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Progettare il futuro abbracciando il presente: la sfida di Meana Sardo, nel cuore della Sardegna

Meana Sardo (ph. Nicolò Atzori)

Meana Sardo (ph. Nicolò Atzori)

CIP 

di Nicolò Atzori e Francesca Uleri [*] 

1. Di somme, sottrazioni e risultanze 

Noi siamo per noi [...] ciò che riusciamo a raccontare di noi stessi. E per gli altri siamo ciò che loro raccontano di noi. 

Così chiosava l’ebreo Baruch, personaggio cruciale del capolavoro di Giulio Angioni Sulla faccia della terra, chiarendo il nostro rapporto col mondo attraverso la penna asciutta e sapiente del suo autore. Rappresentare e rappresentarsi sono infatti ciò che “libera” il nostro senso delle cose disponendone l’uso e l’abuso a vantaggio o discapito di chicchessia, ma comunque democraticamente; si tratta, nello specifico, di due concetti la cui solida ascendenza socioantropologica consentirà, in queste righe, di farsi strada fino al cuore delle vicende sociali di nostro interesse, dove idealismi e meccanismi coesistono e dove fra questi si cerca un equilibrio.

Ci troviamo precisamente a Meana Sardo, nella subregione storica della Barbagia di Belvì e al confine con quella del Mandrolisai, la quale lega il suo nome ad uno dei più pregiati vini della Sardegna (e non solo) e che – con le sue misurate colline – prelude alla più robusta morfologia del Gennargentu. È qui che l’8 novembre, nella Domo de Molinu, si è tenuto  il partecipato incontro Evoluzione della Comunità meanese dal dopoguerra ad oggi. Focus sull’assetto rurale, incentrato su uno studio territoriale commissionato nel 2022 dalla locale Associazione Culturale S’Andala, sviluppato dall’Associazione Culturale Terras tra il 2022 e il 2023 e del quale l’incontro riprende in parte il titolo [1].

Incontro Evoluzione della Comunità meanese dal dopoguerra ad oggi. Focus sull’assetto rurale

Incontro “Evoluzione della Comunità meanese dal dopoguerra ad oggi. Focus sull’assetto rurale”

«Le Aree Interne, le comunità e i paesi ad esse connessi, sono state spesso rappresentate (da un “approccio sviluppista unilineare”) in maniera unitaria, in negativo e per differenza», esordisce così l’introduzione allo studio, ed è chiaro l’obiettivo dello sforzo di ricerca e interpretazione, come più estesamente verrà esposto nel terzo paragrafo del presente contributo: ripercorrere e leggere prospetticamente l’evoluzione strutturale del sistema rurale meanese alla luce delle nuove suggestioni e del confronto con gli inediti modelli di presenza locale e territorializzazione davanti ai quali ci si può oggi situare. In queste prime righe, invece, si intende sviluppare considerazioni di carattere più generale, magari attinenti al rapporto tra rappresentazione e rappresentatività. Come rappresentare sé stessi e quanto ci circonda, infatti, è in Sardegna un tema cruciale, al centro di ogni dibattito pubblico (e politico): una questione oramai inscrittasi nei nostri modi di fare, dire e sentire e in parte esito, io credo, di quel senso dell’oltre, dell’altrove e della specificità a tutti i costi che assimiliamo come fase procedurale della progettualità locale [2].

465905057_122170151576248485_5134705952932071397_nSi tratta, d’altra parte, di una delle risposte possibili all’inversione dello sguardo auspicata dagli orientamenti già scaturiti nel volume Riabitare l’Italia (2018) e derivante da una necessità – insieme locale e regionale e nazionale, quindi socioeconomica e politica – di contrastare l’atavica tendenza delle interpretazioni nord-sud e centro-periferia: di interrogarsi, in primis, sulle configurazioni territoriali consuete, suggerendo nuovi punti di vista rispetto alla questione delle aree interne, “deboli” o “marginali”, e a partire da queste riposizionarsi rispetto al presente e agli scenari contingenti; di discutere fermamente una visione strategica unidirezionale nella quale queste sono scalzate a vantaggio della dimensione urbana e metropolitana, che diventa l’epicentro degli sforzi politici. Non a caso, ormai da diverso tempo, sia nel dettato politico (particolarmente locale) che in quello specialistico il prefisso ri- trova spazio fra i verbi innumerevoli e cangianti della discorsività progettuale, non di rado chiamata a ridondanti abbuffate di ottimismo: riqualificare, ripensare, riattivare e il loro padre putativo riabitare raccontano un paese che nella volontà di ricalibrare sé stesso evidenzia – anche involontariamente – uno iato tra intendimenti, disponibilità e attitudini locali (fra decisori pubblici e attori sociali) e quelle formulazioni nazionali e transnazionali spesso interessate, più che alla gestione della località, all’enumerazione di feticci che diano gambe ad una loro spendibilità unicamente (e umanamente) turistica (e turisticizzata). Come se un prefisso fosse sufficiente a cancellare una storicità sociale e funzionale, quindi produttiva, e formulare un nuovo presente aprioristicamente benefico; come se slogan e auspici eterodiretti potessero avere ragione del bisogno del proprio mondo.

ncontro Evoluzione della Comunità meanese dal dopoguerra ad oggi. Focus sull’assetto rural

Incontro “Evoluzione della Comunità meanese dal dopoguerra ad oggi. Focus sull’assetto rurale”

Quella periferica, infatti, è anche l’Italia dei «vuoti» definita dal Manifesto per Riabitare l’Italia: quella «del declino demografico, dello spopolamento e dell’abbandono edilizio, della scomparsa o del degrado di servizi pubblici vitali (dalla scuola alla farmacia, dall’ ufficio postale al forno, al presidio ospedaliero)» (Donzelli 2020: 3), e più scrupolosamente commentata nel quasi omonimo precedente di Donzelli [3]. Reagire alla decostruzione, insomma, presuppone sforzi muscolari e programmatici vigorosi, adeguatamente supportati da un “reclutamento” di intelligenze locali che tentino di orientarsi e di orientare una fase inedita per il proprio territorio, non di rado rispondente a nuove formule mai percorse prima e nuovi caratteri su cui insistere: un comportamento auspicabile ma che raramente le comunità isolane hanno la forza di interpretare.

Qui, esattamente nel dilatato interstizio tra possibilità e senso dell’abitare, si insinuano quei feticci replicabili e quelle auto-rappresentazioni cangianti che danno gambe a un bisogno di “tornare nella storia” da parte di piccoli contesti che fiutano l’affare di mostrarsi, di esserci nel valzer dei localismi e della normalizzazione dei nonluoghi che tante comunità scelgono per sé stesse, offrendo una produzione prêt-à-porter per qualche ora all’anno. Ecco che il senso del rappresentativo – e della selezione arbitraria e addizionale di una propria immobile simbologia – diviene la rappresentazione urgente e permanente dei territori e delle presunte “specificità” ad essi connaturate. A Meana Sardo hanno invece intrapreso un percorso ben differente. Scrive Aldo Bonomi: 

«La vita sociale, anche nelle sue dimensioni più personali, è connaturata a eventi, sentimenti, competenze e relazioni di più ampio raggio. Anzi di questi si alimenta, non per negarsi, ma per riproporsi in forme inedite» [4]. 
Nuraghe Nolza di Meana Sardo (ph. Nicolò Atzori)

Nuraghe Nolza di Meana Sardo (ph. Nicolò Atzori)

2. Pane al pane, vino al vino 

Ciò a cui mi riferisco, ovvero quella smodata tendenza alla patrimonializzazione maldestra di oggetti e vicende culturali, particolarmente evidente in tanti paesi sardi, non è che una proiezione parziale delle possibilità di esser-ci nella storia –  per dirla con De Martino – quantomeno di mescolare le carte per rivitalizzare (ecco il ri- che si ripropone) un quadro abitativo che si supponga inerme per via dei problemi strutturali esposti. A questo proposito, l’atteggiamento dei meanesi, certo diversamente da altri contesti locali della medesima area geografica, appare ben più prudente e oculato, e a questa esigenza conoscitiva e interpretativa va ricollegato lo studio di Benedetto Meloni e Francesca Uleri, commissionato e promosso dall’associazione culturale S’Andala e finalizzato alla disponibilità di uno strumento di lettura intorno al quale generare proposte e possibilità concrete.

Programmare, insomma, è un fatto intrinsecamente introspettivo che poggia le sue fondamenta nella conoscenza approfondita del territorio in cui si vive quale si è restituita nel lavoro dei sociologi, attento al dato e ancor più alla descrizione scrupolosa del cambiamento. Di quel che resta, certo, parafrasando l’antropologo calabrese Vito Teti (Teti 2017), ma soprattutto di quel che si ha. In questo senso, va capito come l’inversione dello sguardo diventi necessariamente un problema etnografico e sia cruciale che lo rappresenti; soprattutto quando, nella sede della “conta dei danni”, emerga quanto sia importante saper far di conto con grande precisione: «si deve tornare a guardare da vicino […]», poiché «solo sguardi ravvicinati e di dettaglio possono costituire un punto di partenza che consenta di cogliere appieno le fragilità» ma anche, allo stesso tempo, «sollecitare e sostenere nuove strategie di intervento.» (Cersosimo 2020: 8).

Anche i vigneti qui sono eroici, fa notare un produttore, e si interpretano dualisticamente: come “passione” e come “forma di resistenza”, asseriscono i meanesi Giovanni Cogoni e Giuseppe Fulghesu in un articolo comparso proprio su “Dialoghi Mediterranei” [5]; un punto di forza è dunque rilevabile: è bene caratterizzarsi per la produzione vinicola e per la cultura agronomica che caratterizza le competenze locali al punto di preservare un paesaggio che, dal 1954, risulta invariato per quasi due terzi, con un bassissimo livello di antropizzazione. E dove sono i giovani?, si chiede la platea più attenta e sanamente cinica. Forse l’eroismo sta proprio qui, prima che nella varietà colturale: nel sottrarre questa categoria all’apatia sociale e politica (nel senso più ampio del termine) che li allontana dalla libera iniziativa e ne costringe l’azione vitalistica entro i crismi del sufficiente.

Dove sono i giovani? ci si chiede un po’ ovunque in Sardegna. Cosa questi siano io mica l’ho capito. Eppure, mi si dice, giovane lo sono, costretto come appaio nel limbo degli enta, da tanti percepito come brodo primordiale di tristezza e vanità. Nuovi codici, vecchie generazioni: non di rado, a farsi carico della rivoluzione è una frangia che ha già esperito diversamente, troppo tempo addietro, lo spazio e il territorio. Ha dunque vissuto un “altro” paese di cui non fatica a vagheggiare il “ritorno”, che si fa con ciò che c’era (ipse dixit) ma grandemente con ciò che si ha adesso, hic et nunc. Ma i vecchi punti di forza possono sembrare oggi ataviche resistenze, in parte relitti di un mondo da rivedere o ripensare e in parte appigli resistenziali contro una realtà iper-veloce e iper-complessa che di quel cambiamento fa un mantra che spaventa. Riguardo a Meana, non mancano le basi del ripensamento e l’entusiasmo dei suoi fautori, a partire dalle suggestioni sulle nuove forme di patrimonializzazione e quindi sulla predisposizione di nuovi spazi sociali che implementino l’interazione “culturale” e, semmai, siano presidi della conservazione e trasmissione dei saperi locali in senso territoriale e produttivo. È assolutamente lecito credere che questa sia una prospettiva stimolante per abitare diversamente il paese.

imagesSu questo binario, insomma, teso a chiarire il rapporto tra rappresentazione fedele e rappresentatività di ciò che si ritiene “sintetizzi” una realtà locale e la sua immagine, fatto insieme addizionale e sottrattivo e per questo arbitrario, si situa in effetti lo studio commissionato da S’Andala all’Associazione Terras. Il lavoro, già presentato in una sua forma sintetica in una precedente pubblicazione della sezione “Il Centro in Periferia” [6], è il culmine di uno sforzo di indagine e comprensione multilivello a cui la stessa cittadinanza meanese ha partecipato con una condivisione della propria memoria e/o delle proprie esperienze quotidiane, come imprenditori della nuova economia rurale meanese o come amministratori locali.

L’intento dell’Associazione S’Andala nel commissionare una prima analisi esplorativa sullo scenario rurale meanese, è stato quello di produrre evidenze e contenuti per stimolare una discussione tra cittadinanza, amministrazione locale e generici decisori volta a co-definire una propria discorsività fatta di punti di forza, di debolezza e di proposte di progettazione per far leva sui primi e tentare di superare i secondi nel tentativo di preparare il terreno ove attecchiscano nuove opportunità. Il lavoro dei sociologi è stato quello di ordinare e connettere questi punti, sollecitare suggestioni e di intercettare possibili proposte per la progettazione dello sviluppo locale attraverso alcuni fili conduttori che rimandano, tra i vari elementi, al ruolo e alla centralità dei sistemi agro-pastorali e vitivinicoli. A che servono, d’altronde, sociologi e antropologi se non a chiarire un qualche senso degli infiniti mondi possibili, di cui rendiamo il nostro misura? 

Paesaggio meanese (ph. Nicolò Atzori)

Paesaggio meanese (ph. Nicolò Atzori)

“In paese non c’è più niente”, “il paese sta morendo”: persistenze e altre narrazioni a Meana Sardo  

Se ci aggiriamo, torniamo o viviamo la nostra quotidianità in un paese, non sarà difficile sentire – in una chiacchierata o in un vociferare della piazza – le parole dei compaesani che rimandano a un paese dove “non c’è più niente”. Non sarà altrettanto difficile vivendo in paese fare propria (anche nostra!) quella narrativa; anche solo sporadicamente, magari davanti all’affissione dei nuovi orari del medico di famiglia che verrà in paese solo una volta alla settimana, o alla chiusura del bottegaio storico, che aveva accompagnato la nostra infanzia con i suoi panini per la ricreazione prima di entrare a scuola, quando la classi anche in paese erano piene. E adesso? “Non c’è più niente”, “non c’è quasi più nessuno”, “bidda est morendosì”, il “paese sta morendo”.

Se in paese ci si vive, risulta spesso arduo esularsi da questa narrazione, anche solo occasionalmente la si ripropone quasi in maniera meccanica. Raramente però appare come pura lamentatio, piuttosto risultato parziale di una memoria di luogo che si fatica a mettere in continuità con il presente, o come preludio per una rivendicazione, non più solo del diritto del paese alla città e ai suoi molteplici servizi, ma ora più che mai del diritto – dei residenti e di chi costantemente cerca di tornare – al paese e alla sua economia fondamentale.

Non ci si può però stupire che questa narrativa – seppur in maniera non esclusiva –  aleggi tuttora nella discorsività e auto-narrazione dei paesi. Del resto, le aree interne, le comunità e paesi ad esse connessi,  sono stati per decenni rappresentati in maniera unitaria, in negativo e per differenza. Come ampiamente evidenziato nell’introduzione allo studio sul sistema rurale di Meana Sardo, per decenni infatti si sono accumulate letture e interpretazioni sull’assenza di sviluppo, sull’arretratezza delle aree interne e dei loro sistemi produttivi, sullo svantaggio economico, sul declino, con focalizzazioni che rimandavano alla rarefazione produttiva e sociale, al calo delle attività e dell’occupazione, alla mancanza dei servizi essenziali, all’abbandono della terra con conseguente diminuzione della superficie coltivata, del pascolo e delle pratiche boschive. Si stratificava inoltre la costruzione della rappresentazione della campagna interna come campagna indifferenziata (Brunori, 1994; Bertolini, Pagliacci, 2012), di per sé sempre “difficile” perché mal adattabile a processi di modernizzazione con meccanizzazione e intensivizzazione produttiva.

All’interno di questa rappresentazione la struttura del mondo contadino, descritta come forma di produzione premoderna e obsoleta si poneva con la sua proprietà fondiaria altamente frammentata e ridotta, e la sua dimensione familiare quale principale fonte di manodopera, come ostacolo nel processo di sviluppo delle economie nazionali e superamento della miseria rurale (Bevilacqua, 2014).

Le aree interne, i paesi e le campagne interne,  iniziavano ad apparire dunque come residuo storico e geografico,  tutto ciò che resta una volta tolte le aree costiere, le pianure fertili, le città. Terre generalmente poco popolate, con struttura demografica dispersa in piccoli centri, dominate da appezzamenti poco fertili e acclivi, scarsamente dotate di vie di comunicazione e di collegamenti con le città, le pianure, il mare, inquadrate da Rossi-Doria attraverso la metafora dell’ “osso”, distinto dalla “polpa” delle aree agro-industriali, industriali e urbane più  prospere. Una grande periferia in formazione, un “vuoto”, riflesso dei processi di addensamento della popolazione nelle aree urbane e nelle coste (Meloni, 2015; 2020)..

Meana Sardo con le sue colline segnate dai filari dei vigneti ad alberello – “eroici” – e dal verdeggiare dei pascoli arborati estesi nei vecchi spazi della produzione cerealicola andata in declino sul finire degli anni ‘60, potrebbe entrare all’interno di questa rappresentazione in negativo e per differenza. D’altronde se si guardano i dati sull’andamento demografico, si nota una perdita di circa un migliaio di residenti tra il gli anni ’60 e i giorni nostri (pop. attuale 1599) (si veda anche Muggianu, 2000).

Non è facile quindi a Meana Sardo – così come in una molteplicità di paesi che caratterizzano il Centro Sardegna – non farsi toccare dall’assimilazione e dalla ripetizione della narrativa del declino.

Questa appare e risuona anche in apertura dell’incontro dell’8 novembre nella Domo de Molinu. Ma d’altro canto con uno studio e un dibattito pubblico che trattano dell’ “Evoluzione della Comunità meanese dal dopoguerra ad oggi. Focus sull’assetto rurale [….]” è inevitabile che si rimandi anche ai declini. La scelta fondamentale sta però nel lasciare – o meno – al declino la centralità, se non addirittura la totalità, della discorsività e dello spazio narrativo; la potenzialità di dominare e chiudere l’autonarrazione.  

Meana Sardo, Vigneti (ph. Nicolò Atzori)

Meana Sardo, vigneti (ph. Nicolò Atzori)

3.1. Oltre i vuoti e il declino, una prospettiva sui “pieni” 

L’esclusività del declino nella caratterizzazione dell’evoluzione di una comunità come quella meanese se da un punto di vista scientifico-analitico risulta essere quantomeno inverosimile considerato che è possibile dar conto di processi paralleli che portano il paese ad avere dei vantaggi competitivi locali (Meloni, Uleri, 2023; Cogoni, Fulghesu, 2024), dal punto di vista dell’attivazione di comunità e della progettazione dello sviluppo locale risulta porsi come un vicolo cieco, un racconto con un fine certo e dal profilo sentenziatore. Diventa quindi anche ostico immaginare che un paese possa partecipare numeroso a un incontro dove si sentenzia il proprio spegnimento, mentre tutto ciò che riguarda la memoria del luogo, la propria quotidianità e desiderio di futuro, seppur nell’incertezza, sparisce all’interno della categoria “vuoti”.

All’incontro organizzato dall’Associazione S’Andala la sala si riempie. È un pieno che non elimina narrative parallele di spegnimento, cerca di affiancarcisi e di trovare gli strumenti – anche attraverso la socializzazione della memoria paesana legata alla civiltà contadina – per orientare futuri possibili in cui avere voci localizzate oltre le sentenze omogeneizzate e omogenizzati del declino.

Nelle testimonianze emerse dallo studio e presentate durante l’incontro pubblico il paese si racconta. Emergono la crisi della civiltà contadina degli anni ’60 con l’erosione della cerealicoltura – considerabile come prima vittima della concorrenza dell’agricoltura moderna – le migrazioni pastorali verso il Lazio e la Toscana negli ’70, l’emigrazione urbana e industriale, la deagrarizzazione e la diversificazione dell’economia, l’indebolimento e espianto del sistema vitato tradizionale negli anni ’80 con lo sradicamento di vigneti spesso storici e legati a una viticoltura conservativa. In prospettiva traspare l’espansione del settore pastorale, la stanzializzazione e l’appoderamento di aziende che apportano migliorie all’ infrastruttura rurale, che controllano il bosco giovane e la macchia mediterranea, che mantengono il pascolo brado e accrescono la qualità del latte, che integrano la produzione zootecnica con l’agricoltura in sistemi misti agro-pastorali con forti connessioni di mercato.

Il passaggio dell’agricoltura da cerealicola a foraggera per l’allevamento zootecnico costituisce uno degli elementi più interessanti dell’evoluzione produttiva agro-pastorale meanese in quanto rappresenta un adattamento dinamico del sistemi agrari locali: nella nuova agricoltura si individua un’integrazione dei pascoli naturali la quale  garantisce tramite le rotazioni il mantenimento degli spazi pascolabili e il contenimento della macchia mediterranea. Si ripropone così, in termini mutati, il rapporto tra agricoltura e allevamento, caratteristica del sistema tradizionale precedente agli anni 60’. Nonostante il decremento del patrimonio zootecnico a livello comunale nel periodo analizzato, la persistenza pastorale si realizza attraverso il rafforzamento del modello di allevamento semibrado che può oggi rappresentare una risorsa ecologica strategica ed economica, adatta agli ambienti delle aree interne,  soprattutto per le nuove generazioni che hanno e richiedono nuove competenze.

Non ci si trova quindi sempre davanti a fratture o rotture, bensì a processi di mutamento in cui è possibile intercettare linee di continuità tra un mondo che apparentemente si abbandona e uno in cui si confluisce con assetti socio-produttivi reimpostati.

Vigneti di Meana Sardo (ph. Nicolò Atzori)

Meana Sardo, vigneti (ph. Nicolò Atzori)

Per quanto riguarda il settore vitivinicolo, dopo i disastrosi interventi di espianto delle viti e di gestioni inefficienti della vicina Cantina Sociale di Sorgono, si nota invece un sorgere diffuso di numerose aziende medio-piccole, molto motivate, orientate al mercato, attivate in vari casi da giovani animati da forte spirito imprenditoriale e di attaccamento al territorio. Una presenza di viticoltori che sulla scia di nuove domande di mercato intravedono la necessità di valorizzare  le proprie uve, atte a produrre un vino di grande pregio e qualità, sviluppando attività aziendali per la chiusura della filiera: dal lavoro in vigna, alla vinificazione, e  imbottigliamento,  portandosi direttamente sul mercato, spesso con mezzi finanziari esclusivamente propri. A tali prospettive private si sommano, senza voler qui essere esaustivi,  le varie esperienze progettuali riconducibili alle iniziative dell’Area Pilota SNAI Gennargentu Mandrolisai, alla Progettazione GAL Distretto Rurale Barbagia Mandrolisai Gennargentu,  e alla stessa Associazione S’Andala che su varie linee di azione (es: creazione di itinerari turistici, recupero case storiche, rafforzamento  di produzioni casearie a latte crudo, rafforzamento di produzioni agroalimentari locali come il pane di sapa, ecc.) ricercano una connessione  di risorse, attori e filiere, partendo da ciò che si ha.  

Il rurale traspare non come cristallizzato e obsoleto, ma come rurale in movimento, capace di innovare, di essere filtro attivo di processi esterni. Il paese tenta di rappresentarsi e leggersi oltre il declino e i vuoti, in maniera differenziata  e alle volte anche contrastante, e va tracciando con l’interazione tra compaesani e il gruppo di lavoro un profilo di memorie e risorse senza le quali non può esistere alcun “progetto locale”.

All’incontro organizzato dall’Associazione S’Andala la sala è piena. Pieno tentativo di capire insieme ciò che si ha, ripercorrendo insieme in discorsività  nuove ciò che si è stati e definendo dove ci si potrebbe orientare per sottrarsi a futuri troppo deterministici e incapaci di riflettere il movimento attivo del presente. Il cambiamento, oltre le visioni di declino, bisogna con tenacia e con forza alimentarlo e tenerlo vivo, con partecipazione e irrobustito dialogo intergenerazionale.

La sala piena: è un primo passo. Compito della progettazione dello sviluppo locale è partire da quest’attivazione di confronto e narrazioni per trasformarle in processi mirati che diano presenti concretezze alle idee – anche parziali – di futuro possibile. 

Dialoghi Mediterranei, n. 71, gennaio 2025 
[*] A Nicolò. Atzori vanno riferiti i primi due paragrafi; a Francesca Uleri i rimanenti. 
Note
[1] : Comunità interne in movimento: Evoluzione del sistema economico sociale della Comunità meanese dal dopoguerra ad oggi; Profilo territoriale del Comune di Meana Sardo con focus sull’evoluzione dello scenario del sistema rurale e paesaggio locale. Report di lavoro. Associazione Culturale Terras – “Laboratorio per lo Sviluppo Locale Sebastiano Brusco”
[2]  Certo le ragioni del cosiddetto “marketing territoriale”, dagli obiettivi talvolta nebulosi, incidono pesantemente sul bisogno di raccontare i luoghi definendone una sorta di pedigree. È nella selva delle ragioni della comunicabilità estetica e di un certo idealismo programmatico che più a suo agio si muove la ricerca. 
[3] La citazione è tratta dal Manifesto per riabitare l’Italia, mentre il precedente volume del 2018, ugualmente edito da Donzelli, è Riabitare l’Italia. Si rimanda alla bibliografia per i dettagli delle pubblicazioni.
[4] https://www.fondazionesancarlo.it/conferenza/la-relazione-glocale/  
[5] https://www.istitutoeuroarabo.it/DM/tra-declino-e-rinascita-i-vigneti-eroici-a-meana-sardo/ 
[6] Meloni, B.,Uleri, F. (2023). Agricoltura nelle Aree Interne tra abbandoni, progettazione e ricentralizzazione: il caso di Meana Sardo, Dialoghi Mediterranei, n. 61, maggio 2023
Riferimenti bibliografici 
Angioni, G., Sulla faccia della terra, Il Maestrale, 2015. 
Bertolini, P., Pagliacci, F. (2012). Tra povertà e ricchezza: la ruralità nell’Europa allargata, AgriregioniEuropa: 66-70.
Bevilacqua, P. (2014). “Precedenti storici e caratteristiche del declino delle aree interne”, in abstract from the conference Le aree interne: nuove strategie per la programmazione.
Brunori, G. (1994). “Spazio rurale e processi globali: alcuni considerazioni teoriche”, in A. Pattanoni (a cura di), La sfida della moderna ruralità, Agricoltura e sviluppo integrato del territorio: il caso delle colline pisane e livornesi, Pisa: CNRRAISA, n. 2018, Servizio Tecnografico Area di Ricerca CNR.
Cersosimo. D., Donzelli C. (a cura di), Manifesto per riabitare l’Italia, Donzelli, Roma 2020.
Cogoni, G; Fulghesu G. (2024). Tra declino e rinascita: i vigneti ‘eroici’ a Meana Sardo, Dialoghi Mediterranei, n. 69, settembre 2024.
De Rossi, A. (a cura di), Riabitare l’Italia. Le aree interne tra abbandoni e riconquiste, Progetti Donzelli, Roma, 2018-2020 .
Meloni B. (2020). “Aree interne, multifunzionalità e rapporto con le città medie”, in N. Fenu (a cura di), Aree interne e covid. Siracusa: LetteraVentidue Edizioni.
Meloni, B. (2015). “Aree Interne: Strategie di Sviluppo Locale”, in B. Meloni (a cura di), Aree Interne e Progetti d’Area: 11-26. Torino: Rosenberg&Sellier.
Meloni, B.,Uleri, F. (2023). Agricoltura nelle Aree Interne tra abbandoni, progettazione e ricentralizzazione: il caso di Meana Sardo, Dialoghi Mediterranei, n. 61, maggio 2023.
Muggianu, B. (2000) (a cura di). Meana Sardo e la Grande Trasformazione  nel Novecento. Cagliari: AM&D Edizioni.
Rossi-Doria, M. (2014). Mezzogiorno d’Europa. Lettere, Appunti e Discorsi 1945-1987, Roma: Donzelli Editore.
Teti V., Quel che resta. L’Italia dei paesi, fra abbandoni e ritorni, Donzelli, Roma, 2017.

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Nicolò Atzori, dottorando di ricerca in antropologia sociale presso l’Università degli Studi di Sassari, è una guida museale e didattica (CoopCulture) attiva a Sardara, paese del Campidano centrale. I suoi interessi di ricerca spaziano dall’antropologia del patrimonio – con particolare riferimento all’antropologia museale – all’antropologia digitale, ma non manca di una prospettiva d’indagine incentrata sul paesaggio e sulle tradizioni popolari. Formatosi, fra le altre cose, nell’ambito delle digital humanities, tenta di coniugarne l’approccio a quello della ricerca etnografica ed etnologica in senso classico, secondo l’orientamento dell’antropologica storica. Sta frequentando il master di Antropologia Museale e dell’Arte della Bicocca. 
Francesca Uleri, svolge attività di ricerca nell’ambito della Sociologia dell’Ambiente e del Territorio presso il Dipartimento di Culture, Politica e Società dell’Università di Torino. Precedentemente assegnista presso il Gruppo PAGE (Pisa Agricultural Economics) dell’Università di Pisa e il Gruppo Studi Rurali dell’Università di Bolzano (sede di Bressanone).  Nel 2020 ha ottenuto il dottorato in Agro-Food System presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza. È stata visiting researcher presso l’Inter-American Institute for Cooperation in Agriculture (La Paz-Bolivia) e il gruppo di Sociologia Rurale dell’Università di Wageningen (Paesi Bassi). Collabora con l’Associazione Terras-Laboratorio per lo Sviluppo Locale “Sebstiano Brusco”.

 

 

 

 

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