«E adesso mi raccontava della sua vita di musicante. I paesi dov’era stato li avevamo intorno a noi, di giorni chiari e boscosi sotto il sole, di notte nidi di stelle nel cielo nero. Coi colleghi di banda che istruiva lui sotto una tettoia il sabato sera alla Stazione, arrivavano sulla festa leggeri e spediti; poi per due tre giorni non chiudevano più la bocca né gli occhi – via il clarino il bicchiere, via il bicchiere la forchetta, poi di nuovo il clarino, la cornetta, la tromba, poi un’altra mangiata, poi un’altra bevuta e l’assolo, poi la merenda, il cenone, la veglia fino al mattino. C’erano feste, processioni, nozze; c’erano gare con le bande rivali. La mattina del secondo, del terzo giorno scendevano dal palchetto stralunati, era un piacere cacciare la faccia in un secchio d’acqua e magari buttarsi sull’erba di quei prati tra i carri, i birocci e lo stallatico dei cavalli e dei buoi. – Chi pagava? – dicevo. I comuni, le famiglie, gli ambiziosi, tutti quanti. E a mangiare, diceva, erano sempre gli stessi».
Questa suggestiva pagina di Cesare Pavese, tratta da La luna e i falò, è un’istantanea della dimensione musicale nel suo più intimo legame con la società. Legame che riconosce agli oggetti e alle pratiche ad essi connesse il senso della storia e dell’identità, come anche della ricerca estetica e, in senso più inclusivo, della vita. Il riferimento ad oggetti quali gli strumenti musicali, non può non tenere conto della loro essenza intrinseca, la vitalità cui sono legati per il tramite dell’attività musicale e delle numerose declinazioni della creatività umana. Affrontare una lettura trasversale dello strumento musicale quale testo redatto su più livelli è quanto si realizza, attraverso una presentazione strutturata degli aspetti fondanti la natura della produzione e dell’uso, nel volume Strumenti musicali in Sicilia, curato da Giovanni Paolo Di Stefano, Selima Giorgia Giuliano e Sandra Proto, esito del progetto, da parte del Centro Regionale per l’inventario, la catalogazione e la documentazione (CRicd), di fornire un quadro dell’organologia siciliana che possa restituire, attraverso lo studio degli strumenti facenti parte delle collezioni pubbliche e private, la loro dimensione storica, sociale e artistica.
Un tratto da cui, come puntualmente argomentato nelle pagine introduttive, non si può prescindere, nella trattazione di questo specifico mondo della produzione umana, è l’approccio interdisciplinare che trova, in una sua sintesi ideale, un punto di incontro nella recente elaborazione della scheda di catalogazione SM. Secondo gli ordinamenti giuridici, infatti, si dispone che i Beni di interesse storico e artistico siano schedati seguendo parametri che fino a poco tempo fa non erano sufficienti per poter inquadrare l’oggetto “strumento musicale”. La realizzazione della scheda SM ha altresì aperto le porte ad una specificità a lungo negata agli strumenti musicali, se pensiamo al fatto che essi furono inclusi all’interno di sezioni di natura più generica, come nel caso dell’allestimento del museo, da parte di Giuseppe Pitrè nel 1909, in cui alcuni strumenti musicali raccolti dal medico-demologo furono esposti insieme ai giocattoli. Si è così provveduto, creando la nuova SM, già ampiamente entrata in uso – è del 2010 il volume, a cura di Proto e Giuliano, pubblicato dal CRicd, contenente le Norme per la catalogazione degli strumenti musicali.
L’intento tecnico-giuridico del progetto trova in questo volume un’apprezzabile estensione applicativa, attraverso un campionario di cento schede riferite a strumenti, sia di uso “culto” sia di tradizione folklorica, appartenenti a collezioni pubbliche e private. Quanto, invece, si riferisce al piano della promozione di questa consistente e interessante parte del nostro patrimonio, è discussa nei saggi, attraverso percorsi dettagliati che si snodano tra la sostanza materiale degli esemplari presentati e il valore immateriale in essi racchiuso. La considerazione di oggetti così peculiari non può, naturalmente, ignorare la loro essenza intrinseca, la vitalità cui sono legati per il tramite dell’attività musicale e delle svariate declinazioni della creatività umana. Per questa ragione, le pagine di catalogo sono precedute da contributi che illustrano lo strumentario siciliano secondo prospettive storico-sociali, antropologiche e artistiche e offreno al lettore un percorso cognitivo trasversale e multiplanare.
La tutela, promozione e fruizione dei fondi organologici facenti capo a collezioni pubbliche o private, non nutrono la sola finalità di custodire gli strumenti per la loro esclusiva capacità di produrre dei suoni: sarebbe, paradossalmente, come ammutolirli. Lo strumento musicale è oggetto vivo, ma soltanto se contestualizzato nella sua trama di rimandi simbolici che ne plasmano l’esistenza stessa. Uno strumento musicale nasce per sapienza costruttiva che va dal primario assemblamento di parti funzionali, nel caso di uno strumento di origine culta come quelli a tastiera, alla cooptazione di materiali esistenti in natura, come avviene per quanto concerne la produzione di suoni ritmici ottenuti, ad esempio, adoperando un baccello secco contenente dei semi. Passando per una fase di accordatura che segua il sistema armonico della peculiare cultura di riferimento, lo strumento, una volta costruito, accede all’universo della rappresentazione umana, nella sua dimensione sociale, religiosa ed economica o, per usare una efficace espressione coniata da Marcel Mauss, la sua dimensione di fatto sociale totale. I quattro saggi contenuti nel volume guidano il lettore verso una conoscenza globale degli strumenti, seguendo prospettive che, di volta in volta, ne rivelano la vita “oltre l’oggetto”, tenendo conto delle specificità areali riconoscibili nella loro produzione e uso.
Nel saggio Strumenti musicali nelle collezioni siciliane, il musicologo Giovanni Paolo Di Stefano propone un itinerario relativo al progressivo assembramento dei fondi organologici che si lega alla storia del fare e ascoltare musica nell’intera Isola: dall’approvigionamento di strumenti musicali per scopi didattici, all’interno dei conservatori, derivano collezioni dotate dei reperti più recenti, per via della continua sostituzione di vecchi strumenti con esemplari nuovi
La nascita delle collezioni private, sorte all’interno delle dimore delle famiglie nobili siciliane, testimonia come l’attenzione riservata agli strumenti musicali, talvolta apprezzati unicamente quali complementi di arredamento, fosse in gran parte una questione di prestigio sociale. La presentazione che Di Stefano compie della produzione degli strumenti musicali in Sicilia, segue l’ordine della classificazione Hornbostel-Sachs, basata sulla tipologia degli elementi che compongono gli strumenti e la produzione del suono – si suddividono in: Cordofoni, Aerofoni, Membranofoni, Idiofoni – e ad essa lega delle interessanti vicende relative alle destinazioni d’uso ed una panoramica sulla produzione manufatturiera siciliana, citando a esempio grandi impianti come quelli del catanese, operanti a cavallo tra XIX e XX secolo, ovvero la fabbrica di strumenti musicali a corda di Rosario Porto e lo stabilimento, sito a Mascalucia, di Carmelo Catania.
La dimensione produttiva riesuma una importante parte della storia manifatturiera siciliana che sembra sia stata facilmente dimenticata, scalzata dall’ingresso di strumenti provenienti da tutta Europa, che gli acquirenti ritenevano di fattura qualitativamente superiore. Eppure, Di Stefano, nell’ottica di destrutturare la diffusa esterofilia, si sofferma, a esempio, a illustrare le sperimentazioni tecniche nate sull’Isola citando i numerosi brevetti ottenuti dal messinese Leonardo Mazziniani, sulle innovazioni apportate alla fisarmonica.
Attraverso la sapienza e abilità costruttiva degli strumenti musicali passa anche il contributo di Sergio Bonanzinga che presenta l’attività musicale popolare siciliana sotto il profilo della competenza costruttiva, indissolubilmente legata all’atto performativo, già a partire dalla fase di accordatura degli strumenti. Condizione necessaria per la comprensione di questo patrimonio, è l’excursus che lo studioso compie muovendo dal concetto di musica – con ciò riferendosi allo strumento, quanto alla forma sonora da esso prodotta – sino all’aspetto della sua variabilità culturale: punti focali, entrambi, dell’indagine antropologica della musica. Fondamentale, nel contesto siciliano, è il tema delle stratificazioni culturali e degli approcci adottati sin dai primi studi. A partire dalle osservazioni dei viaggiatori stranieri del XVIII secolo, si introduce la rappresentazione stereotipata dell’attività musicale dei contesti rurali che, seguendo la formula del cronotopo idillico, riconosceva nei contadini suonatori, delle copie ideali dei virgiliani Melibeo e Titiro.
La svolta della demologia, grazie agli studi di G. Pitrè, S. Salomone Marino e C. Naselli, ha condotto, anche riguardo alle problematiche classificatorie, verso gli studi sistematici e le raccolte sonore – fondamentali le trascrizioni musicali di A. Favara – che sono poi confluite nei primi archivi sonori. Oggi, seguendo le prospettive degli studi etnomusicologici moderni, i materiali raccolti non solo ricostruiscono le forme musicali del passato, ma sostengono le realizzazioni del tempo a noi contemporaneo facenti capo ai repertori tradizionali, inserendole in una più ampia visione che non può prescindere dalle relazioni sociali: lo vediamo nella devozione popolare, quanto nelle produzioni sonore legate al lavoro. Lo studio sistematico e strutturato degli strumenti e della musica in Sicilia, procedendo, in tal modo, di pari passo con l’evoluzione metodologica della etnomusicologia, ha consentito di documentare il patrimonio organologico popolare siciliano, di cui la zampogna è certamente uno degli elementi più rappresentativi.
Il contributo di Angela Bellia, Oggetti sonori e strumenti musicali in Sicilia dal Neolitico al Bronzo Antico e dall’Età del Ferro all’Età Arcaica, Classica ed Ellenistica, offre al lettore la documentazione dell’attività musicale umana sin dai primi reperti rinvenuti, insieme alle questioni legate all’interpretazione degli strumenti musicali appartenuti a civiltà così lontane dal nostro tempo da rendere necessario, per una ricostruzione filologica, se non delle melodie prodotte, almeno dei modi e dei contesti d’uso, il ricorso alle fonti letterarie e visive. In particolare, la pittura vascolare ha consentito di riconoscere gli strumenti e le occasioni della produzione musicale, specie nelle occasioni legate ai simposi e alle feste religiose.
Lo strumento musicale quale oggetto d’arte è il tema del saggio La decorazione degli strumenti musicali di Selima Giorgia Giuliano e Sandra Proto, in cui si illustra l’aspetto dello strumento musicale “come tavola pittorica”, supporto di decorazioni e rappresentazioni che impreziosiscono tavole armoniche con intarsi madreperlacei e pitture di soggetti tratti dalla mitologia classica. Accade così che per quanto concerne l’intaglio e la scultura lignea che caratterizza i supporti degli strumenti a tastiera – esempio notevole è quello del clavicembalo costruito dal messinese Carlo Grimaldi nel 1697 – l’occhio dello spettatore è condotto quasi a dimenticare la funzione dello strumento, per soffermarsi ad apprezzare le qualità artistiche del manufatto.
Le studiose illustrano altresì la dimensione simbolica delle decorazioni degli strumenti di origine popolare, caratterizzate da soggetti zoomorfi e da iconografie di carattere agiografico, come nel caso delle rappresentazioni di San Giorgio e il drago.
Le cento schede contenute nel volume offrono infine un saggio metodologico dei temi introdotti e del concreto utilizzo della scheda SM, accompagnando il lettore nello specifico della dimensione tecnica e artistica dei singoli esemplari, presentati ciascuno con dettagliate descrizioni dei materiali, delle loro origini e destinazioni d’uso. Attraverso una così corale proposta argomentativa e visiva degli strumenti musicali siciliani, che tiene conto dei diversi punti prospettici ivi correlati, non possiamo non rilevare quanto la dimensione interdisciplinare degli studi sia necessaria in quest’ambito, perché il patrimonio censito possa essere oggetto di studio e di riflessioni a tuttotondo. Il contributo delle scienze fisiche è altrettanto in grado di fornire un prezioso apporto allo studio delle strutture degli strumenti, come dimostrano le indagini radiologiche e le pratiche di intervento ad esse conseguenti, finalizzate ad una conservazione ottimale dei materiali.
Dalla lettura del volume, riccamente illustrato, si ricava, dunque, non soltanto la rappresentazione puntuale e analitica dell’oggetto-strumento-musicale, ma una organica ricognizione dell’intero insieme delle sue funzioni, all’interno dell’universo antropologico siciliano: nei saloni dei palazzi nobiliari, allietati da arie per pianoforte, come nelle vie poco distanti, in cui la devozione popolare sacralizzava lo spazio con i suoni e i canti delle novene natalizie.
Dialoghi Mediterranei, n.13, maggio 2015
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Valentina Richichi, giovane laureata in Beni demoetnoantropologici presso l’Università degli studi di Palermo, sta conseguendo la laurea specialistica in Antropologia culturale. Si interessa di educazione nelle classi multietniche, di processi migratori e retoriche geopolitiche. Svolge ricerca nel contesto dell’accoglienza ai migranti e si occupa di progetti di cooperazione internazionale. È attualmente impegnata in uno studio sulla fotografia in età coloniale e sull’emigrazione siciliana negli Stati Uniti.
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