Degli oltre 700 quesiti di cui si compone il Questionario alimentare dell’Atlante Linguistico della Sicilia (ALS), più di cento sono di tipo semasiologico. Ciò significa che un raccoglitore che vada in un punto d’inchiesta per intervistare le persone sulla cultura alimentare, non chiede, per esempio, agli informatori “come chiamate il pane condito con l’olio?” – questo è il ‘quesito onomasiologico’. Egli chiede, piuttosto: “che cosa si intende esattamente per ‘pani cunzatu’?”.
Si vedano alcuni esempi di quesiti semasiologici nell’immagine riportata accanto:
Oltre 100 quesiti semasiologici su 700 sono un numero consistente, se si considera che, nell’ambito dell’atlantistica, l’approccio semasiologico è stato per lo più considerato di ‘secondo livello’, essendo prevalentemente appannaggio della lessicografia e dell’(etno)semantica. In proposito, così scriveva Sabina Canobbio, in relazione all’esperienza dell’Atlante linguistico etnografico del Piemonte Occidentale (ALEPO) :
«Lo spoglio dei materiali raccolti per l’ALEPO [l’analisi, cioè del materiale raccolto con le interviste], prefigura sin d’ora la possibilità anzi l’opportunità di allestire, accanto alle carte del tipo onomasiologico, e a loro complemento, anche un certo numero di carte semasiologiche, certo meno usuali nella prassi degli atlantilinguistici [corsivo mio]» (Atlante linguistico ed etnografico del Piemonte occidentale, Questionario. I – Introduzione, a cura di Sabina Canobbio e Tullio Telmon, Regione Piemonte, Torino 1993)
Si badi: qui il riferimento è alle carte che, eventualmente e a posteriori, possono essere allestite, a supporto di quelle onomasiologiche, secondo il presupposto di rappresentare arealmente ‘i significati di una certa parola’, ‘le forme e la struttura di una data cosa’. Ancora Canobbio, richiamando l’importante consistenza e la rilevanza dei quesiti semasiologici nell’ALEPO, osservava che in esso le domande semasiologiche sono «poche», mentre rilevava che dovrebbe essere l’esperienza stessa del raccoglitore, nonché la sua conoscenza del dialetto locale, «a spingerlo naturalmente a proporre domande quali “Ma che cosa è per voi…”».
L’idea di inserire, invece, programmaticamente, già nel Questionario un numero considerevole di domande semasiologiche, come nel caso della campagna alimentare dell’ALS, muove certamente dal presupposto, dovuto a una conoscenza preacquisita, che un certo numero di parole alimentari possano significare cose diverse a seconda delle aree, ovvero che siano parole la cui presenza è limitata ad alcune specifiche aree o punti di indagine ben circoscrivibili.
Ora, a Delia, un raccoglitore chiederebbe “che cos’è esattamente la cudduredda?”; a Caltanissetta, lo stesso raccoglitore chiederebbe: “ma che cos’è esattamente il pitirri?”. Un raccoglitore che chiedesse a Gangi “che cos’è esattamente il fusciddatu?”, avrebbe come risposta “una forma di pane”; a Caltavuturo, alla stessa domanda, avrebbe in risposta “un dolce pasquale”. Di conseguenza, la possibilità di evidenziare l’eventuale ‘polisemia geolinguistica’ di una certa parola, cioè la possibilità che uno specifico termine significhi cose diverse a seconda delle aree, presuppone implicitamente l’opportunità di delimitarne i confini (X significa A in una certa area o in un certo paese; significa B in un altro paese; significa C in un’altro paese ancora ecc.). D’altra parte, se il quesito semasiologico non dovesse rivelare la polisemia attesa, esso servirebbe comunque a delimitare geograficamente l’esatta estensione areale dell’unico, e non plurimo, significato di una certa parola. Diremmo che pitirri significa A e che la parola, col suo specifico significato, è usata solo (circoscritta) a Caltanissetta.
Ma al momento della stesura definitiva del Questionario alimentare dell’ALS, altre esperienze atlantistiche regionali italiane avevano ben evidenziato, d’altra parte, l’estrema difficoltà a operare con domande di tipo semasiologico, difficoltà consistente innanzitutto nello stabilire già quale parola dialettale usare ancor prima di chiedere che cosa essa significhi. Dunque, per chiedere a Gangi “che cos’è il fasciddatu?”, un raccoglitore deve sapere, intanto, che lì la cosa indagatasi chiama fasciddatu, ma deve anche sapere che, se andrà a Caltavuturo, dovrà chiedere “che cos’è il cucciddatu?” perché in quest’ultimo centro si dice cucciddatu e non fasciddatu.
Nel caso del Questionario dell’ALS, la forma dialettale prescelta è coincisa con quella riscontrabile nei vocabolari dialettali. Ma il raccoglitore che ha operato con il Questionario alimentare ha potuto disporre non soltanto della tipizzazione lessicale, ma anche di quella semantica: dovendo chiedere agli informatori “Cosa intendete per…”, egli era già messo in condizione di conoscere almeno uno dei significati della parola su cui avrebbe indagato. Tali ‘contenuti semantici’ sono assenti, in effetti, in qualunque Questionario (tutt’al più, nei questionari di altre imprese geolinguistiche, in corrispondenza di domande onomasiologiche a vocazione polisemica, è possibile trovare soltanto un’indicazione a indagare il significato di quella specifica parola). Nel Questionario alimentare dell’ALS, invece, i significati delle parole potenzialmente polisemiche sono raccolti e strutturati in una sorta di Appendice che forma le pagine 57-67 degli Appunti e Materiali per la ricerca (G. Ruffino e Nara Bernardi, Per una ricerca sulla cultura e sul lessico gastronomico in Sicilia. Appunti e materiali, Palermo 2000), Appunti e materiali che, in fondo, non sono altro che il Questionario stesso:
In esso, dunque, è prevista una sezione intitolata Glossario, dedicata, appunto, ai quesiti semasiologici, così presentata:
«Questo breve glossario vuole essere di supporto nell’uso del questionario, in particolare per sciogliere dubbi sull’ambiguità di significati potenzialmente polisemici (quesiti semasiologici), disseminati nelle diverse sezioni nelle quali il questionario si articola. Si forniscono perciò scarne informazioni, certamente parziali e sommarie, ricavate, oltre che dall’esperienza acquisita, da poche fonti di sicuro affidamento» (Ruffino-Bernardi, 2000: 57)
Tra queste «fonti di sicuro affidamento», un’importanza fondamentale è attribuita a Pitré, nella cui opera è possibile rilevare forme e significati coincidenti con una quarantina dei 100 quesiti semasiologici presenti nel Questionario alimentare ALS. Quaranta quesiti, a ben pensarci, sono quasi la metà dell’intera batteria di domande semasiologiche, mentre d’altra parte è interessante notare che per alcuni di essi Pitré resta l’unica fonte o la fonte più antica.
Se molti dei quesiti, infatti, sono ‘sciolti’ riportandone forme e significati rintracciabili nel novecentesco Vocabolario Siciliano (VS) di Piccitto-Tropea-Trovato (che spesso riprende le fonti lessicografiche sette-ottocentesche), non sono pochi i quesiti per i quali il riferimento più importante (se non l’unico) resta quello di Pitré, in tutti i casi ‘regolarmente recuperato’ nel VS.
Nella tabella (di appunti) riportata sotto, le voci e, dunque, i quesiti a partire da esse formulati, per i quali Pitré resta l’unica fonte, sono quelli riportati in grassetto:
Voce Glossario |
Opera e P[rima] F[onte] |
affucari |
Pitré, U[si]eC[ostumi]-4, p. 357, P F: Mangiameli 1878-86 |
agghiotta |
PitréUeC-4, p. 354-355, P F: Antico Anonimo, XVII sec. |
agghiata |
Pitré UeC-4, p. 354, P F: Antico Anonimo, XVII sec. |
bbeccaficu |
Pitré UeC-4, p. 357, P F: VS lo dà come panregionale senza fonte |
cannolu |
Pitré UeC-4, p. 361; Pitré 3, p. 76-77, P F (pansiciliano) |
cassata |
Pitré UeC-4, p. 362; Pitré 1, p. 223-226, P F: Amari |
cassateḍḍa |
Pitré S[pettacoli]eF[feste], p. 226, P F: Pitré |
ciusceḍḍu |
Pitré UeC-4, p. 355, P F Antico Anonimo, XVII sec. |
cubbàita |
Pitré UeC-4, p. 362; Pitré 2, p. 372; 530, P F (pansiciliano) |
cuccìa |
Pitré F[este] P[atronali]2, p. 274; 282, P F (pansiciliano) |
cucciḍḍatu |
Pitré UeC-4, p. 362; Pitré 2, p. 324; 330¸ Pitré 6, p. 33; Pitré 8, p. 188, P F (il VS riporta, come prima fonte, il Nicotra D’Urso, 1914) |
cucurummà |
Pitré UeC-4, p. 356, P F Traina e Mangiameli |
cuḍḍura |
Pitré FP, p. 190; 355; 357-358; Pitré 8, p. 190-192, P F (nessuna fonte storica in VS) |
cunfetti agghiazzati |
Pitré SeF, p. 377 |
cunìgghiu |
Pitré UeC-4, p. 350-351 P F: per le fave o per le pietanze in agrodolce, Traina e Mortillaro |
frascàtula |
Pitré UeC-4, p. 351 P F (VS la dà come panregionale senza fonti storiche, riporta Pitré UeC-4, assieme a Traina, come fonte per ‘specie di focaccia’) |
fritteḍḍa |
Pitré UeC-4, p. 356 P F VS dà Pitré, assieme a Malatesta, come fonte storica per ‘minestra di fave fresche, piselli e carciofi’) |
guasteḍḍa |
Pitré UeC-4, p. 360, P F: Drago 1721 |
maccu |
Pitré UeC-4, p. 351, P F per VS panaereale, senza fonti storiche |
milanisa |
Pitré UeC-4, P F VS dà Pitré come unica fonte storica |
minni di vìrgini |
Pitré UeC-4, p. 363, P F VS dà Pitré assieme a Traina e Mangiameli come fonte storica |
muscardini |
Pitré SeF, p. 377 |
mustazzolu |
Pitré SeF, p. 168-169; Pitré FP, p. 490 P F: diverse fonti prepitreiane |
maccarruna nciliati |
Pitré UeC-1, p. 75-76; Pitré UeC-4, p. 354 PF: VS dà Pitré come unica fonte storica |
nfigghiulata |
Pitré UeC-4, p. 360, P F nell’accezione di ‘pasta ripiena con un amalgama di ricotta ecc.’, VS dà Pitré come unica fonte storica |
nucàtuli |
Pitré UeC-4, p. 364, P F: in VS diverse fonti lessicografiche prepitreiane |
pasta palina |
Pitré UeC-4, p. 353 P F: Pitré come unica fonte in VS |
panella |
Pitré UeC-4, p. 360, PF: VS dà Pitré accanto ada altre fonti altrettanto antiche |
peṭṛafènnula |
Pitré UeC-4, p. 364, P F: fonti più antiche di Pitré |
ravazzata |
PitréUeC-4, p. 360, P F: fonti più antiche di Pitré |
scapeci |
Pitré UeC-4, p. 358, P F: come ‘tonno sott’olio’ in VS diverse fonti prepitreiane; nella variante scapeci ma non nella variante schibbeci, e nell’accezione ‘vivanda a base di pesci condita con olio, cipolla, uva passa, aromi’, Pitré è dato come fonte storica accanto a Gioeni 1885 |
sciavata |
Pitré UeC-4, p. 360, nella variante sgiaguazza è già in Gioeni come ‘focaccia’ ma solo in Pitré come ‘focaccia condita con olio, pepe e sale’ |
sciabbò |
Pitré SeF, p. 169, diverse fonti antiche incluso Pitré per ‘lasagne piuttosto larghe e ondulate’; solo Pitré come ‘lasagne lunghe e ondulate che si mangia(va)no a Capodanno condite con la ricotta’, per la città di Palermo in VS per lo più fonti storiche; indicazioni diatopiche solo per Palermo (recuperate da Pitré) e per Mazara del Vallo |
sfincia |
Pitré UeC-4, p. 365, tra le fonti più antiche è citato in VS anche Pitré |
sfinciuni |
Pitré UeC-4, p. 360-361 PF: varie fonti ottocentesche |
stigghiola |
Pitré SeF, p. 323-325; Pitré UeC-4, p. 358, P F : Antico Anomimo |
sussameli |
Pitré SeF, p. 328; Pitré UeC-4, p. 365, PF: nella forma sussamela VS dà Pitré assieme a Traina e Mortillaro come le uniche fonti antiche |
testa di turcu |
Pitré UeC-1, p. 77, S. A. Guastella 1877 |
Quale sorte hanno avuto questi quesiti, nell’ambito degli studi sulla cultura alimentare condotti in seno all’ALS, a seguito della campagna di inchieste sul terreno? Ecco il prospetto (la terza colonna indica il numero dei M[ateriali e] R[icerche dell’]A[tlante] L[inguistico della] S[icilia] nei quali le risposte ai quesiti sono state già fatte oggetto di analisi geo-etnolinguistica) :
Voce Glossario |
Opera e P[rima] F[onte] |
|
affucari |
Pitré, U[si]eC[sostumi]-4, p. 357, P F: Mangiameli 1878-86 |
- |
agghiotta |
PitréUeC-4, p. 354-355, P F: Antico Anonimo, XVII sec. |
- |
agghiata |
Pitré UeC-4, p. 354, P F: Antico Anonimo, XVII sec. |
- |
bbeccaficu |
Pitré UeC-4, p. 357, P F: VS lo dà come panregionale senza fonte |
- |
cannolu |
Pitré UeC-4, p. 361; Pitré 3, p. 76-77, P F (pansiciliano) |
- |
cassata |
Pitré UeC-4, p. 362; Pitré 1, p. 223-226, P F: Amari |
MR ALS 33 |
cassateḍḍa |
Pitré S[pettacoli]eF[feste], p. 226, P F: Pitré |
MR ALS 33 |
cubbàita |
Pitré UeC-4, p. 362; Pitré 2, p. 372; 530, P F (pansiciliano) |
MR ALS 33 |
cuccìa |
Pitré F[este] P[atronali]2, p. 274; 282, P F (pansiciliano) |
- |
cucciḍḍatu |
Pitré UeC-4, p. 362; Pitré 2, p. 324; 330¸ Pitré 6, p. 33; Pitré 8, p. 188, P F (il VS riporta, come prima fonte, il Nicotra D’Urso, 1914) |
MR ALS 33 |
cucurummà |
Pitré UeC-4, p. 356, P F Traina e Mangiameli |
- |
cuḍḍura |
Pitré FP, p. 190; 355; 357-358; Pitré 8, p. 190-192, P F (nessuna fonte storica in VS) |
MR ALS 33 |
cunìgghiu |
Pitré UeC-4, p. 350-351 P F: per le fave o per le pietanze in agrodolce, Traina e Mortillaro |
MR 26 |
frascàtula |
Pitré UeC-4, p. 351 P F (VS la dà come panregionale senza fonti storiche, riporta Pitré UeC-4, assieme a Traina, come fonte per ‘specie di focaccia’) |
MR ALS 23 |
fritteḍḍa |
Pitré UeC-4, p. 356 P F VS dà Pitré, assieme a Malatesta, come fonte storica per “minestra di fave fresche, piselli e carciofi”) |
- |
guasteḍḍa |
Pitré UeC-4, p. 360, P F: Drago 1721 |
MR ALS 30MR ALS 33 |
maccu |
Pitré UeC-4, p. 351, P F per VS panaereale, senza fonti storiche |
- |
milanisa |
Pitré UeC-4, P F VS dà Pitré come unica fonte storica |
- |
minni di vìrgini |
Pitré UeC-4, p. 363, P F VS dà Pitré assieme a Traina e Mangiameli come fonte storica |
- |
muscardini |
Pitré SeF, p. 377 |
MR ALS 33 |
mustazzolu |
Pitré SeF, p. 168-169; Pitré FP, p. 490 P F: diverse fonti prepitreiane |
MR ALS 33 |
maccarruna nciliati |
Pitré UeC-1, p. 75-76; Pitré UeC-4, p. 354 PF: VS dà Pitré come unica fonte storica |
- |
nfigghiulata |
Pitré UeC-4, p. 360, P F nell’accezione di ‘pasta ripiena con un amalgama di ricotta ecc.’, VS dà Pitré come unica fonte storica |
MR ALS 30 |
nucàtuli |
Pitré UeC-4, p. 364, P F: in VS diverse fonti lessicografiche prepitreiane |
MR ALS 33 |
pasta palina |
Pitré UeC-4, p. 353 P F: Pitré come unica fonte in VS |
- |
panella |
Pitré UeC-4, p. 360, PF: VS dà Pitré accanto ada altre fonti altrettanto antiche |
MR ALS 29 |
peṭṛafènnula |
Pitré UeC-4, p. 364, P F: fonti più antiche di Pitré |
- |
ravazzata |
PitréUeC-4, p. 360, P F: fonti più antiche di Pitré |
- |
scapeci |
Pitré UeC-4, p. 358, P F: come ‘tonno sott’olio’ in VS diverse fonti prepitreiane; nella variante scapeci ma non nella variante schibbeci, e nell’accezione ‘vivanda a base di pesci condita con olio, cipolla, uva passa, aromi’, Pitré è dato come fonte storica accanto a Gioeni 1885 |
- |
sciavata |
Pitré UeC-4, p. 360, nella variante sgiaguazza è già in Gioeni come ‘focaccia’ ma solo in Pitré come ‘focaccia condita con olio, pepe e sale’ |
MR ALS 30 |
sciabbò |
Pitré SeF, p. 169, diverse fonti antiche incluso Pitré per ‘lasagne piuttosto larghe e ondulate’; solo Pitré come ‘lasagne lunghe e ondulate che si mangia(va)no a Capodanno condite con la ricotta’, per la città di Palermoin VS per lo più fonti storiche; indicazioni diatopiche solo per Palermo (recuperate da Pitré) e per Mazara del Vallo |
- |
sfincia |
Pitré UeC-4, p. 365, tra le fonti più antiche è citato in VS anche Pitré |
MR ALS 33 |
sfinciuni |
Pitré UeC-4, p. 360-361 PF: varie fonti ottocentesche |
MR ALS 30 |
stigghiola |
Pitré SeF, p. 323-325; Pitré UeC-4, p. 358, P F : Antico Anomimo |
MR ALS 29 |
sussameli |
Pitré SeF, p. 328; Pitré UeC-4, p. 365, PF: nella forma sussamela VS dà Pitré assieme a Traina e Mortillaro come le uniche fonti antiche |
- |
testa di turcu |
Pitré UeC-1, p. 77, S. A. Guastella 1877 |
MR ALS 33 |
Come si vede, i quesiti formulati a partire dalle voci documentate da Pitré riguardano per lo più i dolci, le farinate, la cucina di strada e la pasta. Per molte di queste parole, le diverse analisi effettuate nell’ambito dell’ALS hanno già consentito di definirne i contorni areali, approfondirne i diversi significati linguistici e sociali, disegnarne specifiche aree linguistiche e culturali.
È importante considerare che le analisi fin qui svolte hanno sempre avuto come punto di partenza le inchieste dell’ALS, realizzate negli ultimi quindici anni. Tra queste vanno menzionate in particolare quelle ufficiali, condotte tra il 2004 e il 2006, in una trentina di punti siciliani. Si tratta di inchieste particolamente importanti poiché sono state affidate a giovani raccoglitori che avevano frequentato un impegnativo corso di formazione proprio in vista della somministrazione dell’intero Questionario. A questo punto, in relazione ai quesiti semasiologici e soprattutto per quelli che vedono Pitré come unica fonte, potrebbe essere interessante dare un primo sguardo al materiale giunto da queste inchieste, nel tentativo di valutarne la produttività.
Viene qui proposto, dunque, a mo’ d’esempio, il caso di sciabbò (Pitré SeF, p. 169) riguardante, per altro, l’ambito della pasta, finora poco studiato all’interno del cantiere dell’ALS, come si evince anche dalla tabella riportata sopra.
Si nota intanto che, tra le fonti siciliane, soltanto Pitré fa riferimento a un tipo di ‘lasagne lunghe e ondulate che si mangiano a Capodanno condite con la ricotta’, mentre le altre fonti, tutte ottocentesche, si riferiscono più genericamente a ‘lasagne lunghe e ondulate’. Sulla base della documentazione pitreiana, il VS localizza la presenza di questa pasta a Palermo (puntualizzandone un consumo rituale) e Mazara del Vallo, attraverso la documentazione dell’Atlante Linguistico Italiano (ALI), dove gli sciabbò sono però date come ‘generiche lasagne arricciate’, senza alcuna specificazione su un eventuale loro statuto di cibo festivo. Scrive Pitré in Spettacoli e Feste: a proposito del Capodanno:
«Una specialità culinaria di questo giorno sono certe larghissime lasagne incannellate, dette scibbò o sciabbò (pappardelle), condite con ricotta. In Palermo, come nella più parte della Sicilia, l’uso è generale, e le botteghe dei pastai tengono in mostra queste pappardelle per rallegrare i loro negozi e attirare avventori» (Pitré SeF: 169)
Le inchieste ALS dovrebbero dunque permettere di verificare e riordinare la presenza del tipo lessicale e il suo significato, accertare il suo uso rituale, le modalità di preparazione e consumo, e consentire nel contempo di rilevare la diffusione areale e la eventuale vitalità della forma/cibo. Le inchieste effettuate permettono di disegnare uno schema ancora molto provvisorio, ma interessante e ricco di dati:
Punto |
Presenza/assenza; note |
101 Trapani |
NO (conosce ma non usa) |
110 Marsala |
NO |
107 San Vito Lo Capo |
NO |
112 Mazara del Vallo |
Nessun dato raccolto |
121 Vita |
NO |
124 Pantelleria |
NO |
206 Partinico |
NO |
221 Bisacquino |
NO |
252 Caccamo |
Lasagne a Natale |
273 Alimena |
NO |
270 Polizzi Generosa |
NO |
278 Geraci |
NO (si facevano maccarruna cû sucu) |
277 Gangi |
NO |
279 Castelbuono |
NO, ma vedere oltre |
326 San Biagio Plàtani |
NO |
337 Naro |
NO sciabbò, ma cavatuna filati |
406 Milena |
NO (per Natale e Capodanno, pasta in brodo) |
419 Mazzarino |
NO |
501 Enna |
NO |
729 Acireale |
NO |
818 Noto |
SI |
903 Vittoria |
NO |
906 Chiaramonte Gulfi |
NO |
Come si nota, la conoscenza del tipo sciabbò, sia in termini di significato che di referente,emerge molto raramente. Ma dall’inchiesta di Trapani scopriamo, per esempio, che al tipo sciabbò corrisponde quello di violanta larga
101 Trapani:
R: e sciabbò?
I: sunnu lasagni larghi
R: ma ccà si usa sta parola sciabbò, l’ha intisu mai?
I: niàtri lasagni ci riçemu largghi, violantta larga (…). accussì a façìamu sempri niàtri câ sarssa oppuru cu -ll’àgghia pistata
R: cioè l’àgghia trapanisa?
I: cû pumaroru pelatu
Per Marsala verifichiamo l’uso a Capodanno di lasagne condite con salsa di pomodoro, ma il nome sciabbò sembra sconosciuto:
110 Marsala:
R.: A capuranno, invece, chi si prepara? A notte ri capuranno, per esempio.
I.: Lasagne.
R.: A notte?
I.: A notte… soccu…
I2.: Lenticchie.
…
I2.: Onnumane si cucinano i lasagne.
I.: Onnumane si cucinano / lasagnedde tuttu l’anno scaccanedde (risate) ricìano l’antiche.
R.: E cû socco si fanno i lasagne?
I.: I lasagne si po… o ri chisse accattate o si faciano.
R.: E nnô mezzo socco si cci mitte?
I.: Sàissa si facìa.
R.: Col ragù?
I.: Si mpastava a farina cû-ll’acqua e si facìano i lasagne.
San Vito Lo Capo testimonia l’esistenza della forma italiana (moderna):
107 San Vito Lo Capo:
R: e sciabbò?
[…]
R: che: viene chiamata iolanda in italiano
I1: ah, allura chista è, a lasagna larga rrìccia
[…]
Ancora in provincia di Trapani, l’informatore di Vita, rivela di non conoscere né il nome né il significato:
121 Vita:
R: E inveçe sciabbò?
I: E chi è?
R: No:: giusto sciabbò socch’è?
I: No: unn u sàcciu mancu
R: Unn u sapi socch’è?
I: No
R: Eh: sciabbò
I: Pasta puru è?
R: Sono:: delle lasagne larghe che si mangiano a capodanno // con ricotta fresca: unn c’è a Vita?
I: Unn amu fattu mài niàtri
Nonostante l’Atlante Linguistico Italiano documenti per Mazara del Vallo l’esistenza del tipo sciabbò, nell’area trapanese esso non sembra, dunque, particolarmente diffuso. A cavallo tra la provincia di Trapani e quella di Palermo, emerge ancora l’uso rituale di consumare lasagne per Capodanno (anche se si tratta di lasagne del tipo liscio), mentre, d’altra parte, l’informatore rivela un ulteriore nome (più moderno evidentemente): quello di margherita:
206 Partinico:
I: No, mancu sacciu chi cos’è štu sciabbò, chi cos’è stu sciabbò?
R: Lasagne larghe, ondulate che si facevano per capodanno?
I: Ma i lasagne s’accattàvanu tannu, pi u Capurannu.
R: E come le chiamavate?
I: I lasagni, i lasagni.
R: E com’èrano?
——–
I: I lasagni larghi, senza no ricci, lasagni troppo larghi anzi, no comu chiddi chi si façianu di casa, belle larghi larghi.
R: Ed erano lisce, ricce?
I: Sì, sì lisci, lisci. Chì chiddi ricci èranu margherita si chiamava.
di lasagne a capodanno, di lasagne
Nell’area delle Madonie, scopriamo, poi, sempre con le inchieste ALS, un ulteriore tipo lessicale per le lasagne ricce corrispondente a rrasagnoli, a Gangi.
Il tipo sciabbò ricompare in area orientale, per Noto, come pasta di uso non rituale, che si consuma condita con salsa di pomodoro:
818 Noto:
R: <mh:>sciabbuò?
I: u sciambuò sì, u sciambuò è a pašta.
R: e com’è fatta sa:: | šta pašta?
I: <eheh> si po fari comi ci piaçi lei, sempri câ sassa. sassa, sugu, ragù
R: sciambò.
I: sciambò. u sciambò è un tipo di pašta,
R: <ah> è un [tipo di pašta]
I: [che | è] un tipo di pašta che eni larga, // così
sì.
I: e ppoi ri llatu e llatu è fatta tutta cosi
R: [<ah::> (ho capito)]
I: [e si] chiama sciambò appo+ | apposta. capito?
R: [(*ho capito*)]
I: [cc’è] chidda stritta, cc’è chidda larga.
R: (ho capito.)
Dunque, la voce pitreiana, con le sue implicazioni rituali, non trova oggi alcun riscontro nelle inchieste dell’ALS, sebbene queste, come abbiamo notato, si riferiscano solo a una trentina di punti. Tuttavia, i dati di cui disponiamo, pur se provvisori, sembrano fornire alcuni indizi rispetto alla testimonianza di Pitré.
Per la voce sciabbò, documentata in Spettacoli e feste,
1) siamo in presenza di una voce per così dire moderna: si tratta infatti di un francesismo che, primariamente, è riferito alla ‘guarnizione di tela e pizzo pieghettato o increspato, che un tempo ornava sul davanti la camicia maschile’. Si tratta quindi del francese jabot. Seconda- riamente, sciabbò e scibbò diventano, prima, il nome generico di simili guarnizioni, lisce o increspate, e in seguito quello delle lasagne arricciate. Pertanto, si potrebbe supporre che, ai tempi di Pitré, il termine fosse molto giovane: un francesismo legato alla moda, con una circolazione prevalmentemente urbana, nei grandi centri vicini alle coste, e diastraticamente connessa alle classi alte (Pitré parla infatti di botteghe che vendevano quel tipo di pasta, mentre nella tradizione rurale la pasta veniva fatta in casa).
2) A soccorso del fatto che poté trattarsi di un termine di recente introduzione e che forse si risolse presto in un occasionalismo, viene l’inchiesta alimentare effettuata a Castelbuono nella quale si constata il consumo rituale di lasagne arricciate a Capodanno, secondo la ricetta descritta da Pitré, ma con ben altro nome rispetto a quello riportato dal demologo palermitano:
279 Castelbuono:
I: a pasta cacata si facìeva puri nnê festi, cchiossà ppi ccapudannu. Si facìeva u rraù, pùa nnô rragù si cci sciujjìeva a rricotta frisca.
R: a pasta quali si cci mittìeva?
I: a pasta si cci mittìeva a tajjarina rrizza di tutt’i du’ lati, si cci mittìeva stu sucu di supra, ccu ddra rricotta frisca e ppùa sempri un pocu di càciu, cu cci u vulìeva cci u putìeva mèttiri.
Sono gli sciabbò di Giuseppe Pitré, quanto a tipo di pasta e modalità di preparazione e consumo rituale, ma il nome non sembra esattamente di origini parigine….
Se volessimo mantenere la suggestione del nome ossitono, potremmo ora concentrarci sul tipo cucurummà, non tanto perché, come nel primo caso, l’unica fonte per questa parola o per qualcuna delle sue accezioni resta Pitré, quanto per il fatto che essa ci permette di mostrare la rilevanza della semasiologia in seno alle ricerche atlantistiche. Riguardo al suo uso, la parola consente infatti di delimitare uno specifico areale, pur se a macchia di leopardo.
La voce occorre in Pitré Usi e costumi IV nelle forme cucurummau e cucucurummaru in riferimento un ‘intingolo di pomidoro, cacio, uova, olio’. In VSè assente la variante cucurummau, ma è lemmatizzato cucurùmmaru (forma proparossitona), che riprende come fonti soltanto Traina e Mangiameli, mentre l’accezione fornita corrisponde pressappoco a quella di Pitré: ‘pietanza di uova, pomidoro, olio e cacio’. In VS, inoltre, è lemmatizzato cucurummà per Pantelleria, sciolto come ‘pietanza fatta con zucche e uova’ e sostanzialmente coincidente con la voce presente nel lessico di Tropea (Giovanni Tropea, Lessico del dialetto di Pantelleria, Palermo 1988) che fornisce il significato di‘piatto a base di zucchine e uova’.
Nelle inchieste ALS cucurummà compare ovviamente a Pantelleria con riferimento alla zucca e all’intingolo con cui viene preparata:
124 Pantelleria:
R: a cucurummà
I1: cucurummà è a cucuzzaesti eh a cucuzza gialla d’invernu si fa a cucurummà […] e ssi mette pomodoro l’àgghia puru olive nìveree e
R: patate?
I1: patate puru cc’è cu çi mette
R. si fa un suchiçeddru?
I1: un suchiçeddru cucurummà è u suchiçeddru
R: e ssi ponnu gràpiri ova rinta?
I1: se se,ova se
La voce compare anche a San Vito Lo Capo, con riferimento però al solo intingolo e senza alcun rapporto, dunque, con la pietanza di zucche:
107 San Vito Lo Capo:
R: cos’è a cuccurummà?
I1: cuccurummà, u pumaroru
I2: i nfrichi i popò
I1: u pumaroru, si cci metti cipudda si fa ccòciri poi quannu è bbellu cottu si pìgghia l’ova e ssi [.] mèttinu nnô mezzu e ssi mèttinu a rriminari [..]
Di un piatto analogo, anche in termini di denominazione, si ha testimonianza pure nell’inchiesta di Trapani con riferimento alla pietanza di zucche:
101 Trapani:
R: e a cucurummà?
I: a ccurucù è, no cucurummà
R: mai sentito cucurummà? Si prepara chî cucuzze, l’ova….
I: gghiotta r’ova e cucuzze
R: cucurummà non si usa?
I: no (…)
mentre in un’altra parte dell’inchiesta si parla anche dell’uovo:
101 Trapani:
… è chi cci rìçinu puru a cuccurucù. Chi ssi metti çipudda, um-ṕoco di pumaroru, si fa nganciàre e poi si rapi l’ovu , si cci ecca e si rrimina. Si cci metti puru u formmàggio, u formmàggio fresco, u formmàggio grattuggiàto(…)
Per l’area siciliana occidentale la voce è documentata anche a Partinico, dove il focus dell’informatore è però l’uovo e una sua specifica modalità di preparazione:
206 Partinico:
[le uova] I: Ca i façemu fritti, accussì riçìa; e puru i façìamu a cucurummau, l’ova, èrano duci buonissime, a cucurummau façìamo la cipolla in una padella, si frìia leggermente, appresso ci mittìa tantu pummaroru pelato, s’accutturava, si condiva, quann’era accussì ci špaccava l’ova, u beḍḍu ògghiu ci mittìa, çertu, e si façìanu cose ri poco e binìanu…un pochino ri špezie misi ncapu e binìanu dolcissimi e si façìa macari colazione.
Fuori da quest’area occidentale la voce è del tutto assente.
Il quesito semasiologico ha qui permesso, dunque, di delimitare lo specifico areale di una pietanza di cui ci parla Pitré il quale, assieme ad altre fonti ottocentesche, ha rappresentato anche in questo caso la base di partenza per l’elaborazione di quella che è diventata una delle domande del Questionario tramite cui l’Atlante Linguistico della Sicilia sta ora documentando l’universo della cultura alimentare e le pratiche gastronomiche siciliane.