La posizione geografica e la configurazione topografica della Sardegna all’interno delle maglie del Mediterraneo avevano conferito all’isola uno status di sorvegliata speciale fin dall’inizio delle sorti del Secondo conflitto mondiale: il potenziale strategico soprattutto offensivo era correlato alla possibilità di usufruire di preziose ed ampie basi navali o aeree che avrebbero agevolato una comunicazione fluida e senza soluzione di continuità fra la sezione centrale e la occidentale del Mare Nostrum (Di Lauro, 1973: 2) [1].
Fino al 7 settembre 1943, l’isola aveva rappresentato, per le potenze dell’Asse, un fondamentale baluardo difensivo ma il suo ruolo diventò marginale in seguito al proclama di Badoglio sull’armistizio e il nuovo fronte riversò interamente sullo stivale. L’8 settembre piombò in Sardegna come un fulmine, determinando uno svolgimento unico fra tutti i tragici scenari cui l’armistizio diede vita in Italia e all’estero. Il generale Antonio Basso, comandante militare della Sardegna, aveva ricevuto l’ordine di prepararsi nel caso in cui i tedeschi avessero intrapreso «atti di ostilità armata contro organi di governo e contro forze armate italiane», la cosiddetta Memoria D.P. con cui si succedette una catena di strategie poco chiare e contrordini ancora più ambigui che avrebbero trasformato l’armistizio con gli Alleati in una tragedia nazionale (Brigaglia, 2004: 29) [2].
La divisione tedesca, costituita da 32.000 uomini, disciplinati e ben equipaggiati era totalmente autonoma rispetto al comando italiano, il quale non sapeva con esattezza neppure quanti fossero i carri armati. Come afferma Tedde (2002: 60), il comando della Novantesima Divisione tedesca si era installato in una località posta tra Collinas e Gonnostramatza, lasciando il comando italiano sempre all’oscuro circa l’organizzazione, la consistenza, i piani, la forza bellica [3]. A seguito della diffusione della notizia dell’armistizio la mattina dell’8 settembre ‘43 i generali tedeschi esortarono i sardi a continuare la lotta contro le forze anglo-americane: Basso (1947: 42) [4] riportò esattamente la formula con la quale gli fu proposta la continuazione dell’alleanza con i nazisti la cui risposta fu prontamente negativa:
«Faccio appello all’onore suo e delle sue truppe chiedendo di continuare la lotta per l’Europa e per l’Italia in modo onesto e da soldato… attendo, perciò, che lei e le sue truppe prendano parte attivamente alla continuazione della lotta comune, che ci aiuti e che continui a lottare con noi. Nel caso che lei non potesse obbedire a questo dovere di soldato mi rincresce di essere costretto ad agire indipendentemente per l’adempimento del mio compito».
La lunga colonna degli Opel e dei Tigre iniziò a risalire la regione diretta ai porti della Gallura, Palau e Santa Teresa di Gallura: alcuni reparti italiani li seguivano a distanza, col sottinteso che la ritirata non doveva subire né disturbi né rallentamenti e, all’alba del 9 settembre, Basso comunicò a Roma che la Novantesima Divisione germanica iniziava ad abbandonare la Sardegna in forma pacifica. Lo Stato Maggiore dell’Esercito ordinò di raccogliere e tenere i reparti alla mano, pronti a reagire a qualunque iniziativa reazionaria germanica. La Divisione Nembo si spostò subito a Tempio per fronteggiare la mole di truppe tedesche che stavano giungendo nel settentrione dell’isola: si innescò una gravissima crisi intestina generata dai sobillatori tedeschi che tentarono di corrompere un battaglione di paracadutisti affinché li seguissero in Corsica, il quale effettivamente defezionò. Anche se fu presto superata la crisi lasciò enormi strascichi di indisciplina e soprattutto l’uccisione, il 10 settembre, di Giovanni Alberto Bechi Luserna che era andato a incontrare i riottosi della Nembo presso Macomer nel tentativo di convincerli a tener fede al re (Picone Chiodo, 1990: 382) [5].
Già dal mattino del 9 i tedeschi, sotto il comando del colonello Unes, erano sbarcati nell’arcipelago verso le 13 con alcune motozattere che nascondevano, abilmente mimetizzati, camion carichi di armi e di truppe; avevano occupato il comando della Piazza Marittima di La Maddalena (la base italiana più importante e più munita di tutto il Mediterraneo) e catturato gli ufficiali e gli ammiragli della piazza; si erano impadroniti di Guardia Vecchia e neutralizzato i comandanti circondando il circolo ove quasi tutti gli ufficiali stavano mangiando, ingaggiando combattimenti con i pochi che avevano cercato di resistere.
Il 9 settembre furono affondate, con un nuovo tipo di bomba telecomandata, le corazzate Roma, Vivaldi e Da Noli: la corazzata Roma, in particolare, cedette in meno di mezz’ora e dei 1849 uomini dell’equipaggio, 1253 persero la vita, tra i quali l’ammiraglio Bergamini e tutto lo stato maggiore. Erano le 16.15 quando la corazzata italiana, partita il giorno prima dalla Spezia, fu colpita da aerei tedeschi e si inabissò nelle acque del golfo dell’Asinara, al largo dell’isola (Spanu Satta, 1978: 162) [6].
Il 12 settembre venne consegnato al generale Basso l’Ordine “5V” che ingiungeva di impedire il passaggio in Corsica dei tedeschi; il giorno successivo arrivò l’ordine “21V”, che reiterava le disposizioni del precedente “5V” e ribadiva che i tedeschi dovevano essere trattati come dei nemici. Si andava profilando, così, un livoroso conflitto tra le disposizioni del comando supremo e le decisioni di Basso che premeva per l’agevolazione dell’esodo dei tedeschi indicando loro l’itinerario da seguire (Oristano-Macomer-Ozieri-Tempio), mettendo a disposizione i mezzi per il trasferimento delle truppe, raccomandando di evitare ogni incidente con la popolazione e con i soldati italiani: nonostante ciò, nei pressi di Baressa, in uno scontro tra militari e cittadini venne ucciso un ragazzo di diciassette anni, Anselmo Lampus, e sul Tirso si ebbe un vero e proprio scontro tra tedeschi e i reparti italiani al comando del tenente colonnello Sardus Fontana che presidiavano un posto di blocco (Bauer, 1971: 222) [7]. Il capitano di vascello Carlo Avegno, in seguito Medaglia d’Oro della Guerra di Liberazione, organizzò la rivolta d’un pugno di uomini a La Maddalena: la mattina del 13 settembre ingaggiò battaglia con i tedeschi, ricordata come il primo episodio di guerra di Resistenza che si concluse in sole cinque ore con 32 morti, la maggior parte italiani. L’accordo finale stabilì che i tedeschi potessero passare senza essere attaccati e, in cambio, non avrebbero effettuato altre rappresaglie.
Il grosso delle truppe nemiche ripiegò in Corsica per aprirsi la strada per Bastia, dove si imbarcarono per la penisola, con una serie di aspri combattimenti contro la divisione “Friuli”. La battaglia di La Maddalena fu, così, l’unico vero episodio di Resistenza avvenuto in Sardegna, ciò che di più simile ad una lotta partigiana avvenne nell’isola (Brigaglia, 2004: 31).
Dialoghi Mediterranei, n. 69, settembre 2024
Note
[1] Ferdinando Di Lauro, Sardegna: settembre 1943, Roma, S. M. E. Ufficio Storico, 1973: 2.
[2] Manlio Brigaglia, Radio brada, in Radio Brada, 8 settembre 1943: dalla Sardegna la prima voce dell’Italia libera, Romano Cannas (a cura di), Roma, Editoria Periodica e Libraria, 2004: 29-62.
[3] Antonio Tedde, Un ufficiale scomodo. Dall’armistizio alla guerra di liberazione (1943-45), Daniele Sanna (a cura di), Milano, Franco Angeli, 2002.
[4] Antonio Basso, L’armistizio del settembre 1943 in Sardegna, Napoli, Rispoli Editore, 1947.
[5] Marco Picone Chiodo, In nome della resa. L’Italia nella seconda guerra mondiale (1940-1945), Milano, Mursia Editore, 1990.
[6] Francesco Spanu Satta, Il Dio seduto. Storia e cronaca della Sardegna 1942-1946, Sassari, Chiarella, 1978.
[7] Eddy Bauer, Storia controversa della seconda guerra mondiale, vol. V, Novara, De Agostini, 1971.
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Alessia Vacca, laureata in Lettere Moderne presso l’ateneo di Cagliari e specializzata in Filologie e Letterature Classiche e Moderne, si interessa a studi di matrice socio-letteraria di ambito sardo dal Medioevo all’epoca contemporanea. Attualmente è impegnata in un progetto di ricerca sul teatro seicentesco religioso in Sardegna.
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