di Ninni Ravazza [*]
Fra le attività alieutiche la pesca del tonno con impianti fissi di rete (tonnara) è quella che storicamente ha sempre impiegato il maggior numero di addetti (tonnaroti o anche tonnarotti): fino a 100 persone nelle tonnare più grandi (Favignana, Bonagia, Capo Passero e Marzamemi in Sicilia, Saline in Sardegna, Pizzo Calabro).
La tonnara è stata per secoli un microcosmo pressoché autarchico (anche culturalmente) dove l’esito della pesca, il “successo industriale” dell’attività, è dipeso dalla uniformità e omogeneità dei comportamenti lavorativi: l’opera di ciascun tonnaroto, sia pure mediata dalla figura del rais, avrebbe dato frutti nulli se non raccordata alle operazioni messe in atto da tutti gli altri.
In questo contesto la “comunicazione” è stata indispensabile per organizzare il lavoro corale: essendo esclusa ogni attrezzatura tecnologica (radio, telefoni, ricetrasmittenti), il ricorso è stato a suoni e gesti per trasmettere ordini e informazioni al fine di muovere all’unisono una “macchina” complessa il cui elemento principale è l’uomo/tonnaroto, e inoltre per intervenire in maniera unitaria e uniforme nei confronti delle potenze numinose e naturali da cui dipendono le sorti della pesca e dunque della comunità di cui fanno parte i tonnaroti (in questo caso preghiere e invocazioni recitate/urlate collettivamente o in alternanza solo/coro: ciurma).
In un contesto in cui la modernità non ha mai fatto ingresso se non nel materiale impiegato per realizzare reti e cavi, la comunicazione è sempre stata affidata a espressioni verbali o gestuali codificate nei secoli; tali espressioni trovano una certa omogeneità anche in realtà diverse nel tempo e nello spazio. Tutte le tonnare distribuite lungo le coste italiane mostrano un patrimonio linguistico e antropologico molto simile, e la stessa cosa si riscontra anche negli impianti di Spagna, Tunisia, Libia, tutti luoghi in cui l’arte della pesca del tonno è stata se non creata certamente perfezionata dai rais e marinai trapanesi.
La gran parte della “comunicazione” all’interno del gruppo di pescatori operanti in tonnara è stata affidata a espressioni verbali trasmesse dai rais o dai capibarca (che spesso facevano da tramite fra il rais e i tonnaroti); più raramente si è fatto ricorso a strumenti musicali ma in questo caso si è trattato solo del fischietto usato dal rais nel momento del calo delle reti e della mattanza (Favignana). In tutti i casi comunque si può parlare di “suoni” limitati a un ristretto spazio fisico (in seno alla stessa barca o tra imbarcazioni vicine).
Comunicazione per segni
Una diversa “comunicazione”, stavolta non all’interno del gruppo dei tonnaroti ma rivolta al padrone/gabelloto della tonnara, è stata affidata alla esposizione di bandiere sulle barche per segnalare a terra (nel caso di reti calate non troppo lontane dalla costa) la consistenza dei tonni pescati al fine di approntare i magazzini per la eviscerazione o i mezzi per il trasporto sui mercati e nelle ditte di lavorazione [1].
Analogo sistema elementare di comunicazione avveniva tra barche distanti tra loro: solo i pescherecci adibiti al traino della flotta (vascelli, palischermi, muciare) negli ultimi anni (dal ‘40 in poi) avevano in dotazione l’apparato radio, cosicché i messaggi per segnalare un’emergenza avvenivano issando una lunga asta visibile da discreta distanza, a volte con una pezza bianca in cima: “stanno facendo bannera [bandiera]” era l’avviso rilanciato dal tonnaroto che per primo avvistava la segnalazione. Medesimo accorgimento veniva impiegato dal rais di San Giuliano impegnato in tonnara per chiedere che da terra mandassero tutte le barche per fare mattanza: “Alle ore 14 il Rais ha fatto bandiera, sono usciti il vascello e il vascellotto” [2].
Gli stessi proprietari della tonnara di San Giuliano comunicavano con le imbarcazioni al “nauto” [3] mediante fuochi accesi a terra: il 21 maggio 1917 “si è dovuto far fuoco per fare ritornare le barche …” a causa del maltempo [4]. Le reti venivano calate a poco più di un miglio dalla costa (2.400 metri circa) e dunque in buone condizioni di visibilità, o con l’ausilio del cannocchiale, era possibile la comunicazione a vista. Una comunicazione rivolta all’esterno per celebrare un avvenimento fausto quale la mattanza, ma anche per avvisare i rigattieri dell’imminente arrivo dei tonni a terra, era l’esposizione della bandiera italiana sulla torre del palazzotto di Sancusumano, sede amministrativa della tonnara di Bonagia/San Giuliano. Nella tonnara del Secco a San Vito lo Capo, situata tre chilometri a levante del paese, la “gente d’aiuto” [5] veniva convocata facendo fumare l’alta ciminiera un tempo al servizio delle fornaci per la cottura dei tonni che fino ai primissimi del ‘900 qui venivano lavorati [6].
Esisteva in tonnara anche una comunicazione affidata al “suono” e in questo caso lo strumento impiegato era una campana. Quotidianamente questa veniva suonata per svegliare i tonnaroti che dormivano negli alloggi loro riservati: nei “Diari” della tonnara del Secco meticolosamente redatti in gran parte dal proprietario Giovannino Plaja viene annotata con scrupolo l’ora della sveglia (fra le 03,30 e le 05,00) distinguendo anche l’ora legale (quando vigente) e quella solare [7]. Altra testimonianza della sveglia data dal suono della campana viene dalla tonnara di Scopello dove la ciurma dormiva in stanzoni con lettini messi in fila: “Alle 4,30 il rais suonava la campana e c’era sveglia per tutti e s’arrisittavamu” [8].
Ancora questo strumento “musicale” era protagonista della comunicazione più emozionante e commovente nel mondo della tonnara: il “suono della campana” in occasione dell’arrivo dei primi tonni fra le reti. Una regola ferrea era il segreto su quanto avvenisse in tonnara: solo il rais poteva scrutare sotto la superficie del mare attraverso il batiscopio (lo “specchio”) e ufficialmente era l’unico depositario della realtà sull’andamento della pesca; chiunque sulle barche avesse sentore della situazione era comunque tenuto al silenzio.
Il rais comunicava al padrone le notizie e quando c’era la certezza che la tonnara era “anniscata”, cioè erano arrivati i primi pesci che avrebbero attirato i successivi branchi, arrivava il momento di trasmettere la buona nuova all’intero borgo che dalla pesca traeva benessere e speranza per il futuro prossimo (di fatto i marinai solitamente avevano già capito tutto): un tonnaroto di fiducia del rais era incaricato di raggiungere, senza farsi scorgere, la cappella della tonnara e lì suonare a stormo la campana della chiesa. Il suono trasportato dalla brezza si propagava per l’intero territorio raggiungendo i borghi limitrofi, e la gente accorreva numerosa per fare festa gridando “sonao ‘a campana” (Bonagia): in questa occasione i proprietari festeggiavano offrendo ai tonnaroti un quartino di vino (negli ultimi anni tre bottiglie di birra) a testa [9].
Il suono della campana veniva impiegato nella tonnara di Magazzinazzi [10] anche per dare il tempo alle operazioni pressoché quotidiane di varo e alaggio delle imbarcazioni dalla spiaggia sabbiosa in quanto la zona era priva di porto o pontili [11]. Manifestazione di grande impatto emotivo era la processione del primo tonno catturato nel borgo marinaro della tonnara, accompagnato dalla “musica” (la banda) e dai tamburelli, come ricorda anche il demologo Giuseppe Pitrè tra Otto e Novecento [12].
I suoni all’interno del gruppo di tonnaroti
I “suoni” della tonnara sono essenzialmente due: i Canti di Lavoro e le Invocazioni religiose. Entrambi hanno la peculiarità di trovare motivazioni ed espressione in un contesto corale. Non si intona un canto né si recita una preghiera in solitudine, e questo per un fondamentale motivo: la tonnara è un lavoro/ambiente comunitario dove l’individualità non esiste se non nella figura epica del rais, che pure nulla potrebbe fare al di fuori del contesto della costante collaborazione della “ciurma” dei tonnaroti. In questo senso sia i canti che le preghiere devono coinvolgere tutti quanti partecipano al lavoro e da questo si attendono una risposta positiva alle loro esigenze lavorative e sociali.
La pesca tradizionale del tonno con le tonnare fisse, come è stata praticata per secoli, ha pure un’altra caratteristica: di fronte ad avversità naturali, meteorologiche, o ad errori umani, non è possibile intervenire radicalmente spostando le reti in altri siti, come si fa con i ciancioli, le tremaglie, i palangari e altri metodi alieutici; una volta calata la tonnara, lì resta per tutto il periodo della pesca, e dunque l’unica speranza dei pescatori di ovviare a una stagione negativa è rivolgersi alla divinità.
Così non solo le preghiere e le invocazioni, ma anche i canti di lavoro, l’adozione di simboli e i comportamenti rituali, sono permeati di un fortissimo senso di religiosità: «… preme l’osservanza della religione da cui giudica di dover dipendere non poco il buon esito della pesca», scriveva nella seconda metà del XVIII secolo l’abate Cetti parlando dei rais in Sardegna [13].
I fenomeni musicali della cultura tradizionale, e dunque anche della tonnara, così come descritti dall’etnomusicologo Sergio Bonanzinga [14], sono sinteticamente divisi in tre categorie:
- i “ritmi tecnici”, che sono destinati a facilitare il lavoro in un contesto ergologico, dunque a coordinare lo sforzo dei lavoratori perché si muovano all’unisono;
- i “suoni segnale” destinati a trasmettere messaggi;
- i “suoni espressivi” dove prevalgono motivazioni simboliche ed estetiche.
Fra i “ritmi tecnici” rientrano a pieno titolo le cialome della tonnara, canti che accompagnavano le fasi più faticose del lavoro dei tonnaroti: il tiro delle reti della camera della morte, l’alaggio delle pesantissime ancore, l’alaggio e il varo dei vascelli, l’imbarco e lo sbarco delle reti sugli stessi vascelli. Quasi tutti lavori che fino all’ultimo sono stati svolti a mano, senza l’ausilio di macchinari meccanici. In questa fase tutti gli uomini dovevano applicare lo sforzo contemporaneamente, e per questo alla voce/incitazione di un “solo” (ruolo affidato a persona esperta, che in quel frangente non partecipava allo sforzo collettivo), la ciurma rispondeva in coro, uniformando lo sforzo.
In questo contesto rientrano i canti più famosi di tonnara: “Ajamola” e “Gnanzò” (con le loro varianti tra zona e zona; erano i canti che precedevano la mattanza, quando i tonnaroti a bordo del vascello di levante tiravano in superficie le reti della camera della morte). In una prima fase della “assummata” delle reti, contraddistinta da movimenti più lenti, si intonava “Ajamola”, con la ciurma che rispondeva all’unisono ripetendo due o più volte tale termine dall’etimo incerto all’invito del “solo”, che nella sua litania riprendeva testi ovunque simili, dove il richiamo alla religione era costante: “Ggèsu Cristo cu li Santi / E lu Santu Sarvaturi …/ E San Petru varva bianca …/ E ppi nnome Ggesù chiamau ..”. A ogni strofa intonata dal “solo” la ciurma rispondeva Ajamola …
Quando la rete era già quasi tutta a galla e lo spazio per i tonni era minimo, e i pesci impazziti sbattevano l’uno contro l’altro metà fuori dall’acqua, era il momento di affrettare i movimenti e il “solo” all’invito “cangiala” (cambiala [la cialoma, la cadenza]) intonava “Gnanzò” con ritmo più veloce; anche qui i temi religiosi erano fondamentali: “Gnanzò lu figghiu / di Maria/ ppi grazia / Fusto prena …”; il coro rispondeva a una voce “Gnanzò”. La ciurma si muoveva all’unisono nel momento della risposta alla voce del “solo”: erano dunque ajamola e gnanzò a dare il ritmo ai movimenti [15].
Ritmo “tecnico” è anche “uno … e dui” che si scambiano i due “corchi ‘nmenzu”, i tonnaroti più esperti che si gettano alle spalle il tonno quando gli altri si sono scansati e loro compiono l’ultimo sforzo, stando bene attenti a non prendere un colpo di coda sulla schiena che potrebbe essere mortale. I due uomini (non necessariamente i più forti degli otto che compongono ciascuna squadra [rimiggiu], ma i più esperti), dopo avere fatto allontanare gli altri che usano i “corchi” (uncini) più lunghi, afferrano per le ali il tonno già a metà sul vascello e lo fanno scivolare alle loro spalle. Sono loro a stabilire l’istante in cui il tonno va spinto; in questo caso non si tratta di un ordine ricevuto ma di un’azione concordata fra i due, e l’incitazione serve a impegnare contemporaneamente il massimo sforzo. Uno … e dui, e il tonno finiva sul fondo del vascello.
Che Diu lu faccia …
Anche nella preghiera (che non è un canto, piuttosto una litania, comunque un “suono”) c’è l’alternanza del “solo” e del “coro”, ma in questo caso il solista – quasi sempre un capobarca anziano, più raramente il rais – recita tutta la preghiera e la ciurma in coro risponde solo dopo l’ultima strofa: “Un credo u Signori / ‘na salve Regina a’ madre ri dDiu di Trapani / ‘na salve Regina a’ madre ri dDiu ru Carvariu …”, fino alla strofa finale “Un padre nostru a San Petru chi prea u’ Signori pi’ ‘nnabbunnanti pisca”; il coro/ciurma risponde “Che Diu lu faccia”; la preghiera viene conclusa dallo stesso “solo” che apre ufficialmente il tempo del lavoro: “repuemeterna ‘i Santi priatori d’i nostri morti. Santo Buongiorno!”.
Quando la stagione della pesca volge al termine e non si aspettano più tonni ma gli uomini sono impegnati nello smontaggio delle reti, il “solo” cambia la strofa finale che diventa: “Un padre nostru a San Petru chi prea u’ Signori p’ a salute e ‘a Divina Provvidenza”; anche in questo caso la risposta corale è: “Che Diu lu faccia” [16]. Qui siamo già nel campo dei “suoni-segnale” che trasmettono un messaggio: si tratta dell’augurio di una buona pesca (o buona fortuna) che coinvolge tutta intera la ciurma dei tonnaroti.
Preghiere, o comunque invocazioni alla divinità, si rivolgono anche in alcuni momenti topici del lavoro: quando si entra con le barche fra le reti, il rais si leva il cappello e tutti salutano la tonnara “Santo buongiorno!”, rivolti anche alla croce con le effigi dei Santi protettori della pesca posta all’incrocio dei cavi sopra la “bocca” attraverso cui entrano i pesci; al momento di abbandonare il recinto sacro della tonnara per tornare a terra, il rais incita “Un credo u’ Signuri”, e la ciurma risponde “E sempre sia laurato!”, poi proprio quando le barche scavalcano i cavi di sommo si saluta la tonnara “Bona notti, bona sorti, bona tonnara” dicono tutti all’unisono. Qui appare chiara la similitudine con l’omaggio ai Lari protettori della casa, e un saluto identico nelle campagne siciliane si riservava ai “patruneddi ‘casa”, spiriti benigni posti a guardia della dimora che spesso assumevano le sembianze teriomorfe dei gechi: “buongiorno a tutta la compagnia” [17]
Quando vengono ultimate le operazioni di posizionamento dei cavi (cruciato) i tonnaroti si rivolgono alla muciara e festeggiano gli uomini che hanno diretto i lavori andati a buon fine: “E cu’ salute o’ rais e o’ suttarais”.
Analoghe espressioni di fideismi intimamente collegati alle dinamiche della pesca ho registrato alla fine del primo decennio di questo secolo relativamente alla tonnara di Scopello. La tonnara aveva terminato di operare nel 1984 e l’occasione di incontrare anziani pescatori (oggi scomparsi) mi fu data dal dottor Antonio Oliva (cui va un pensiero affettuoso) figlio del rais Vincenzo; l’incontro avvenne nel piccolo e bel Museo del Mare di Nino Paradiso a Castellammare del Golfo. Alcuni degli interlocutori si presentarono col solo nome di battesimo preceduto dall’appellativo zù (zio) [18].
Zù Aspano (Gaspare): “Dall’inizio alla fine della tonnara ogni volta che si usciva dal passaggio dei faraglioni si metteva la Madonnina su una montagna dove c’era ‘na cappellicchia; appena si arrivava il rais Oliva fermava tutti, si dicevano le preghiere, Padre Nostro e Ave Maria, e poi dopo la parola amen si partiva [alla volta delle reti]. Quando si finiva di fare mattanza e si muddava si diceva «un credu u’ Signuri». Anticamente c’era un monaco che girava per tutte le tonnare e in onore di San Antonio si prendeva un tonno, lo pretendeva dicendo che noi di Scopello pregavamo ‘A bedda matri du’ Rumiteddu”.
Un altro tonnaroto (zù Pio) ricorda: “Quando mettevamo la rete sopra i parascarmi c’era un momento in cui un tonnaroto prendeva la rete e tutti toglievamo il berretto e dicevamo, cantando e gridando «La bedda Matri di lu Rumideddu n’avi a ffari pigghiari dumila tunna a la tonnara di Scupeddu, e sia laurato lu santissimu Sacramentu»” [19].
La presenza di un monaco del Romitello che aspettava la prima mattanza per farsi regalare un tonno da portare al Santuario l’ho registrata anche nella tonnara del Secco a San Vito lo Capo (più sotto viene riportato un Canto di tonnara che accenna a questa usanza, per un periodo tralasciata con gravi ripercussioni sugli esiti della pesca) [20].
Ci sono anche suoni-segnale che assumono la veste di codice cifrato, traducibile solo da pochi. Al momento di ordinare la mattanza nella tonnara di Bonagia soltanto il rais aveva contezza (pur vaga) del numero dei tonni rinchiusi nella “camera”, ma in quella fase doveva comunicarlo al sottorais che aveva il compito di ordinare la chiusura dell’ultima porta di rete (porta cannapo intrecciata con gialli fiori di primavera) quando con lo “specchio” li vedeva passare. Per evitare che gli altri tonnaroti capissero, il rais Sarino Renda passava accanto alla barca del sottorais Mommo Solina (che poi prenderà il suo posto) e a seconda del numero dei tonni gli riferiva il nome di una città: “Trapani” che voleva dire 50 tonni, “Palermo” 100, “Castellammare” 150, “Messina” 200, “oltre” se erano più di 200 [21].
Alla fine della mattanza, quando i tonni sono già sui vascelli ed è arrivato il momento di slegare le reti attaccate alle barche, il rais dopo avere chiesto conferma che tutti i tonni siano stati issati a bordo: “Ci ‘nn’è cchiù?”, invita i tonnaroti a liberare le reti “A ‘nnome ri dDiu modda”: il “solo” incita allora i tonnaroti “A nnome ri Ggèsu”, e la ciurma in coro risponde con l’augurio “e dumani n’autra [mattanza]” [22]. Le preghiere/invocazioni, suoni – segnale, in estrema sintesi, scandiscono i tre momenti fondamentali della giornata lavorativa: prima dell’inizio delle operazioni (preghiera) – per accompagnare le diverse fasi delle operazioni (“A nnome ri dDiu, modda …”) – in chiusura dell’attività (“Bona notti bona sorti, bona tunnara”).
Ci sono poi altri suoni-segnale che rispondono a diverse finalità, quelli che trasmettono ordini: “abbua” o “sia”, ‘sta mano” o “dda mano”, se si tratta di vogare o sciare girando la barca a destra o sinistra rispetto al capobarca (personaggio centrale a cui ruota attorno l’universo-barca: le direzioni impartite ai rematori, che gli rivolgono la faccia e dunque non vedono a prua, sono riferite alla sua visione/visuale); “forte” o “alleggiu” per aumentare o diminuire la voga, “modda” e “levaaa!” (o “isaaa”) quando le porte di rete si devono aprire o richiudere; durante la mattanza il rais sulla sua muciara dirige tutte le operazioni indicando con le braccia alzate la priorità delle operazioni, gridando gli ordini (“trasi sta puppa”, Bonagia) o usando un fischietto con dei precisi codici sonori (Favignana).
Altri suoni-segnale sono avvertimenti, messa allerta: “A ttia vennu” si grida da un equipaggio all’altro quando i tonni si stanno dirigendo verso la barca che alzando le reti dovrà rinchiuderli nella camera della morte; “’ntisi” (ho sentito) è il grido della “guardia” che nelle tonnare più profonde calava le lenze per sentire il tocco del tonno che passava da una “camera” all’altra (San Vito); “ccà sunno” è il rassicurante suono-segnale rilanciato dal tonnaroto posizionato al centro della camera della morte per confermare che i tonni sono tutti ormai prigionieri e non hanno possibilità di tornare indietro (Bonagia).
A Scopello gli avvertimenti erano pressoché identici: “duna accura” (stai attento) indicava il passaggio dei tonni “a viatri vennu”; quando le “guardie” tramite le lenze sentivano i pesci passare gridavano “forza livati!” [23]. Altro suono-segnale che si presta a una doppia lettura, lessicale e tecnica insieme, è quello da me registrato nella tonnara di Bonagia, che non trova riscontro altrove: “passaro suavi suavi …” dice al rais Mommo Solina il suo capomuciara Pio Solina quando attraverso lo “specchio” ha visto i tonni avviarsi senza nervosismo nel “corpu”, tutti in fila senza tentativi di girare verso levante. “Soavi”: placidi o tranquilli in italiano arcaico, con i sinonimi amabili, armoniosi, leggiadri (Enciclopedia Treccani). Senza conoscere la poesia stilnovistica Pio Solina, uomo dalla sensibilità eccelsa e dalla cultura connaturata, ha saputo compendiare il “dolce” andare dei tonni che è “piacente e dilettuoso” per i tonnaroti [24].
La trasmissione della memoria
I suoni “espressivi” che assumono carattere simbolico sono quelli destinati a trasmettere non più ordini, bensì conoscenza, memoria. I canti di tonnara raccolti da Alberto Favara a cavallo tra XIX e XX secolo forniscono diverse notizie sulle tonnare palermitane e trapanesi, riportando caratteristiche e avvenimenti che ne hanno condizionato l’attività. Al n. 598 della sua raccolta di musiche siciliane [25] il “Canto di tonnara” appreso a Palermo da tale Vanni Favaloru elenca le tonnare del palermitano: ci sono Trabia, San Nicola l’Arena, Solunto, Sant’Elia, Arenella, Mondello, Isola delle Femmine, Orsa, Vergine Maria, e chissà perché anche Secco di San Vito; del grande golfo di Castellammare sede di numerose e “ubertose” tonnare mancano Sicciara (Balestrate), Magazzinazzi, Castellammare, Scopello e Uzzo certamente perché l’informatore è principalmente legato all’ambiente di Palermo; purtuttavia l’elenco degli impianti e gli aneddoti riportati sono molto interessanti ai fini della memoria.
Così dal Canto tra tante altre cose apprendiamo che la tonnara di San Nicola prendeva pochi tonni per la concorrenza di Trabia (“Sugnu calata sutta Capurosso / Viu li tunni e mi passano arrassu / E tu Trabia, com’un cani corsu / Mi sta’ di supra comu’n Satanassu …”) e che la tonnara del Secco finì di fare ricche mattanze quando i padroni non vollero più dare l’elemosina alle chiese (“Tunnaredda di lu Siccu ammintuata / Comu pirdisti stu granni valuri / A prima la facivi quarchi annata. Pi’ la ghiotta chi davi a lu patruni / Ora l’agghiotta ci ha stata livata / Ti l’ha fatta vidiri lu Signuri / Setti carrini la megghiu livata …”) [26].
Il rais di Bonagia Mommo Solina si ricordava di una vecchissima canzone della tonnara di San Vito, che diceva “Santu Vitu calava ‘nta la rina / che notte e gghiornu fa le carvacate”; anche qui si trasmettevano informazioni tecniche: il fondale di sabbia spesso faceva spostare le ancore e le reti.
Altre notizie storiche riporta il canto “Casteddammarisa” sempre raccolto da Favara; qui si elencano le tonnare del golfo di Castellammare sottolineando come “La megghiu tunnara è Scupeddu” seguita da “Casteddammari” e “li Malasinazzi”, mentre quella di Balestrate, a est delle altre, è la più povera: “E la Sicciara misera e afflitta / Ca di livanti li tunni l’aspetta …” [27].
Nel palermitano a inizio del Novecento due erano le tonnare più eleganti secondo l’informatore Iachinu Bacchi: “Si vo’ sapiri quali è la chiù pumpusa / La Rinidduzza e Virgini Maria …” [28].
Suoni satirici e scherzosi
Abbiamo registrato finora “suoni” tecnici che sovente hanno avuto una forte connotazione religiosa, ma in tonnara non è mai mancato anche un momento espressivo del tutto profano. Qui “profano” non sta per blasfemo in senso religioso: a parte l’immersione fra le reti della statua di Sant’Antonino quando non arrivavano i tonni (Favignana e Milazzo) [29], a cui faceva però seguito la riemersione e l’adorazione non appena i pesci si facevano avvistare, il profano riguardava piuttosto le persone a cui – in situazioni normali – il rispetto non doveva mai in alcun modo venire meno: il padrone e il rais. A loro erano demandate tutte le decisioni, sia tecniche che sociali: la vita/morte dei pesci col momento della mattanza, e la vita/morte degli uomini sotto l’aspetto dell’assunzione/licenziamento. Nessuna loro decisione poteva venire contestata.
C’erano però alcune occasioni – pochissime – in cui per un attimo veniva concesso alla ciurma di sbeffeggiare sia l’uno che l’altro: era quando si intonavano canti scherzosi – rientranti fra i ritmi tecnici – per caricare la rete sui vascelli, o per scaricarla a terra alla fine della stagione di pesca: solista e coro si alternavano cantando di “monache in camicia” (solo: “zza Monaca ‘ncammisa, e iddu la vole”, coro: “tisa tisa …”), di zampogne da “afferrare” (“’mpugna sta sampugna” o anche “’nfungia ‘sta ran fungia”), di figlie del caporale e signorine che si chiamano Lina da dare in moglie al rais e al padrone dopo averle offerte a tutta la ciurma. Il sottinteso erotico-sessuale è chiaro [30].
Erano, quelli dei canti scherzosi, gli unici momenti, limitati nel tempo e nello spazio, in cui ci si poteva prendere gioco dei signori della tonnara senza incorrere nelle sanzioni contenute in un regolamento non scritto ma condiviso da tutta la comunità. Licenze che servivano a stemperare le tensioni accumulate nel lavoro a fronte di una sudditanza gerarchica rigidissima che non prevedeva intermediari.
Questi suoni nella tradizione non hanno mai accompagnato le operazioni di mattanza perché, come spiega Salvatore Spataro, ultimo solista della tonnara di Bonagia, “sono canti scherzosi, e quando si uccidono i tonni non si deve scherzare, non si manca di rispetto ai pesci” [31]; qui mi piace ricordare la cialoma della tonnara di Pizzo Calabro in cui i tonnaroti prima della mattanza cantavano: “a tutti li tunni circamu perdono” [32]. Purtroppo negli ultimi anni delle tonnare siciliane alcuni giovani tonnaroti, ignari della etica del loro lavoro secolare, intonavano i canti licenziosi anche nella fase della mattanza per compiacere i turisti accorsi curiosi per assistere alla “versione marinara” della corrida.
Dialoghi Mediterranei, n. 68, luglio 2024
[*] Questo contributo riprende e amplia la mia relazione “A nnome di gGèsu. Sacro e profano in tonnara” al convegno “I suoni del lavoro” organizzato dall’Associazione turistica Pro Loco di San Vito lo Capo in data 27 aprile 2011; gli Atti, con gli ulteriori saggi di Valeria Patrizia Li Vigni e Rosalia Billeci, sono stati pubblicati in una edizione fuori commercio (Pro Loco San Vito lo Capo, aprile 2012). Le notizie sulla tonnara di Scopello riportate in questo scritto fanno parte del materiale inedito raccolto per un mio prossimo volume su quella impresa di pesca.
Note
1] Gianluca SERRA, Le tonnare di Capo Granitola e Sciacca. Il ritorno della memoria, Sciacca 2021: 104; Cfr. Anna Maria BONO, La tonnara di ieri e oggi tra Rais, mattanze e ricordi di una Torretta Granitola che fu, https://castelvetranonews.it, 9 luglio 2019
2] “Giornale di Tonnara” 11 maggio 1918, in N. RAVAZZA – A. SERRAINO, I tonni, i cavalier, le feste, gli amori. Storia della Tonnara di San Giuliano, Trapani 2019: 85
3] Per “nauto” si intende il luogo ove veniva calata l’isola della tonnara
4] Il fatto si riferisce al 21 maggio 1917, v. Ravazza – Serraino cit.: 107
5] In particolari occasioni (ricche mattanze, alaggio delle reti) veniva chiamata la “gente d’aiuto” (manovali, contadini, pastori) pagata a giornata
6] Ninni RAVAZZA, San Vito lo Capo e la sua tonnara. I Diari del “Secco”, una lunga storia d’amore, Milano 2017. La circostanza viene ribadita in diverse pagine dei Diari
7] N. RAVAZZA, ibidem
8] Testimonianza (inedita) dell’ex tonnaroto Salvatore Mistretta, al tempo 71enne, raccolta nel giugno 2012. S’arrisettavamu: ci preparavamo
9] Ninni RAVAZZA, Diario di tonnara, Milano 2005-2019: 103-105
10] La tonnara di Magazzinazzi (già attiva nel XVI secolo) con sede sulla spiaggia oggi di Alcamo marina. Di proprietà della famiglia Foderà
11] Testimonianza (inedita) del sig. Benedetto Borruso (classe 1939), figlio del rais di Magazzinazzi Giuseppe, raccolta in data 10/6/2024
12] Giuseppe PITRÈ, Usi e costumi. Credenze e pregiudizi del popolo siciliano, Palermo 1889, qui nella edizione Clio, Catania 1993: 518
13] Francesco CETTI, Anfibi e pesci di Sardegna, Sassari 1778, qui nella edizione a cura di A. Mattone e P. Sanna, Nuoro 2000: 422
14] Sergio BONANZINGA, Forme sonore e spazio simbolico, Palermo 1993
15] Per un approfondito studio sui canti di tonnara cfr. Elsa GUGGINO: I canti della memoria in “La pesca del tonno in Sicilia” a cura di V. Consolo, Palermo 1986; Idem, Favignana. Aiamola, in “Nuove Effemeridi” anno IX n.34, Palermo 1996; GUGGINO E. – PAGANO G., La mattanza, Gibellina, 1983; Sergio BONANZINGA, I canti delle tonnare tra Sicilia e Calabria, Palermo 2021; interessante anche il lavoro di A.V. SAVONA – M.L. STRANIERO, I canti del mare, Milano 1980: 443-457
16] Ninni RAVAZZA, Il sale e il sangue. Storie di uomini e tonni, Milano 2007: 137- 145
17] Cfr. Elsa GUGGINO, Nota a “Le donne di fuori: un modello arcaico del sabba” di G. Henningsen in Archivio Antropologico Mediterraneo n. 0, Palermo 1998
18] Giuseppe PITRÈ, Leggende, usi e costumi del popolo siciliano, Palermo 1889, qui nella edizione Brancato, Milano 2002: 150
19] Testimonianze (inedite) di ex tonnaroti di Scopello raccolte nel giugno 2012
20] Ninni RAVAZZA, Il sale e il sangue cit.: 101
21] Ninni RAVAZZA, ibidem: 169-170
22] Ninni RAVAZZA, L’ultima muciara. Storia della tonnara di Bonagia, Alcamo 2004: 48
23] Testimonianza (inedita) dell’ex tonnaroto di Scopello Giuseppe Urbano, all’epoca 84enne, raccolta nel giugno 2012
24] Testimonianza (inedita) del capomuciara Pio Solina, tonnara di Bonagia, raccolta nel maggio 1989
25] Alberto FAVARA, Corpus di musiche popolari siciliane, raccolto a cavallo tra XIX e XX secolo, pubblicato a cura di Ottavio Tiby, Palermo 1957
26] «Tonnara del Secco (San Vito lo Capo) tanto ricordata, come hai perduto il tuo valore! Prima facevi qualche buona stagione per le elemosine che davi alle chiese, ma da quando non le dai più la migliore mattanza ha fruttato appena sette “carlini”».
27] A. FAVARA, Corpus cit., allocata al n. 603
28] Ibidem, n. 602
29] Giuseppe PITRÈ, La famiglia, la casa, la vita del popolo siciliano, Palermo 1912: 378-379
30] Cfr. Elsa GUGGINO, I canti della memoria cit.: 97-98
31] Ninni RAVAZZA, Il sale e il sangue cit.: 161
32] Aa.Vv., Le tonnare di Pizzo, Vibo Valentia 1991. Il bellissimo canto di mattanza (“A Levata”) raccolto dalla voce del tonnarotto Rocco Grandinetti, così recita: (solo): A tutti li tunni cercamu perdonu (coro/ciurma): E leva, leva!
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Ninni Ravazza. giornalista e scrittore, è stato sommozzatore delle tonnare siciliane e corallaro. Ha organizzato convegni e mostre fotografiche sulla cultura del mare e i suoi protagonisti. Autore di saggi e romanzi, per l’Editore Magenes ha scritto: Corallari (2004); Diario di tonnara (2005 e 2018); Il sale e il sangue. Storie di uomini e tonni (2007); Il mare e lo specchio. San Vito lo Capo, memorie dal Mediterraneo (2009); Sirene di Sicilia (2010; finalista al “Premio Sanremo Mare” 2011); Il mare era bellissimo. Di uomini, barche, pesci e altre cose (2013); Il Signore delle tonnare. Nino Castiglione (2014); San Vito lo Capo e la sua Tonnara. I Diari del Secco, una lunga storia d’amore (2017); Storie di Corallari (2019); L’occhio in cima all’albero (2022; finalista al Premio letterario “Carlo Marincovich” 2023). Dal libro Diario di tonnara è stato tratto l’omonimo film diretto da Giovanni Zoppeddu, prodotto dall’Istituto Luce Cinecittà, in selezione ufficiale alla Festa del Cinema di Roma 2018, di cui l’Autore è protagonista e voce narrante. Tra gli altri suoi libri dedicati al mare: L’ultima muciara. Storia della tonnara di Bonagia (Trapani, 1999-2000-2004); La terra delle tonnare (Trapani, 2000); Il tonno fatato (Sassari, 2003); Un fiore dagli abissi. Il corallo: pesca, storia, economia, arte, leggenda (San Vito lo Capo, 2006); Pesca, stabilimenti e trasformazione del pescato in provincia di Trapani (Università di Bari, 2006); Epos, eros e thanatos. Il mondo immutabile della tonnara (Venezia, 2010); L’ultimo rais della tonnara Saline. Storia di Agostino Diana (Sassari, 2011); I Suoni del Lavoro. Canti e preghiere dei pescatori siciliani (San Vito lo Capo, 2012); Nicolino il pescatore (Palermo, 2018); I tonni, i cavalier, le feste, gli amori. Storia della tonnara di San Giuliano (Trapani, 2019); Rais. Una storia di mare (Trapani, 2020); Cianchino. L’isola delle illusioni (Roma, 2023). Ha vinto il Premio Nazionale di Giornalismo “Pippo Fava” (1987); il Premio Nazionale “Un video per un Museo” dell’HDS Italia (2001), sezione Mediterraneo, con il video “La tonnara nascosta”; il Premio Internazionale “Orizzonti Mediterranei” 2002 per il sito internet www.cosedimare.com ; nel 2018 per il suo impegno in favore del mare gli è stato conferito il Premio Unesco.
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