Nel 1991 Antonino Cusumano dava alle stampe un libro fondamentale per lo studio della ceramica popolare in Sicilia, con particolare riguardo, e non poteva che essere così, all’area della Sicilia Occidentale, e in particolare, alla “sua” Mazara del Vallo, dove ancora gli ultimi ceramisti producevano gli antichi “prodotti del fuoco”. Non a caso il libro di Cusumano prendeva il titolo La terra e il fuoco.
Fu presentato a Mazara, e io c’ero, per fortuna perché assistetti ad un piccolo dialogo tra il prof. Antonino Buttitta e Antonino.
A un certo punto, com’era solito spesso fare, Buttitta, rivolgendosi a Cusumano, gli chiese a bruciapelo: “Picchì ceramica?”, riferendosi ai prodotti maiolicati che secondo il professore non erano ceramiche. Tonino diede la sua risposta e tutto finì con un “ruggito” del leone, che nessuno intese, tranne forse Tonino (e il sottoscritto).
Oggi Vincenzo Forgia, a distanza di ben trent’anni circa, pubblica il suo libro di ricerca e in fondo autobiografico, e lo intitola proprio Le ceramiche d’uso in Sicilia dal XVIII al XX secolo. Arte, storia, tecniche e tradizioni (Catania, Editoriale Agorà, 2024), preferendolo al più scientifico e usato ceramiche popolari.
Si tratta di prodotti quasi tutti stagnati, cioè maiolicati, “usati” da tutti i ceti sociali per vari impieghi legati al ciclo della vita, delle ritualità e della religiosità. Il libro di V. Forgia si articola in cinque capitoli: I) Cenni storici; II) La creta: dalla cava alla plasticità; II) Turnianti (o Turniaturi). Il tornitore IV) Stoviglie e arredi. Cannataru o mastru ra robba stagnata. Stovigliaio; V) Pasturaru stampaturi. Modellatore e stampatore di pastori.
Ogni capitolo è illustrato con disegni tipologici, frutto del paziente lavoro di Foggia disegnatore, che “nasce” sì ceramista, ma che nel tempo si è diplomato maestro d’arte, insegnando in vari istituti superiori disegno e composizione. Ma non si creda che siano disegni “d’un prufissuri”, per niente: hanno la vivacità e la forza espressiva proprie di artisti popolari come i pittori dei cartelloni dell’opera dei pupi o gli artisti popolari che disegnavano per lavoro i modelli da replicare poi in bottega. Seguono, ed è la parte più corposa del libro e “catalogo”, belle foto a colori che ci presentano una carrellata della ceramica popolare (idest “d’uso”) del calatino.
Un lavoro quello di Forgia che colma un vuoto. Io l’ho visto nascere tanti anni fa, perché sono stato e sono un assiduo frequentatore della bottega del “mastro”, quando tutti preferivano i “nobili” nomi di ceramisti chiamati “maestri” (non faccio i nomi per ovvi motivi). Io preferivo le botteghe, le putie, le case e le fornaci affumati dei vari Iudici, Graziano, Leone e appunto Forgia. Lo conosco ormai da almeno quaranta anni.
Egli non proviene da una famiglia di ceramisti, ma è stato sempre vicino a quel mondo per vari motivi: curiosità, studio, fascinazione. Infatti, dopo aver conseguito il diploma di maestro d’arte presso l’Istituto d’arte di Caltagirone, ha insegnato, fino alla pensione, in un Istituto superiore.
Ma il suo legame col mondo dei ceramisti lo ha portato ad aprire una bottega e una Casa del ceramista, che col tempo è divenuto un vero e proprio Museo della ceramica popolare, dove gli oggetti sono esposti secondo criteri legati alla collocazione in ambiente più che alla esposizione in vetrina. Ne è nato quello che di fatto è un Museo, una “Casa Museo del ceramista”, che il buon Enzo ha aperto alle scuole, ai liberi cittadini e a un turismo di nicchia e competente.
Ma si sa qual è il destino dei musei oggi e le amarezze che causano nei loro fondatori e gestori: l’indifferenza, l’invidia “paesanotta”, anche in centri come Caltagirone “capitale della ceramica”. Ma il maestro ceramista Forgia non demorde, nonostante gli anni che passano, anzi risponde con una pubblicistica di ottimo livello che annovera una monografia come La formella maiolicata dal XVIII al XX secolo, (De Pasquale ed., 2011), e diversi articoli su giornali e riviste.
Come scrive Sandro Torrisi nella prefazione al volume: «La monografia di Vincenzo Forgia aggiunge un tassello significativo alla storia della ceramica siciliana, non attraverso la ricerca d’archivio ma per mezzo della sua “arte” di ceramista. Una conoscenza che è figlia diretta dell’esperienza dell’autore, acquisita fin da bambino quando iniziò a “vivere” la bottega degli stazzunara e a “rubare” agli anziani ceramisti i loro segreti secolari affinché i quattro elementi – la terra, l’acqua, l’aria ed il fuoco – dessero vita a quegli oggetti che per millenni hanno semplificato ed arricchito la vita dell’essere umano».
Certo, sulla storia della ceramica calatina aleggia la ricerca del grande Antonino Ragona, che ha insegnato a generazioni di studiosi e studenti i segreti della ricerca, fatta di conoscenza diretta, ma, soprattutto, di dura, durissima ricerca archivistica, per trovare preziosi inventari di oggetti d’uso, tra i quali spesso figuravano le “alvarette”, le formelle calatine, o i mattoni “stagnati”, che adornavano palazzi e chiese. Ha così consentito di far uscire dall’oblio figure sconosciute, o conosciute parzialmente, di figurinai, pasturara e madunari, e anche artisti del calibro dei Bongiovanni e dei Vaccaro o dei ceramisti della rinomata fabbrica Vella.
E così alla esperienza diretta sul campo di Enzo Forgia si può benissimo associare la ricerca archivistica e fondere le cose in uno sguardo prospettico, panottico, oltreché fattuale e tecnico. Io stesso, partito dalle botteghe dei ceramisti calatini, come Iudici, Graziano, Romano, Velardita, Forgia, sono transitato per la ricerca archivistica, onde colmare i vuoti, le lacune che l’esperienza sul campo lascia inevitabilmente, come ben sa Salvatore Calogero, o Eugenio Magnano di San Lio, che con il gruppo della rivista “Agorà” ha editato il volume. Ho sempre auspicato e cercato di praticare una visione olistica dello studio della ceramica così che la ricerca sul campo, l’osservazione diretta dei manufatti e degli uomini, andasse di pari passo con l’indagine archivistica e storica condotta attraverso soprattutto i rogiti notarili.
Il volume si chiude con una postfazione di Rosalba Panvini, che certo non è una studiosa di ceramica popolare moderna, ma è affermata archeologa, già Soprintendente ai Beni Culturali di Siracusa, che punta tutto sulla comparazione, istituendo utili raffronti tra la produzione di oggi e quella del passato anche più antico. Giusta considerazione, se si pensa che le fornaci tradizionali derivano pari pari dalle fornaci greco-romane e poi arabe, che certe tecniche e modalità di fabbricazione si sono perpetuate nei secoli.
Certo, la ceramica invetriata (stagnata) non fu praticata dai greci, che preferivano il colore sulla superficie della terracotta, ma è pervenuta a noi dal magico Oriente Babilonese, Persiano o dalla sontuosa Baghdad, attraverso i Bizantini e gli Arabi, abilissimi i primi nei mosaici, i secondi nell’invetriatura geometrica. Risulta dai reperti che i legami con la ceramica antica sono più evidenti nella ceramica non maiolicata, che serviva alle cotture dei cibi: qui scopriamo la continuità sorprendente di certi manufatti, specie da cucina o propri dell’uso quotidiano.
Nei disegni così precisi, così puntuali dei prodotti sono esplicitati linee, profili e forme di un modo di plasmare l’argilla che riconduce l’arte di Forgia alle origini remote della storia della terracotta e della cultura figurativa popolare. Nella illustrazione e descrizione di questo inedito catalogo si scrive dunque una importante pagina della civiltà materiale su cui si è basata ed evoluta l’arte ceramica più illustre, quella maiolicata. Non si capisce davvero quest’ultima senza avere conoscenza delle tecniche empiriche e delle soluzioni formali sperimentate dai maestri di quella che un tempo si chiamava arte figulina. Nel libro di Forgia ritroviamo le ragioni di queste connessioni, di questi antichi e sotterranei legami. Frammenti di un mondo e di un modo di vivere e di lavorare consegnati alla memoria collettiva.
Non possiamo infine sottacere l’eleganza del volume: ben curato, ben stampato, ottimamente illustrato, che aspetta il lettore curioso e lo studioso che vuole ancora apprendere, quando sembrava tutto già scontato! Enzo Forgia dedica il volume ai suoi genitori che sin da ragazzino lo hanno fatto appassionare alle «tradizioni dell’amata Sicilia, con le sue arti e la sua storia millenaria». Perché l’arte – popolare e non – è anche e soprattutto tradizione.
Dialoghi Mediterranei, n. 70, novembre 2024
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Luigi Lombardo, già direttore della Biblioteca comunale di Buccheri (SR), ha insegnato nella Facoltà di Scienze della Formazione presso l’Università di Catania. Nel 1971 ha collaborato alla nascita della Casa Museo, dove, dopo la morte di A. Uccello, ha organizzato diverse mostre etnografiche. Alterna la ricerca storico-archivistica a quella etno-antropologica con particolare riferimento alle tradizioni popolari dell’area iblea. È autore di diverse pubblicazioni. Le sue ultime ricerche sono orientate verso lo studio delle culture alimentari mediterranee. Per i tipi Le Fate di recente ha pubblicato L’impresa della neve in Sicilia. Tra lusso e consumo di massa (2019); Taula matri. La cucina nelle terre di Verga (2020); Processo a Cassandra (2021); Taula matri. Il vino del Sudest Sicilia (2023).
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