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Per quanto voi vi crediate assolti siete per sempre coinvolti. Il sogno di Roman

Roman (ph. Enrico Montalbano)

Roman (ph. Enrico Montalbano)

di Enrico Montalbano 

Ho visto tre bambini che giocavano alla guerra. Ho visto tre bambini che terrorizzavano un piccione. Ho pensato, attraversandoli, a questa attitudine al male come una cosa “a esclusiva discrezione” del genere umano.

Il racconto che riporto di seguito è la trascrizione, in sintesi, di una intervista video che realizzai nel 2008 (https://www.facebook.com/share/p/1B7NfPs3Wc/), in cui a parlare è un rifugiato congolese arrivato come tanti dal mare sul territorio italiano (scoprii che quel giorno stesso aveva ricevuto il permesso umanitario).

La sua storia non è dissimile da quelle migliaia di altre storie che da più di vent’anni abbiamo imparato a conoscere e molto velocemente a disconoscere, nell’affollato tritacarne quotidiano della narrazione mediatico-politica in cui molti, troppi, continuano disinvoltamente a macchiarsi di pesanti responsabilità, di omissioni e fatti oscuri.

La decisione del governo italiano di liberare recentemente, dopo un breve arresto, un uomo su cui pende un mandato di cattura da parte della Corte Penale Internazionale, accusato di tortura e gravissimi reati contro l’umanità, riaccompagnato tempestivamente in Libia con un aereo di Stato, sembra vada ancora una volta nella solita direzione, cioè quella in cui vale più l’Intrigo Internazionale, per citare il titolo di un famoso film di Alfred Hitchcock, piuttosto che la vita di chi si mette in marcia ingrossando quelle interminabili file di persone in fuga, una marea umana, cosi ben documentate nelle sensazionali riprese aeree di “Human Flow”, il pluripremiato film del regista cinese Ai Weiwei. Donne, uomini, famiglie che prima o poi finiranno per cadere nelle mani insanguinate di spietati boia protetti nelle camere buie del silenzio di Stato. 

Lo sbarco a Palermo, 2016 (ph. Enrico Montalbano)

Lo sbarco a Palermo, 2016 (ph. Enrico Montalbano)

La fuga di Roman 

«Mi chiamo Roman, vengo dalla Repubblica Democratica del Congo. A causa della guerra e di gravi problemi politici sono fuggito dal mio Paese, dopo che mio padre, presidente di un partito politico, è morto. Dal Congo democratico sono andato nel Congo Brazaville (Repubblica del Congo). Poi ho cominciato a spostarmi: Ciad, Benin, Nigeria. Ma anche lì non è stato facile e sono ripartito. Sono andato in Niger dove ci sono moltissimi profughi scappati da tanti Paesi che vogliono raggiungere la Libia, perché questa è l’unica strada possibile, e da lì arrivare in Europa. L’altra via di fuga è quella del Mali verso l’Algeria o Marocco. Tra il Niger e la Libia bisogna affrontare e attraversare il deserto.

Eravamo centodiciotto persone, stipate dentro un camion come sardine, senza aria e acqua, con un caldo soffocante. Per giorni abbiamo viaggiato così, vedendo soltanto la sabbia del Sahara. A metà del viaggio il camion si è rotto. Eravamo disperati. Le madri con i bambini piangevano.

Per quindici giorni abbiamo camminato a piedi nel deserto, ma durante il viaggio molti hanno cominciato a stare male. Una notte bambino è stato morso da un serpente ed è morto subito. Nei giorni a seguire è cominciata a mancare l’acqua, alcuni non ce l’hanno fatta. Se c’è un compagno, un amico che si ferma stremato tu non puoi fermarti, devi andare avanti se no morirai con lui. Chi ha ancora un poco d’acqua e la forza deve proseguire, non ha scelta.

Lo sbarco a Catani, 2016 (ph. Enrico Montabano)

Lo sbarco a Catania, 2018 (ph. Enrico Montalbano)

Mi sembrava di vivere un brutto sogno, invece era la realtà delle cose. Una notte mentre riposavamo sfiniti è arrivata la polizia libica. Hanno cominciato a urlare e chiederci chi fossimo, cosa facessimo. Poi sono ripartiti e ritornati il giorno dopo con acqua e un po’ di cibo. Ci hanno caricato in camion-container ed è in quel momento che ho compreso che i libici sono razzisti, non amano il colore della nostra pelle. Quando siamo arrivati in Libia ci hanno lasciato andare senza fornirci niente. Abbiamo incontrato altri migranti che vivono da più tempo in questo Paese, ci hanno aiutato, e grazie a loro all’inizio abbiamo potuto sopravvivere.

Ho visto molte cose durante la mia permanenza. Da straniero, se sei musulmano sei più rispettato, ma da cristiano subisci l’intolleranza religiosa e continue forme di razzismo.

Per un periodo ho lavorato come indoratore. Un giorno, dopo aver preso la paga sono stato derubato, insultato, attaccato per la strada da famiglie che mi lanciavano le pietre, e gli altri che uscivano dalle case ridevano e li incitavano. Ho continuato a vivere così, nella paura. Se vuoi stare più tranquillo devi fingerti musulmano.

In Libia c’è un grande tratta di esseri umani che pagano per imbarcarsi e attraversare il mare per raggiungere l’Italia. Tutto questo è gestito da politici e militari. A loro importa soltanto dei nostri soldi, non gli interessa se moriamo o arriviamo salvi. Ho parlato con un colonnello che mi ha chiesto mille euro per partire. Sono finito in una casa insieme ad altri in cui ci hanno detto di aspettare: una volta raggiunto un certo numero di persone saremmo partiti.

Cpt, Milo Trapani (ph. Enrico Montalbano)

Cpt, Milo Trapani (ph. Enrico Montalbano)

Un giorno sono uscito per cercare la chiesa che si trova nella medina del paese. Mentre camminavo con in mano la Bibbia sono stato fermato dalla Polizia che mi ha fatto molte domande. Ho risposto che stavo andando a pregare in chiesa. Mi hanno sbattuto violentemente sul cofano e hanno cominciato a picchiarmi, poi mi hanno arrestato e portato in carcere. Chiedevo loro perché facessero questo e mi gridavano: sei un bastardo cristiano!.

Nel carcere mangiavamo una volta al giorno e venivamo picchiati tre volte al giorno, anche prima di dormire, senza alcuna ragione o motivo. Ho visto anche tagliare un orecchio a una persona.

Ho subìto torture atroci: mi mettevano a testa in giù e mi picchiavano sui piedi, i miei piedi sono gonfiati enormemente. Si viveva tutti dentro uno stanzone, al buio, e la pipì e la cacca la facevamo lì dentro. Ci ordinavano la mattina a turno di ripulire.

Mi domandavo spesso: cosa ho fatto? Non ho fatto niente! Il carcere era nella città di Zuwara. Da quel carcere sono stato poi trasferito a quello di Misurata. Qui altre torture: venivamo portati fuori a petto nudo a cinquanta gradi con gli occhi aperti a fissare il sole, anche per un’ora. Chi provava a chiuderli veniva bastonato in testa.

La polizia arresta chiunque sia nero. Hanno perfino arrestato un consigliere dell’ambasciatore del mio Paese. Anche lui fermato per strada dalla polizia e portato in carcere. È stato proprio allora che l’ambasciatore è venuto in carcere e liberato tutti i congolesi. Così anche io ho potuto lasciare quella prigione.

L’interesse dei libici è sfruttare gli immigrati. Anche i soldi che guadagniamo finiscono per restare in Libia, perché li diamo ai trafficanti per fare la traversata. Così ho preso la decisione di lasciare questo Paese e di andare in Europa dove c’è la legge, dove posso stare bene e ricominciare…».

Lampedusa, Deportazione (ph. Enrico Montalbano)

Lampedusa, Deportazione (ph. Enrico Montalbano)

“Il re del mondo ci tiene prigioniero il cuore”

Il racconto finisce qui… 

In quei giorni dell’intervista, nel primo decennio del duemila, in cui molti eravamo impegnati a denunciare quanto stava accadendo da questa parte del Mediterraneo e smascherare l’ipocrisia di una falsa accoglienza, pensavo continuamente all’ultima frase del racconto di Roman: la sua scelta di fuggire dall’inferno libico e la certezza di un’Europa dei diritti e della libertà.

Avevamo già conosciuto agli inizi dell’anno 2000 i Centri di Permanenza Temporanea, molti dei quali in Sicilia, rappresentazione di sistematiche violazioni e abusi, vere e proprie centrali di potere politico e di reiterate sospensioni di quel diritto che Roman tanto agognava. Avevamo vissuto quattro anni prima la vicenda della Cap Anamur, la prima nave-ONG che salvò in mare aperto 47 profughi, contro la quale si innalzava per la prima volta quell’imponente muro enorme chiamato Fortezza Europa, una lunga frontiera di polizia, filo spinato, lager che in tutti questi anni, fino ai giorni nostri, ha drammaticamente ampliato le sue dimensioni.

E poi negli anni a seguire abbiamo svelato le altre facce della nostra tanto sbandierata civiltà occidentale che costruisce nuove forme di schiavitù e di sfruttamento nelle distese agricole delle raccolte stagionali (anche in quel caso girai un documentario sull’argomento), tra ricatti, e violenze sui corpi, un vero e proprio business sulla pelle di chi è già stato troppe volte ferito.

Il sogno e l’illusione. Quel sogno si è trasformato in un incubo: dal ritorno orrifico di oscurantismi in Europa e nel resto del mondo, tra paure, vecchi simboli e nazionalismi, all’ascesa in politica di miliardari oligarchi (tanta letteratura e cinema visionario ne avevano prefigurato l’arrivo), il cui obiettivo finale è diventare padroni del mondo, in nome di una assoluta tecnocrazia fondata sul definitivo controllo delle società.

Così come nella canzone di Battiato: “Il re del mondo ci tiene prigioniero il cuore”. 

Dialoghi Mediterranei, n. 72, marzo 2025

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Enrico Montalbano, nato ad Agrigento, vive e lavora a Palermo. Filmmaker e reporter freelance, ha realizzato, tra gli altri, diversi reportage e documentari sulla tematica delle migrazioni. Sulla storia dei Siciliani di Tunisia ha girato alcuni cortometraggi che sono stati selezionati e premiati in svariati festival. Ha collaborato con diverse emittenti televisive italiane e straniere, con testate giornalistiche, realizzando immagini sugli sbarchi, sui centri di accoglienza e sulla raccolta stagionale della manodopera migrante in Sicilia. Ha un canale su youtube dove sono visibili molti lavori realizzati: www.youtube.com/enricomontalbano.

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