Pochi anni prima di morire Giacomo Puccini racconta la sua vita all’amico Arnaldo Fraccaroli il quale, poi, la riporta in un bel libro, malinconico e carico di emozioni:
«Nelle indimenticabili serate nelle quali il Maestro amico mi raccontava la sua vita, mi diceva che in quell’epoca, quando gli avveniva di vedersi allo specchio, chiedeva con gioconda voce a quel giovinottone gagliardo che lo guardava: – Di’, Giacomo, sei veramente tu? Siamo veramente noi?» [1].
Nel racconto di Fraccaroli il ricordo di Puccini si riferisce al tempo del debutto delle Villi. Un ricordo cosciente: la sorpresa del primo successo. Ma quanto di veramente cosciente c’è in quelle parole? Puccini raccontandosi attraversa se stesso, s’inoltra nel suo mondo interiore. Il presente si confonde con la memoria stravolta dal tempo, col passato, quando nella sua immagine allo specchio egli scorge altro da sé. Puccini non parla a se stesso, altrimenti direbbe: “Sono veramente io”? Quell’immagine riflessa gli sembra estranea: “Giacomo, dimmi, sei veramente tu?”; l’alterità costituisce l’incertezza di fondo della nostra identità. La chiama con il suo nome. È un volersi riappropriare del proprio essere che gli sfugge: ma il dubbio incalza e rimane. Quel “veramente” lo rappresenta con forza. È possibile fare un passo avanti, riconoscersi, solo a patto di accettare nell’immagine riflessa la presenza dell’altro: “Siamo noi…”
Lo sdoppiamento del Sé in parti non integrate che abbiamo rintracciato nella personalità del Maestro [2] si cristallizza, dopo le Villi e l’Edgar, nelle vicende e nella personalità di Manon Lescaut [3]: i contenuti dell’inconscio si faranno strada verso la coscienza più tardi, negli anni della maturità, ma l’impressione è che già con Manon si approdi a una fase più matura dell’elaborazione dei conflitti interiori. Se, infatti, nelle prime opere l’ambivalenza pucciniana trovava oggettivazione in una vera e propria scissione interpretata da personaggi femminili dal profilo psicologico opposto – Anna e Fidelia la purezza; la sirena di Magonza e Tigrana la lussuria – da Manon Lescaut in poi le cose cambiano. La donna diventa integro e prezioso alambicco nel quale distillare componenti contrastanti di una complessa realtà interiore. Manon dunque è importante sia perché è la prima opera della maturità artistica sia perché in lei si incontrano e si scontrano le componenti psicologiche contrastanti della realtà profonda di Puccini.
Costruire il libretto è faticosissimo: un’altalena di emozioni, disperazione e euforia affiorano dalle lettere ai librettisti. Moltissimi per Manon: Leoncavallo, Praga e Oliva, Illica e Giacosa, Giulio Ricordi, lo stesso Puccini. Solo se i personaggi sono come l’artista vuole si può dare voce alla musica: burattini da riconoscere, in cui riconoscersi.
La musica? Cosa inutile. Non avendo libretto come faccio della musica? Ho bisogno dei miei burattini che si muovono sulla scena [4].
Come nelle altre sue opere, Puccini mostra l’amore non nel suo nascere ma nel suo decadimento. Nel caso specifico, prevale su tutti un tema: la fuga. Una fuga la cui meta ultima è la fine, la trasfigurazione che rende irriconoscibili i due amanti. Li tormenta, infatti, una sete che non può essere placata: «la sete di quell’amore riscatto che hanno cercato fuggendo, perpetuamente fuggendo […]» [5].
«Con Manon Lescaut il genio di Puccini esplose: l’invenzione è a getto continuo, l’ispirazione vi domina né risulta percepibile all’ascolto l’accurato calcolo formale che solo lo studio della partitura può rendere palese. Un calcolo che giunge sino al dettaglio e garantisce all’opera il suo enorme impatto emotivo» [6].
Quest’opera rivela, dunque, tutta la competenza musicale e teatrale di Puccini che non restò certo insensibile alle nuove conquiste del linguaggio musicale, pur non rinunciando mai a compiacere il suo pubblico. È lui stesso a dirlo in una lettera a Carlo Clausetti:
[…] tutti, da Verdi a Mascagni, hanno evoluto lo stile: chi bene e chi male. Per il mio caso, credo l’unico, ho trovato l’accordo fra critica e pubblico; questo per me è la conferma che non ho sbagliato [7].
Arditezze armoniche s’insinuano già nelle pieghe della partitura, asimmetrie ritmiche provocano suggestioni memorabili e, «nella scelta stessa del rilievo vocale della protagonista e nelle riverberazioni timbriche dell’orchestra» [8] che ne accompagna il fascino femminile, si rintraccia un gioco di tensioni che sembra espandersi su tutta la scena con languida sensualità.
Il confronto con la Manon di Massenet è senza dubbio chiarificatore e mette in luce aspetti peculiari della revisione pucciniana. Le diversità dei due lavori sono significative ed è lo stesso Puccini che le sottolinea in una lettera a Marco Praga:
Lui (Massenet) la sentirà alla francese, con la cipria e i minuetti. Io la sentirò all’italiana, con passione disperata [9].
È proprio questa passione disperata che Puccini trasferisce alla musica, tesa, eppure sempre cantabile, tenebrosa, come nella scala cromatica che avvia il duetto fra Manon e De Grieux del secondo atto, eppure capace di tènere inflessioni sentimentali (In quelle trine morbide).
Manon è la protagonista pucciniana che maggiormente decide del destino altrui; la sua colpa più grande consiste nell’incapacità a rinunciare: non riesce a reprimere l’amore per il lusso e non sa soffocare le sue pulsioni erotiche [10]. Eppure, all’inizio dell’opera la donna appare riflessiva ed esitante nel compiere scelte che potrebbero contraddire il destino che altri hanno previsto per lei. Ha accettato che il suo futuro si svolga entro le mura di un convento e, rassegnata, comunica una condizione di profonda tristezza. Timorosa e sincera si dimostra la Manon incontrata da De Grieux.
Improvvisamente, però, la stessa donna cede alla forza dell’amore e, subito dopo, assume un atteggiamento del tutto inatteso, lasciandosi ammaliare dagli ori e dalle ricchezze che il povero amante non avrebbe potuto offrirle. Puccini sottolinea con la musica la compresenza di questi aspetti nella personalità della fanciulla; nel I atto, il tema di Manon – una frase discendente che esprime la tristezza della fanciulla destinata al convento – accompagna le esitazioni prima e la passionalità, poi, di Manon.
Impossibile spiegare, su un piano psicologico, come la donna che ha rinunciato a ogni bene terreno lasci il posto a una donna che non conosce rinunce. L’ingenua ragazza destinata al convento è irriconoscibile nella nuova veste parigina e il suo profilo psicologico si delinea sempre più all’insegna delle contraddizioni. Nelle molteplici manifestazioni contraddittorie, la protagonista appare infantile e priva dell’equilibrio che le consentirebbe di scegliere tra desideri opposti e inconciliabili. La sua avidità di denaro è inarrestabile e genera un vuoto, un senso di insoddisfazione, che la costringe a cercare sempre qualcosa di diverso. L’insoddisfazione perenne richiama alla mente la “noia” di cui Puccini ha scritto in diverse occasioni e che lo portavano a cercare esperienze e sensazioni forti. La stessa Manon si dichiara annoiata: «Son tutte belle cose!… Pur… m’annoio!».
L’incapacità alla rinuncia rivela lo stato di immaturità psicologica e di dipendenza: Manon dipende dall’oro e dall’amore; non è in grado di affrontare il dolore che le provocherebbe una perdita. Le mancano gli strumenti affettivi per elaborare una sofferenza, per attribuirle un significato funzionale al processo di crescita. Questa è la ragione per cui tratta gli altri come oggetti-appendici della propria persona, esigendo dagli stessi il pieno soddisfacimento dei propri bisogni. La sua logica appare quella dell’Io che di volta in volta stabilisce quale desiderio soddisfare, non la logica della coppia e, dunque, della reciprocità.
A questo proposito si condivide la tesi dell’«Atto d’amore solitario» [11], ma viene spontaneo domandarsi quanto la solitudine di Manon non nasconda l’incapacità a vivere con gli altri un’esperienza che comporti la rinuncia a un bisogno personale; è lecito supporre che la debolezza, fisica e spirituale, di Manon che sembra indurla al bisogno dell’altro, più che a un sentimento d’amore, come lo si intende comunemente, sia significativa di quella incapacità di amare di cui parla Carner [12] a proposito di Puccini?
Come i tratti psicologici di Manon nel I e nel II atto sono tanto diversi e in contrasto fra loro, eppure coesistono in lei, così la musica: dallo stesso materiale tematico derivano infatti il tema di Manon che avevamo sentito nel I atto e i motivi galanti che caratterizzano la cortigiana del II atto. Lungo tutto il dramma la musica crea associazioni simboliche fra la Manon parigina e la donna timorosa ed esitante destinata al convento. Frammenti musicali, istanti privilegiati, poche cellule melodiche che Puccini connette e disperde qua e là nella partitura e che suggeriscono l’elaborazione di un itinerario, un cammino da percorrere che passa attraverso più trasformazioni generative, nel tentativo di superare un problematico rapporto con le donne e con se stesso [13]. Se l’arte era stata la creazione di un attimo di perfezione in un mondo imperfetto, in Puccini il rapporto uomo-artista è più complesso. Non l’opera d’arte in sé è il perfetto ma l’opera d’arte è il racconto di una fase del gioco che durerà tutta la vita. Puccini con le sue creature insegue, riorganizza e soffre mentre crea perfezione quasi senza accorgersene, distratto da altro.
Così, nel crescendo emotivo del III e IV atto, il ‘sacrificio’ di Manon cede grandezza creativa che oltrepassa perfino la sua morte. L’impressione è che quello che ‘rimane’ di Manon darà forma a Mimì, dall’io diviso da altre contraddizioni da ‘sanare’ per distillare l’eroina successiva. Così, fino a Turandot, l’arte di Puccini si compie quasi casualmente mentre tutte le sue forze sono rivolte allo sforzo quasi metafisico di riabbracciare alfine la Donna e chiederle perdono, ma soprattutto a capire di cosa.
Dialoghi Mediterranei, n. 63, settembre 2023
Note
[1] A. Fraccaroli, La vita di Giacomo Puccini, Ricordi, Milano 1925: 49.
[2] C. Calabrese, Puccini, le sue contraddizioni psicologiche nelle opere e nei personaggi, in “Dialoghi Mediterranei” n. 62, luglio 2023. Cfr. https://www.istitutoeuroarabo.it/DM/puccini-le-sue-contraddizioni-psicologiche-nelle-opere-e-nei-personaggi/
[3] Dramma lirico in quattro atti dal romanzo Histoire du chevalier des Grieux et de Manon Lescaut di A.F. Prévost. Libretto di autori vari, musica di Giacomo Puccini. Prima rappresentazione: Torino, Teatro Regio, 1 febbraio 1893.
[4] Da una lettera di Puccini a Adami (marzo 1920), in M. Girardi, G. Puccini. L’arte internazionale di un musicista italiano, Marsilio, Venezia, 1995: 443.
[5] E. Siciliano, Puccini, Rizzoli, Milano, 1976:103.
[6] M. Girardi, G. Puccini, cit.: 81.
[7] Lettera di Puccini a Carlo Clausetti (luglio 1911), in E. Gara (a cura di), Carteggi pucciniani, Ricordi, Milano, 1958: 392.
[8] L. Pinzauti, Puccini, una vita, Vallecchi, Firenze 1974: 39-40.
[9] G. Adami (a cura di), Giacomo Puccini, Epistolario, Mondadori, Milano 1928 (rist. 1982): 27.
[10] M. Girardi, G. Puccini. L’arte… cit.: 86.
[11] A. Titone, Vissi d’arte: Puccini e il disfacimento del melodramma, Feltrinelli, Milano, 1972: 29.
[12] M. Carner, Giacomo Puccini. Biografia critica, Il Saggiatore, Milano, 1961: 241.
[13] C. Calabrese, Puccini, le sue contraddizioni cit., https://www.istitutoeuroarabo.it/DM/puccini-le-sue-contraddizioni-psicologiche-nelle-opere-e-nei-personaggi/
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Claudia Calabrese, dottore di ricerca in Storia e analisi delle culture musicali all’Università La Sapienza di Roma, studiosa di musica e letteratura, docente di lettere. Attratta dagli studi interdisciplinari, si è occupata di Giacomo Puccini e di Pier Paolo Pasolini. In Alchimie pucciniane (Accademia di Scienze lettere ed arti di Palermo, 1999) e Manon Lescaut, presagio di una trasmutazione (Avidi Lumi, rivista della Fondazione del Teatro Massimo, 2000) si è accostata all’opera e alla vita del compositore toscano con gli strumenti della psicoanalisi junghiana. Il suo Pasolini e la musica, la musica e Pasolini. Correspondances (Diastema Studi e Ricerche, Treviso 2019) ha ricevuto la menzione speciale per l’originalità e il rigore analitico dalla Giuria del XXXIV Premio Pasolini bandito dal Centro Studi – Archivio Pier Paolo Pasolini della Fondazione della Cineteca di Bologna.
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