di Marcello Fagiolo [*]
«…che sopra gli altri come aquila vola». Come può il poeta (l’artista) come aquila portarci in volo a guardare negli occhi il sole? Mi sembra straordinaria la evocazione del ragionamento dell’incipit del Vangelo secondo Giovanni, che costituisce sicuramente il background della Crocefissione di Gibellina, se non anche della metodologia della Luce secondo Modica.
E allora: «In principio era il Verbo, e il Verbo era appresso Dio, e il Verbo era Dio… In lui era la Vita; e la vita era la Luce degli uomini: e la luce splende fra le Tenebre, e le tenebre non l’hanno ammessa…». La Luce della Terrasanta è luce mediterranea e dunque anche luce della sua Magna Grecia, luce di scienza pitagorica e archimedea.
Il mistero della Luce coincide col mistero della Tenebra che ritorna Luce. E diventa Luce anche l’Ombra: l’ombra della Croce si imprime sulla parete di tufo affondata tra i due muri, a celebrare il mistero della Montagna che diviene Cava, caverna artificiale, sepolcro di morte e di rinascita. Vuota la Croce, vuota la Cava-caverna che rievoca l’epopea michelangiolesca del finito/nonfinito: e il pensiero corre alla piccola enigmatica cava, scavata dietro alla Madonna del Tondo Doni, dove si poggia il coro degli ignudi e si immerge il piccolo Giovanni con lo sguardo rivolto alla Luce…
Perché la Cava? Perché al posto del pieno, della montagna dell’uomo (la croce piantata sulla tomba di Adamo), Modica propone il vuoto, il cavo utero della madre-terra?
Ho appreso che Modica voleva scandire tre tempi ideali della crocefissione: a sinistra la scala vera con l’ombra della croce | al centro le ombre di scala e di croce | a destra, infine, l’ombra dell’uomo in croce. Ma credo che aldilà di questo ragionamento abbia prevalso l’inconscio della Passione, e mi sembra di leggere la contemporaneità delle tre scene, tutte rivolte al momento conclusivo della scena del Golgota. Scompaiono così le figure del Figlio dell’Uomo e, alla sua destra, del buon ladrone: resta in croce il cattivo ladrone, e all’estremità del trittico si apre un inquietante spazio di tenebra, non senza uno spiraglio di luce provvidenziale.
La Cava e i muri del pianto diventano Muro di Resurrezione, là dove si afferma la vera eternità («ego sum via, veritas et vita»). Nelle muraglie si fissano la Sindone del martirio ormai invisibile, l’ombra delle coordinate cruciali e la scala dell’opus (croce-fissione della luce) che diviene strumento mistico di estasi e di ascesi.
L’Ombra ritorna Luce, dunque, simbolo ascetico. E la Luce mediterranea discende come aureola sul muro-sindone, a suggellare il patto delle genti del mare. Il mare come cristallo assorbe e rifrange, moltiplica la luce e i colori in un mezzogiorno iridescente che non vedrà mai il tramonto, perché la fissazione del tempo-spazio (croce-fissione) non consente più evoluzione. I dadi sono tratti sulle vesti dell’uomo, e le quattro parti divise dai soldati sono trasvolate nelle quattro parti del mondo, trasportate dalla luce. L’aceto della spugna è ormai solo sale, residuo del mare-morto prosciugato dal sole-vita. E sulla nigredo cristallizzata trionfa l’opus del sole-oro.
Dove sono finiti gli uomini, Longino e Giuseppe e Nicodemo? E dove sono le donne che dialogavano con gli angeli vestiti di bianco? «Noli me tangere» aveva detto l’uomo alla madre, secondo Giovanni, e le indicava la via, la vita e la verità (la scala) della sua ascensione di luce-nella-luce. E poi l’uomo della luce sarebbe apparso presso il mare ai discepoli e avrebbe misteriosamente ipotizzato la non mortalità del figlio prediletto a cui affidava la trasmissione del Verbo. E il figlio diletto concludeva così il suo vangelo: «Se si scrivessero le molte altre cose fatte da lui, credo che neppure tutta la terra potrebbe contenere i libri che sarebbero da scrivere».
E allora possiamo ritornare all’incipit per trasformarlo in racconto, in Parola (parabola) di Luce attraverso l’inversione della Luce operata dall’Ombra che ritorna Luce secondo Modica.
«In principio era la Luce» potremmo dire per concludere, «e la Luce era Dio, in Lei era la Vita; e la Vita era il Verbo trasmesso agli uomini che splende fra le Tenebre, e le Tenebre non sono più, cancellate dal Verbo che diventa Immagine».
Ma poi come in un lampo affiora, fra tenebre e luce, la nuda rivelazione: la cava e i muri altro non sono che metafora del genius loci di Gibellina. Sappiamo che nel muro sinistro si rispecchia il Palazzo Di Lorenzo, risollevato da Francesco Venezia, e dunque la Crocefissione di Modica canta infine la Passione della città atterrata dal sisma e la sua Resurrezione nell’arte memoriale. Come non ricordare che, al culmine della Crocefissione, il ruggito del terremoto aveva coperto l’ultimo respiro dell’Uomo e che il sole si sarebbe eclissato facendo sprofondare la terra nel freddo di tenebra?
Post tenebras Lux. E così sia.
Dialoghi Mediterranei, n.19, maggio 2016
[*] Si pubblica in anteprima il testo di Marcello Fagiolo che accompagna l’inaugurazione del Trittico Crocefissione di Luce. Il maestro Giuseppe Modica ha eseguito il dipinto nel 2010 per la Chiesa Madre di Ludovico Quaroni a Gibellina, su invito del senatore Ludovico Corrao e con l’approvazione del Vescovo di Mazara del Vallo monsignor Domenico Mogavero, ispirandosi a quei luoghi. Il trittico (olio su tavola, cm. 200×460), che ha impegnato l’artista per diversi mesi, è stato collocato sulla parete sinistra della chiesa e sarà inaugurato il prossimo 6 maggio alle ore 19.
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Marcello Fagiolo, storico dell’arte, docente alla Sapienza di Storia dell’Architettura, ha fondato e diretto la rivista di architettura “Psicon” (Firenze, 1974-77). È consulente del Ministero per i Beni Culturali dal 1980, direttore dell’Atlante del Barocco in Italia. Dal 1980 coordina il programma nazionale pluriennale “Arte e cultura nell’Italia del Seicento”, promuovendo mostre e convegni in varie regioni italiane e la fondazione di Centri di Studi sul Barocco. È direttore del Centro Studi sulla Cultura e l’Immagine di Roma all’Accademia dei Lincei e autore di numerosissime pubblicazioni.
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