Le artiglierie privavano della vita inermi cittadini; stupri e violenze abbrutivano intere etnie e la violenza sembrava avere cancellato ogni parvenza di civiltà nell’intera penisola balcanica. Il sogno panslavo di un’unica nazione dove diverse etnie e religioni convivessero pacificamente era svanito in un presente di assurda violenza. Eppure vi era ancora chi, come Predrag Matvejević, predicava pace, tolleranza, solidarietà e convivenza pacifica. Utopia? Mancanza di concretezza storica? No, egli era animato dalla forza delle sue idee derivate da una profonda conoscenza storica della sua terra e dell’Europa mediterranea, da una forte passione politica e da una coscienza e una dignità civile che sapeva vedere oltre la barbarie del momento.
Molti hanno scritto e trattato sul Mediterraneo, sui suoi popoli e sulle sue storie. L’hanno fatto egregiamente lasciandoci pagine di indimenticabile bellezza ed efficacia. Da Pirenne a Braudel, da Abulafia a Broodbank, da Hordan e Purcell a Kristiansen, ma nessuno l’ha fatto innestando un profonda dottrina in un corpo politico. Predrag Matvejević si inserisce senza alcun dubbio tra i grandi storici, archeologi e antropologi che hanno interpretato e descritto in maniera originale ed efficace il Mediterraneo. A differenza degli altri la sua vita e la sua azione sono state un palinsesto tra dottrina e passione civile e politica. Il suo sapere e la sua sensibilità storica non hanno prodotto soltanto pagine d’indimenticabile efficacia, originalità e profondità, ma anche una vita dedicata all’azione politica e alla testimonianza civile verso un mondo più giusto dove la convivenza pacifica tra i popoli dovesse costituire la regola.
Dobbiamo ricordare Predrag Matvejević non soltanto come un grande studioso che ha lasciato una ricca bibliografia necessaria per comprendere fatti e misfatti della storia, ma anche come un vivace e impegnato intellettuale che ha lottato per la convivenza pacifica tra i popoli e, in particolare, per la sua idea di Jugoslavia, dove le differenze etniche e religiose non fossero un ostacolo bensì una risorsa per la prosperità del Paese intero. Il suo sogno, rinvigorito nel dopoguerra dalle illusioni della vittoriosa avanzata di Tito, s’infranse di fronte alla costatazione che la Jugoslavia che lui pensava non era quella costruita sul sistema dittatoriale titino. La sua dignità e il suo rigore lo portarono a dissentire pagando di persona l’affermazione della sua dignità. È per questo che alcuni l’hanno definito “l’ultimo jugoslavo”.
Era nato a Mostar, città metafora della tragedia balcanica, dove la distruzione e la ricostruzione del suo emblematico ponte hanno scandito e simboleggiato l’anelito all’unità contro la volontà di separazione e disgregazione etnica dei Balcani. Già la sua origine tradisce la sua vocazione all’interculturalità. Il padre era russo e la madre croato-bosniaca. Fin da giovane manifestò con chiarezza le sue idee mirate a lottare per una patria unitaria – Jugoslavia – dove fossero abbattute le frontiere reali e culturali tra etnie e religioni diverse. Ben presto i suoi ideali vennero in conflitto con gli atavici nazionalismi balcanici ed anche con la nomenklatura di Tito al quale chiese apertamente di dimettersi per favorire il processo di pacificazione nazionale.
Si schierò a favore dei dissidenti sovietici, da Sacharov a Havel, da Kundera a Sinjavskij, in nome di un umanesimo marxista che vedeva tradito dalle derive autoritarie del comunismo dei regimi dell’Est, cui aveva aderito con grandi speranze. Per le sue idee in favore della libertà di pensiero fu espulso dal partito. Fu anche perseguitato dalle autorità croate e condannato per calunnia e diffamazione a cinque mesi di prigione nel novembre del 2005 da un tribunale di Zagabria per aver scritto un saggio d’accusa contro coloro che, a suo avviso, favorivano le guerre balcaniche. Accettò la condanna rinunciando all’appello dichiarando di non riconoscere l’autorità che aveva emesso tale condanna.
Non si arrese e lottò fino all’ultimo per avviare un percorso democratico che mantenesse la Jugoslavia unita. Il Paese si frantumò e cadde in quel vortice di violenza che l’insanguinò per lunghi anni dove barlumi di consenso e democrazia venivano regolarmente annullati dall’azione dei “signori della guerra”. Fu a tal proposito che Matvejević formulò il termine “democratura” sintetizzando un impossibile connubio tra democrazia e dittatura che veniva surrealisticamente millantato. Un neologismo riferito anche ai regimi apparentemente democratici ma in realtà oligarchici. Il riferimento era ai Paesi del socialismo reale, ma sul finire dei suoi anni, con amarezza, vide tendenze verso la ’democratura’ anche nell’Europa liberale e socialdemocratica. Fu europeista convinto, ma la sua convinzione era venata dalla pessimistica constatazione che tensioni contrarie all’ideale europeo emergevano pericolosamente determinando fratture soprattutto tra l’Europa mediterranea e quella continentale.
Fu vittima di violenza subendo attentati e minacce che lo costrinsero all’esilio tra Parigi e Roma non senza avere provocatoriamente consigliato a Milosevic e Tudjman il suicidio per il bene dei Balcani. A Roma insegnò slavistica all’università dal 1994 al 2007 ottenendo la cittadinanza italiana. In Francia ricevette la Legion d’Onore. La Commissione europea di Prodi lo nominò componente del Gruppo dei saggi per il Mediterraneo. Alla sua passione politica accomunava una dignità di vita contraddistinta da una grande generosità verso chi gli chiedeva aiuto.
La sua vita, il suo insegnamento e i suoi scritti sono stati sempre improntati alla lotta contro i nazionalismi in nome di una rinascita dell’umanesimo e dell’abbattimento delle frontiere. La sua prosa è elegante, a tratti ironica. Emerge netta la statura del narratore giustamente definito russo-mediterraneo. Di sconfinata cultura, ma capace di una prosa semplice, fluida e comprensibile a tutti. La summa del suo pensiero si trova nella sua opera più nota e diffusa: Breviario mediterraneo del 1987, edito in Italia un anno dopo e tradotto in oltre venti lingue. Vi è riassunta la storia della civiltà mediterranea con dovizia di dati, ma in uno stile narrativo che contribuisce a farne un’opera assolutamente originale definite da taluni “geopoetica”. È una storia culturale dove l’uomo non è mai in secondo piano, ma è il protagonista in un mare che da sempre è stato vivaio di civiltà. È stato definito anche un “diario di bordo” poiché metaforicamente l’autore naviga nel Mediterraneo sia attraverso le sue localizzazioni geografiche, ma anche lungo i sentieri della sua multiforme e ricca dinamica culturale e spirituale. La narrazione si snoda lungo un percorso concreto che tocca porti, isole, fari, ma anche culture, religioni, lingue e produzioni artistiche non tralasciando quegli elementi peculiari del Mediterraneo quali l’olio, il vino e il sale. Lo possiamo definire un saggio scientifico, ma anche un romanzo di viaggio e una lunga e articolata poesia.
Indicativo il commento espresso da Claudio Magris nella prefazione all’edizione del 2006:
«La cultura e la storia vengono calate direttamente nelle cose, nelle pietre, nelle rughe sul volto degli uomini, nel sapore del vino e dell’olio, nel colore delle onde. Matvejevićcerca di afferrare il Mediterraneo, di abbandonarsi al fascino di questa parola ma anche di circoscriverne rigorosamente il significato, di tracciare limiti e confini. Egli insegue le varie piste mediterranee, quelle dei traffici dell’ambra e delle peregrinazioni degli ebrei sefarditi, dell’estensione della vite e del corso dei fiumi; i confini si fanno allora oscillanti e fluttuanti, ancorché coerenti e concentrici, disegnano ideali curve come isobare o creste d’onda».
La narrazione di Breviario Mediterraneo è articolata per temi concreti, ma anche per immagini e sensazioni che ne fanno una sorta di glossario articolato ed esaustivo nei relativi concetti. È geografia, antropologia, storia, ricalcando i percorsi di Braudel e arricchendoli di soggettiva partecipazione vissuta. Tuttavia è anche una fonte importante di dati narrati poeticamente in una prospettiva sincronica e diacronica.
Attraverso la lettura di Breviario Mediterraneo percepiamo il suono delle onde del mare e del vento che attraversa porti e coste sabbiose. Ripercorriamo i sentieri devozionali scanditi dalle innumerevoli liturgie disseminate lungo le coste del grande mare nei multiformi santuari che l’uomo ha eretto in nome della fede. Utilizziamo le carte e i portolani che hanno sintetizzato quella grande enciclopedia tramandata di padre in figlio nei secoli. Attraversiamo conflitti e tragedie di mare, ma anche sincretismi e periodi di grande fervore commerciale basato su lunghi periodi di convivenza pacifica. È in sintesi un libro che si può leggere come un romanzo, ma si può consultare come un’enciclopedia trovandovi sempre spunti di approfondimento e affascinanti affreschi che descrivono poeticamente fatti, uomini e idee. Il carattere di affresco del volume di Matvejević lo si percepisce in un passaggio che così recita:
«La riva, il porto, il molo e il ponte della nave, la piazza cittadina e il mercato, la pescheria, lo spazio vicino alla fontana o al faro, accanto alla chiesa o al monastero, il cimitero e il mare stesso diventano dunque di tanto in tanto palcoscenici aperti. Sui quali vengono giocati ruoli diversi, insignificanti e fatali, e si svolgono rituali quotidiani ed eterni. Di simili scene e avvenimenti sono pieni i secoli: il passato e il presente del Mediterraneo, la storia del suo teatro».
Ma per comprendere il carattere innovativo del saggio che ne fa un’originale forma letteraria tra scienza (geografia, antropologia, linguistica) e poesia andiamo all’epilogo del volume citandone la chiusura:
«Il tempo ha cambiato il significato di molte parole, di quelle di mare come delle altre. Navigando sul Dodekanesos, chiamavo il pane, secondo la vecchia usanza ellenica, artos, i marinai lo chiamavano psomi, per acqua dicevo hydor, essi dicevano nero, io davo al vino il nome ecumenico di oinos, essi lo indicavano come krassi. Sia il pane sia il vino sia l’acqua avevano dunque cambiato nome. Ma il mare aveva mantenuto la stessa voce: thalassa. Il mare Mediterraneo è uno, direbbe in questo caso il glossatore, le sue forme espressive si differenziano. Sul Mediterraneo ho navigato con gli equipaggi e con compagni di viaggio; ho percorso i fiumi e le loro foci in solitudine»
Oltre al Breviario molteplici sono i suoi scritti: Epistolario dell’altra Europa (1992), Sarajevo (1995), Ex Jugoslavia. Diario di una Guerra (1995), Tra asilo ed esilio (1998), I signori della guerra (1999) Uno dei suoi ultimi saggi editi in Italia è stato L’altra Venezia (2012), ambientato nell’Adriatico (da lui definito un “piccolo Mediterraneo”) dal quale traspare un sottile pessimismo che fa presagire tempi bui e senza speranza. Pane nostro (2015), epilogo della sua lunga genialità narrativa e saggistica, è un ulteriore invito all’unità e alla solidarietà ispirandosi alla liturgia ecumenica della condivisione del pane diffusa e comune a tante etnie e religioni.
La sua scomparsa è avvenuta a 84 anni dopo un lungo periodo di sofferenze e solitudine ospedaliera. Para- dossalmente la sua morte fisica, solitaria e amara, è la metafora di un crepuscolo triste dei suoi ideali. È scomparso in un momento nel quale rinascono i nazionalismi, si costruiscono muri e riemerge lo spettro dell’isolamento etnico anche in quegli ambienti storicamente culla d’ideali di libertà e fratellanza come la Francia. Nonostante ciò, caparbiamente vogliamo seguire le sue idee ed essere ottimisti essendo convinti che, con i muri e con le frontiere chiuse, la civiltà del pianeta sarà destinata a una tragica fine. Siamo convinti che il suo insegnamento e le sue idee prevarranno e saranno necessarie per la rinascita di un nuovo umanesimo che potrà permettere al mondo, ai suoi abitanti e alle sue civiltà di sopravvivere. Ci aiuterà la sua consapevolezza che le radici culturali del Mediterraneo dovranno diventare la base per sconfiggere le divisioni laceranti che oggi investono il “grande mare”. «Sul Mediterraneo il corpo invecchia molto prima dello spirito», scriveva; ed è l’immortalità del suo spirito e del suo insegnamento che prevarrà alla caducità terrena.
Dialoghi Mediterranei, n.24, marzo 2017
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Sebastiano Tusa, soprintendente del Mare, unica soprintendenza in Italia dedicata a questo specialissimo bene culturale, ha insegnato all’università di Napoli, di Palermo, di Bologna. Dirige scavi e indagini archeologiche in Sicilia, in Libia, in Giappone. Ha esplorato e scavato numerosi siti e relitti nelle acque siciliane e tra le ricerche più significative quella sui fondali ove insistono i resti della battaglia delle Egadi, del 241 a.C. È autore di numerosissimi saggi e monografie scientifiche inerenti l’archeologia mediterranea e orientale.
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