di Franco Pittau
Dalla Costituzione (1948) alla “legge Foschi” (1986)
L’Italia, dall’Unità d’Italia fino ai primi due decenni del dopoguerra (1861-1970), fu un Paese di grande migrazione, in Europa e ancor di più oltreoceano. Gli arrivi di immigrati stranieri iniziarono nei primi anni ’70 (e in minima parte anche prima) e andarono aumentando con ritmo blando nel corso di quel decennio. Ne furono protagonisti i primi tunisini come pescatori a Mazara del Vallo e come braccianti nel Trapanese, le capoverdiane come anche le donne di Somalia, Eritrea ed Etiopia, e dalle filippine, come lavoratrici a servizio delle famiglie nelle grandi città (a Roma, Napoli e diverse città del Nord), i marocchini infine sbarcati nel Sud dell’Italia come venditori ambulanti e risalenti verso le fabbriche del Nord.
Anche se la Costituzione aveva dedicato alla posizione degli stranieri e dei richiedenti asilo l’articolo 10, non era stata approvata una nuova legge per regolare la loro posizione e continua a trovare applicazione il Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza, con il relativo Regolamento. Le leggi in vigore, ereditate dal periodo fascista, lasciavano alle autorità di polizia un margine discrezionale compatibile con l’orientamento costituzionale.
Le presenze non erano numerose e non destavano inizialmente alcuna preoccupazione, anche se gli immigrati passarono da 150 mila del 1970 a 450 mila del 1986, anno in cui fu approvata la legge (n. 943/1986, primo firmatario il parlamentare democristiano Franco Foschi). Nella stessa legislatura mancò il tempo per l’approvazione di un organico disegno di legge governativo, proposto dall’allora Ministro dell’interno Oscar Luigi Scalfaro: la regolamentazione dell’ingresso e del soggiorno, affrontata con pochi articoli nella legge n.39/1990, sarebbe stata ripresa organicamente solo nella legge n. 40/1998.
Un grande impulso all’approvazione della legge n. 943 venne dato dalla Corte Costituzionale con le considerazioni espresse nella sentenza 47 del 1977 e dalla ratifica, avvenuta nel 1991, della convenzione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro n 143/ 975 sulla tutela dei lavoratori migranti e il contrasto dei traffici illegali, ratificata dall’Italia solo nel 1981.
Per ampliare le consultazioni sull’attuazione della Convenzione nell’ambito nazionale il governo preferì presentare un disegno di legge anziché limitarsi ai decreti legislativi delegati. Comunque, essendo già in stato di avanzato esame la proposta dell’on Foschi, questa divenne la base della prima legge sull’immigrazione nel periodo repubblicano, limitata però agli aspetti lavorativi e a qualche dimensione culturale. Del disegno di legge governativo, con il quale sussisteva una certa convergenza, si tenne naturalmente conto nella proposta Foschi. La sua approvazione fu unanime da parte di tutti i partiti dell’arco costituzionale, ad esclusione del Movimento Sociale Italiano, allora in dichiarata continuità con il fascismo.
Per quel tempo, e in un contesto europeo caratterizzato da politiche migratorie restrittive, la legge 943/1986 risultò essere un intervento aperto, che regolava il lavoro, non trascurava alcuni aspetti culturali, apriva agli immigrati percorsi di partecipazione (poi ripresi dalle leggi regionali), ma non poteva non risentire della mancata approvazione di una normativa sull’ingresso e sul soggiorno degli stranieri. Inoltre, la legge n. 943 ebbe il merito di regolarizzare circa 120 mila lavoratori stranieri sprovvisti di titolo di autorizzazione al soggiorno.
Dalla “legge Foschi” (1986) alla “legge Martelli” (1990)
Essendo state chiuse le frontiere dell’Europa, l’Italia era diventata un Paese appetibile per i nordafricani. E così gli stranieri fermatisi in Italia, diventati più numerosi, si resero più visibili. Non mancarono gli atteggiamenti di diffidenza e anche gli atti di xenofobia. Nel 1981 suscitò un enorme scalpore l’attentato del turco Ali Agca a papa Giovanni Paolo II in piazza S. Pietro. Nel 1985 terroristi palestinesi compirono una strage a Fiumicino. L’accresciuta diffidenza nei confronti degli immigrati rischiava di tramutarsi in una loro equiparazione a terroristi, anche se si trattava di lavoratori interessati solo a sopravvivere.
Nell’estate del 1989 fu ucciso nelle campagne di Villa Literno, il sudafricano Jerry Essan Masslo per essere depredato dei suoi pochi e sudati risparmi. L’Italia, ancora sensibile alla lunga storia di sofferenze degli emigrati italiani, alle prospettive di solidarietà a livello nazionale e internazionale, al volontariato, si sdegnò e partecipò in massa (quasi 200 mila persone) a una manifestazione nazionale organizzata a Roma contro il razzismo. Era il segno che bisogna intervenire con urgenza.
Il vice presidente del Consiglio dei Ministri, Claudio Martelli, delegato dal presidente Giulio Andreotti a seguire il tema dell’immigrazione, convocati tutti i ministeri interessati, preferì, all’ipotesi originaria di firmare quattro distinti disegni di legge sugli aspetti più rilevanti della questione, un decreto legge sugli aspetti ritenuti più urgenti al fine di evitare gli ulteriori interventi governativi in ordine sparso, in particolare da parte del ministro del lavoro Carlo Donat Cattin.
Il testo del decreto legge, presentato nel mese di dicembre 1989, recepì alcune modifiche e nel mese di febbraio 1990 venne definitivamente approvato (legge n. 39/1990, nota come legge Martelli). Furono diverse le innovazioni, riguardanti tra l’altro la normativa sulla tipologia dei permessi di soggiorno, la programmazione delle entrate per lavoro tramite l’emanazione di decreti annuali sui flussi, il superamento della riserva geografica nell’accoglienza dei richiedenti asilo e il pagamento di un sussidio economico per sostenere i richiedenti asilo nel periodo di attesa del riconoscimento dello status di rifugiato, la previsione di un fondo per le politiche migratorie, una nuova regolarizzazione per la quale furono presentate oltre 200 mila domande.
A distanza di trenta anni, sono state formulate anche critiche severe sulla legge n 39/1990, ma comunque, in quella fase storica, segnò un notevole passo in avanti e si propose come una decisione coraggiosa e ampiamente condivisa: tuttavia, al voto contrario del MSI si aggiunse quello dei parlamentari del Partito Repubblicano Italiano di cui era segretario di Giorgio La Malfa, mentre si astenne il Partito Liberale Italiano. Furono queste le prime crepe, che di lì in poi sarebbero state fatte proprie dallo schieramento di centrodestra, aggregatasi attorno alla figura dell’on. Silvio Berlusconi.
La cosiddetta “prima Repubblica”, dopo la mancata attenzione iniziale, catturata in esclusiva dalla perdurante emigrazione italiana, ebbe il merito di adoperarsi per assicurare ai nuovi venuti lo stesso livello di tutela richiesto per i connazionali all’estero. Questo orientamento positivo non solo animò la classe politica ma si diffuse anche nella società. Nella seconda parte degli anni ’80 e in tutti gli anni ’90, si registrò un fervore di attività all’interno dell’associazionismo, del volontariato, del movimento sindacale e del mondo ecclesiale. Iniziarono in quel periodo le attività interculturali e si fecero apprezzare i primi mediatori culturali, come anche non mancò l’apertura ai Paesi di origine. Inoltre, furono create strutture di partecipazione a livello regionale e anche a livello locale e fiorirono le ricerche sui vari aspetti del fenomeno.
Furono approvate diverse leggi regionali sull’immigrazione e divennero operanti le relative Consulte. Nacque anche l’attenzione ai numeri dell’immigrazione: apparve nel 1991 la prima edizione del Dossier Statistico Immigrazione, un rapporto concepito come sussidio degli operatori del settore e presto diffuso a livello nazionale.
Dalla “legge Martelli” (1990) alla legge Turco-Napolitano” (1998)
Tra il 1992 e il 1994 ci furono gli epigoni della cosiddetta “Prima repubblica” con i governi di Giuliano Amato e Carlo Azeglio Ciampi. Quindi, con l’aggregazione del centrodestra promossa da Silvio Berlusconi, seguì la cosiddetta “Seconda repubblica”, ma il governo sostenuto dal nuovo schieramento rimase in carica per poco tempo (maggio 1994-gennaio 1995) perché la Lega Nord fece venire meno il suo appoggio. Nella sua breve durata il governo di centrodestra volle porre mano a una riforma della normativa sull’immigrazione, selezionando tra le diverse proposte giacenti in parlamento le disposizioni più rispondenti al suo orientamento restrittivo, suscitando così la contrarietà dei partiti di opposizione.
L’intermezzo coperto dal governo tecnico di Lamberto Dini (gennaio 1995-gennaio 1996) varò un provvedimento di regolarizzazione. Le domande furono più di 200 mila e propose, sotto forma di decreto legge (decaduto per mancata approvazione), un testo ambivalente (così come era composito dalla maggioranza parlamentare che lo sosteneva) che conteneva sia linee di apertura riprese poi dal governo di centrosinistra, sia linee di chiusura, fatte proprie dallo schieramento di centrodestra successivamente, nei primi anni del 2000. La vittoria dei partiti del centrosinistra consentì a questo schieramento, prima con Romano Prodi e poi con D’Alema, di restare in carica per l’intera legislatura (1996-2001) di poter realizzare una riforma di peso in materia di immigrazione.
Il governo Prodi (maggio 1996-otttobre 1998), seppure con fatica, riuscì, nel mese di marzo 1998, a varare una riforma organica sull’immigrazione con la legge n.40/1998, nota anche come “legge Turco-Napolitano. Livia Turco era impegnata negli affari sociali (questo era anche il suo incarico ministeriale) e Giorgio Napolitano era responsabile del Ministero dell’Interno.
La nuova legge costituì l’ossatura del Testo Unico sull’immigrazione, approvato con il decreto legislativo 288/1998, e, seppure con diverse modifiche apportate in senso restrittivo dallo schieramento del centro-destra, continua a essere la normativa in vigore, ma in larga misura solo formalmente (basti pensare all’oblìo del grande obiettivo dell’integrazione, concepita come una sua parte essenziale).
Infatti, la legge n. 40/1998 è imperniata su tre pilastri: la programmazione dei flussi regolari sulla base delle esigenze del mercato occupazionale italiano e di una rinnovata collaborazione con i Paesi di origine; l’integrazione in un’ottica interculturale degli immigrati regolari; l’attivazione di percorsi efficaci di integrazione degli immigrati regolari superando le discriminazioni; il contrasto dei flussi irregolari e dei trafficanti di manodopera.
Tra le misure incluse nella strategia migratoria del centrosinistra vi fu l’introduzione dell’arrivo dall’estero per lavoro a seguito di una prestazione di garanzia da parte di un italiano o di un immigrato già residente in Italia. Lo straniero, così sponsorizzato, aveva il tempo di andare alla ricerca di un posto di lavoro e intanto aveva assicurato dal garante il vitto, l’alloggio l’assistenza sanitaria e anche il biglietto di ritorno in caso di mancata occupazione. Pur esonerando lo Stato da qualsiasi spesa di accoglienza e assicurando tutti controlli necessari per garantire la pubblica sicurezza, l’istituto dello sponsor venne soppresso dalla legge n.189/2002 (legge Bossi Fini). Si argomentò che tale cambiamento era necessario per porre fine all’ingresso di persone poco raccomandabili (ad esempio di prostitute, nelle famiglie), ma tale posizione risultò tutt’altro che convincente. Al contrario, l’istituto della sponsorizzazione continuò a essere valorizzato da Paesi molto rigorosi in tema di flussi migratori con risultati positivi (basti pensare all’Australia, ad esempio). La prestazione di garanzia, sostituita da un costoso e inutile programma di formazione all’estero (utilizzato per lo più per dare i primi rudimenti linguistici e di formazione civica ai familiari interessati al ricongiungimento), fu un esempio significativo del cambiamento delle norme per motivazioni più ideologiche che basate sulla concretezza, e ciò ha impedito in larga misura la formazione di un minimo comune denominatore tra gli schieramenti politici in materia di politica migratoria.
Altre parti della legge n. 40/1998, ripresi nel Testo Unico, hanno resistito, seppure modificati, e rimangono in vigore. In seguito venne però, meno la visione riformatrice e sostanzialmente positiva del fenomeno migratorio, perché nel secolo XXI la maggior parte degli interventi legislativi fu di segno contrario, con il correttivo del recepimento delle norme comunitarie e delle puntualizzazioni della giurisprudenza.
Da parte del mondo sociale vi furono critiche alla legge n. 40 per l’istituzione dei Centri di identificazione e di espulsione, equiparati a una detenzione impropria, già realizzati in diversi Stati membri e addirittura già previsti in nuce nl disegno di legge del Ministro dell’interno Oscar Luigi Scalfaro nel 1977. Fu anche rimproverato al governo Prodi di aver rinunciato, cedendo alla pressione del centrodestra, di aver attribuito agli stranieri il diritto di voto amministrativo dopo cinque anni di residenza in Italia
Molto più ricorrenti furono gli apprezzamenti (e non solo in ambito italiano) per la flessibilità che si tentò di realizzare con l’istituto della sponsorizzazione, per il consolidamento del permesso di soggiorno dopo cinque anni di regolare permanenza, per l’incremento dei fondi destinati all’applicazione della legge, per l’ampia visione in tema di integrazione, per la consapevolezza di dovere attrarre dall’estero lavoratori qualificati. Tra l’altro, seguirono numerosi accordi con i Paesi di origine per agevolare i rimpatri dei loro concittadini trattenutisi irregolarmente in Italia, incentivandoli a questa collaborazione con l’assegnazione di quote privilegiate d’ingresso e così via.
Dalla legge “Turco-Napolitano” (1998) alla “legge Bossi-Fini” (2092) e al “Pacchetto sicurezza Maroni” (2008).
Come accennato, il centrodestra, al governo dal 2001 al 2011, eccezion fatta per il breve mandato di Prodi dal 2006 al 2008, utilizzò la sua maggioranza parlamentare per modificare restrittivamente il Testo Unico sull’Immigrazione. Il primo consistente ridimensionamento della normativa si ebbe con la legge 289/2002, nota come legge “Bossi-Fini”, dal nome dei due suoi promotori, rispettivamente segretari della Lega Nord e di Alleanza Nazionale. Il loro ’obiettivo principale fu, oltre al varo della più ampia regolarizzazione mai realizzata in Italia (700 mila domande), quello di rendere più facili e spedite le espulsioni degli immigrati non autorizzati alla permanenza in Italia, ricorrendo solo a provvedimenti in via amministrativa, senza la convalida della magistratura. Questa impostazione fu censurata dalla Corte costituzionale e si rimediò con l’attribuzione della competenza in materia ai giudici di pace.
Nella legge n.189/2002 vi furono anche apprezzabili disposizioni, come ad esempio, quella che diede il via all’istituzione del sistema per l’accoglienza dei richiedenti asilo e dei rifugiati o del permesso triennale per i lavoratori frontalieri. Le misure più restrittive arrivarono, a distanza di anni, con il cosiddetto “pacchetto sicurezza” del Ministro dell’interno Roberto Maroni, che confermò la diffidenza e la severità della Lega Nord nei confronti degli immigrati, derivante da una impostazione più intransigente rispetto a quella di Alleanza Nazionale, andata mitigandosi nel tempo, e a quella di Forza Italia.
In particolare, Forza Italia, prima con il ministro dell’interno Giuseppe Pisanu, si mostrò interessato a promuovere l’integrazione dei musulmani moderati; quindi, con il Ministro del lavoro Maurizio Sacconi propose nel 2010 un rinnovato piano di integrazione, in cui l’interesse alla sicurezza non veniva disgiunto dai diritti da garantire agli immigrati. Va osservato, tuttavia, che le norme del “pacchetto sicurezza”, che non furono dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale o non furono censurate dalla giurisprudenza come discriminatorie, rimasero in vigore e crearono disagi agli immigrati. Significativa fu la loro esclusione dalle prestazioni economiche o di altro tipo a carico degli enti locali, attuata con la previsione di condizioni apparentemente uguali per tutti, ma che in pratica andavano a penalizzare chi non era nato sul posto. Di esse si venne a capo solo attraverso un defatigante ricorso alla magistratura, sia italiana che europea.
Dal punto di vista statistico va segnalato che nel primo decennio del secolo, segnato in prevalenza dalla permanenza al governo dello schieramento del centrodestra, la presenza straniera in Italia conobbe il suo massimo sviluppo, aumentando più di tre volte (da meno di un milione e mezzo a quattro milioni e mezzo) e concentrandosi sempre più nelle regioni settentrionali.
Dalla fine dei governi del centrodestra (2011) a oggi
La gravissima situazione finanziaria del Paese portò, nel 2011, alle dimissione del Presidente del Consiglio dei ministri Silvio Berlusconi cui successe il governo tecnico di Mario Monti (novembre 2011-aprile 2013). Seguirono tre presidenti del Consiglio dei ministri del PD: Enrico Letta (aprile 2013-febbraio 2014), Matteo Renzi (febbraio 2014-dicembre 2016) e Paolo Gentiloni (dicembre 2016- marzo 2018). Le elezioni di maggio 2018 portarono al successo i Cinque Stelle, che nella XVIII legislatura, insieme alla Lega, sostennero il primo governo Conte (luglio 2018-settembre 2019). E infine, l’alleanza dei Cinque Stelle, il Partito Democratico, Liberi e Uguali e Italia viva (il partito di Matteo Renzi separatosi dal PD), dal mese di settembre 2019 ha dato il sostegno al secondo governo Conte.
Questo secondo decennio del secolo, denominato anche della “Terza Repubblica”, è stato particolarmente duro per l’Italia, innanzitutto per gli effetti negativi della crisi del 2008 con una riduzione di otto punti del PIL non del tutto recuperati e lo scoppio all’inizio del 2020 dell’epidemia causata dal Corona virus (Covid 19) con una ulteriore diminuzione del PIL a seguito della crisi produttiva e occupazionale.
Nel 2011 “le primavere arabe”, salutate inizialmente con favore per il loro orientamento proteso a conseguire livelli più soddisfacenti di democrazia e di giustizia, incrementarono la mobilità internazionale e portarono più di 60 mila persone, in prevalenza tunisini, a sbarcare in Italia. Seguirono, ben più consistenti, gli sbarchi negli anni della “crisi migratoria del Mediterraneo”. Alla loro origine si collocò la decisione franco-britannica, avallata dagli Stati Uniti, di far fuori il colonnello Gheddafi: più che di un impegno a instaurare in quel Paese un sistema democratico si trattò dell’interesse alle ricchezze petrolifere libiche e al superamento delle relazioni privilegiate intessute nel tempo dall’Italia, senza che il governo Berlusconi potesse far valere a livello internazionale una forza tale da contrastare tale strategia
Poco dopo, tra il 2014 e il 2017, sbarcarono nella sola Italia circa 650 mila persone, in prevalenza provenienti dall’Africa ma, in parte, anche dall’Iraq, dell’Iran, dal Pakistan, dall’Afghanistan, dalla Siria, Paese quest’ultimo segnato da sanguinosi conflitti interni con milioni di profughi, mentre continuavano gli arrivi degli esuli dagli altri Paesi asiatici.
Di fronte a questa situazione, definita ufficialmente “crisi migratoria del Mediterraneo”, il Consiglio UE impose la politica degli hotspot agli Stati membri del Sud mediterraneo, e li obbligò a farsi carico di tutte le richieste d’asilo (conformemente a quanto “irrazionalmente” previsto dal Regolamento di Dublino), salvo una modesta quota di richiedenti da ridistribuire obbligatoriamente tra tutti gli Stati membri (redistribuzione effettuata con ritardo e con molte difficoltà). Le persone sbarcate, in parte costituite da stranieri meritevoli del riconoscimento dello status umanitario e in parte migranti alla ricerca di un lavoro, costituirono per l’Italia un aggravio inaspettato, che mise a dura prova il sistema delle strutture destinate all’accoglienza (SPRAR), risultato assolutamente insufficiente e perciò integrato da numerosi Centri straordinari da parte delle prefetture: ne conseguì un considerevole utilizzo di risorse con il coinvolgimento di strutture del mondo sociale, con una certa esperienza nell’accoglienza e di altri protagonisti, spesso interessati solo al tornaconto economico.
Durante questo tormentato periodo i governi che si succedettero non ebbero una lunga durata e neppure composizione omogenea. Per quanto riguarda la politica migratoria tra gli interventi da ricordare vi fu la regolarizzazione del 2012, attuata in esecuzione del “ravvedimento operoso” proposto dall’UE ai datori di lavoro nell’ordine di circa 200 mila domande. Un’altra disposizione importante fu prevista per i lavoratori extracomunitari rimasti disoccupati, ovvero la possibilità di trattenersi due mesi per la ricerca di un nuovo posto di lavoro: questa norma evitò a molti di effettuare un rimpatrio fallimentare
Fu ricorrente, in questo periodo, la discussione parlamentare per porre termine alla riforma della cittadinanza da concedere ai figli nati in Italia da cittadini stranieri stabilmente residenti (e anche ai figli venuti in Italia e inseriti in un ciclo completo di studi). Questa proposta di ius soli temperato o ius culturae non andò oltre l’approvazione ottenuta alla Camera dei deputati, mentre era concreto il rischio che non passasse al Senato, dove erano meno consistenti le forze favorevoli al provvedimento e perciò il governo si astenne di proporre l’approvazione di quel testo anche ai deputati.
Una più attenta considerazione da riservare ai minori rischiava allora (come anche attualmente) di apparire in qualche modo slegata dal contesto, non tanto per il suo valore intrinseco ma per il fatto che avrebbe dovuto presupporre un livello minimo di considerazione per i genitori dei minori, gli immigrati adulti della cui integrazione non si è mai più parlato, trasformandoli in una presenza stabile sì ma “a latere”.
Un’altra misura, entrata effettivamente in vigore e rivelatasi di grande efficacia, ma nello stesso tempo molto controversa, fu quella adottata dal Ministro dell’interno del governo Gentiloni, Marco Minniti, che, attraverso gli accordi presi con le autorità territoriali libiche, riuscì a trattenere gli aspiranti profughi e i migranti per lavoro in Libia, potenziata dall’Italia nelle sue funzioni ispettive sul mare con la messa a disposizione di mezzi e altre risorse.
Nel successivo governo Conte il Ministro dell’interno Matteo Salvini non fece altro che seguire la linea del suo predecessore, accreditandosi come il risolutore della questione a fronte di una perdurante insensibilità europea. Il cambiamento effettivo consistette nella severità mostrata nei confronti delle persone salvate in mare dalle navi delle Ong, mentre chi arrivava in Italia con i piccoli navigli allora, come prima e come continua ad avvenire tuttora, continuò a sbarcare, non potendosi fare diversamente.
Nel Mediterraneo orientale, dopo una prima fase di intensi sbarchi di siriani in Grecia o di un loro esodo via terra verso gli Stati membri, le migrazioni vennero frenate solo a seguito di un accordo della UE con la Turchia, incaricata a trattenere i profughi sul suo territorio a fronte d un cospicuo pagamento.
Una grande pressione fu esercitata dall’Italia sull’Unione Europea, sia per ottenere più consistenti contributi finanziari per l’accoglienza delle persone sbarcate, sia per modificare il Regolamento di Dublino, ma in entrambi i casi il successo è mancato ma non l’avvio di un’opera di sensibilizzazione che ancora stenta a concretizzarsi per via della resistenza di diversi Stati membri, propensi a un orientamento nazionalista contrario a farsi carico anche dei problemi che si incontrano alle frontiere esterne marittime, particolarmente permeabili.
Durante il primo governo Conte la Lega, che del rifiuto agli sbarchi aveva fatto uno dei temi principali della sua campagna alle elezioni del mese di maggio 2018, non mancò di dare un seguito a questa promessa. Il Ministro dell’interno Matteo Salvini propose due “decreti sicurezza”, approvati (rispettivamente a dicembre 2018 e gennaio 2019) dalla maggioranza giallo-verde (Cinque Stelle e Lega), con i quali, tra l’altro, si vietò lo sbarco nei porti italiani di profughi raccolti in mare dalle navi delle Ong o da altre navi, a meno che non venisse assicurato previamente la loro ripartizione tra gli altri Stati membri. Anche l’atteggiamento della popolazione, catturata dalla narrazione dei politici dello schieramento di destra, giunse, in larga misura, a considerare profughi degli invasori e non delle persone bisognose (come continuamente ricordato da papa Francesco).
Il secondo governo Conte, su pressione dei partiti di centrosinistra, ha recentemente modificato i decreti sicurezza proposti dalla Lega, non solo per tenere conto dei meditati rilievi espressi al riguardo dal Presidente della Repubblica ma anche, a seguito delle sostanziali modifiche e la pressoché soppressione del permesso per motivi umanitari, per l’insorgenza di centinaia di migliaia di irregolari (non più registrati in anagrafe) che, a differenza di quanto assicurato nelle elezioni politiche del 2018, non è possibile espellere, se non in misura minima. A sua volta, la Corte Costituzionale, in una sentenza del luglio 2020, ha censurato come illegittima la mancata iscrizione in anagrafe dei richiedenti asilo in quanto discriminatoria rispetto agli italiani e in grado di privarli dei benefici sociali. Anche sulla base di altri interventi della Corte costituzionale, si può affermare che gli anni 2000 siano stati segnati, rispetto al passato, da una visione riduttiva dello status dello straniero in Italia.
Nei primi mesi del 2020 la diffusione del Covid 19 non ha soppresso l’aspro dibattito sull’asilo e sulla presenza straniera ma, comunque, ha portato a considerare prioritari i problemi della salute, della produzione e dell’occupazione.
La “questione dell’immigrazione” in Italia, che continuerà a persistere per le esigenze demografiche negative del Paese, non può essere risolta in una continua contrapposizione tra gli schieramenti partitici senza pervenire a un minimo comune denominatore, basato su una valutazione concreta delle esigenze del Paese e sul rispetto dello status di migrante.
Fino all’inizio degli anni ’90 la Democrazia Cristiana fu un partito molto composito al suo interno e aperto alla collaborazione con gli altri partiti, allargando la rete delle alleanze, arrivando a coinvolgere il partito socialista e, nelle intenzioni, anche il partito comunista, obiettivo per cui le Brigate Rosse giustiziarono il presidente della DC Aldo Moro nel mese di agosto 1978. In questa strategia era fondamentale la mediazione tra le diverse posizioni, non sempre perfetta ma complessivamente andata a buon fine, mentre oggi la mediazione è definita il più delle volte in termini negativi.
Disgregatasi la Democrazia Cristiana, nel 2004 Forza Italia aggregò le forze di centrodestra, prima escluse dal governo (MSI-Alleanza Nazionale e Lega Nord). Da allora sul tema dell’immigrazione la contrapposizione è diventata più accentuata, specialmente da quando è prevalsa la leadership leghista in questo schieramento.
Nel passato non solo era curata maggiormente la mediazione, ma era anche più visibile l’attenzione al diritto internazionale, sia per quanto riguarda l’adesione alle Convenzioni e il loro rispetto che per quanto si riferisce agli orientamenti delle istanze giuridiche internazionali (Corte di giustizia UE, Corte europea dei diritti umani).
Passati quasi 35 anni dalla prima legge sull’immigrazione, l’Italia non è riuscita a formulare i capisaldi di una politica migratoria condivisa. Sono tante le comprensibili differenze dei partiti politici, ma non lo è una contrapposizione politica così radicale. Nel confronto tra le cosiddette “Seconde e Terze repubblica” con la “Prima Repubblica” non sembra che, sotto diversi aspetti, sia quest’ultima a essere in difficoltà, merito anche di una visione in grado di contemperare gli interessi nazionali con una visione europeista, un aspetto che merita di essere approfondito.
Nei primi decenni successivi al Secondo conflitto mondiale si era più coscienti che i disastri causati erano dovuti al prevalere di una concezione nazionalista, che non riusciva a essere temperata dalla necessità di prendere in considerazione anche gli interessi degli altri Paesi e trovare una ragionevole composizione. Per questo motivo, già nella conferenza di Londra del 1949 si pensò alla creazione del Consiglio d’Europa. Tale consapevolezza porterebbe, attualmente, a mediare tra gli Stati Membri per una più ragionevole normativa comunitaria sulla presa in carico dei migranti che arrivano e, anche, a mediare in misura non solo verbale con i Paesi d’origine.
Dialoghi Mediterranei, n. 46, novembre 2020
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Franco Pittau, ideatore del Dossier Statistico Immigrazione (il primo annuario di questo genere realizzato in Italia) e suo referente scientifico fino ad oggi, si occupa del fenomeno migratorio dai primi anni ’70, ha vissuto delle esperienze sul campo in Belgio e in Germania, è autore di numerose pubblicazioni specifiche ed è attualmente presidente onorario del Centro Sudi e Ricerche IDOS/Immigrazione Dossier Statistico.
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