Stampa Articolo

Quante “Povere Creature!”

poor-things-3di Aldo Gerbino 

È la Londra vittoriana ad accogliere Bella Baxter (nell’esaltante interpretazione di Emma Stone) in questo pluripremiato “Povere Creature!” di Yorgos Lanthimos [1]. Lei: prorompente, assoluta, icastica, ingenua e percettiva è la donna accolta dall’orrorifico Godwin Baxter (un inquietante quanto incisivo Willem Dafoe) quale corpo suicidario d’una donna gravida, profondamente delusa dal suo rapporto sentimentale, lanciatasi in un disperante gesto nelle acque oscure del Tamigi. Su di essa il disincantato e lucido fanta-chirurgo impianta il cervello di quel feto che stava crescendo dentro il suo corpo, restituendogli la possibilità di progredire biologicamente verso un’integrazione quanto più possibile completa della sua ricreata esistenza.

Tutto ciò avvia un vorticoso germoglio evolutivo sospinto verso un climax fatto di graduali conquiste vitali, traguardi anatomo-fisiologici, valutazioni di un ventaglio di desideri alimentati da imperanti pulsioni sessuali in cui l’erotismo ne costituisce, in questa primaria fase di irregolare vitalismo, il fuoco primario.

Ecco allora la crescita delle fantasie, delle pulsioni gemmate in un arcaico tappeto linguistico in cui il registro lessicale, si va a poco a poco arricchendo. Bella ignora l’ipocrisia, cede al momento all’istintività di parole acquisite che, nel loro impeto schietto e vorace, feriscono la società circostante; parole e gesti, movimenti ed esaltazioni sono lame d’una condizione esistenziale – lei creatura ricostruita – sempre in conflitto per la sua affermazione e dove la comunicazione, l’interrelazione, cercano affannosamente la politezza d’una verità scarna ed empatica, scardinando il comune sentire, i paludamenti sociali, quella sincronia corpo/mente al fine di riconoscersi in una sua improrogabile umana completezza.

9788834740699_0_536_0_75Sono anche le alterate funzioni cognitive, agenti in realtà distopiche, a guidare Bella nella sua costruzione e decrittazione del mondo, che le permettono di saltare ostacoli sempre più impervi, ma decisivi al processo di crescita delle forme primitive d’amore, degli abbandoni ai legami, e di quanti siano frutto di oscuri e orrorifici esperimenti. Esiti, per similitudine, affiliati alla “creatura” di Mary Shelley in Frankenstein o il moderno Prometeo, o, per altre pieghe, alle atmosfere dell’automa di “Mago Sabbiolino” dei Notturni racconti hoffmanniani in cui la realtà è di continuo attraversata da azioni perturbative. E, di concerto, il brillante “Frankenstein Junior” del 1974 diretto da Mel Brooks dove la figura del ‘creatore’ poggia su d’una lunghissima presenza di registi del passato (J. S. Dawley, E. Testa, J. Whale, E. C. Kenton, H. W. Koch, T. Fisher, C. Floyd, K. Branagh, S. Beattie, B. Rose, P. McGuigan) fino a quel mago che, nel 1993, è condensato nel cortometraggio di animazione “The Sandman”,  non dimenticando l’uomo che cava gli occhi ai bambini e l’apparizione di Olimpia, la bambola dotata di vita apparente, per la quale (ricordiamo) Jacques Offenbach dedicava il primo atto dei “Racconti di Hoffmann”, mentre Artur Saint-Léon ci conquista ad oggi con l’indimenticato balletto “Coppélia” musicato da Léo Delibes.

In tutto ciò vige e concresce il ‘destabilizzante’ emerso dalla sfera dello spaventoso che motivò l’interrogazione di Freud sulla distinzione tra ‘perturbante’ e ‘angoscioso’, come già fu per Ernst Jentsch, nel 1906, autore, appunto, della “Psicologia del perturbante”; l’inquietante d’altronde, ci disorienta, esso è quel rombo spaventoso che riemerge, improvviso, destruente, tra la quiete o l’apparente familiarità in cui siamo torpidamente immersi.

Bella, con il maturare la sua omeostasi esistenziale, avvia una vera e propria parentectomia dal suo ‘creatore’: l’imperativo che pulsa è sganciarsi da ogni possibile costrizione esercitata dall’imponenza volitiva di Godwin il quale, comunque, mai la avrebbe privata della sua volontà decisionale, anzi egli è mediatore di quelle pratiche ed esperienze policrome che possano mettere a nudo il suo essere e, allo stesso tempo, possano avere un proficuo valore ricostruttivo sulla sua formazione che si accinge a superare gli ostacoli d’una anatomo-fisiologia rivolta a conquistare gli step evolutivi. Fidanzamento con Max (Ramy Youssef), studente di medicina, e fuga con il discutibile avvocato Duncan Wedderbum (Mark Ruffalo), approfittatore e donnaiolo volgare e impietrito nella sua vanità maschilista, le apriranno le porte alla visione del mondo.

img-20200519-wa0015Il mirabile incipit à rebours del suicidio (la narrazione per analessi contraddistingue i vari capitoli del film) ha una sua iconografia ben delineata: corpo, nuca, refoli che attraversano i capelli, un’azzurrità fascinosa e inquieta delle acque fluviali in attesa di accogliere il corpo della donna. Un cadere intenso, gelatinoso, che poi s’interrompe con l’algida lettura del bianco-nero; con Bella, dalla mimica alla fonetica, dalla dissonante lallazione all’incerta deambulazione si contrassegnano i risultati d’una ricerca corporea assoluta, in un quadro di estrema partecipazione vitalistica che investe l’ampiezza del racconto macabro e che prelude alla spregiudicatezza futura del cammino della scienza, d’una società confezionata nel brodo del conformismo, della violenza, in un liquore primario sostenuto da una perenne ìbris.

L’architettura filmica è avvolta da un arredo postmoderno intriso di volute, bolle vitree, panneggi; bagnata da un copioso post-barocco, ben incistato sul registro linguistico, sono i frequenti zoom d’obbiettivo ad amplificare la consistenza di precisi momenti scenici. Le fornicazioni, definite da Bella “furiosi sobbalzi”, investono le scene, colte ora nella loro limpidezza formale, ora votate alla surrealtà mentre abitano navi turrite che restituiscono fogli visionari cari alla scrittura di Julius Verne e in cui scattano, tra abbagli pirotecnici, mongolfiere, navi e oggetti volanti, richiami all’icona di un “Robur il conquistatore”. Dafoe, perfetto nell’immagine del folle chirurgo con le profonde cicatrici, che dal volto segnalano i solchi della sua sagacia intellettiva, ridisegna la sproporzione sovrastante tra immaginazione e tempo storico, valori positivisti come urgente connettivo per ogni impulso umano. Affiorano, poi, a condimento del tutto, animali teratologici (testa di maiale grugnante e corpo di un domestico pennuto), lampi improvvisi quasi in forma di saette perforanti la crosta terrestre o le onde di un Mediterraneo mitico.

Le figure serali, coperte da un cielo che precipita sulle luci della città, sono contrastate da nuvole, vere e proprie coltri di sollecitazioni visive, di pregna tattilità; esse stimolano e sciorinano oscuri motivi, lacerti di desideri che ancora devono prendere forma, fuochi d’artificio. L’esplicitazione verbale di Bella sul sesso, sul cibo, sulle relazioni sociali speziate dall’intolleranza verso il frastuono fanciullesco o i comportamenti costrittivi, segnano le navigazioni alla volta di Atene, dopo aver lasciato la densa atmosfera di Lisbona percorsa dalle note struggenti del Fado. Mentre il cielo si fa plumbeo ecco, d’improvviso, luci corrusche che riflettono addensate lavagne di acque egee dal color ardesia: la nave diventa un puzzle di braci crepuscolari e fumi, e gridii straziati di gabbiani.

Alan Gr

Alasdair Gray

La surrealtà espressiva attraversa i vari capitoli in cui è suddiviso il film; dalla Grecia ad Alessandria, con la scoperta della schiavitù sul lavoro tradotta nelle morti crudeli dei bambini, fa accogliere alla protagonista la nota alta, stridente, del dolore trascinandolo fino a Parigi, nel gioco brutale, appagante ed espiatorio insieme, del prostituirsi, delle esperienze omosessuali. L’evoluzione si definisce, si consolida tracciando distopicamente l’incapacità a mentire, per far ritorno al ponte londinese cui tutto ha avuto origine, ponendosi così nella dimensione consapevole di un ritorno che, implicando altre inevitabili lacerazioni, rimargini e consegni un possibile nuovo futuro. Il passato ormai inascoltabile alle orecchie di Bella e il contatto con i mostri sociali l’hanno portata a comprendere come essi non fossero altro che modelli di estrema povertà esistenziale, povere creature, appunto, irraggiate in una ingombrante desertificazione dei sentimenti.

Il film (Leone d’Oro a Venezia; quattro premi Oscar: miglior attrice, costumi, scenografia, trucco e acconciatura, e due Golden Globe), in tale vogliosa regia di Lanthimos, si basa sulle qualità di uno scrittore (grafico, illustratore, drammaturgo, saggista, ma anche pittore, poeta e accademico scozzese), Alasdair Gray di Glasgow, città portuale delle Lowlands, bagnata dal Clyde, dall’imprinting vittoriano e punteggiata dall’art nouveau. Scomparso nel 2019, l’omonimo romanzo di Gray, che ha ispirato il film, è apparso nel 1992. Un eclettico, um artista visivo e visionario, il cui cammino letterario si apre in un diorama la cui pasta è lievitata dalla surrealtà, da un singolare realismo magico e trasognato, dalla distopia e input gotici, approdando sulla zattera d’una ‘low  fantasy’ chiazzata di erotismo, esercitando una briosa, tangibile effervescente critica sociale. 

Dialoghi Mediterranei, n. 67, maggio 2024 
Note 
[1] Qualche titolo sulla produzione letteraria di A. Gray: “Lanark, Una vita in quattro libri”, 1982; “The Fall of Kelvin Walker: A Fable of the Sixties”, 1985; “Something Leather”, 1990; “McGrotty and Ludmilla”, 1990; “Povere creature!” (“Poor Things!”), 1992, (trad. it. “Poveracci!”, Marcos y Marcos, 1994; poi: “Povere creature!”, Safarà, 2023, pref. di Enrico Terrinoni, trad. it. Sara Caraffini); “Vita e misteri della prima donna medico d’Inghilterra”, Marcos y Marcos, 1994; “Old Men In Love”, 2007. Raccolte di poesia: “Old Negatives” (1989) e “Sixteen Occasional Poems” (2000).

 _____________________________________________________________

Aldo Gerbino, morfologo, è stato ordinario di Istologia ed Embriologia nella Università di Palermo ed è cultore di Antropologia culturale. Critico d’arte e di letteratura sin dagli anni ’70, esordisce in poesia con Sei poesie d’occasione (Sintesi, 1977); altre pubblicazioni: Le ore delle nubi (Euroeditor, 1989); L’Arciere (Ediprint, 1994); Il coleottero di Jünger (Novecento, 1995; Premio Marsa Siklah); Ingannando l’attesa (ivi, 1997; Premio Latina ‘il Tascabile’); Non farà rumore (Spirali, 1998); Gessi (Sciascia-Scheiwiller, 1999); Sull’asina, non sui cherubini (Spirali, 1999); Il nuotatore incerto (Sciascia, 2002); Attraversare il Gobi (Spirali, 2006); Il collettore di acari (Libro italiano, 2008); Alla lettera erre in: Almanacco dello Specchio 2010-2011 (Mondadori, 2011). Di saggistica: La corruzione e l’ombra (Sciascia, 1990); Del sole della luna dello sguardo (Novecento, 1994); Presepi di Sicilia (Scheiwiller, 1998); L’Isola dipinta (Palombi, 1998; Premio Fregene); Sicilia, poesia dei mille anni (Sciascia, 2001); Benvenuto Cellini e Michail K. Anikushin (Spirali, 2006); Quei dolori ideali (Sciascia, 2014); Fiori gettati al fuoco (Plumelia, 2014).

______________________________________________________________

 

 

 

Print Friendly and PDF
Questa voce è stata pubblicata in Cultura, Letture. Contrassegna il permalink.

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>