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di Carmen Garcia Llorens
Il 9 maggio 2004 fu inaugurato il Forum delle Culture di Barcellona, un grande evento mondiale il cui tema principale era la tolleranza e la pace tra le diverse culture del pianeta, oltre all’uso sostenibile delle risorse naturali e alla promozione del dialogo tra i popoli. L’evento barcellonese intendeva «muovere il mondo», come proclamavano gli organizzatori in uno dei primi slogan dell’incontro.
Dopo 16 anni lo spazio Forum ha subìto alcune trasformazioni sia nella sua struttura che nella sua funzione. Il Parco Fòrum è composto oggi da diverse zone con edifici e strutture particolari: l’Edificio Fòrum, la “Esplanada” che con 84 mila metri quadrati è la seconda piazza più grande del mondo, due Auditorium all’aperto, un Centro congressi e una piastra fotovoltaica di 1.700 metri quadrati. Nell’insieme si tengono fiere, festival musicali di ogni tipo, congressi e altre attività di volta in volta. Di solito i cittadini vanno a passeggiare e a fare esercizi sportivi e i turisti lo visitano.
Le fotografie che illustrano questo articolo si riferiscono all’Edificio Blu, la costruzione «stella» del Forum Universale delle Culture di Barcellona 2004, così chiamato a causa del colore delle sue pareti a specchi. Concettualmente si voleva stabilire una stretta relazione fra esterno e interno dell’edificio, con la presenza dei “cortili”, che tagliano il volume in verticale e stabiliscono molteplici relazioni visive tra la piazza e i livelli interni, ma anche grazie al trattamento delle superfici: le ruvide facce esterne del prisma rendono ancor più sorprendente il rivestimento in acciaio inox, la cui texture evoca i riflessi dell’acqua, così da caratterizzare la faccia inferiore del prisma.
Le pareti esterne sono ricoperte di cemento ruvido blu, scavate da profondi tagli verticali di vetro. C’è, quindi, un gioco di superfici, texture e schemi, in una suggestiva alternanza di buio e di luce, di solido e liquido, di ruvido e liscio.
Secondo l’obiettivo della progettazione la costruzione doveva funzionare come un edificio all’interno di una vasta area aperta verso l’esterno, uno spazio pubblico per favorire il suo uso in ogni stagione, un luogo di ritrovo e relax.
Fotografando questa enorme cattedrale blu, questo continuo caleidoscopio di sfumature di blu, si capisce che non invita alla socialità ma, al contrario, incentiva i pochi visitatori ad attraversarla velocemente. Uno spazio antropoemico, cioè costruito in modo da respingere, da disincentivare l’aggregazione nonostante l’intenzione dei suoi progettisti di creare spazi di incontro.
Questo portfolio è uno studio per immagini sulla prossemica dei nonluoghi, cioè sul significato assunto dalla distanza che l’individuo frappone tra sé e gli altri e tra sé e gli oggetti, e quindi, più in generale, sul modo di porsi nello spazio e sul modo di organizzarlo.
Si osservi come la prossemica risulti un valido aiuto per comprendere come le persone vivano il nonluogo, perché osservandole si può giungere a capire con che approccio e quale spirito si muovano all’interno di questo ambiente artificiale costruito appositamente per loro.
Le enormi pareti di vetro riflettono e moltiplicano le immagini agli occhi del visitatore, disincentivandolo dall’immedesimazione, perché lo costringono a confrontare il suo io presente con quello che potrebbe essere, gli propongono nuovi mondi, probabilmente lo illudono di miglioramenti che forse non potrà mai ottenere proponendogli realtà che non potrà mai raggiungere.
Le immagini perfettamente geometriche e rigidamente (e volutamente) bilanciate ci restituiscono il perfetto ordine spaziale e uno pseudo-clima di sicurezza che non viene percepito come oppressivo e risponde esemplarmente alla domanda sociale che oggi è più che mai forte e così assillante di bisogno di certezze sia psicologiche che fisiche. Una cattedrale del nonluogo dove i visitatori possono vivere in sicurezza le loro fantasie come se fossero attori su un grande palcoscenico. Il regno del provvisorio, dell’effimero, di un (non)luogo che non necessita di parole e che spinge l’individuo alla solitudine.
In questo spazio che doveva essere un luogo di incontro e relazioni, di riposo e relax, nessuno si ferma, nessuno si guarda intorno, nessuno guarda i soffitti color rame o i lucernari con mille tonalità di blu, nessuno si intrattiene in quella piazza coperta nonostante la sua bellezza.
Passano di lì come ombre mutevoli, multicolori, deformi, moltiplicati all’infinito. Alcuni arrivano e, veloci, si rifugiano nel Museo delle Scienze; altri lo transitano per dirigersi verso un altro luogo. Venendo dalla luce, entrano nel buio blu e non si intrattengono, cercano l’uscita, di nuovo la luce.
Dialoghi Mediterranei, n. 48 marzo 2021
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Carmen Garcia Llorens, diplomata in Magistero alla Facoltà di Castellón e laureata in Documentazione presso l’Universitat Oberta de Catalunya a Barcellona, ha lavorato come insegnante di scienze alla scuola media a Barcellona fino il 2018, conciliando la professione con la passione per la fotografia, a cui da tre anni si dedica a tempo pieno. Ha fatto numerosi viaggi fotografando paesaggi e persone provenienti da diverse parti del mondo come Lapponia, Groenlandia, Antartide, Uzbekistan, Egitto e altri. Negli ultimi anni sta partecipando a diversi workshop e progetti editoriali a Milano, Roma e Sicilia. Il suo ultimo lavoro è stato pubblicato nel libro NonLuoghi, a cura di Michele di Donato.
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