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Quando la provincia è laboratorio di fermenti letterari

 

cangemi-001di Antonino Cangemi

Reclinare lo sguardo al passato non è un esercizio meramente nostalgico di chi vi si rifugia per diffidenza o paura del futuro, ma è utile per comprendere meglio il presente in tutti i suoi aspetti, compresi quelli che includono, riconoscendone l’importanza – anche sotto il profilo antropologico -, le espressioni artistiche e letterarie mai disgiunte, a una disamina non superficiale, dal traino dell’economia e dai processi, evolutivi e involutivi, della storia. Allo stesso modo non è affatto ozioso ricordare quegli uomini che del passato, sia esso recente o remoto, sono stati protagonisti, pur non conquistando platee e ribalte eclatanti.

Gli anni che stiamo vivendo sono anni di tiepidi interessi culturali e di spenta vitalità politica. Ce ne accorgiamo leggendo Il filo rosso. Documenti per Gianni Diecidue, il saggio di Nicola Di Maio da poco edito da Torri del vento. Un libro che ci fa andare indietro nel tempo e ci rinvia soprattutto agli anni ’60, ’70, ’80 del secolo scorso (nevralgici nell’impegno letterario-politico di Diecidue) animati da un fervore intellettuale e sociale oggi impensabile.

Con Il filo rosso Di Maio ci regala un ritratto intellettuale di Diecidue a tutto tondo, soffermandosi sul poeta, lo storico, l’uomo di teatro, il politico: tutti aspetti tra di loro intimamente legati. Diecidue è stato prima di tutto un poeta e la sua poesia rimanda alla stagione dell’Antigruppo [1], del quale fece parte anche Di Maio. Un interessante capitolo del saggio è dedicato – né poteva essere diversamente – all’Antigruppo, che nasce sul finire degli anni ’60 in contrapposizione, come pure rivela la sua denominazione, al Gruppo 63.

Di Maio illustra egregiamente il contesto socio-politico e letterario di quel periodo connotato da alte tensioni (basta citare la guerra in Vietnam, la contestazione giovanile, l’autunno caldo) e nel quale la spinta ideologica pervade la letteratura. Anche il Gruppo 63 – che l’Antigruppo intese contrastare –, pur nelle sue tante anime e contraddizioni, predicò una letteratura in sintonia con le istanze marxiste e si fece portavoce della lotta al capitalismo. Il Gruppo 63 però si mosse dentro l’establishment, nei circuiti della grande editoria ed ebbe, secondo l’Antigruppo, una malcelata fisionomia borghese ed elitaria che si rifletteva nello sperimentalismo, fonte di un linguaggio ricercato incomprensibile alle classi subalterne alle quali si appellava. Ecco perciò la risposta dell’Antigruppo: la letteratura doveva rivolgersi al popolo con un linguaggio semplice, immediato e diretto attraverso strumenti diversi dell’editoria, tanto più di quella espressione dei potentati economici. Questi strumenti furono, soprattutto nella fase aurorale, il ciclostile, i murales, i recital in piazza, i dibattiti in circoli sociali, politici e letterari.

sicilian_antigruppoCome espone Di Maio nel suo saggio, l’Antigruppo si sviluppa in tre aree territoriali: quella trapanese, quella palermitana e quella catanese. Mentre l’ala catanese ebbe vita breve per la prematura scomparsa di Santo Calì, singolare e talentuoso poeta dialettale oggi quasi del tutto dimenticato, quella trapanese e quella palermitana furono protagoniste negli anni ’70 e in parte negli anni ’80 di un dibattito culturale e politico costellato di polemiche e di rotture. L’Antigruppo trapanese [2] ebbe in Diecidue, Certa e Nat Scammaca i principali esponenti, a quello palermitano aderirono Crescenzio Cane [3], Terminelli e Apolloni. Il dissidio si manifestò in particolare tra chi perorava un linguaggio spoglio e crudo, privo di orpelli letterari fruibile dai ceti meno acculturati (Certa e Scammacca) e chi invece, malgrado le iniziali dichiarazioni d’intenti, rimase sensibile alle sirene delle neoavanguardie e dello sperimentalismo (Terminelli, Apolloni e lo stesso Di Maio): dissidio da cui nacque l’Intergruppo.

La posizione di Diecidue, come spiega di Maio, era di equidistanza tra le due parti contrapposte: «la sua poesia mirava alla sostanza, imbevuta com’era di slanci rivoluzionari umanitari di radici anarchiche e di un meridionalismo ancorato alla realtà dello sfruttamento delle classi subalterne, ma anche alla forma con «una versificazione levigata, sempre attenta alla ‘parola’ eppure qua e là con incrinature, con strappi» [4].

Di Maio punta i riflettori principalmente sull’Antigruppo trapanese. Che dà vita alla rivista “Impegno 70” (poi diventata “Impegno 80”): è in quelle pagine, e nella terza del foglio trapanese “Trapani nuova”, che vennero pubblicati i numerosi interventi, le polemiche, i dibattiti interni all’Antigruppo, e anche le poesie. L’accusa che si è soliti muovere all’Antigruppo è di avere operato nei limiti di un ambito territoriale ristretto, dell’essersi rifugiato in un provincialismo asfittico. Ma se è vero che l’Antigruppo, e Diecidue per primo, erano saldamente agganciati alla provincia trapanese, il loro “provincialismo” non fu affatto asfittico, come evidenzia Leonardo Sciascia nella prefazione alla raccolta “Una stagione d’amore” [5] (prefazione da cui prende spunto l’intelligente introduzione di Salvatore Ferlita e che ritroviamo tra i tanti documenti del volume) che ospita poesie di Certa, Scammacca e Diecidue. La prefazione di Sciascia mette in risalto la vivacità culturale della provincia, le tante iniziative che i tre autori promuovono e segnala come «questa univoca intenzione d’amore, se pure nei risultati diversa, non costituisca segno di evasione ma di speranza».

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Alcuni poeti dell’Antigruppo: Salvatore Giubilato, Nat scammacca, Gianni Diecidue, Rolando Certa, e Pietro Terminelli , anni 60

D’altra parte, a ben vedere, la provincia è stata e continua a essere, un luogo privilegiato d’osservazione della realtà: così per Sciascia stesso i cui racconti-saggio e gli originalissimi “polizieschi” sono tante volte ispirati da figure che hanno vissuto nella sua Racalmuto o nell’agrigentino, e per Simenon – scrittore di cui sempre di più si scopre la genialità – che elesse la provincia francese centro della sua poetica. Non solo: va anche detto che l’Antigruppo trapanese, per quanto alieno – per scelta ideologica – all’editoria di respiro nazionale, non era affatto isolato: al contrario erano solidi i collegamenti con altri movimenti letterari di simili intenti programmatici o altre riviste, quale, più volte citato nel saggio, il periodico fiorentino “Il quartiere” di Giuseppe Zagarrio. Tra gli interlocutori dell’Antigruppo Roversi (redattore con Pasolini e Leonetti di “Officina”) e Zavattini che non facevano mancare i loro contributi a “Impegno 70”. Inoltre, Rolando Certa intratteneva fitte relazioni con i poeti dei Paesi del Mediterraneo, spesso presenti nella rivista, e l’italo-americano Nat Scammacca ha il merito di avere fatto conoscere tantissimi poeti della beat generation allora ignoti in Italia.

Un intero capitolo del saggio è dedicato alla passione e militanza anarchica di Diecidue. Ereditata dal padre barbiere, anarchico antifascista in tempi difficili anche nel Trapanese; quel padre a cui il poeta si rivolge con versi toccanti nella silloge che segna il suo esordio, Le ceneri della luna [6]: «Ma il ricordo di te germoglia la vita / nostra sì puro ideale / che tramonto non sa né pallore / di fine / nel suo firmamento / o padre mio anarchico». Ed è proprio nel risvolto di copertina de Le ceneri della luna che Diecidue enuncia le ragioni della sua poesia, con molta semplicità esplicita i motivi che lo spingono a scrivere versi individuandoli nella fratellanza tra gli uomini ispirata dal suo sentimento anarchico:

«Ancora oggi, e spero domani e sempre mi ripugneranno tutti coloro che dicono di vedere in un uomo un nemico. Per questo sono contro la bomba atomica e contro la più piccola delle bombe, che fa bum e uccide e ferisce un solo uomo. Amo la vita, la pace che non ha bisogno di armi e di armati, e la cara libertà. Cosa amo ancora? Lo ripeto, l’umanità tutta senza togliervi nessuno e la mia anarchia. Forse per dire queste cose scrivo poesie».

1-001Anarchia, quella di Diecidue – ben precisato da Di Maio – come anelito libertario e ugualitario, non certo volta a fomentare azioni sovversive incendiarie e nichiliste. Del Diecidue anarchico è ricordata nel saggio l’attività giornalistica che lo impegnò da sempre (contribuì, tra l’altro, a rifondare “Umanità nuova”, il foglio degli anarchici italiani) e, soprattutto, è sottolineata come essa si compenetra nel suo dire poetico: un filo rosso, come recita il titolo del saggio, unisce la sua vita, la sua poesia, il suo essere anarchico. Ed è significativo che la postfazione del volume sia affidata a un anarchico e storico del movimento anarchico come Natale Musarra; postfazione nella quale, tra l’altro, si richiama il punto di contatto tra Diecidue e l’Antigruppo con un utopista di stupefacente concretezza, Danilo Dolci.

I primi studi storiografici di Diecidue, non a caso, abbracciarono esperienze riconducibili all’anarchismo. I successivi invece furono incentrati su Castelvetrano (gli era particolarmente caro, come già detto, il suo territorio) e sul Seicento. A proposito Di Maio mette in luce il singolare sodalizio tra Diecidue e Virgilio Titone: singolare considerato che in anni in cui le ideologie orientavano le scelte di vita, i due si collocavano su sponde opposte. Diecidue era un progressista anarchico, Titone un liberale conservatore. Li univa però la reciproca stima (Titone è stato uno storico di non comune spessore e un umanista colto e poliedrico, e Di Maio lo sottolinea), il senso di appartenenza al proprio territorio, il periodo storico preso in esame, il Seicento, tanto caro a entrambi. Senza contare che, entrambi (passi l’aggettivo) “originali” (originalità intesa anche nell’essere controcorrente), erano dotati di un’umanità non ordinaria. E tutti e due erano degli eretici: Diecidue s’iscrisse al Pci e visse esperienze significative nel consiglio comunale di Castelvetrano senza però mai abbandonare la sua indipendenza e senza tradire il suo anarchismo; Titone era sì un conservatore, e addirittura provocatoriamente si definiva “reazionario”, ma molte sue posizioni rispecchiavano un liberalismo radicale che non era poi così lontano dall’anarchismo dell’amico poeta. Così in tema di costumi sessuali. Il “conservatore”, “reazionario” Titone da storico dava rilievo ai costumi sessuali in uso nei periodi oggetto dei suoi studi, e lo faceva con uno stupefacente spirito d’apertura. Sicché non stupisca come un altro punto d’incontro tra Diecidue e Virgilio Titone fu Giuseppe Marco Calvino, il poeta dialettale trapanese “licenzioso” dell’800: l’autore de Le ceneri della luna tradusse le sue Poesie scherzevoli [7] e Titone scrisse la prefazione a quel libro edito da Mazzotta. Tutto ciò è raccontato nel saggio e con dovizia documentato (tra i vari documenti che costituiscono parte integrante del testo la citata prefazione di Titone).

ceneri-dalla-luna-poesia-fa017cc5-b4bf-4b60-8f5e-b66c0d672b27Altro aspetto congruamente affrontato nel testo riguarda il Diecidue uomo di teatro, nelle versatili vesti di autore, regista, attore. Lo fu sin da giovane, da quando nella metà degli anni ’50 fece rappresentare Aspettando Godot al Selinus di Castelvetrano, allora opera sconosciuta e ostica agli spettatori e, da uomo non solo di ideali ma anche d’azione, promosse l’occupazione del teatro del suo paese affinché fosse riaperto al pubblico. Di Maio nel Filo rosso scrive delle sue opere e, con la sottigliezza critica che lo contraddistingue, le analizza rintracciando nel gusto per il paradosso e nell’amore per Beckett i suoi tratti distintivi.

Nicola Di Maio, che purtroppo ci ha lasciati prematuramente (la sua scomparsa risale al 2014), ha lavorato alacremente ed egregiamente per realizzare il progetto editoriale che oggi vede la luce. E lo ha fatto con l’amicizia e la devozione che sentiva verso un uomo, Diecidue, che considerava suo maestro. Il sottotitolo, Documenti per Gianni Diecidue, potrebbe far pensare a un libro frammentario e incompleto. In realtà non è così: Il filo rosso è un omaggio a Diecidue visto in tutti i suoi profili, anche quelli di minore rilievo, esaminati comunque con attenzione (si pensi alla sua attività residuale di narratore). E, nelle conclusioni, Di Maio accenna pure alla sua “eccentricità” – frutto non di mania di protagonismo ma di una proverbiale distrazione tipica di non pochi intellettuali troppo immersi nelle loro elucubrazioni – e ci delizia narrando, seppure brevemente, alcuni episodi, tanto curiosi da apparire “leggendari”, e talune avventure o disavventure (dipende dal punto di vista dai quali le si considera) vissute insieme.

 Dialoghi Mediterranei, n. 48, marzo 2021
Note
[1] Sull’Antigruppo leggasi L. Zinna Antigruppo tra poetica populista e ricerca neosperimentale in “Colapesce” n. 8, Palermo, 2003: 17-27. V. Riera, Gruppo 63 e Antigruppo, prefazione di Nicola Bianco, Ila Palma, Palermo, 2012.
[2] Sull’Antigruppo trapanese leggasi la relativa voce in Novecento letterario trapanese, ISSPE, Palermo, 2006.
[3] A Crescenzio Cane, figura singolare di poeta e vigile urbano, è da riconoscersi la paternità dell’espressione “sicilitudine”, solitamente e arbitrariamente attribuita a Sciascia.
[4] Così Di Maio nel saggio che si commenta: 54.
[5]  R. Certa, G. Diecidue, N. Scammacca, Una stagione d’amore, Celebes, Trapani, 1970.
[6] G. Diecidue, Le ceneri della luna, La Procellaria, Reggio Calabria, 1964.
[7] Poesie scherzevoli /Giuseppe Marco Calvino, presentazione di V. Titone, saggio introduttivo di G. Diecidue, Mazzotta, Castelvetrano, 1990.

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Antonino Cangemi, dirigente alla Regione Siciliana, attualmente è preposto all’ufficio che si occupa della formazione del personale. Ha pubblicato, per l’ente presso cui opera, alcune monografie, tra le quali Semplificazione del linguaggio dei testi amministrativi e Mobbing: conoscerlo per contrastarlo; a quattro mani con Antonio La Spina, ordinario di Sociologia alla Luiss di Roma, Comunicazione pubblica e burocrazia (Franco Angeli, 2009). Ha scritto le sillogi di poesie I soliloqui del passista (Zona, 2009), dedicata alla storia del ciclismo dai pionieri ai nostri giorni, e Il bacio delle formiche (LietoColle, 2015), e i pamphlet umoristici Siculospremuta (D. Flaccovio, 2011) e Beddamatri Palermo! (Di Girolamo, 2013). Più recentemente D’amore in Sicilia (D. Flaccovio, 2015), una raccolta di storie d’amore di siciliani noti e, da ultimo, Miseria e nobiltà in Sicilia (Navarra, 2019). Collabora col Giornale di Sicilia, col quotidiano on-line BlogSicilia e con vari periodici culturali.

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