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“Per aspera ad astra”, andata e ritorno

csm_logo-segnali-vita_b0ad62a3f6di Chiara Lanini

Il lavoro di Leandro Picarella è un bellissimo documento etnografico che ci racconta la quotidianità e l’ethos di una piccola comunità di montagna, attraverso un’intelligente operazione narrativa che utilizza il potere reagente dello sguardo esterno e conflittuale di un astrofisico da poco giunto in Valle d’Aosta per motivi di ricerca.

La comunità, dislocata in diversi agglomerati abitativi, è composta da persone giovani e meno giovani, nate e vissute lì, custodi di tradizioni, imprese e saperi trasmessi dalla famiglia oppure approdate più di recente a quello stile di vita grazie ad incontri, legami, motivi diversi. C’è chi parla italiano, francese o addirittura solo patois, chi ha studiato e chi invece è depositario di una cultura che parla di questa terra, del lavoro, della natura che la circonda, degli animali che danno da vivere ma fanno anche parte della comunità.

Qui c’è un osservatorio astronomico che visto dall’alto sembra un uovo bianco e lucido, una presenza aliena al paesaggio di montagna, frequentato d’estate da comitive di studenti in viaggio di istruzione e dalla popolazione locale in occasione dei così detti star party, momenti didattico-divulgativi che servono per avvicinare l’astronomia alla gente comune.

Qui atterra o, sarebbe meglio dire, precipita Paolo (ho finito la mia caduta a Lignan, dice lui stesso), il ruvidissimo astrofisico in fuga dallo stress dalla vita milanese ma soprattutto, capiremo sempre meglio, dalla fatica di portare (e tenere) sguardo e cuore a terra, facendo i conti con relazioni, responsabilità, aspettative altrui. Con lui nel monolocale di Lignan vive Arturo, un robottino compiacente e oblativo che si chiama come una stella.

Paolo ha un incarico, a zero budget e senza assicurazione, conferitogli da un non meglio precisato comitato, supportato da non meglio definiti finanziatori. Deve fare ricerca all’osservatorio e condurre un’indagine sulle misconcezioni scientifiche della popolazione locale, inchiesta alla quale i suddetti finanziatori, pare, tengano molto. Lui, invece, sperava di avere il meno possibile a che fare con l’ambiente umano di quel luogo, tanto meno andando proprio a sollecitare coloro che potrebbero addirittura dubitare del fatto che l’uomo sia effettivamente andato sulla luna, che pensano che gli astri influenzino la vita umana, le colture, le nascite, la crescita dei capelli, e così via.

Paolo si è molto appassionato alla vita quiescente di un tardigrado estremophilo, organismo capace di sopravvivere a lungo alle condizioni più avverse, entrando in uno stato di morte sospesa, per riprendere vitalità quando l’ambiente circostante si presenta maggiormente favorevole. Paolo lo monitora costantemente.

Non molto dopo il suo arrivo, l’inverno è appena iniziato, il gigantesco telescopio puntato sulla volta celeste va fuori polare a causa di un cedimento strutturale: la forcella che lo sostiene si rompe e non si può riparare perché il tecnologo (termine interessante) è partito per una missione in Antartide e tornerà solo a fine stagione.

Questo è l’incidente che scatena la narrazione, senza telescopio non restano che l’inutile e noioso robot Arturo, l’alter ego tardigrado e l’indagine sulle misconcezioni della popolazione locale. Malvolentieri, quindi, lo spocchioso astrofisico, armato di videocamera, microfoni e questionari entra nel mondo della vita di Lignan.

Il film presenta un richiamarsi di metafore (il succedersi delle stagioni, il telescopio che cede e, naturalmente, il tardigrado in stato di morte sospesa) che ci invitano con insistenza a pensare l’evento narrato come un viaggio di andata e ritorno per aspera ad astra. Nell’ipotesi di partenza per Paolo Lignan non è che l’oblò di cui ha bisogno per tenere lo sguardo fisso alle stelle, distogliendolo dagli irriducibili conflitti e dalle contraddizioni che affliggono le questioni terrene.

13607Sembra soprattutto interessato al modello di comprensione del mondo che, definendosi esatto, mal tollera sfumature, opacità e contraddizioni, il procedere analogico anziché analitico, quella scienza dura che con metodi, strumenti e tecnologie adeguate (se funzionanti) sa costruire il discrimine che separa il vero dal falso, esercitando ciò che Foucault (1972) chiama volontà di verità, per imporre la propria prepotente egemonia su credenze minori, periferiche, popolari, che vanno dall’influenza delle fasi lunari sui cicli della natura, alla fede in Dio.

Quando la tecnologia va in crash anche lo sguardo di Paolo deve accontentarsi di ciò che si vede a occhio nudo. L’interesse di indagine, quindi, dal mondo fisico si sposta su quello della cultura locale, che, d’altra parte, come abbiamo detto ma viene ribadito, ai finanziatori interessa parecchio. Questa parte della ricerca è genericamente definita scienza e società, nonostante il termine misconcezioni (cacofonico oltreché segnalato dal correttore ortografico) dica in anticipo dove si andrà a parare: il popolo detiene un sapere deficitario in ambito scientifico, compensato o sostituito da deduzioni fantasiose, fasulle, fallaci.

Si apre così uno scenario interessante che, dal punto di vista socio-antropologico, può essere guardato su due piani interconnessi: quello della relazione fra potere e sapere, come dicevamo di foucaultiana memoria, e quello della dinamica che si genera nell’incontro fra outsider e comunità.

Vediamo, infatti, il nostro scienziato apprestarsi al tentativo di dare un contributo statistico (irrilevante vista la limitatezza del campione) al quesito sulle misconcezioni, adottando dei metodi di ricerca sociale piuttosto discutibili dal punto di vista epistemologico, come la somministrazione di una serie di domande che non si capisce se siano una video intervista o un questionario ma che, di fatto, assomigliano molto a un’interrogazione di scienze: cosa è il sole? quanti sono i moti terrestri? O quesiti trabocchetto come: “gli astri hanno un’influenza sulla natura e le attività umane?”.

Interessante e a tratti divertente è osservare l’impatto e l’urto generati dall’ingresso nel quotidiano di Lignan di un estraneo supponente che interpella gli abitanti a partire dal presupposto della loro ignoranza. Qualcuno lo nota e glielo fa esplicitamente notare, qualcun altro sollecita un dibattito, altri argomentano le proprie posizioni, altri ancora, nell’affermare la propria estraneità a questi temi, evidenziano l’inopportunità delle domande e dei modi di colui che le sta ponendo, piuttosto malvolentieri e suo malgrado.

Vero è, tuttavia, che il tema generale sollecita delle riflessioni importanti, che si possono collegare al corposo dibattito sulle epistemologie coloniali, dal momento che «la fine del colonialismo in quanto relazione politica non comportò la fine del colonialismo inteso come relazione sociale, mentalità e forma di sociabilità autoritaria e discriminatoria» (De Sousa Santos, 2001: 38). In questo caso, infatti, il termine coloniale non descrive la relazione storica che si instaurava fra le grandi potenze imperialiste e le loro propaggini a sud, ma quella che riproduce la stessa logica nel divario di credibilità che connota il sapere prodotto nei grandi centri direzionali del potere e dell’economia e quello che emerge dalla periferia che Leandro Picarella rappresenta in modo estremamente incisivo, una periferia del sistema di produzione fatto di strutture locali, indipendenti, minori, presentate come altro modello possibile di sviluppo sociale ed economico sostenibile, non fosse altro che per ragioni di longevità. Diversi sono i riferimenti che alludono alle polarità di questa dinamica: dal rapporto fra la grande città e il piccolo agglomerato di montagna, dove Paolo trova rifugio e anche, nonostante i presupposti, accoglienza, al riferimento alle logiche estrattiviste delle grandi multinazionali in contrasto con quelle dei piccoli produttori locali che un saggio del paese illustra con sconcertante limpidezza; all’enfasi sul linguaggio economicista del comitato che incarica la ricerca, ricordiamolo, a zero budget e senza copertura assicurativa.

9788870787597_0_536_0_75Grazie alla sollecitazione di Paolo i protagonisti della di Lignan raccontano le filosofie che supportano le loro pratiche di resistenza, rese ancora più vivide per effetto della funzione specchio esercitata dallo scienziato im-portatore della logica dominante. È nell’incontro implicitamente conflittuale con l’altro, lo straniero, che questo mondo rivela il proprio ethos teorico e pratico, ricordandoci, in una quasi inversione dei ruoli, ciò che diceva il sociologo e filosofo algerino Abdelmalek Sayad (2002). L’economia di queste borgate vive di allevamento bovino ed è a tale proposito che la comunità locale esprime in modo chiaro il proprio punto di vista emico su cosa vuol dire sviluppo, ecologia e sostenibilità, sull’irriducibile dilemma che mette in tensione le logiche di produzione e la relazione, anche affettiva, che si instaura fra sistemi viventi interspecifici e interdipendenti.

La comunità si interroga e interpella il proprio interlocutore sapiente, che viene da una pianura dove le mucche non hanno mai visto un pascolo, sulla mitologia che vede nel progresso un percorso di sola andata, unidirezionale e inarrestabile, una volontà di verità impermeabile alle titubanze che i riscontri tanto cari al paradigma scientifico dovrebbero sollecitare: 

«dove stiamo andando, tu che sei un uomo di scienza, ti faccio io una domanda…..secondo te non sarebbe meglio fare un po’ di stand by e dire stiamo correndo, stiamo impazzendo, siamo tutti uno più bravo dell’altro ma alla fine cosa abbiamo guadagnato in più? Non è arrivato il momento di dire fermiamoci e vediamo se questo progresso ha bisogno di una frenata, oppure andiamo avanti all’infinito e ci suicidiamo? Oggi il progresso, la scienza, è al nostro servizio…non vorrei, da profano, che domani siamo noi al servizio della scienza, sarebbe la fine dell’essere umano».

61dxsgmhmal-_ac_uf10001000_ql80_In una trama di corrispondenze disseminate fra una scena e l’altra il robot Arturo aveva enunciato le tre leggi della robotica di Isac Asimov: il robot non deve danneggiare l’essere umano; deve eseguire gli ordini a meno che questi non contravvengano alla prima legge; deve difendere la propria esistenza a meno che questo non sia in contrasto fra le prime due leggi. Oggi possiamo decisamente affermare che queste leggi sono state superate dall’utilizzo dell’AI per scopi bellici.

Nonostante i presupposti, l’attitudine colonialista implicita nei fondamenti di questo incontro e le modalità affatto cordiali, con il tempo Paolo accorcia la distanza che lo statuto che rappresenta avrebbe potuto cristallizzare. Da parte sua la comunità sembra sollecitata dalla curiosità e da una sorta di empatia verso questo essere umano evidentemente ammaccato dalla caduta. Il gate keeper che per primo apre il varco è Gabriele, favorendo l’accesso a un livello di relazione che sopravanza, trascende e neutralizza il setting dell’interrogazione-intervista, dove peraltro è stato lui a guadagnare il risultato migliore. D’ora in poi vedremo Paolo partecipare a momenti conviviali, durante uno dei quali verrà addirittura soccorso, accompagnato a casa e accudito per un’intera notte a seguito di una sbronza.

Con il succedersi delle stagioni arriva il disgelo, la natura rifiorisce e il tardigrado manifesta i primi segnali di risveglio. Riprende la stagione turistica e anche l’osservatorio torna a funzionare. Paolo ha finito il suo periodo di ritiro e prepara i bagagli per tornare. Severino, un anziano vedovo che corteggia una signora della vallata, gli chiede un favore: uno star party riservato solo ai locali, per invitare la sua nuova amica ad un evento speciale. La richiesta sembra forzare in qualche modo il protocollo, ma Paolo porta ugualmente la richiesta al comitato che acconsente alla concessione. La comunità per una sera si appropria dell’oggetto alieno e assiste ad uno spettacolo stellare, forse non tanto mossa dal desiderio di capire finalmente cosa è davvero il sole ma grazie all’intento di uno di loro di realizzare un progetto romantico. 

Dialoghi Mediterranei, n. 68, luglio 2024 
Riferimenti bibliografici
De Sousa Santos, B. (2001), Entre o próspero e o Caliban: Colonialismo, Pós-Colonialismo e interidentidade, in Ramalho, Ribeiro, Sousa (ed.), Entre ser e estar: Raízes, Percursos e Discursos da Identidade, Porto, Afrontamento.
Foucault, M. (1972), L’ordine del discorso. I meccanismi sociali di controllo e di esclusione della parola, Einaudi, Torino.
Sayad A., (2002), La doppia assenza. Dalle illusioni dell’emigrato alle sofferenze dell’immigrato, Raffaello Cortina Editore, Milano.
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Chiara Lanini, pedagogista, operatrice sociale, Phd in Scienze Sociali presso Disfor-Unige, curriculum Migrazioni e Processi Interculturali. Dal 1995 ad oggi lavora in ambito educativo, è cultrice della materia presso le cattedre di Sociologia della Famiglia e di Sociologia dell’educazione e docente a contratto di Sociologia dei Media presso il Corso di Laurea in Media, Comunicazione e Società dell’Università di Genova.

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