Lo sappiamo, l’Italia sta diventando sempre più un paese multiculturale, multietnico e multireligioso. Questa convivenza, quando non tende a ghettizzare le comunità ma diventa fertile, nelle rispettive diversità, genera dialogo, scambio, conoscenza, amicizia, amore e talvolta, come naturale conseguenza, anche il matrimonio, sia esso civile o religioso. Addirittura, secondo l’ISTAT, l’aumento dei matrimoni celebrati nel 2012 è dovuto proprio alle nozze di cittadini italiani con stranieri. Capita sempre più spesso: «nel 2012 sono state celebrate 30.724 nozze di questo tipo (pari al 15% del totale), oltre 4 mila in più rispetto al 2011»[1].
L’ Ufficio Nazionale per l’Ecumenismo e il Dialogo Interreligioso della CEI nel 2009 ha promosso un’analisi sul tema, dal titolo “Sposarsi tra confessioni e religioni diverse. Un’analisi sociologica”. Attraverso una scheda-questionario, sono state raggiunte tutte le 223 diocesi italiane: hanno risposto 83, con il coinvolgimento di 23.131.466 persone. I dati fanno riferimento agli anni dal 1999 al 2008. La ricerca è stata curata dalla sociologa delle religioni Carmelina Chiara Canta, docente all’Università Roma Tre, che sintetizza così i risultati:«Abbiamo esaminato il decennio che va al 1999 al 2008 e complessivamente le richieste di dispense e licenze per matrimoni ‘misti’ e ‘dispari’ sono state 10.858. Di questi matrimoni 6.401 sono matrimoni interconfessionali pari al 59% (tra cristiani in cui c’è una parte cattolica e una parte cristiana). I matrimoni interreligiosi sono 839, pari all’8% (con musulmani, buddisti ebrei, ecc). […] La maggior parte è con partner islamico (il 52%). Seguono le religioni tradizionali asiatiche (35%), gli ebrei (11%) e, infine, le religioni di tradizione africana che sono attorno a un numero non rilevante. Riguardo ai matrimoni con islamici, sono soprattutto donne cattoliche che sposano gli uomini musulmani, sebbene nel decennio preso in considerazione c’è stata una crescita di donne musulmane che sposano uomini cattolici. È il segnale di un cambiamento culturale. La prima nazione da cui provengono gli appartenenti alla religione islamica è l’Albania, seguita da Marocco, Tunisia e Algeria.”[2].
Il matrimonio religioso tra cattolici e fedeli di altre religioni, non solo musulmani, sta assumendo numeri sempre più rilevanti in Italia: indice di una società che cambia, come dicevamo all’inizio, a partire dalla sua cellula fondamentale, la famiglia. Fenomeno che sempre più richiede una particolare attenzione anche dal punto di vista pastorale, sia durante la preparazione al matrimonio, sia nell’accompagnamento delle famiglie dopo le nozze. Questo perché per i cristiani cattolici il matrimonio è un dono speciale.
Il matrimonio per i cattolici è prima di tutto un sacramento, non solo il segno della volontà di unione tra i due coniugi:« Il patto matrimoniale con cui l’uomo e la donna stabiliscono tra loro la comunità di tutta la vita, per sua natura ordinata al bene dei coniugi e alla procreazione e educazione della prole, tra i battezzati è stato elevato da Cristo Signore alla dignità di sacramento»[3]. È una vocazione, una specifica chiamata di Dio fatta agli sposi: «La vocazione al matrimonio è iscritta nella natura stessa dell’uomo e della donna, quali sono usciti dalla mano del Creatore. Il matrimonio non è un’istituzione puramente umana, malgrado i numerosi mutamenti che ha potuto subire nel corso dei secoli, nelle varie culture, strutture sociali e attitudini spirituali »[4]. Inoltre, il sacramento del Matrimonio è: «segno efficace, sacramento dell’Alleanza di Cristo e della Chiesa. Poiché ne significa e ne comunica la grazia, il Matrimonio fra battezzati è un vero sacramento della Nuova Alleanza [5]. Il matrimonio, sacramento, vocazione e segno dell’unione di Cristo e della Chiesa, dona agli sposi la grazia di amarsi con l’amore con cui Cristo ha amato la sua Chiesa: «la grazia del sacramento perfeziona così l’amore umano dei coniugi, consolida la loro unità indissolubile e li santifica nel cammino della vita eterna» [6].
Questo il matrimonio sacramentale tra cattolici [7]. Ma la Chiesa prevede la possibilità che fedeli cattolici desiderino contrarre matrimonio religioso con persone di fede diversa. Per questi casi, il Catechismo della Chiesa Cattolica parla di: “matrimonio misto” quando il matrimonio avviene tra cattolici e cristiani di diversa confessione (ortodossi, protestanti, etc.); e di “matrimonio con disparità di culto”, quando il matrimonio è contratto tra cattolici e persone di diversa fede [8]. Le “preoccupazioni” della Chiesa rispetto a queste unioni vengono espresse al paragrafo successivo:« La diversità di confessione fra i coniugi non costituisce un ostacolo insormontabile per il matrimonio, allorché essi arrivano a mettere in comune ciò che ciascuno di loro ha ricevuto nella propria comunità, e ad apprendere l’uno dall’altro il modo in cui ciascuno vive la sua fedeltà a Cristo. Ma le difficoltà dei matrimoni misti non devono neppure essere sottovalutate. Esse sono dovute al fatto che la separazione dei cristiani non è ancora superata. Gli sposi rischiano di risentire il dramma della disunione dei cristiani all’interno stesso del loro focolare. La disparità di culto può aggravare ulteriormente queste difficoltà. Divergenze concernenti la fede, la stessa concezione del matrimonio, ma anche mentalità religiose differenti possono costituire una sorgente di tensioni nel matrimonio, soprattutto a proposito dell’educazione dei figli. Una tentazione può allora presentarsi: l’indifferenza religiosa».
Secondo la Congregazione per la dottrina della fede: «Il sacramento del matrimonio, […] per poter pienamente spiegare la sua efficacia santificatrice e per riprodurre di fatto per i coniugi quel grande mistero (cf. Ef 5,32), in virtù del quale la loro intima comunione di vita rappresenti l’amore con cui Cristo si offrì a salvezza degli uomini, esige più che ogni altra cosa la concordia piena e perfetta dei coniugi stessi specialmente riguardo alla religione: infatti l’unione degli spiriti suole venir meno, o almeno allentarsi, quando intorno ai massimi valori, che sono per l’uomo oggetto di venerazione, cioè intorno alle verità e ai sentimenti religiosi, v’è disparità di convinzioni e opposizione» [9].
Tuttavia, la Chiesa non ostacola a priori queste unioni ma propone delle regole. Per la celebrazione dei matrimoni misti occorre, secondo il diritto in vigore nella Chiesa latina, una espressa licenza dell’autorità ecclesiastica. Mentre nel caso di disparità di culto è richiesta:« per la validità del Matrimonio, una espressa dispensa dall’impedimento.Questa licenza o questa dispensa suppongono che entrambe le parti conoscano e non escludano i fini e le proprietà essenziali del Matrimonio; inoltre che la parte cattolica confermi gli impegni, portati a conoscenza anche della parte acattolica, di conservare la propria fede e di assicurare il Battesimo e l’educazione dei figli nella Chiesa cattolica [10]. Inoltre:« […] Nei matrimoni con disparità di culto lo sposo cattolico ha un compito particolare: «Infatti il marito non credente viene reso santo dalla moglie credente e la moglie non credente viene resa santa dal marito credente» (1 Cor 7,14). È una grande gioia per il coniuge cristiano e per la Chiesa se questa « santificazione » conduce alla libera conversione dell’altro coniuge alla fede cristiana. L’amore coniugale sincero, la pratica umile e paziente delle virtù familiari e la preghiera perseverante possono preparare il coniuge non credente ad accogliere la grazia della conversione [11].
Insomma, nel caso di disparità di culto, è richiesta una dispensa espressa di impedimento perché il matrimonio sia valido. Questa “autorizzazione” presuppone una grande consapevolezza e un accordo tra i due fidanzati sui fini e il valore del matrimonio cristiano come vocazione. I fidanzati cattolici devono portare a conoscenza la compagna o il compagno del proprio impegno a mantenere e vivere la propria fede, a battezzare i propri figli e educarli nella Chiesa cattolica. Da qui le difficoltà che spesso sorgono soprattutto nel caso dei matrimoni con fedeli di altre religioni.
Come abbiamo visto, il maggior numero dei matrimoni con disparità di culto celebrati in Italia sono quelli tra cattolici e fedeli musulmani. Il fenomeno era evidente già qualche hanno fa, tanto da spingere la Cei a produrre nel 2005 delle linee guida, «finalizzate all’assunzione di una linea concorde nella soluzione dei singoli casi che si presentano a livello diocesano», da offrire agli Ordinari diocesani, dal titolo “I matrimoni tra cattolici e musulmani in Italia – Indicazioni della Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana”.
Il documento vuole aiutare i pastori a generare nelle coppie miste di cattolici e musulmani la consapevolezza delle differenze culturali e religiose. Tendenzialmente:« […] l’esperienza maturata negli anni recenti induce in linea generale a sconsigliare o comunque a non incoraggiare questi matrimoni, secondo una linea di pensiero significativamente condivisa anche dai musulmani. La fragilità intrinseca di tali unioni, i delicati problemi concernenti l’esercizio adulto e responsabile della propria fede cattolica da parte del coniuge battezzato e l’educazione religiosa dei figli, nonché la diversa concezione dell’istituto matrimoniale, dei diritti e doveri reciproci dei coniugi, della patria potestà e degli aspetti patrimoniali ed ereditari, la differente visione del ruolo della donna, le interferenze dell’ambiente familiare d’origine, costituiscono elementi che non possono essere sottovalutati né tanto meno ignorati, dal momento che potrebbero suscitare gravi crisi nella coppia, sino a condurla a fratture irreparabili».
I Vescovi italiani tuttavia riconoscono che:« Anche se il matrimonio tra una parte cattolica e una parte musulmana non ha dignità sacramentale, esso nondimeno può realizzare i valori propri del matrimonio naturale e costituire per i coniugi una preziosa opportunità di crescita». In base a questa ratio viene concessa la dispensa:«[…] quando l’Ordinario abbia escluso positivamente la sussistenza di un pericolo prossimo e insormontabile che minacci nella parte cattolica i valori soprannaturali, quali la fede, la vita di grazia, la fedeltà alle esigenze della propria coscienza rettamente formata, e sia certo che la parte musulmana non rifiuti i fini e le proprietà essenziali del matrimonio e non sia legata da un vincolo matrimoniale valido». A queste condizioni, continua il documento, « il rito sacro che unisce gli sposi può rappresentare veramente per loro un segno della grazia divina, una sorgente di ispirazione valoriale, un forte appello all’impegno personale. Attraverso le nozze, gli sposi domandano a Dio di essere presente nella loro vita, di avvalorare la promessa di fedeltà reciproca e di aiutarli nella donazione totale, ciascuno secondo la propria consapevolezza e scelta di fede».
Così, il battezzato è invitato a incamminarsi in un percorso di verifica, di preparazione e di discernimento fatto di dialoghi personali (e di coppia, se la parte musulmana lo desidera) con un sacerdote che abbia una certa conoscenza dell’Islam, delle sue tradizioni, delle pratiche e della concezione islamica del matrimonio, per aiutare il discernimento. È ritenuto importante che chi prepara la coppia possa incontrare almeno la famiglia della parte cristiana, per non isolare socialmente e negli affetti i futuri sposi. L’accompagnatore nel discernimento sarà chiamato a rivolgere alla coppia delle domande riguardo alla pratica della religione, alla conoscenza delle rispettive fedi, dei Paesi di provenienza, della lingua, dei pregiudizi e le divergenze culturali, dei valori comuni su cui intendono fondare la loro famiglia, e l’educazione dei figli. Dopo questi incontri, se la consapevolezza nei futuri sposi del passo che stanno per fare è tale da concedere la dispensa dall’impedimento di disparitas cultus, verranno invitati a frequentare il consueto cammino di preparazione alla celebrazione al matrimonio.
“Prudenza” è una parola che non va più tanto di moda, in quest’epoca di velocità, istinto, immediatezza ed emotività. Ripassiamoci il suo significato: «prudènza s. f. [dal lat. prudentia, der. di prudens -entis «prudente»]. – 1. L’atteggiamento cauto ed equilibrato di chi, intuendo la presenza di un pericolo o prevedendo le conseguenze dei suoi atti, si comporta in modo da non correre inutili rischi e da evitare a sé e ad altri qualsiasi possibile danno […]»[12]. Forse, dovendo cercare un sostantivo che descriva l’atteggiamento della Chiesa Cattolica nei confronti dei matrimoni interreligiosi (matrimoni con disparità di culto), la parola “prudenza” potrebbe fare al caso nostro. Prudenza che per i cristiani cattolici è anche una delle virtù cardinali:«La prudenza è la virtù che dispone la ragione pratica a discernere in ogni circostanza il nostro vero bene e a scegliere i mezzi adeguati per compierlo. […] Essa non si confonde con la timidezza o la paura, né con la doppiezza o la dissimulazione. È detta «auriga virtutum – cocchiere delle virtù»: essa dirige le altre virtù indicando loro regola e misura. È la prudenza che guida immediatamente il giudizio di coscienza. L’uomo prudente decide e ordina la propria condotta seguendo questo giudizio. Grazie alla virtù della prudenza applichiamo i principi morali ai casi particolari senza sbagliare e superiamo i dubbi sul bene da compiere e sul male da evitare»[13].
La Chiesa Cattolica si comporta sempre da madre quando è in gioco una vocazione, un sacramento, il bene e la felicità di una persona. Per questo propone prudenza e discernimento. Praticare la prudenza non significa stare fermi ma ponderare (altra parola antica) sentimenti, caratteri, scelte, priorità, diversità, per portare avanti le cose, per continuare a camminare più consapevoli l’uno dell’altro e rendere vero, con la vita, il matrimonio. Significa non lasciare soli gli sposi, anche dopo il matrimonio. Perché il matrimonio non è solo un fatto privato.
Dialoghi Mediterranei, n.9, settembre 2014
Note
[1] Il matrimonio in Italia, ISTAT, 2013 http://www.istat.it/it/archivio/103369
[2] Agenzia SIR – Servizio Informazione Religiosa, Progetto IdR e NEWS, 12 marzo 2013 (n. 19)
[3] CIC canone 1055, § 1.
[4] CCC, 1603.
[5] Il testo è tratto dal Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC).
[6] CCC, 1661.
[7] Per approfondimenti, vedi CCC, 1601-1666.
[8] «In numerosi Paesi si presenta assai di frequente la situazione del matrimonio misto (fra cattolico e battezzato non cattolico). Essa richiede un’attenzione particolare dei coniugi e dei Pastori. Il caso di matrimonio con disparità di culto (fra cattolico e non-battezzato) esige una circospezione ancora maggiore». CCC, 1631
[9] AAS 58 (1966), 235-239; trad. italiana L’Osservatore Romano, n. 65, 19 marzo 1966, pp. 1-2
[10] CCC, 1635.
[11] CCC, 1635-1637.
[12] http://www.treccani.it/vocabolario/prudenza/
[13] Catechismo della Chiesa Cattolica.
_______________________________________________________________
Tamara Pastorelli, laureata in Lettere, con una tesi sulle “Voci narranti nel Decameron di Giovanni Boccaccio”, è autrice e regista di documentari e programmi televisivi. Collabora con la rivista Città Nuova, per la quale ha scritto due libri: Single (2013) e Alzheimer (2014). Con un gruppo di comunicatori e artisti romani ha dato vita a Puntolab, laboratorio sui temi della comunicazione aperto alla cittadinanza.
_______________________________________________________________
Trovo interessante che siano in aumento le donne musulmane che sposano uomini cattolici! Di solito c’è molta difficoltà e viene richiesta la conversione dell’uomo. È una cosa ovviamente ingiusta che deve essere superata! Si tratta di due religioni sorelle, nessun impedimento al matrimonio dovrebbe esserci. Sarebbe un grandissimo passo avanti! Bisogna eliminare il pregiudizio per cui gli uomini cattolici impediscono alla moglie musulmana di seguire la propria fede. Sarei proprio curioso di sapere come vanno questi matrimoni tra donna musulmana e uomo cattolico!
Secondo me due persone dovrebbero essere essere messi nella condizione di poter unirsi e amarsi a prescindere dalla loro religione. I figli potrebbero frequentare le due religioni e da grandi scegliere in modo autonomo quale accettare.