di ciascuno di loro venga esaminato e arrivi la decisione finale: respinti o accolti. Non basta segregarli per lunghi periodi, bisogna tenerli a debita distanza.

Nell’immaginario del nord, per riprendere una riflessione di Cassano, il sud esiste come paradiso turistico e, allo stesso tempo, come inferno del sottosviluppo di ritorno, popolato da società che non riescono a uscire dalle molte crisi che da troppo tempo vivono. Un sud non ancora civilizzato, da cui arrivano migranti che non s’integrano, stanno per conto loro e, tanto più grave, allevano generazioni in bilico tra le culture d’origine e i valori europei. In Danimarca, per esempio, nel 2018 il governo di centrodestra ha approvato in Parlamento una legge (etichettata dai media come legge anti-ghetti), che stabilisce che i bambini di famiglie di immigrati frequentino, oltre all’orario scolastico, 25 ore supplementari, in classi speciali e in orario pomeridiano, per apprendere la lingua e i valori danesi. Sotto la lente ci sono soprattutto gli immigrati che provengono da Paesi a maggioranza musulmana. Sono loro che mostrano di non volersi o sapersi integrare socialmente, in nome della loro differenza culturale e religiosa.

Su quasi sei milioni di abitanti, gli immigrati in Danimarca sono il 6% (360 mila persone), metà proveniente da Paesi europei. Le persone che possiamo presumere di fede musulmana sono circa 129 mila, compresi i rifugiati dalla Siria, che sono riusciti a entrare prima della nuova legge del giugno 2021 che obbliga i richiedenti asilo ad attendere l’eventuale riconoscimento del loro status fuori dei confini della Danimarca. L’esempio danese potrebbe essere seguito anche da altri Paesi dell’Unione, con un effetto mimetico tra quanti possono permettersi di chiudere con muri e fili spinati lungo la rotta balcanica le loro frontiere, come è già stato fatto dall’Ungheria o dalla Croazia, per esempio.

Il sud del sud del Mediterraneo rischia di non essere più nell’immaginario del nord un paradiso turistico. La Tunisia di Hammamet e Djerba è già da tempo all’inferno ed è paradossale sentire il suo Presidente plenipotenziario oggi evocare il pericolo di un’immigrazione dall’Africa sub-sahariana che finirebbe per soppiantare la popolazione arabo-musulmana. In più, ci sarebbe un disegno in tutto questo. Complottisti di tutto il mondo unitevi!

Al di là del repertorio retorico cui è ricorso il presidente tunisino Kaīs Saīd, un repertorio che vari esponenti dei partiti neo-populisti in Europa hanno frequentemente usato, la verità è che la Tunisia da tempo si misura direttamente con gli effetti perversi del cambiamento climatico nell’Africa sub-sahariana (che riguarda, per esempio, quei Paesi che gravitano attorno al lago Ciad, impoveritosi gravemente negli ultimi venti anni, come riserva d’acqua e fonte di sostentamento per milioni di persone che vivono sulle sue rive) e della guerra in Libia. Qualcuno finge di scoprire solo adesso che la Tunisia così come il Marocco e, in misura minore, l’Algeria sono toccati dal fenomeno migratorio tanto quanto i Paesi del sud europeo. È un riflesso della falsa coscienza di pensarsi il solo Paese, l’Italia, sotto pressione a causa dei tentativi d’ingresso irregolare dei migranti in Europa.

Zarrzis

Zarrzis, Rashid Quraishi nel Giardino d’Africa

La Tunisia, difatti, da tempo ha accolto un numero elevato di rifugiati dalla vicina Libia e vede aumentare il numero di migranti che scelgono le sue coste per il transito verso l’Europa. Nei pressi di Zarzis (siamo nel sud, non distanti da quello che era un paradiso turistico, Djerba [3]) esisteva sino a qualche anno fa un grande campo profughi per i libici che scappavano dalla guerra, mentre l’anno scorso è stato inaugurato un cimitero multi-religioso, il Giardino d’Africa, progettato e realizzato da Rashid Quraishi, artista algerino, per dare una sepoltura dignitosa ai naufraghi che perdono la vita nella traversata verso Lampedusa e che il mare restituisce sulle coste tunisine [4].

il Giardino d’Africa o del Paradiso,

Zarzis, Il Giardino d’Africa o del Paradiso

Il caso del cimitero multi-fedi di Zarzis è un buon esempio per riflettere su quanto Cassano ci ha lasciato in eredità: lo sguardo meridiano, quando si allarga dalle coste meridionali dell’Italia,  e abbraccia sia la riva sud del Mediterraneo sia quella orientale dell’Adriatico (il mare dei mari come lo chiamava Fernand Braudel) [5], costringe a vedere la realtà in cui viviamo da un’altra prospettiva. Si impara subito a guardare in altro modo alla questione migranti e ciò che ben presto appare chiaro e distinto è l’interdipendenza non solo economica e politica tra le due sponde del Mediterraneo, ma anche quella culturale, morale e religiosa, insomma l’immaginario collettivo. Che cos’è il Giardino d’Africa se non il riaffiorare nelle tragedie umane dei nostri tempi di un immaginario condiviso tra culture e tradizioni religiose che nel Mediterraneo hanno trovato il modo sia di dividersi e scontrarsi, ma anche di scambiarsi messaggi, intendersi e arricchirsi reciprocamente?

In tempi di conflitti culturali, di guerre che trascinano nella polvere anche i simboli religiosi, il pensiero meridiano parla anche attraverso una rivista come Dialoghi Mediterranei o come altre che sono pubblicate in Paesi della riva sud. Cito solo la rivista Insanyat (Umanità), edita dal Centro di Ricerca in Antropologia Sociale e Culturale dell’Università di Orano (CRASC) [6]. Spazi per riflettere assieme su tempi e problemi che nelle scienze umane e sociali si riferiscono alla vita vissuta delle persone così come all’organizzazione del potere nelle società contemporanee.

insaniyat_98-small480Incrociando gli sguardi e scambiandosi idee, magari frutto di ricerche sul campo, scopriamo che, nonostante le differenze culturali (lingue, religioni, usi e costumi), le nuove generazioni tra le due rive del Mediterraneo sono molto più vicine di quanto pensiamo noi adulti e, per molti aspetti, sono più avanti nell’immaginare possibile la parità di genere (anche in campo religioso) e l’effettiva tutela di alcuni diritti fondamentali, negati o compromessi tra le due rive: dal lavoro che c’è e non c’è al pieno esercizio della libertà religiosa, che, difeso a parole, risulta a volte limitata o in stato di vigilanza controllata.

Una rivista come Dialoghi Mediterranei, in conclusione, ha una sua ragione sociale in un tempo di temuti e gonfiati conflitti di civiltà, presunte guerre di religione (come quella tra Islam e Occidente o tra la Russia cristiana contro l’Europa spiritualmente decadente), stereotipi che diventano barriere comunicative della mentalità collettiva, oblio di memorie condivise. La rivista, infatti, si colloca nelle terre che stanno in mezzo al mare bianco (come suona in arabo il mare Mediterraneo), territorio culturale che permette di costruire ponti per favorire l’intesa etica tra culture diverse. Uno spazio, piccolo a piacere, ma non per questo non rilevante, del pensare meridiano. Un’ultima parola ancora a Cassano: 

«Il Mediterraneo lancia un messaggio di questo tipo: riconoscersi ed essere capaci di dialogare. Ovviamente questa tensione non si chiude mai come accade invece in Hegel, nel quale la tensione mira a incorporare l’altro dentro di sé, dando al soggetto il titolo a espandersi ulteriormente. L’altro rimane costantemente invece fuori di me. L’ossimoro è una figura assolutamente essenziale. Io devo sapere che il mio punto di vista è soltanto una porzione del mondo. Non amo, anzi potrei dire che temo tutti coloro i quali pensano di parlare in nome di una verità assoluta, perché costoro vedono gli altri come degli infedeli, degli idolatri. E quindi in qualche modo, custodiscono un’idea per cui sarebbe meglio convertire gli altri, cancellarne la differenza. Gli altri per me sono invece, una grande ricchezza, un altro punto di vista sul mondo»[7]. 
Dialoghi Mediterranei, n. 61, maggio 2023 
Note
[1] Bari, Laterza 1996.
[2] Il pensiero meridiano oggi: “Intervista e dialoghi con Franco Cassano”, a cura di Claudio Fogu, in California Italian Studies, 2010, 1 (http://dx.doi.org/10.5070/C311008844 Retrieved from https://escholarship.org/uc/item/2qf1598v). L’intervista fu fatta a casa di Cassano nell’estate del 2008 da Claudio Fogu professore di lingua francese e italiana all’Università di Santa Barbara.
[3] Luogo di memorie condivise tra ebrei e musulmani attorno a una delle più antiche sinagoghe del Maghreb, El Ghriba. Su questo sito rinvio a D. Albera and M. Pénicaud, “A Paradoxical Pilgrimage. The Ghirba Synagogue in Djerba”, in Religiographies, 2022, 1(1): 96-116.
[4] Il Giardino d’Africa è stato realizzato da artigiani locali, con piastrelle in perfetto stile Nabeul. Per distinguere l’area riservata a quanti si presume siano musulmani/e Rashid ha piantato cinque ulivi (i cinque pilastri dell’islam), mentre per quella dedicata a persone presunte cristiane, dodici alberi da frutta (i dodici apostoli). Il cimitero, inaugurato in pompa magna nell’estate del 2021, alla presenza del Presidente tunisino e dei rappresentanti delle tre religioni del Libro, è stato vandalizzato qualche mese fa. Per una ricostruzione più dettagliata di questo luogo condiviso in terra tunisina rinvio a S. Kuehn, “Rachid Kuraichi’s Migratory Aesthetics”, Religiographies, 2022, 1(1): 117-133.
[5] Sull’Adriatico segnalo due bei libri: E. Ivetich, Storia dell’Adriatico, Bologna, Il Mulino 2019 e R.D. Kaplan, Adriatico, Venezia, Marsilio 2022.
[6] La rivista è trimestrale ed è stata fondata nel 1997. Attualmente è diretta da Belkacem Benzenine. Esce con articoli in lingua francese o inglese e araba e da una decina di anni è diventato un punto di incontro e confronto tra studiosi delle due rive del Mediterraneo. Consultabile nel sito https://journals.openedition.org/insaniyat/
[7] Il pensiero meridiano oggi, cit.: 4-5.

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Enzo Pace, è stato professore ordinario di sociologia e sociologia delle religioni all’Università di Padova. Directeur d’études invité all’EHESS (Parigi), è stato Presidente dell’International Society for the Sociology of Religion (ISSR). Ha istituito e diretto il Master sugli studi sull’islam europeo e ha tenuto il corso Islam and Human Rights all’European Master’s Programme in Human Rights and Democratisation.  Ha tenuto corsi nell’ambito del programma Erasmus Teaching Staff Mobility presso le Università di Eskishehir (Turchia) (2010 e 2012), Porto (2009), Complutense di Madrid (2008), Jagiellonia di Cracovia (2007). Collabora con le riviste Archives de Sciences Sociales des Religions, Social Compass, Socijalna Ekologija, Horizontes Antropologicos, Religiologiques e Religioni & Società. Co-editor della Annual review of the Socioklogy of Religion, edito dalla Brill, Leiden-Boston, è autore di numerosi studi. Tra le recenti pubblicazioni si segnalano: Cristianesimo extra-large (EDB, 2018) e Introduzione alla sociologia delle religioni (Carocci, 2021, nuova edizione).

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