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Quando vincono i nemici del diritto

                    

 costituzione-1-1280x720di Roberto Settembre

Questo titolo contiene tre concetti espliciti e alcuni presupposti. Ma sono i presupposti a consentire l’indagine, poiché la vittoria dei nemici del diritto presuppone l’esistenza di un diritto che abbia degli amici, e di una lotta in sua difesa. Tanto premesso, non essendo questo il luogo per illustrare l’idea del diritto sui cui si discute da millenni, a noi preme evidenziare come il diritto che ci sta a cuore sia quello alla cui radice sta la sua natura razionale, talché la sua antitesi è l’irrazionalità.

Vogliamo cioè parlare di una costruzione intellettuale che rifugge dalle spinte emozionali di cui la più rilevante è la paura. Il nostro diritto ne rifugge e il pilastro che lo sostiene è la Costituzione democratica entrata in vigore il 1° gennaio 1948, tanto più aliena dalla paura quanto più nata dalla lotta contro i fautori della paura.

La nostra Costituzione è così priva di paura da accogliere nel mondo da lei edificato ogni essere umano che vi agisca; anche i devianti, i condannati per qualsiasi delitto, dei quali caldeggia il recupero attraverso il funzionamento delle sue istituzioni (art. 27, II comma: «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato»). La paura è così aliena dai principi costituzionali da includervi ogni persona «senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali» (art. 3).  

È un meccanismo giuridico inclusivo: si tratta cioè di uno strumento mobile, i cui ingranaggi agiscono in modo sincretistico in vista di un obiettivo, che è appunto quello di includere nel mondo così costituito tutte le soggettività a cui si riferisce progettando la strada sulla quale queste soggettività agiranno diventandone soggetti attivi, degni del nome, senza paura verso alcuna di esse.

C’è solo una soggettività contro la quale la Costituzione si erge, ed è quella dei suoi nemici mortali, che non vuole distruggere ma isolarne la tossicità. Per farlo ha bisogno di persone razionali che credano in lei; tuttavia non è ancora il momento di parlarne. Viceversa sono i suoi amici ad avere un compito: quello di far largo al diritto che ne discende con lo scopo di attuarla, cioè di far funzionare il suo meccanismo.

s-l500Sono passati più di 70 anni dalla sua nascita e tutti i suoi genitori sono morti. Sono morti anche quelli che vissero sotto il dominio dei nemici del diritto; sono morti uomini e donne amici di quel diritto che ancora non esisteva, che tremarono e temettero l’irredimibile trionfo di quei nemici. Nei suoi diari del 1939, 40 e 41 Pietro Calamandrei trepida avvilito di fronte all’avanzata inarrestabile di quelli. Eppure, ciononostante, egli fu con altri, quando quei nemici vennero sconfitti, il padre di quel diritto che volle bandire la paura delle spinte che traviano la funzione legislativa, consapevoli che la lotta contro questa paura fosse la lotta nel modo più inclusivo possibile contro le ingiustizie e le disuguaglianze. La cui sintesi consiste in due parole: solidarietà e dignità. Ma non è questo il luogo per analizzare questa lotta, poiché ben altra lotta è in questione, quando vincono o hanno vinto i fautori della paura e dell’irrazionalità, abilissimi nell’utilizzarla per carpire il consenso di chi non ha ricavato dal funzionamento di quel meccanismo ragioni sufficienti per difenderlo.

Ora siamo ben consapevoli che i 74 anni trascorsi dalla nascita del diritto che ci sta a cuore non sono stati sufficienti a garantirne l’introiezione nella mente e nell’animo di tutti i suoi destinatari, e siamo altrettanto persuasi che le ragioni di questa carenza non siano affatto banali o colpevoli. Ma forse, a causa di queste ragioni i nemici del diritto prevalgono impugnando la paura come una clava: è la paura della povertà, della malattia, della perdita del benessere e di un’immagine di sé rassicurante, come individui e come gruppo sociale, a cui si oppone l’erezione di un’identità che esclude la diversità in nome della paura.

Sono tante le forme con le quali la clava di chi brandisce la paura colpisce i suoi avversari nel nome della rassicurazione e della prevaricazione, anche se il discorso è un po’ più complicato di così. Tuttavia, storicamente (non lo diciamo per imbracciare alcun patetico discorso resistenziale, ma solo per rendere più chiaro il ragionamento) chi brandì questa clava lo fece promulgando le leggi razziali del 1938, nate dalle profondità maligne di paure irrazionali erette su giustificazioni pseudoscientifiche, per fini di altra natura. Ma è sempre la stessa clava che muove la mente dei complottisti, degli integralisti religiosi, di chi rifiuta l’accoglienza agli ultimi della Terra, migranti dalla guerra o dalla fame nelle terre che noi europei abbiamo spietatamente colonizzato e sfruttato.

Detto questo e prima di affrontare la ragione più difficile da accettarsi, che tuttavia concorre alla vittoria dei nemici del diritto, è opportuno evidenziare come questi abbiano per alleata una forza formidabile, così strepitosa che gli amici del diritto potrebbero sconfiggerla solo  non cedendo al potere di un’altra forza, tuttora in azione, per suggestività quasi analoga a quella, ma che ha dimostrato di essere perdente,  finendo per aprire le porte e far irrompere nel mondo del diritto non più difeso dalle sue mura ideali, chi vuole distruggere quanto quelle mura dovevano difendere, senza essere riuscite a farlo.

La forza immane dei nemici del diritto è capace di accendere la fede e di scacciare la razionalità, in primis da quando gli alfieri della razionalità vi hanno nascosto un’altra fede, usata per ingannare i destinatari del loro messaggio. Ma soprattutto da quando questi destinatari sono più propensi a inseguire le ragioni dei loro interessi vitali assai più delle ragioni dei princìpi che avrebbero dovuto garantirli. E poiché questo non è accaduto, i nemici del diritto hanno sempre saputo che quei destinatari, quando i loro interessi sono in pericolo, sono pronti ad abbracciare un pensiero mitico che promette la rinascita di un’epoca d’oro e una vendetta risarcitoria. E il mito proposto ai destinatari di quel messaggio non è quello fiabesco dell’antichità, bensì quello che costituisce una verità ritenuta sempre e comunque legittima se proveniente dai desideri collettivi.

Peccato che questi desideri nascano da due terreni: l’uno della frustrazione e della paura, e l’altro dal rifiuto della mediazione razionale. Poi, attraverso questo duplice terreno corre la comunicazione dei nemici del diritto per carpire il consenso dei destinatari del loro messaggio, poiché costoro, delusi dal messaggio razionale, sono in cerca di rassicurazione e disposti, tra la sfera dell’esperienza e quella della credenza, a scegliere la seconda.

Il punto essenziale è proprio questo: cos’è e cosa significano le parole “Sfera dell’esperienza” che, nel nostro contesto, è quella costituzionale nata sulle macerie fumanti della distruzione di un mondo e della morte di centinaia di migliaia di esseri umani ad essa condannati dal potere della credenza.

La difficoltà concettuale è tuttavia enorme, oggi, poiché, come abbiamo detto, gli uomini che praticarono l’esperienza costituzionale, che costruirono questo sofisticatissimo meccanismo istituzionale, sono scomparsi, e con essi la loro testimonianza e la loro viva voce che avrebbe potuto, con l’immensa autorevolezza che li connotava, suscitare un dibattito risolutivo. Ma oggi la stragrande maggioranza delle persone, o per fragilità, o per insipienza, o per ignoranza, o per ingenuità, o per mala fede, è incapace di vedere nella Costituzione, in potenza, l’azione di un meccanismo che abbisogna del contributo attivo di operatori capaci e in buona fede, guidati dalla sfera razionale del loro intelletto. Capaci cioè di farlo funzionare e consapevoli di quanto i principi sui quali si basa quella sfera, non nascono dal mito e dalla credenza  di un’età dell’oro e di una vendetta sui suoi avversari, ma dai princìpi morali scaturiti dalle peggiori esperienze vissute dall’umanità negli ultimi tre secoli: parlamentarismo, democrazia liberale, primato del diritto e razionalismo ne sono stati il frutto, e il bilanciamento dei poteri, la rappresentanza quanto più inclusiva possibile, la solidarietà verso tutti gli esseri umani ritenuti uguali in dignità, sono il motore di quel meccanismo che ha le radici nella triade illuministica della libertà, della fraternità e dell’uguaglianza.

Tuttavia, per comprendere come e perché i nemici del diritto abbiano buon gioco a cercare di distruggerne la natura, è utile vedere come fin dai primi vagiti di quella triade, questi si adoperarono per modificarne l’azione, dal giacobinismo che ghigliottinò Condorcet, a Napoleone che sostituì alla “fraternità” la parola “proprietà”, che ebbe la portata di una rivoluzione restauratrice dirompente. Venne ripristinata perfino la schiavitù abolita dalla Rivoluzione.

Questo viene detto per anticipare le prossime considerazioni sulla funzione e sul potere del mito usato anche dai sedicenti amici del diritto, ma prima di affrontare questa dinamica, è ancora necessario evidenziare quanto sia grande il divario fra due moti dell’animo: da un lato la paura emozionale, e dall’altro l’intelligenza razionale, poiché molto più facilmente il richiamo all’intelligenza razionale viene sopraffatto dalla paura emozionale, un po’ come accade in un ambiente ristretto, affollato e invaso dal fumo, quando la paura emozionale scatena una fuga disordinata e suicidaria, e gli inviti a mantenere la calma restano inascoltati. Certo, in questo caso i più forti e i più resistenti è probabile che prevalgano, ma calpestando i più deboli.

Ebbene, i nemici del diritto affermano di essere persuasi dell’inevitabilità di questo evento nella società umana, per cui, davanti alle crisi o alle problematiche più drammatiche delle relazioni umane o interstatuali, debba edificarsi un sistema che codifichi la sopraffazione degli avversari del progetto, via via identificati nelle figure più utili allo scopo (immigrati, devianti, LGTB, femministe, libertari, o Paesi indegni di aiuto). Ma questo non significa che il fumo sia un’invenzione. L’invenzione viceversa attiene alle cause di quel fumo, ed è funzionale ai rimedi proposti dai nemici del diritto.

Symposium Lipman, 1938

Symposium Lippman, 1938

Tanto premesso, crediamo che sia necessario spendere alcune parole sulle vere cause di quel fumo, poiché il fuoco è stato appiccato molto tempo fa, ed è covato per decenni prima di divampare negli anni 70 del secolo scorso, dapprima col piano Condor in America Latina, e poi col trionfo Thatcheriano e Reaganiano dei decenni successivi.  Le prime braci di questo fuoco furono accese nel 1938, in occasione del Colloque Lippman a cui parteciparono i futuri membri della Mont Pelerin Society. Rispetto ad esse la nostra Costituzione, e quasi tutte quelle nate dalle ceneri della Seconda Guerra mondiale, pur senza additarle come pericolo incombente, eresse le mura ideali a cui abbiamo accennato pocanzi.

Vogliamo cioè evidenziare che anche da parte dei sedicenti amici del diritto (quelli che proclamavano la lotta a oltranza contro le dittature di destra e di sinistra), trionfanti dopo la Seconda Guerra mondiale, venne progressivamente e subdolamente attuato un tradimento in nome della fede in una divinità che nei decenni precedenti, con la crisi del 1929, aveva dimostrato il suo fallimento, ora ricorrendo al mito circa la credenza nell’efficacia di un solo essenziale valore costituzionale come mezzo risolutore di tutti i mali sociali ed economici.

Quella divinità mitica era il “mercato” e questo valore costituzionale era la “libertà”. Quei sedicenti amici del diritto agirono affinché lo Stato intervenisse per garantire la simbiosi tra quella divinità e questo valore, che avrebbe impedito un fallimento analogo a quello verificatosi a causa dell’inerzia dello Stato, aprendo la strada alla felicità universale. Si ricordi a titolo di esempio, il mito della fine della storia di Fukuyama, che aveva predetto un mondo guidato dal neoliberismo avviato senza scosse verso il futuro.

Ma, lo ripetiamo, poiché la Carta Costituzionale è un meccanismo sincretistico fra tutti i suoi elementi, per funzionare ha bisogno di tutte le sue parti, tecniche e di principio, e di operatori capaci e in buona fede. Viceversa la credenza mitica in quella divinità e in questo solo strumento valoriale ha aperto una pericolosissima breccia nelle mura ideali della Costituzione, additando ai destinatari del messaggio neoliberista la sua via come scorciatoia verso una nuova età dell’oro, e anche in questo caso venne usata la paura emozionale come cavallo di Troia per penetrare nelle menti, come fu con lo spauracchio del comunismo, che nei Paesi dov’era al potere aveva dimostrato la sua orrifica brutalità e la sua inefficienza, ma che era ben lungi dal contagiare i Paesi liberali, dotati di anticorpi intellettuali e giuridici.

Eppure, sulla scorta di questa paura e col richiamo a un miraggio salvifico in tempo di crisi, le masse finirono per accettare come verità condotte collettive sciagurate. Ci sarebbe molto da dire sulle cause della fine dei c.d. “trenta gloriosi”, tra il 1945 e il 1975, e ci riserviamo di farlo in futuro, se il lettore non preferisce informarsene altrimenti, ma siamo persuasi che la vulgata prevalente celi un inganno, e che la fine del Welfare abbia ragioni nascoste molto più perverse di quelle sbandierate dai suoi nemici, sol che si  pensi a come i primi esperimenti neoliberisti siano entrati in azione con l’eliminazione fisica del Presidente Allende in Cile e il colpo di stato di Pinochet. È un discorso lungo che non possiamo affrontare adesso, ma la crisi del welfare si accompagnò allo sprofondamento delle menti nel fascino mitico di una ricchezza illimitata a portata di mano dei più capaci, nel nome dell’inesistenza delle classi sociali, dei gruppi, della società, della famiglia, proclamando il primato dell’individuo competitivo e spregiudicato. Si pensi ad esempio all’accensione di un fiammifero esplosivo da passarsi di mano in mano alzando sempre di più la posta per ottenere facili guadagni, scommettendo che la deflagrazione ne avrebbe incenerito solo l’ultimo malcapitato possessore non abbastanza bravo da liberarsene in tempo. Stiamo parlando dei derivati che hanno portato alla bancarotta e alla rovina soggetti privati e pubblici. Non solo: la credenza in quella divinità che doveva essere garantita nella sua libertà di azione dal potere dello Stato, aveva bisogno di una fede nella sua mano invisibile che avrebbe misteriosamente governato una concorrenza illimitata e perfetta a cui ogni essere umano, consumatore e imprenditore di se stesso, avrebbe concorso celebrando il trionfo di uno spietato darwinismo socioeconomico.

Di fatto ci sono quasi riusciti. I deboli e i falliti hanno dovuto soccombere anche fisicamente nei Paesi emarginati, dai quali tentano invano di fuggire, e in parte anche in quelli più fortunati. Si pensi per esempio a come l’accesso alla Sanità pubblica si sia fatto sempre più precario in favore di quella privata, accentuata dalla dismissione sempre più generale di quella in favore di questa, inaccessibile ai perdenti. Ciò sebbene alcune briciole vengano elargite per scongiurarne la rivolta contro i vincitori, garantiti dal potere dello Stato, da istituzioni interne e sovranazionali, come gli Arbitrati previsti dai Trattati a cui sono tenuti anche i governi, rinunciando alle loro istituzioni giudiziarie, quando sorgono conflitti con le multinazionali, da callide forme giuridiche, come quella che ha equiparato ai diritti umani proclamati dalla Dichiarazione universale del 1948 e ben presenti nella Costituzione, il diritto della libera circolazione dei capitali, sempre in nome di quel mito, che ha consentito l’accentramento nelle mani di pochissimi punti percentuali dell’intera popolazione terrestre, di  quasi tutta la ricchezza del mondo.

fel12_it_3_6_new-deal3Esisteva una strada alternativa, tuttavia, che l’umanità più evoluta aveva iniziato a percorrere, indicata dalla nostra Costituzione, e additata da chi aveva ricavato dalle macerie del mondo capitalistico crollato nel 1929 (si pensi al New Deal roosveltiano) il senso morale della scelta. Parliamo di Keynes (morto troppo presto nel 1946) e della sua teoria generale, alla possibilità concreta di rendere egemone un progetto di capitalismo inclusivo sulla scorta dei principi morali, e citiamo ad esempio l’insegnamento di Federico Caffè, che mostrò come erigere una civiltà possibile contro l’ingiustizia sociale, il cui insegnamento tuttavia, incontrando la feroce opposizione del neoliberalismo alla riscossa, non riuscì a prevalere nonostante o forse a causa dei tentativi revisionisti dei neokeynesiani. Ma qui ne proclamiamo ad alta voce il preziosissimo e ineludibile contributo, miseramente tradito dal neoliberismo trionfante.

Ma, si sa, l’interesse prevale sempre sulla morale. Il guaio si fa immane quando l’interesse viene sbandierato come morale, e per farlo si attivano le paure emozionali: l’invasione dei diversi, la sostituzione etnica, il prevalere del degrado nella morale sessuale, il tutto risolto cercando di annichilire la voce e i diritti delle minoranze, conculcando le libertà come rimedio al disordine sociale, facendo volutamente confusione tra sovranità e sovranismo, rifiutando la solidarietà fra Stati, disprezzando l’accoglienza anche in violazione delle norme di diritto internazionale, e via via individuando il nemico da sconfiggere per ottundere le paure emozionali scatenate ad arte, come la UE, la socialdemocrazia, la solidarietà confusa artatamente col buonismo (concetto di cui si rammenta la radice nell’irrisione mussoliniana verso chi mostrava solidarietà verso le persone colpite dalle leggi razziali, a cui era stato tolto il diritto allo studio, al lavoro, all’esercizio dei diritti civili, prodromiche allo sterminio).

Ora, nel presente caso, è ovvio che esista un’inattualità di contenuti e di prospettive circa la concreta possibilità di attuazione dei progetti più aberranti, per quanto tra i nemici del diritto vincenti si annidino feroci nostalgici di quei tempi crudeli e spietati, progetti che non hanno spazio nemmeno nelle democrazie illiberali europee, è improprio fare equivalenze temporali. Ma poiché la dinamica socioculturale ha molti punti di contatto con quella storica, cioè quella mirante a edificare una società illiberale capace di conculcare i diritti di chi viene ritenuto non appartenente al popolo dei nemici del diritto, resta da affrontare l’ultimo aspetto della questione: quale compito spetta a chi crede nel diritto quando vincono i suoi nemici? Cosa resta da fare? In quale direzione deve accendersi l’intelligenza razionale? Come deve contrastarsi la paura emozionale?

Deve premettersi che la nostra Costituzione non contempla il diritto di resistenza come quella tedesca, quando la sua sopravvivenza è aggredita dai suoi nemici e non restano altre forme di lotta legittime. Anzi, poiché la nostra Costituzione non ha previsto nemmeno la possibilità di riforma, ma solo di revisione, i suoi creatori hanno detto, escludendo il diritto di resistenza, che, nel caso si affacciasse questa evenienza, il diritto verrebbe superato dall’uso della forza, che porterebbe alla sospensione della Costituzione, ma la Costituzione non può e non deve contemplare la propria negazione.

Comunque la differenza concettuale tra riforma e revisione dev’essere chiara: la revisione ha il solo scopo di rendere la Costituzione più funzionante, mantenendo intatto il suo impianto istituzionale. La riforma vuole modificarla facendola diventare altro da sé. Purtroppo i suoi nemici hanno spesso contrabbandato la riforma per revisione, in modo tale da infrangere il senso della rappresentatività, allorché hanno ottenuto la riduzione del numero dei parlamentari usando come grimaldello delle menti l’inganno demagogico dell’eccesso di spesa per eccesso di eletti (inganno su cui faremo una chiosa), primo passo per inzeppare il meccanismo dell’inclusività di tutte le soggettività della nazione. Ma i suoi nemici sono ben contenti di approfittarne per cercare di scardinarla trasformando la Repubblica parlamentare, con i suoi balance of of power, di cui il Presidente è un cardine essenziale, in una Repubblica presidenziale capace solo di esprimere il potere dei dominanti, e giustificare questo progetto con la scusa di voler adeguare le nostre istituzioni a quelle di Paesi più funzionanti, ma non per questo meno democratici, significa ignorare sia la Storia, sia la natura di chi sono davvero i nemici del diritto. Ricordiamo per un attimo la scelta elettorale di Chirac che preferì perdere le elezioni piuttosto che allearsi coi nemici della Repubblica francese. Ma, si sa, chi persegue un simile obiettivo e chi gli dà il suo appoggio hanno entrambi la memoria corta.

Tuttavia cedere alla paura emozionale non solo è improduttivo, ma fornisce ai nemici del diritto un’arma in più: la perdita delle energie mentali necessarie per attraversare un tempo difficile in modo propositivo e alternativo ai progetti dei vincitori, senza lasciarsi andare a comportamenti scomposti ed emotivi che offrono facilmente il destro per giustificare reazioni pericolose da parte di chi ha il monopolio della violenza e della forza.

Per quanto siamo persuasi che le persone incapaci di anteporre la morale del diritto all’interesse personale e di gruppo siano impermeabili a qualunque considerazione che smentisca la loro miopia, sostenuta anche inventandosi narrazioni sociali farlocche, bisogna accentuare la consapevolezza delle persone sensibili alla morale del diritto del fatto che la Costituzione è un meccanismo così interconnesso, che amputarla di alcune sue parti significa non solo aggirarla, ma portarla alla morte.

Per introiettare questa necessità concettuale non devono aprirsi varchi demagogici nella mente dei destinatari dei messaggi da parte dei suoi nemici, poiché, altrimenti, si apre la strada al ragionamento capzioso di chi confonde l’automobile col suo conducente, di chi crede che un ospedale con cattivi medici debba venir demolito. E si noti come un simile progetto passi, nella mente degli utenti di quell’ospedale immaginario, dapprima attraverso l’assunzione di medici incompetenti, poi con la demonizzazione dei loro compensi, infine con la demolizione dell’ospedale ritenuto inutile.

Le istituzioni repubblicane sono quell’ospedale. Chi ha sbandierato la necessità di annientarle perché superate e inefficienti, non è solo un arruffapopolo, ma è o è stato colluso, volontariamente o inconsapevolmente, con un progetto eversivo. Diciamo questo proprio perché, in preda alla paura emozionale, che si trasforma facilmente in indignazione e rabbia, le persone sono facile preda della demagogia. Pensiamo per un istante a cosa succede in occasione di un evento portatore di una crisi politica, o economica, o militare, o climatica o pandemica, e si propongono soluzioni semplicistiche per ottundere la paura emozionale. Ricordiamoci del lavorio complottistico contro l’azione governativa che cercava di contrastare la diffusione della Sars Covid 19. Facciamo tesoro di come e quanto e di chi si è opposto alle forme di solidarietà internazionale contro l’invasione dell’Ucraina. Vediamo chi sono gli ideologi dell’esistenza del complotto circa la sostituzione etnica europea. Usiamo l’intelligenza razionale per comprendere i nessi causali fra le argomentazioni dei sobillatori di condotte collettive antisistema e il loro progetto politico. Cerchiamo di comprendere come i nemici del diritto, quando non sono in grado di spadroneggiare nelle istituzioni che hanno cominciato a occupare, usano molti trucchi per impossessarsene del tutto e distruggerle sostituendole con altre a loro congeniali. E cerchiamo di comprendere come questi trucchi non siano palesi, ma molto sottili, poiché la conquista del potere, quando non avviene brutalmente con un rovesciamento violento di quello legittimo, è un processo osmotico più o meno lento, mosso dalle necessità e dalle opportunità di ottenere il massimo consenso.

In proposito soccorre la chiosa che abbiamo anticipato: poiché la Costituzione repubblicana ha assegnato il principale compito di edificare la Repubblica al potere legislativo attraverso la sua democrazia parlamentare, domandiamoci perché, a fronte di palesi inadempienze dei suoi membri, causate dall’inefficienza e da fenomeni di corruttela dei partiti nazionali (e sul punto dovremmo parlare a lungo, sfuggendo ai leitmotiv dei luoghi comuni più diffusi), gli oppositori ne hanno progressivamente progettato la demolizione.

Come mai, invece di spendere energie comunicative e informative, pretendendo che questa istituzione caposaldo della nostra democrazia diventasse degna della sua funzione (esigendo scuole di formazione politica con obbligo di frequentazione da parte dei candidati e degli eletti, pretendendo l’adempimento ai doveri di produzione legislativa seria, agendo per il controllo sui doveri di interventi qualificati, volendo che i rappresentanti rispondessero sul territorio dei contenuti del loro operato, riconoscendo loro la legittimità di compensi adeguati verso la loro altissima funzione, spingendo per l’emanazione di leggi che ampliassero i controlli sulla vita economica degli eletti, ad esempio) hanno profuso le loro forze per instillare nella mente degli elettori l’idea che l’istituzione dovesse venir abbattuta? Quanto era diverso dal minacciare di fare del Parlamento un luogo di bivacco, il promettere di aprirlo come una scatola di tonno? E si noti come analoga condotta venga tenuta anche nei confronti della UE e della stessa ONU, le cui competenze vengono spesso irrise senza distinguere tra di esse. E si noti infine un altro particolare: quanto e come la storia recente europea venga piegata, omettendone parti essenziali, al fine di giustificare la nascita di un sovranismo antistorico e antieconomico.

Corte Europea dei diritti

Corte Europea dei diritti

L’intelligenza razionale, allora, deve essere attivata con equilibrio: lo studio e l’acquisizione di conoscenze sono indispensabili a cogliere le incongruenze e gli inganni non solo delle proposte politiche, ma delle sedicenti analisi autoreferenziali usate per carpire il consenso, poiché nessun consenso, mai, è a costo zero: ogni volta che lo prestiamo rinunciamo a una parte della nostra autonomia di giudizio, e mai come oggi la parola “autonomia” dev’essere compresa nel suo significato etimologico, da “auto nomos”, il sapersi dare la norma a cui conformare il nostro giudizio e la nostra condotta.

È dunque necessaria l’aggregazione tra le persone volenterose e amiche del diritto, col dovere morale dell’impegno secondo le loro possibilità e le loro capacità, consapevoli che comunque, l’Ordine Giudiziario, la Corte Costituzionale, la libera stampa, la Corte di Giustizia europea le cui decisioni hanno effetto vincolante, il diritto di riunione e di manifestare le proprie opinioni, per quanto possano finire sotto attacco, esistono ancora e gli eventuali crimini commessi per perpetrare questo attacco non restano inevitabilmente impuniti.

E devono altresì essere consapevoli e che ogni azione (e per azione si intende ogni pensiero espresso e comunicato) è una fiammella del pensiero capace di trasmettersi ad altri, che possono spegnerla o ricavarne impulso per altri pensieri. Nessuna vittoria, anche quella più devastante per gli sconfitti, è mai stata definitiva. Mai. È un percorso difficile, ma l’intelligenza razionale deve agire per impugnare il diritto e le sue regole in nome dei princìpi che l’hanno edificato. 

Dialoghi Mediterranei, n. 58, novembre 2022
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Roberto Settembre, entrato in magistratura nel 1979, ne ha percorso tutta la carriera fino al collocamento a riposo nel 2012, dopo essere stato il giudice della Corte di Appello di Genova estensore della sentenza di secondo grado sui fatti della Caserma di Bolzaneto in occasione del G8 2001. Ha scritto per Einaudi Gridavano e piangevano, edito nel 2014. Si è sempre occupato di letteratura, pubblicando racconti, poesie, recensioni sulle riviste “Indizi”, “Resine”, “Nuova Prosa”, “La Rivista abruzzese” e il “Grande Vetro”. Con lo pseudonimo di Bruno Stebe ha pubblicato nel 1992 il romanzo Eufolo per Marietti di Genova e nel 1995 I racconti del doppio e dell’inganno per la Biblioteca del Vascello nonché la quadrilogia Pulizia etica per Robin edizioni e nel 2020 Virus e Cherie con la Rivista Abruzzese. Attualmente è collaboratore di “Altreconomia”.

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