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Per un’antropologia transitiva

31cx5lwknl-_ac_uf10001000_ql80_di Massimo Canevacci 

Prima parte: pre-Trump

Negli anni 90 del secolo passato, uno dei miei preferiti antropologi era Renato Rosaldo. Mi aveva colpito il suo libro – Cultura e Verità – in particolare per le sue ricerche etnografiche su e con i Chicanos, in quanto lo stesso Renato era un chicano ovvero un transito che mescola  tratti culturali messicani con quelli statunitensi, creando una terza visione che sfidava le tassonomie identitarie rigide, compatte, fisse. Secondo lui il confine (che in quei luoghi si chiama la linea) non divide due Stati ma si presenta come uno spazio poroso che si può e deve attraversare. I chicanos erano il risultato creativo e mobile di questo attraversamento di frontiere, di identità e di culture, il cui risultato era mobile, mai definitivo: queste persone modificavano i codici del vestire, del parlare, del cantare e persino dello scrivere. Graffiti e murales erano composizioni artistiche che tracciavano e coloravano il vissuto transitivo di queste persone da San  Diego, confinante con Tijuana, fino a Los Angeles e via così.

Per andare a trovare Rosaldo, attraversammo a piedi (la mia compagna ed io, di cui ero inutilmente innamorato) la frontiera, cosa inusuale per turisti. Quando affrontammo il poliziotto, un classico afro-american tarchiato coi baffi,  lei dovette tornare in albergo a Tijuana perché non aveva la visa, documento più importante del passaporto; mentre a me, dopo aver controllato la visa quasi fosse il visto e poi il passaporto, mi chiese se andavo a San Diego per lavoro. Risposi che insegnavo antropologia culturale in Italia. Lui mi guardò con attenzione e mi domandò a bruciapelo: “Mi parli del concetto di cultura”. Rimasi, più che sorpreso, preoccupato, comunque riuscii a parlare di Malinowski nelle isole Trobriand a quel poliziotto che mi ascoltava con gran serietà, anche se per me era alquanto comico spiegare in inglese Lévi-Strauss sulla linea. Per fortuna superai l’esame e mi fece passare sempre diffidente. Poco dopo anche la mia compagna passò la linea con la visa. La prima frontiera TJ-SD fu  istruttiva, anche  perché al ritorno i poliziotti messicani giocavano a carte  e neanche ci guardarono. La frontiera era porosa solo al ritorno, mentre all’andata era una barriera di trappole antropologiche.

istock_50831344_xlargeUna parziale conclusione: la visa è uno strumento coloniale di controllo, è il vero e denso documento di appartenenza a una cittadinanza solvibile. Sono una persona con diritti riconoscibili solo e in quanto ho la visa, che determina la mia soggettività economica e umana. Visa è cittadinanza.

Arrivati a Los Angeles, Rosaldo ci fece fare un viaggio in macchina nella zona chicana, spiegandoci in dettaglio le sue esperienze etnografiche con estrema dolcezza a affabilità. Ci portò a pranzo dalla seconda moglie (dopo la tragica scomparsa della prima tra gli Ilongot), fu il riferimento per il post-PhD della mia ex-compagna e rimasero  in stretta connessione nelle ricerche non solo a Tijuana. Quando passeggiammo da soli nel centro, il downtown, su una vetrina di un negozio lessi la scritta che fotografai subito ma purtroppo ho perso, un vero attestato alla creatività transitiva: here we speak also english. Mi domando cosa starà accadendo ora in quella linea che sono riuscito ad attraversare grazie alla mia padronanza antropologica e di un inglese passabile. Ho diverse avventure nelle tante frontiere che ho attraversato, tutte connesse alla questione centrale: la cittadinanza. Questa regola statuale ormai universale aveva (e non ha più) un certificato di lasciapassare grazie al mio essere italiano o meglio europeo. E ora?

Ora ho una ipotesi forte, direi fortissima, che voglio presentare anche qui nonostante la sua rozzezza. O forse proprio per questo. La cittadinanza rappresenta il momento più radicale e generale del conflitto. Quello che nell’era industriale era salario e lavoro, fabbrica e capitale, composizione di classe e ristrutturazione permanente – ovvero il cuore del conflitto  dentro il luogo del lavoro alienato – ora si è spostato sul diritto di transitare: transitare negli spazi, nelle culture, nelle identità oltre gli Stati. La cittadinanza in quanto esseri umani dovrebbe diventare un diritto cosmopolita, garantito da strutture pubbliche sovra-nazionali che in parte già ci sono e che potrebbero crescere  e specializzarsi. La cittadinanza non riguarda più lo Stato, quanto lo status: è la condizione soggettiva di ogni persona che dovrebbe avere il diritto e anche il piacere di transitare oltre le linee degli Stati. Gli Stati attuali sembrano sempre meno interessati al controllo interno dei suoi cittadini, quanto all’esercizio della forza per il controllo esterno di persone che vogliono cambiare stili di vita, modi di vivere, processi culturali, modelli sportivi, musicali, creativi. Il soggetto diasporico non è più solo rappresentato come in passato da gruppi nostalgici di persone sottratte con la forza alla loro terra di origine e spostata altrove; ora è una persona singola che vuole cambiare vita e territorio per i più diversi motivi, non solo lavorativi, anche, ma soprattutto di visioni, pratiche, modelli quotidiani altri, che coabitano, coesistono, confliggono, trasformano, sincretizzano, creano.

Esattamente il contrario dell’era Trump-Meloni e &. La cosa bizzarra è la seguente: posso capire che Trump ignori la storia, ma Meloni dovrebbe sapere quale è la differenza fondamentale tra Atene e Roma. 

chirla_logoSeconda parte: Trump-in

El Pais è un giornale globale che per motivi non solo linguistici è molto attento a tutto quello che accade in America Latina, con giornalisti che stanno sul campo e raccolgono testimonianze di prima mano. Gli articoli che descrivono quello che sta accadendo negli US e nel Mexico sono in genere ottimi. Per esempio queste due citazioni mostrano fin dall’inizio che le organizzazioni civili sono presenti e si mobilitano. E sono molte:

«Decenas de organizaciones civiles se movilizan para educar sobre los derechos de los indocumentados ante la amenaza de inminentes operativos. (…) Los inmigrantes aquí tienen derechos laborales, civiles y humanos. No puedencerlos el miedo para ejercer esos derechos. Hay que luchar con la misma valentía que los hizo llegar a este país para que puedan quedarse en sus hogares”, aseguró Angélica Salas, la presidenta de Chirla» (El Pais, 4/2/2025).

I diritti delle persone migranti sono definiti dall’appartenenza al genere umano e quindi sono cittadini, hanno la cittadinanza ancora non statuale ma di status, definita dalla volontà di ciascuno di praticare la propria vita secondo le proprie scelte legate a determinate visioni del mondo, forse anche temporanee, in quanto nulla è deciso una volta per tutte da ciascuna persona-in-transito. È lo stesso transitare che può esser senza fine, una ricerca che il soggetto persegue per raggiungere momentanei spazi autonomi di libertà, spazi temporanei e autonomi. Il  CHIRLA come un fungo protegge le scelte diasporiche del soggetto migrante: è una Coalition for Human Immigrant Rights. CHIRLA offre assistenza legale gratuita per avere i propri diritti garantiti, quelli che l’attuale Presidente Trump vorrebbe risolvere con un’altra Guantanamo. Questa location sinistra, per le violazioni ai diritti umani di persone accusate di far parte dell’ISIS, ora si vorrebbe trasformare per una zolla di terra in cui rinchiudere quelle persone che, secondo i voleri al potere, rappresenterebbero una minaccia per gli US.

Con un semplice click nel sito CHIRLA si ottiene la possibilità di legalizzare la condizione delle persone transitive; già è stata elaborata una proposta di legge da presentare al Senato per legalizzare milioni di esseri umani  e sottrarli a quella caccia spietata che polizia ed esercito hanno già iniziato a praticare in diverse città, terrorizzando  persone che svolgevano il loro lavoro o la vita quotidiana. Queste sono alcune testimonianze: “Te amarran de pies y manos y te hacen sentir un criminal, cuando lo único que quieres es ir allá para trabajar”, dice Carmona.

E ancora in inglese:

“CHIRLA has a full defense tream that represents people facing deportation. If you or your loved ones are in detention, a CHIRLA attorney can help”.

 Di seguito diversi numeri di telefono con il logo di una mano che simboleggia un alt: alt a questo concetto che sembrava rinchiuso nel secolo scorso, nei suoi momenti più oscuri – deportazione – e che ora è diventato una minaccia.

Quello che la presidente Meloni sta cercando di praticare, deportare gli immigranti in una sede in Albania con la nave, Trump lo sta praticando (imitando?) con gli aerei. Decine di voli sono partiti o sono in partenza con destinazione i più diversi Paesi latino-americani. Colombia, Venezuela, Mexico e via di questo passo sono costretti ad accogliere questi esuli con la minaccia di ulteriori dazi doganali che potrebbero strangolare le economie locali e rendere instabili le più diverse democrazie favorendo crisi sociali incontrollabili con tendenze autoritarie. È una pratica determinata da una violenza statuale inaudita.

Trump e il progetto del muro con il Messico ( da L'Avvenire)

Trump e il progetto del muro con il Messico ( da L’Avvenire)

Terza parte: Trump out

Analisi o meglio commenti giornalistici in chiave sociologica si sono diffusi nel sostenere che Trump ha vinto le elezioni perché è stato votato dagli hispanici, desiderosi di tenersi il posto e timorosi della possibile concorrenza. Il termine usato è stato multi-culture che, da una fallita idea anni’’50 di una integrazione delle diverse culture di origine, ha significato il suo contrario: il fallimento di una politica multi-culturale in quanto ha prodotto enclavi dove vive ciascun gruppo più o meno identitario, nel senso della costruzione e invenzione della propria identità immaginata come tradizionale. Comunità immaginarie ma piuttosto solide e separate una dalle altre. È singolare come la stampa trumpiana o persino più “democratica” non abbia avuto conoscenza di un fallimento storico chiamato appunto multi-culture. Da tempo si sono affermate specie negli US processi teorici e di vita quotidiana che hanno utilizzato modelli teorici diversificati, più adeguati a un contesto difficile da definire e in ogni caso da elaborare sulle macerie multi-culturali, dove ognuno sta rinchiuso nel suo recinto odiando gli altri tipo una West Side Story diffusa. Culture ibride, sincretismi culturali, stili pluri-culturali e via così hanno cercato di sostituire l’obsoleto concetto di multi-culture, chiaramente fallito.

Quello che hanno rilevato i sondaggi pre e post-elettorali è molto più semplice: una parte conservatrice che è arrivata negli US qualche decennio prima si è schierata – come gli italo-americani, lobby potente – in difesa del proprio status quo che immaginava minacciato dall’arrivo incontrollato di milioni di altri latinos dai tanti “sud” del mondo. Non sono elettori multi-cultural bensì elettori integrati, moderati, spesso conservatori in senso religioso, alimentare, musicale e soprattutto sessuale. Il trucco di presentarli elettori a favore di Trump nasconde qualcosa di molto più semplice: sono elettori di sé stessi, di quelli che pensano solo ai privilegi acquisiti.  Il movimento che sconvolge molte città e paesi e campagne US è ben diverso o meglio è anche diverso. Moltissime manifestazioni di solidarietà a favore di persone minacciate di deportazione sono e stanno modificando quella semplicistica pseudo-sociologica propaganda.

Non sono solo agenzie che difendono i diritti umani, ma manifestazioni popolari diffuse in tutto il Paese, come attestano i servizi anche fotografici sempre di El Pais, che per tanti motivi si è schierato a favore dei migranti e contro la deportacion.  

Fonte: El Pais, 4 febbraio 2025

Fonte: El Pais, 4 febbraio 2025

Questa è una delle tante foto che il giornale pubblica a testimonianza delle moltitudini che sono arrivate da tante parti del mondo. Si osservino con attenzione i tanti colori delle bandiere sventolate con fierezza, tra cui quelle messicane hanno una valenza simbolica  significativa. Guantanamo, che alcuni commentatori criticano per l’eccesso di spese in dollari da parte della amministrazione attuale, in realtà ha un significato simbolico orribile e minaccioso senza confini né costituzioni: equiparare ogni migrante ai terroristi di Al Queda. Una visione minacciosa, per cui gli spacciatori della droga vengono criminalizzati e i consumatori assolti. Un modello di rimozione enorme che funziona anche in Brasile o in Europa, che taglia le mani ma libera il naso o le vene, perché non si ha coraggio di affrontare la questione droga con una politica diversa, non con una guerra in cui perdono tutti tranne esercito e polizia. E governi di destra…

hecho_en_mexico_logo-svgAccanto alle deportazioni di umani, si innesta la deportazione di merci, in quanto per Trump non esiste una differenza filosofica o teologica tra persone e televisori. Per questo le componenti più tradizionali e moderate dell’economia messicana si stanno schierando a favore della presidente  Sheinbaum con questo slogan: Hecho en México y para México. Un triste e inimmaginabile protezionismo fino a poco tempo fa di una chiusura dei mercati in sé stessi alla ricerca di altre possibili situazioni. In ogni caso, questa  petición del secretario dell’Economía, Marcelo Ebrard, è una risposta isolazionista e in parte neo-nazionalista che è causata dagli eccessi politici, umani, economici di un certo presidente eletto. 

Finale Post-Trump

La differenza politica fondamentale tra Atene e Roma nella storia classica è chiara ed è basata sul diritto alla cittadinanza: Ad Atene, si era cittadini sono in quanto nati nella città, con un certo reddito e un sesso maschile; a Roma la cittadinanza era il centro del conflitto prima interno e poi esterno che si risolse in modi espansivi, già analizzati da Marx. Le popolazioni (polis) delle città vinte e sottomesse da Atene rimanevano tali; mentre quelle sconfitte da Roma potevano acquisire nel tempo la cittadinanza e diventare Romani in senso pieno. La grandezza politica di Roma unitamente alla sua capacità di espandersi nel Mediterraneo e anche in una parte del nord Europa fu giuridica: offrire la cittadinanza non solo come integrazione, ma principalmente nella prospettiva di acquisire i diritti pubblici e privati. La cittadinanza a Roma fu umanista, basata su una visione che anticipava l’umanesimo moderno in cui interesse e stoicismo si mescolavano. Il mare era nostrum perché tutti avevano la cittadinanza. 

Dialoghi Mediterranei, n. 72, marzo 2025

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Massimo Canevacci, docente di Antropologia Culturale presso l’Università di Roma “La Sapienza”, come Visiting Professor è stato invitato in diverse università europee, a Tokyo (Giappone), Nanjing (China). Dal 2010 al 2017, è stato Professor Visitante in Brasile:  lorianôpolis (UFSC), Rio de Janeiro (UERJ), São Paulo (ECA/USP – Instituto de Estudos Avançados IEA/USP). Tra i suoi libri: La Linea di Polvere. Meltemi, Milano, 2017; Meta-feticismo, Roma, Manifesto Libri, 2022; Stupore Indigeno, Napoli, Mar dei Sargassi, 2023;  Cittadinanza Transitiva, Milano, Meltemi, 2024.

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