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Quali diritti umani? Pensare al futuro per non lasciare indietro i popoli indigeni

1-universal-declaration-of-human-rightsdi Linda Armano 

Negli ultimi decenni, all’interno dei dibattiti sulla tutela dei diritti umani, sono stati incrementate riflessioni e pratiche antropologiche per salvaguardare, in particolar modo, i diritti indigeni. È stato riconosciuto che l’antropologia si trova in una posizione unica per aprire nuove discussioni capaci di decostruire costrutti teorici e concettuali che altre discipline hanno consolidato mettendone in luce le criticità soprattutto quando, tali concetti e teorie, tendono ad escludere epistemologie che storicamente sono state relegate ai margini della conoscenza. Lo sviluppo di nuovi dibattiti tra gli antropologi su questo tema è iniziato soprattutto a fronte delle nozioni di diritti umani proclamate dalla Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni (Clemmer 2014). Anche sulla base di tali riflessioni, è ormai noto che la nozione di diritti umani è un costrutto euro-occidentale, con una lunga tradizione che risale agli antichi Greci e che include tre principi fondamentali: i diritti individuali, il diritto alla non discriminazione e il diritto all’autodeterminazione (Colchester 2021).

Finora lo studio dei diritti umani è stato riconosciuto come un campo esplicitamente normativo in cui il ruolo del ricercatore è quello di contribuire a migliorare tali diritti (Freeman 2001). Questa comprensione è stata criticata come “non scientifica” in quanto faziosa e attivista. Altri studiosi dei diritti umani hanno però sostenuto che lo studio dei diritti umani dovrebbe essere “neutrale” rispetto ai particolarismi locali (Coomans et al. 2010). Tale comprensione è stata a sua volta criticata in quanto perde di vista le differenti interpretazioni e i possibili contributi, storicamente e culturalmente determinati, che gruppi sociali possono dare ai diritti umani soprattutto quando questi ultimi subiscono violazioni (Arstein-Kerslake et al. 2020).

In antropologia, una discussione importante è emersa a proposito della decostruzione delle attuali nozioni di diritti umani e di diritti indigeni nel contesto del diritto internazionale. All’interno di questa tematica, la maggior parte degli antropologi concordano sulla necessità di comprendere le imposizioni di una colonialità ontologica sui diritti umani e di aprire nuovi spazi per specificità culturali che possono suggerire nuovi modi teorici e applicativi per tutelare popolazioni storicamente marginali. Ciò non significa non accettare visioni universali di tali diritti, in quanto i popoli indigeni hanno riconosciuto ed utilizzato queste nozioni per rivendicare i loro diritti collettivi soprattutto in relazione al diritto di autodeterminazione. La ricerca antropologica si è infatti recentemente focalizzata su tale diritto e lo ha generalmente inteso, nonostante sia stato sottoposto alla pressione di ontologie politiche dominanti, come un processo in costante divenire posto in relazione ai mutevoli contesti delle lotte territoriali e sociali e della governance statale (Kramm 2021).

6-arretramento-democratico-e-violazione-dei-diritti-umaniNello specifico, il diritto alla autodeterminazione dei popoli indigeni incorpora diverse concezioni di libertà applicate ai diritti umani le quali comprendono il libero arbitrio, l’autonomia e l’autogoverno oltre che il diritto a costruire la propria soggettività che deriva dall’appartenenza alla comunità indigena. Sulla base di tali dibattiti, alcuni studiosi hanno riconosciuto il contributo teorico e le intuizioni che un relativismo culturale potrebbe apportare a teorizzazioni di diritti umani e di diritti indigeni universali principalmente in riferimento al suo rifiuto all’universalismo e alla critica all’impostazione individualista che è propria dei sistemi di diritto universali di matrice occidentale (Colchester 2021). Di qui è emersa la questione su che cosa distingue il campo accademico dei diritti umani dalle altre discipline e come l’antropologia può far avanzare metodologicamente lo stato dell’arte su questi temi. Si è giunti quindi a ragionare sul fatto che l’umanità potrebbe avvicinarsi ad una congiura critica dovuta a cambiamenti macro-storici i quali potrebbero trasformare radicalmente il campo dei diritti umani ed inaugurare una nuova era. Tali cambiamenti riguarderebbero, secondo molti studiosi, gli equilibri geo-politici, ma anche le questioni su come fronteggiare la crisi climatica attraverso gli sviluppi scientifici e tecnologici.

Questi approcci antropologici risentono delle interconnessioni con temi di altre discipline e attingono agli sviluppi nella geopolitica, nell’ecologia globale, nella macroeconomia messi in prospettiva di analisi dei diritti di popolazioni locali. Autori come Choi-Fitzpatrick (2023) riflettono sulla necessità di un totale ripensamento dei diritti umani e per farlo va ripensato il significato di genere umano nel diritto. Lo studioso analizza il termine umanità sostenendo che esso sia stato scelto deliberatamente. Pertanto, le teorizzazioni finora prodotte sui diritti umani si rivolgono ai diritti e doveri dell’homo sapiens. Choi-Fitzpatrick richiama l’attenzione su questo termine e afferma che i soggetti di diritto si stanno evolvendo. Di conseguenza i prossimi decenni potrebbero vedere la crescita di una personalità giuridica e morale diversa rispetto ad oggi che può protendersi anche oltre l’umano, con risultati quindi imprevedibili su come potranno essere concepiti i diritti umani.

Questo possibile cambiamento è sostenuto dall’emergere di recenti dibattiti sui diritti dei fiumi, delle montagne, degli animali, ma anche dei robot. Choi-Fitzpatrick sostiene quindi che stiamo attraversando una congiuntura critica che descrive l’attuale periodo di incertezza durante il quale le scelte possibili di che cosa sia un essere umano e di quali diritti un essere umano possa godere si estendono sempre più ad inglobare anche ontologie ed epistemologie alternative. Lo studioso afferma l’importanza di comprendere la natura dei cambiamenti presenti e futuri con cui la pretesa all’universalismo di nozioni di diritti umani dovrà sempre più fare i conti. In risposta alle riflessioni di Choi-Fitzpatrick sull’imminente momento critico per i diritti umani, Gellers (2024), ribadendo che tale momento sia proprio ora, critica lo stato attuale della borsa di studio sui diritti umani in virtù della miopia sulla continuazione di violazioni e abusi nei confronti di determinate comunità locali e, in special modo, indigene. Gellers riformula le caratteristiche delle minacce esistenziali in termini di arretramento democratico, di diritti non umani e di tecnologie emergenti le quali, sostiene lo studioso, sono guidate da promesse di diritti umani che si dimostrano poi non mantenute. Egli ribadisce un approccio ai diritti ampio, pluralistico e anti-antropocentrico, capace di comprendere sia gli umani che i non umani. In questo modo Gellers sfida la tradizionale teoria dei diritti umani che trascura queste questioni fondamentali sui titolari di diritti e sostiene una prospettiva orientata al sistema che dissoci la supremazia umana dalla considerazione morale. In questo molto, l’antropologo chiede di ripensare radicalmente teorie e concettualizzazioni sui diritti umani per garantire un’inclusione pluralistica di visioni.

Adhikari et al. (2024) si chiedono, invece, qual è la relazione tra arretramento democratico e diritti umani. Gli studiosi sottolineano come la letteratura si sia soffermata soprattutto sull’effetto dell’aumento delle caratteristiche democratiche sui miglioramenti dei diritti umani. Questo approccio però non ha consentito di mettere abbastanza in luce l’impatto della diminuzione della democrazia sulle condizioni, teoriche e pratiche, dei diritti umani. Gli autori sottolineano l’urgente necessità di comprendere tale questione data la crescente influenza di movimenti antidemocratici incistati in molte democrazie. Adhikari et al. ipotizzano un impatto estremamente negativo sulle condizioni dei diritti di gruppi sociali ed economici più vulnerabili ed evidenziano, grazie a supporti empirici sul campo, come Paesi che stanno vivendo un periodo di arretramento democratico stiano sperimentando maggiori violazioni dei diritti umani. 

2-un-declaration-of-the-rights-of-indigenous-peopleQuali diritti umani futuri per i popoli indigeni? 

Choi-Fitzpatrick (2023) ritiene che i cambiamenti futuri sui diritti umani saranno di tale portata che le istituzioni non potranno non tenerne conto. La trasformazione potrà essere lenta ma costante oppure concretizzarsi in una brusca rottura rispetto al passato. Una questione su cui l’autore pone l’accento è che gli attuali sforzi di azione collettiva, come i boicottaggi di massa, forme di resistenza non violenta ecc., come anche le attuali norme focalizzate sull’uguaglianza, sulla solidarietà, sui diritti antropocentrici, non potranno più bastare. Inoltre, Choi-Fitzpatrick sostiene che nemmeno le attuali istituzioni sociali, economiche e politiche, come gli Stati, i mercati, le organizzazioni intergovernative, i tribunali, saranno sufficienti per affrontare un cambiamento significativo dei diritti umani capace di non lasciare indietro nessuno. Le componenti di natura e di tasso di cambiamento si impongono come due questioni cruciali per riconfigurare gli scenari futuri e per aggiornare le norme dominanti che costruiscono l’attuale ecosistema istituzionale non più in grado di affrontare le sfide che si stanno presentando.

In risposta all’avvertimento di Choi-Fitzpatrick altri studiosi riflettono sulla teorizzazione e l’utilizzo di concetti chiave per la costruzione teorica dei diritti umani. Molte discussioni si concentrano, per esempio, sul concetto di diritto intrinseco che è un’idea tanto universale quanto localmente interpretabile. Il concetto di inerenza in relazione ai diritti umani esiste in virtù dell’intrinseca dignità umana. Per i popoli indigeni, il concetto di inerenza si connette alla loro possibilità di godere del diritto all’autodeterminazione. Quest’ultimo viene esplicato nelle giurisprudenze internazionali e nazionali tramite i diritti all’autogoverno e all’auto-identificazione. Attraverso il diritto all’autogoverno i popoli indigeni negoziano con gli Stati e con istituzioni aziendali pratiche per gestire liberamente l’uso della terra e delle risorse e per perseguire, identificandosi con i valori della comunità, un equilibrato sviluppo sociale, politico ed economico nei limiti dell’autonomia riconosciuta dallo Stato.

La Dichiarazione sui diritti dei popoli indigeni del 2007 ha esplicitamente riconosciuto il diritto dei popoli indigeni all’autodeterminazione che, a sua volta, ha contribuito alla presa di consapevolezza da parte delle popolazioni indigene del riconoscimento della loro autonomia culturale e della possibilità di plasmare il loro destino economico e politico senza violare le normative dello Stato. I diritti intrinseci non sono però stabiliti dagli Stati. Piuttosto essi sono inerenti ai popoli indigeni in relazione alla loro continuità storica, identità culturale e al legame che essi stabiliscono con i territori in cui vivono e in cui hanno vissuto da tempi immemorabili. Negli ultimi decenni è emersa una nuova consapevolezza sull’importanza dei diritti indigeni a livello internazionale. Per esempio, gli organi delle Nazioni Unite hanno sviluppato strumenti di diritto internazionale che proteggono le comunità indigene. Tuttavia, continuano le preoccupazioni a causa della persistenza della violazione di tali diritti (Di Blase 2020).

3-diritto-alluatodeterminazione-indigenaIl giurista ceco Vasak (1977) ha suggerito che i diritti indigeni sono passati attraverso tre generazioni. La prima si lega agli appelli della Rivoluzione Francese di liberté, égalité e fraternité (Sharp 2017). In questa fase, sostiene Vasak nel suo saggio, veniva proclamata la libertà e la partecipazione alla vita pubblica e aveva le sue radici nella Carta Magna, nel Bill of Rights inglese, nella Dichiarazione francese dei diritti sull’uomo e del cittadino e nel Bill of Rights degli Stati Uniti. La seconda generazione, secondo lo studioso, si concentrava sui diritti economici, sociali e culturali e veniva affermata attraverso benefici erogati dallo Stato o dalle aziende e si concretizzava tramite contratti di occupazione lavorativa, erogazione di cibo, assegnazioni di alloggi, forme di assistenza sanitaria, prevenzione sociale e disoccupazione. La terza generazione di diritti indigeni andava oltre i diritti civili e sociali e riguardava la solidarietà e l’affermazione dei diritti collettivi, primo fra tutti il diritto all’autodeterminazione, sull’uso della terra e delle sue risorse. Sottolinea comunque Vasak la durevolezza di concetti appartenenti alla prima e alla seconda generazione, anche durante la terza generazione. Alle riflessioni di Vasak, Mathias Risse (2021) aggiunge una quarta generazione di diritti indigeni che dovrebbe essere mobilitata per proteggere la vita di comunità storicamente emarginate e vulnerabili in relazione all’avanzamento di nuovi strumenti di tecnologia artificiale. Secondo lo studioso infatti, tutti i popoli indigeni dovrebbero poter accedere, in egual misura, all’informatica e agli spazi digitali.

Altri dibattiti si concentrano invece sull’uso della scienza come strumento di politica pubblica e analizza come la politica scientifica influisce sui popoli indigeni in settori quali la protezione ambientale e la salute pubblica. Queste riflessioni confluiscono spesso attorno a ragionamenti sull’ingiustizia epistemica e mostrano come i popoli indigeni siano stati danneggiati nonostante lo sviluppo di programmi internazionali sostenibili. All’interno della relazione tra scienza, politica e la costituzione dei diritti indigeni, in questo filone di ricerca gli studiosi affermano che anche le indagini scientifiche hanno contribuito a violare i diritti umani a svantaggio di popolazioni più vulnerabili come le comunità indigene. Attingendo al diritto internazionale dei diritti umani, questi studi hanno inoltre evidenziato come la politica pubblica dovrebbe passare dal trattare i diritti dei popoli indigeni come oggetti di scoperta scientifica a processi attraverso cui viene sostenuto un lavoro di reciproca e rispettosa collaborazione dove i governi indigeni dovrebbero avere la possibilità di partecipare più attivamente nella creazione di politiche pubbliche (Tsosie 2012). In questo modo, incorporando gli standard dei diritti umani e onorando l’autodeterminazione indigena, la politica pubblica nazionale potrebbe riuscire a rispondere in modo più equo all’esperienza distintiva dei popoli indigeni. Allo stesso modo, scienziati e organizzazioni scientifiche potrebbero integrare gli standard sui diritti umani nei loro metodi disciplinari e nei codici etici professionali, in quanto rispondono alle implicazioni etiche e legali del loro lavoro. La generale problematica in questo filone di ricerca e nelle sue applicazioni consiste, tra l’altro, nel fatto che anche programmi internazionali, aziendali e statali che si dichiarano sostenibili, spesso non coincidono con interpretazioni di sostenibilità da un punto di vista indigeno (Armano e Bosco 2024).

copertina_libro_1-1Un altro recente filone di studi si concentra sul ruolo di norme culturali che facilitano o meno l’accettazione dei diritti umani, sostenuti a livello internazionali, in contesti locali. Tra le riflessioni qui prodotte, molti autori hanno studiato le norme che consentono un’accettazione o meno di concetti di diritti umani e indigeni e seguono un processo di emersione, diffusione e formalizzazione (Di Maggio e Powell 1983).

Di fronte a questi dibattiti, Choi-Fitzpatrick (2023) afferma la necessità di una svolta ontologica negli studi sui diritti umani e sui diritti indigeni. In particolare, tale svolta dovrebbe basarsi su un’estensione della personalità giuridica, in modo da superare la tradizione giuridica occidentale, incentrata sui diritti individuali, e la normativa dei diritti legali, così che possa considerare anche entità oltre l’umano. A sostenere le riflessioni dello studioso, sempre più dibattiti antropologici focalizzati sui diritti indigeni stanno sfidando la natura antropocentrica attraverso cui vengono concepiti i diritti umani. Di fronte alle devastazioni ecologiche in rapida accelerazione, c’è stato un urgente ripensamento sulla presa di responsabilità etica e politica.

Tali dibattiti concordano con la necessità di includere anche l’interconnessione e l’interdipendenza tra umani e non-umani all’interno di sistemi ecologici (Armano e Bosco 2024). Questo cambiamento di prospettiva solleva, a sua volta, importanti questioni legali e pratiche, in quanto richiede di ripensare le campagne di azione collettiva, lo sviluppo di nuove norme e la creazione di nuove istituzioni sociali, politiche ed economiche (Bielefeldt 2021). L’estensione della personalità giuridica anche ad animali e ad elementi della natura sta attualmente mobilitando un’azione collettiva che sta spingendo a cambiare le norme con lo scopo finale di trasformare le istituzioni legali. Ciononostante, Boulot e Sterlin (2022) affermano che il diritto ambientale continua a rimanere ancorato al paradigma di quello che i due studiosi chiamano il modello del “mondo unico”. Essi sostengono che questa struttura ontologica stabilisce che, a prescindere dalla variazione culturale cui si interpreta il mondo, tutte le società umane occupano un mondo “reale”. Sulla base di questa considerazione, il sistema legale pertanto è valutato come un insieme indipendente di norme e procedure che regolano come i gruppi umani utilizzano l’ambiente specificando il danno ammissibile piuttosto che valutando relazioni reciproche che possono essere migliorate.  Questa è l’attuale fase legale la quale non riesce però a soddisfare lo scopo di prevenire le violazioni di minoranze vulnerabili e di adottare rimedi adatti, causando ulteriori barriere all’accettazione e al superamento delle attuali condizioni sui diritti umani. Nello specifico Boulot e Sterlin sostengono la necessità di una svolta ontologica legale al fine di mettere in luce le debolezze di norme a tutela dei diritti umani e, in particolar modo, indigeni e rinnovano l’importanza di esplorare intersezioni di pluri-legalità. I due studiosi propongono una presa di posizione di una giurisprudenza ecologica fondata su un più proficuo dialogo tra pensiero giuridico indigeno e strumenti antropologici al fine di orientare le discussioni future verso la costruzione di una forma di diritto ambientale che sia realmente sostenibile per il pianeta, per tutte le comunità umane e, in generale, per tutti gli esseri. 

5-diritti-dei-fiumi-delle-montagne-degli-animaliConclusioni 

Una svolta ontologica nell’ambito dello sviluppo dei diritti umani e dei diritti indigeni dovrebbe offrire l’opportunità di immaginare economie politiche radicalmente nuove. Un aiuto potrebbe venire dagli studi sulla schiavitù e dell’emancipazione, attenti al fatto che la schiavitù possa costituire una sempre possibile regressione della democrazia. I guadagni duramente conquistati potrebbero essere cancellati da un aumento del numero di persone vulnerabili a causa di pratiche di industrializzazioni poco etiche, di spostamenti dovuti alla crisi climatica, dall’incremento della precarizzazione del lavoro, ma anche dal crollo di un sistema globale che supporta attuali sistemi legali di tutela dei diritti umani (come la Dichiarazione universale dei diritti umani) in cui molte clausole rimangono poco sviluppate. Tra queste, per esempio, poco considerata è la protezione del patrimonio culturale che è strettamente connesso ai diritti umani fondamentali ed è considerata una delle migliori garanzie di pace e sicurezza internazionale.

7-diritti-intrinseci-indigeni-basati-sulla-relazione-tra-la-comunita-e-la-terraLa globalizzazione economica ha certamente stimolato un dialogo e un’interazione più intensi tra le nazioni e ha promosso la diversità culturale fornendo i fondi per recuperare e preservare il patrimonio culturale. Ciononostante, questi fenomeni potrebbero anche mettere a repentaglio il patrimonio culturale e, di conseguenza, i diritti umani soprattutto dei popoli indigeni (Di Blase e Vadi 2020). Questo rischio è certamente più accentuato se il patrimonio culturale viene minacciato da investimenti di grande portata e soprattutto esteri come quelli dell’estrazione di risorse naturali. Parallelamente, il diritto internazionale degli investimenti costituisce un regime giuridicamente vincolante e altamente efficace che richiede agli Stati di promuovere e facilitare gli investimenti diretti esteri. Ciononostante, sono stati sollevati dubbi se l’attuale quadro giuridico riesca effettivamente a proteggere, in maniera adeguata, il patrimonio culturale di gruppi minoritari e vulnerabili rispetto agli interessi di grandi investitori stranieri (Armano e Bosco 2024).

Choi-Fitzpatrick (2023) suggerisce che lo stimolo ad un grande cambiamento possa accadere sotto la spinta di risvolti soprattutto in grossi settori produttivi e di governance, anche combinati tra loro, che possono sconvolgere lo status quo. Secondo l’autore il futuro potrebbe essere radicalmente diverso dal passato e il motivo potrebbe risiedere nella confluenza fra tre processi che riguardano i cambiamenti geopolitici, i cambiamenti a livello di sistema nel clima e nell’energia e fondamentali scoperte nella scienza e nella tecnologia che potrebbero generare una radicale disgiunzione che potrà essere descritta solo come un’epoca completamente nuova nell’ambito dei diritti umani.

Dialoghi Mediterranei, n. 71, gennaio 2025 
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Linda Armano, ricercatrice in antropologia, ha frequentato il dottorato in cotutela tra l’Università di Lione e l’Università di Venezia occupandosi di Anthropology of Mining, di etnografia della tecnologia e in generale di etnografia degli oggetti. Attualmente collabora in progetti di ricerca interdisciplinari applicando le metodologie antropologiche a vari ambiti. Tra gli ultimi progetti realizzati c’è il “marketing antropologico”, applicato soprattutto allo studio antropologico delle esperienze d’acquisto, che rientra in un più vasto progetto di lavoro aziendale in cui collaborano e dialogano antropologia, economia, neuroscienze, marketing strategico e digital marketing. Si pone l’obiettivo di diffondere l’antropologia anche al di fuori del mondo accademico applicando la metodologia scientifica alla risoluzione di problemi reali. Ha pubblicato recentemente la monografia Esplorare valore e comprendere i limiti, Quaderni di “Dialoghi Mediterranei” n. 3, Cisu editore (2022).

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