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“Quello ‘sse spreca è quello che manca!”.

Foodaffairs

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il centro in periferia

di Settimio Adriani

L’occasione della IX Giornata nazionale di prevenzione dello spreco alimentare [1], celebrata lo scorso 5 febbraio 2022, che quest’anno aveva per focus “One health, one earth. Stop food waste”, ha stimolato alcune riflessioni con ciò che, per memoria e testimonianze ancora reperibili (e reperite), sappiamo del nostro passato relativamente ad alcuni usi che nella piccola comunità fiamignanese tendevano e ancora tendono ad annullare ogni forma di sperpero.

Il confronto non è volto ad enfatizzare il mai esistito bel tempo che fu, bensì a riferire sulla ferma attitudine al non spreco da sempre radicata nei nostri nuclei familiari, non solo per ragioni prettamente etiche ma anche per concrete necessità e utilità.

Dal rapporto “Il caso Italia” 2022 di Waste Watcher International, basato sui dati rilevati in una indagine condotta da Ipsos, emerge quanto segue: 

« […] torna a crescere lo spreco di cibo tra gli italiani, interrompendo un trend positivo che si era affermato soprattutto durante la fase più acuta della pandemia. Durante l’ultimo anno, in Italia, si contano 7 miliardi di euro buttati nei rifiuti, una cifra che corrisponde allo sperpero annuo di 1.866.000 tonnellate di cibo (un aumento di circa il 15% in più rispetto all’anno precedente). Ecco alcuni dei principali risultati: 
- In media, a settimana, gli italiani gettano nella spazzatura circa 595,3 grammi di cibo, ovvero 30,956 kg annui (circa il 15% in più dell’anno precedente, in cui si sono gettati via 529,3 grammi di cibo).
- La top 5 degli alimenti più sprecati è rimasta pressoché invariata rispetto all’anno precedente. In prima posizione troviamo la frutta fresca (25,5 grammi), seguita da insalate (21,4 grammi), pane fresco (20,0 grammi), verdure (19,5 grammi) e cipolle, aglio, tuberi (18,7 grammi).
-  Chi spreca più cibo in Italia? I dati del Rapporto si accentuano al Sud (+18% di spreco rispetto alla media nazionale), nelle famiglie senza figli (+12%), nei ceti medio-bassi (+12%), nei ceti popolari (+7%) e nei comuni medi (+8%).
- Tra le cause che stanno alla base dello spreco alimentare si notano piccole differenze rispetto all’anno scorso. In particolare, quest’anno, alla domanda “Perché la mia famiglia spreca?”, il 47% degli intervistati afferma di dimenticarsene, trovando il prodotto scaduto/deteriorato. Invece, alla domanda: “Perché le altre famiglie sprecano?” la maggioranza degli intervistati (45%) ritiene che acquistano troppo cibo.
- Invece, durante la fase di consumo del cibo, l’86% degli intervistati dichiara di mangiare prima il cibo deperibile oppure di valutare attentamente le quantità necessarie prima di cucinare. L’85% afferma di conservare il cibo avanzato, di mangiare tutto ciò che si è preparato oppure di controllare se gli alimenti scaduti possano essere ancora consumati. 
- Quali sono i provvedimenti che possono aiutare le famiglie e i singoli ad adottare comportamenti virtuosi nella lotta allo spreco di cibo? L’89% degli intervistati ritiene fondamentale l’istruzione nelle scuole, l’85% sostiene che sia utile mostrare ai cittadini gli effetti negativi dello spreco alimentare ha sull’ambiente e sull’economia, un altro 83% pensa che si potrebbero migliorare le etichette sulle modalità di consumo» [2].

Non intendo disquisire sulle questioni legate agli aspetti statistici delle variazioni annuali quantitative degli sprechi, poiché ritengo che la pandemia abbia inciso in modo straordinario e profondo da renderli strategicamente poco significativi. Ciò che invece mi interessa analizzare sono la qualità dello spreco e la sua distribuzione socio/geografica.

Archivio G. Vannimartini

Archivio G. Vannimartini

Nella minuscola realtà di montagna svantaggiata presa ad esempio è proprio «La top 5 degli alimenti più sprecati» a livello nazionale che ordinariamente vanta uno scarto molto limitato. Ciò è di fatto possibile perché molte delle famiglie stabilmente presenti sul territorio ancora allevano, ad uso quasi esclusivamente domestico, animali di bassa corte (galline ovaiole, polli, conigli, ecc.), ed è rilevante il numero di quelle che sempre per consumo privato crescono il maiale (da 1 a 3, nel secondo caso l’eccedenza è destinata alla vendita, limitata alla cerchia amicale), pochi capi di pecora o qualche agnello (questi ultimi donati dai pastori che tolgono alle fattrici i nati numericamente eccedenti le reali possibilità di allattamento naturale, e nutriti col biberon da chi li riceve).

In tale contesto gli avanzi di frutta, verdura, pane e patate costituiscono una vera e propria risorsa, al cui approvvigionamento contribuiscono anche coloro che, pur non allevando in proprio, conservano gli scarti organici a beneficio di una rete relazionale e informale di prossimità.

Persino l’unico negozio di alimentari del paese è da sempre attrezzato per non gettare via nulla, cosicché tanto il pane invenduto quanto la frutta e la verdura che si deteriorano contribuiscono a sostenere gli animali allevati per uso familiare. Nella buona stagione anche il verde e le eccedenze derivanti dalla gestione ordinaria degli orti sono proficuamente utilizzati con analoga modalità. Ovviamente c’è anche chi per vari motivi non aderisce a tale sistema, perché la perfezione non è propria della piccola comunità in questione, anzi… Tuttavia, nel processo di raccolta differenziata in carico al Comune l’organico è nettamente più ridotto di quanto ci si potrebbe aspettare, ovviamente al netto del conferimento della cenere durante la brutta stagione.

Archivio Settimio Adriani

Archivio Settimio Adriani

Inoltre, andando a ritroso per scoprire le radici della consolidata attitudine al non spreco, si deve necessariamente rammentare che un aspetto del recupero estremo, probabilmente il meno noto ai più giovani, è andato inevitabilmente perduto: in un passato neanche troppo remoto, l’acqua di cottura della pasta veniva utilizzata per lavare le stoviglie e raccoglierne ogni  residuo dei pasti (il sale disciolto fungeva da sgrassante), per poi essere utilizzata come base liquida per il pastone del maiale.

Il risparmio d’acqua e il recupero di ogni minima traccia alimentare erano per la nostra gente una virtù acquisita; non a caso alla base della formazione domestica di ogni bambino c’era il gesto di dover raccogliere la singola briciola che cadesse dalle mani e mangiarla dopo averla baciata. Era la mamma che a tavola faceva le porzioni, dosandole in relazione all’età e al consumo effettivo, e non era ammesso lasciare avanzi nel piatto. Oggi potrà apparire esagerato (e certamente poco igienico) segnalare che, nonostante tale e tanta attenzione a non sprecare, alle galline che razzolavano liberamente era concesso entrare anche in cucina, cosicché potessero recuperare qualunque minuzzaglia sfuggita al meticoloso controllo.

Era altresì comune che nei rarissimi e fortunati giorni in cui si mangiava la banana si evitava l’uovo, e non per “questioni di linea” ma per semplice risparmio: si riteneva già sufficientemente nutriente la prima e del tutto inopportuno accompagnarla al secondo. Tutto ciò è confermato e sottolineato da mia madre (87 anni) che sto consultando mentre scrivo questi ultimi passaggi.

Per quanto riguarda la questione socio/geografica dello spreco alimentare in Italia rilevata da Ipsos, che pone il sud della penisola in cima alla sgradevole graduatoria, mi piacerebbe conoscere nel dettaglio la distribuzione delle residenze (centro e periferia) nel campione statistico di riferimento. Infatti, è proprio dall’assoluta stima che ho nell’approccio scientifico del monitoraggio in questione, associata alla personale conoscenza delle dinamiche proprie dei piccoli centri delle aree marginali, che faccio seriamente fatica ad accettare la tesi che nei paesini di campagna della Sardegna (in uno dei quali ho vissuto per 6 anni come famiglia migrante), invece che in Sicilia, in Calabria, ecc. si buttino via frutta, verdura e pane in grandi quantità.

Ho il sospetto che il quadro statistico complessivo, presentato per aree così vaste ed eterogenee, non sia completamente esaustivo per il lettore più attento e preparato. Insomma, il rischio concreto è che si produca una visione più o meno simile a quella generata dall’esilarante descrizione del consumo di polli fornita da Trilussa. Secondo l’arguto poeta, «La statistica [se grossolana], […] fa’ un conto in generale […] e, se [il pollo] nun entra nelle spese tue, / t’entra ne la statistica lo stesso / perché c’è un antro che ne magna due» [3]. Per analogia con la questione dello spreco alimentare, se c’è qualcuno che non produce scarto e qualcun altro che ne produce troppo, in «un conto in generale» risulta che tutti ne producano abbastanza. Questo, a mio avviso, lascia intendere la mancanza di dettaglio che, statisticamente parlando, si potrebbe sintetizzare con l’affermazione «La media non basta» [4].

In senso assolutamente generale ritengo che il difetto etico (ed ecologico!) legato allo scarto alimentare sia sostanzialmente da addebitare alle aree metropolitane tanto per il quantitativo pro capite quanto per l’enormemente maggiore numero di abitanti, e sottolineo che i dati così pubblicati, neanche a dirlo, diano immeritato discredito ai piccoli e virtuosi paesi.

Per dare sostegno scientifico ai suddetti postulati vorrei esaminare la distribuzione topografica dei singoli elementi del campione Ipsos. Semplificando al massimo, mi chiedo e chiedo: quanti e quali centri sono stati monitorati a fronte di quante e quali periferie?

spreco-990x500Tenuto conto di quanto fin qui premesso, segnalo, in base alle mie competenze e conoscenze, che per loro cultura e in certi casi anche contro le pastoie burocratiche esistenti (si pensi, a solo titolo di esempio, l’imposizione alle attività di ristorazione di non utilizzare a fini zootecnici i resti dei pasti somministrati), le aree marginali sono ancora centri attivi della lotta allo spreco alimentare, e non ritengo azzardato affermare che tale atteggiamento derivi da un profondo rapporto etico ancora ampiamente esistente (seppure a rischio) con le derrate. A ciò si sommano l’ancora diffusa consapevolezza che negli alimenti non esistono scarti bensì avanzi; nonché una catena, solitamente familiare o di vicinato, che per consuetudine (talvolta dovuta a necessità/utilità) rende gli stessi avanzi una vera e propria materia prima da impiegare vantaggiosamente nella produzione di nuove derrate (economia circolare? [5]).

Chiudo passando in rassegna tre parole cardine della cultura ancora viva nelle aree fuori dal centro che conosco: risparmio, parsimonia e riuso. Sono tanto largamente radicate e indiscusse dalle mie parti quanto in netto contrasto con l’insostenibile e scarsamente etica filosofia consumistica, ormai improcrastinabilmente bisognosa di attenta riflessione e profonda revisione. Gli stessi sostantivi indicano, nel contempo, la rotta sulla quale tenere ferma la barra, banalmente tracciata in un nostro detto popolare che inconsapevolmente apre lo sguardo anche sullo scenario globale: «Quello ‘sse spreca è quello che manca!»

Dialoghi Mediterranei, n. 54, marzo 2022
Note
[1] L’evento è promosso dal Ministero dell’Ambiente, in collaborazione con l’Università di Bologna (Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari - DISTAL) e con Waste Watcher International.
[2]https://www.regionieambiente.it/spreco-alimentare-giornata-2/#:~:text=Il%205%20febbraio%202022%20%C3%A8,per%20focus%20%E2%80%9COne%20health%2C%20one
[3] https://www.aretena.it/single-post/la-media-non-basta
[4] ibidem
[5]https://www.europarl.europa.eu/news/it/headlines/economy/20151201STO05603/economia-circolare-definizione-importanza-e-vantaggi 

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Settimio Adriani, laureato in Scienze Naturali e Scienze Forestali, si è specializzato in Ecologia e ha completato la formazione con un Dottorato di ricerca sulla Gestione delle risorse faunistiche, disciplina che ha insegnato a contratto presso le Università degli Studi della Tuscia di Viterbo (facoltà di Scienze della Montagna, sede di Rieti), “La Sapienza” di Roma (facoltà di Architettura Valle Giulia) e dell’Aquila (Dipartimento MESVA). Per passione studia la cultura del Cicolano, sulla quale ha pubblicato numerosi saggi.

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