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Riconoscere il presente. Dialogo con Michel Gras

 

 Il ratto d'Europa, metopa selinuntina, sec. VI a.C., Museo Salinas, Palermo.

Il ratto d’Europa, metopa selinuntina, sec. VI a. C., Museo Salinas, Palermo

 di Cinzia Costa

L’immagine di una fanciulla sul dorso di un toro in corsa, corrispondente alla rappresentazione del mito del ratto di Europa, fa parte dell’iconografia classica del mondo occidentale. Secondo il mito, Zeus avrebbe avvistato la ragazza su una spiaggia della Fenicia, l’attuale Libano, in compagnia di alcune compagne. Inva- ghitosi di Europa le si sarebbe presentato dopo essersi tramutato nelle fattezze di un toro bianco e, una volta avvicinatosi, l’avrebbe rapita sorvolando il mar Mediterraneo, conducendola fino all’isola di Creta. Dall’unione tra Zeus ed Europa sarebbero nati poi Radamante e Minosse, noto per essere stato il primo e più famoso re di Creta, dove grazie a lui ebbe origine la civiltà minoica, «il primo collegamento nella catena europea» (Duran, 1939:11).

Sarebbe a partire da questo leggendario episodio che i greci cominciarono a chiamare “Europa” tutte le terre a nord del Mar Mediterraneo. Il toponimo Europa trarrebbe inoltre le sue origini da due termini del greco antico εύρύς (ampio) e ώψ (occhio), esprimendo dunque l’idea di uno sguardo aperto su un vasto orizzonte, per alcuni versi distante dall’Europa che oggi conosciamo.

Una delle più antiche rappresentazioni del mito è conservata presso il Museo Archeologico regionale Salinas, all’interno del quale è possibile ammirare una metopa selinuntina in tufo il cui stile iconografico richiama la matrice culturale greco-orientale [1]. Sebbene questa rappresentazione iconografica sia molto nota, e costituisca uno dei pezzi più pregiati conservati all’interno del museo, il mito di Europa è poco ricorrente nell’immaginario popolare. Esso racconta infatti una storia che pone al centro della sua narrazione un mare, il Mediterraneo, che è parte costitutiva del racconto.

La leggenda tesse le trame di una vicenda che intreccia indissolubilmente le origini del Vecchio Continente con il mare, in una relazione che è correlativa, e non oppositiva, come siamo abituati a pensare oggi, ponendo il centro di irradiamento della “civiltà europea” (per quanto questa espressione sia antropologicamente problematica) in un’area geografica all’estremo margine dell’attuale Europa, dal Libano all’isola di Creta. Il mito di Europa racconta dunque di un continente che nasce dal Sud, e che espande la sua influenza a partire da un Meridione che fondava la sua ragion d’essere nel rapporto dialogico (e dunque non per forza pacifico, ma profondamente fertile) con lo spazio navigabile. Una storia che sembriamo aver del tutto dimenticato.

Sono questi gli assunti su cui si è fondata per decenni la ricerca archeologica di Michel Gras, storico e archeologo di fama internazionale, nonché direttore del Centre National de la Recherche Scientifique (CNRS). Gras è infatti uno dei maggiori conoscitori della storia del Mediterraneo in età arcaica, essendosi occupato per lungo tempo, tra le altre cose, delle colonie greche in Occidente e degli scambi commerciali tra Etruschi. Il 6 ottobre scorso presso il Museo Salinas, in occasione della 3ª edizione del Festival delle Letterature migranti, Michel Gras è stato ospite e protagonista, insieme a Francesca Spatafora, direttrice del museo, e Davide Camarrone, direttore artistico del festival, di un incontro dal titolo Migrazioni e Mediterraneo. Come è noto questo mare, sia nella sua accezione geografica, che in quella simbolica, è stato al centro di molti degli studi da lui condotti. Nell’introduzione al suo Il Mediterraneo nell’età arcaica leggiamo infatti:

«(il Mediterraneo) è un mare che sta “al centro” dell’universo conosciuto, dell’oikoumene. Come l’agora, la piazza pubblica, si trova al centro della città greca, il Mediterraneo è il luogo centrale che condiziona la vita sociale e le relazioni tra le diverse società. […] I Greci, nei secoli VIII, VII e VI a.C. mettono progressivamente il mare al centro della loro agora mentale» (Gras, 1997: 5).

Nella percezione sociale e culturale dei Greci, insomma, il mare era considerato uno spazio che divideva e univa allo stesso tempo: il fatto stesso che lo si potesse attraversare gli conferiva però la sua essenza di luogo di transito, piuttosto che di muro divisorio.

Un-momento-dellincontro-con-Gras

Un momento dell’incontro a Palermo con Gras (ph. Eglise)

Una delle affermazioni con cui il noto archeologo ha aperto il suo intervento è stata infatti una frase il cui contenuto è ormai noto da tempo: nella storia dell’umanità le migrazioni sono la norma e non l’eccezione. La stanzialità costituisce invece, nel lungo tempo dell’evoluzione umana, una tappa, la cui durata è ancora troppo breve per poterla considerare un’attitudine definitiva. Ciò che noi ci ostiniamo a raccontare come un evento emergenziale, unico ed eccezionale, il flusso di uomini attraverso canali terrestri e marittimi, è una costante della storia delle specie viventi, umane ed animali, e questo è già noto da tempo grazie a numerosi studi storici, antropologici e archeologici soprattutto.

La “colonizzazione” greca, come è stata definita da alcuni studiosi, è un esempio di questo fenomeno. Come fa notare Gras, tuttavia, l’espressione “colonizzazione” non è condivisa da buona parte del mondo accademico, che propende invece per un altro termine, ovvero quello con cui i greci stessi parlavano di questo fenomeno e che restituisce un’idea molto diversa del viaggio compiuto dalle navi greche per raggiungere le coste del sud Italia. L’απόικια, dal verbo αποικίζω che indica separazione, emigrazione, trapianto, fa infatti riferimento al senso di distacco dalla terra di provenienza, più che all’idea aggressiva della colonizzazione come oggi la intendiamo. È questo sentimento di forte lesione fra la partenza e la meta che secondo i relatori dell’incontro unirebbe con un filo invisibile le migrazioni di ieri con le migrazioni di oggi.

Il Mediterraneo, area geografica e culturale che per secoli è stata il cuore pulsante di una porzione di storia molto importante, oggi costituisce la zavorra del continente europeo, il cui centro si è spostato nelle regioni oltralpe, dove si stipulano accordi economici e politici e si prendono decisioni capitali per tutti i cittadini europei e non solo. Negli ultimi decenni, infatti, l’Unione Europea ha attuato delle politiche che mirano a rendere sempre più flessibili i confini nazionali, facilitando la circolazione dei cittadini europei da un Paese all’altro, rafforzando invece le frontiere esterne e issando barriere legislative e fisiche allo scopo di ostacolare l’ingresso di uomini e donne provenienti dalle regioni non europee [2].

Ciononostante, come Michel Gras enfaticamente ripete nel corso dell’incontro, «un uomo annegato nel Mediterraneo nel VII secolo a.C. è un uomo annegato nel Mediterraneo oggi». Né secoli di storia passata, né l’istituzione di leggi o accordi tra le diverse sponde del Mediterraneo potranno mai svilire la profonda umanità che si racchiude in un’azione così naturale come migrare.

da Terraferma, di Crialese.

da Terraferma, di Crialese

Durante l’incontro, mentre ascoltavo le parole di Gras e mi emozionavo per gli interventi accorati del pubblico, mi tornavano in mente alcune scene di un film uscito alcuni anni fa: Terraferma di Emanuele Crialese. Riprendendo per sommi capi alcuni punti della storia verghiana della famiglia Malavoglia, il film racconta le vicissitudini di una famiglia di pescatori in disgrazia che vive in una piccola isola siciliana, la cui popolazione cerca di incrementare la crescita economica attraverso il turismo balneare. Durante una delle sue spedizione di pesca l’anziano nonno (interpretato peraltro poeticamente da Mimmo Cuticchio), a bordo del suo motopesca Santuzza, si imbatte in un barcone pieno di naufraghi proveniente dall’Africa che, alla vista di un’altra barca nelle vicinanze, cominciano a chiedere soccorsi e a gettarsi in mare. Contravvenendo alla legge dello Stato, secondo la quale si sarebbe reso colpevole di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, il pescatore soccorre alcuni di loro. In un’altra scena del film si vedono i pescatori dell’isola riuniti in un’assemblea (il richiamo all’agora greca è molto forte) convocata per discutere il da farsi: i pescatori devono rispettare la legge dello Stato e macchiarsi di un crimine perseguibile o devono rispettare invece un’altra legge, quella del mare, che li chiama all’obbligo di soccorrere chiunque si trovi in difficoltà in mare aperto?

Il dilemma dei pescatori, raccontato da Crialese con un tono solenne ed arcaico, non si distacca molto da quello che molti pescatori del Mar Mediterraneo si trovano ogni giorno ad affrontare in seguito ad una campagna di criminalizzazione della solidarietà appoggiata su più fronti dai vertici dell’Europa di oggi. Ancora una volta il mondo greco ritorna a parlarci, richiamando alla memoria una battaglia quanto mai attuale, quella di Antigone eroicamente impegnata a combattere la legge dello Stato, legale, con la legge dell’uomo, illegale ma legittima.

Ciò che sembra tuttora sfuggirci è che ogni sforzo atto a contrastare o contenere il flusso umano («The human flow» di cui parla anche il famoso artista e attivista cinese Ai Weiwei) che si dirige verso le nostre coste è destinato a soccombere. Le migrazioni sono un elemento costitutivo della specie umana, che sempre sono esistite e sempre esisteranno e nessun provvedimento legislativo potrà reciderne la forza. Quello che possiamo fare è riconoscere quello che per milioni di anni l’uomo ha fatto, e che ancora oggi continua a fare: partire, viaggiare, imparare nuove lingue e stringere relazioni con persone diverse per cultura e provenienza.

3Gli incontri non sono certamente mai del tutto pacifici, e non ha senso mitizzare un passato che molto spesso raccontiamo più piatto e meno conflittuale di ciò che è effettivamente stato, ma −   come Gras sottolinea nel corso dell’incontro − a lungo andare la storia dà ragione al movimento: ciò che per esempio ha permesso ai greci di sopravvivere nei siti della Magna Grecia sono stati i matrimoni misti, senza i quali le loro colonie non sarebbero potute sopravvivere.

Il nostro giudizio sui fenomeni di questo tempo, primo fra tutti le migrazioni, è viziato da un punto di osservazione troppo parziale per poter essere oggettivo. Lo spazio temporale delle nostre vite è infinitamente piccolo rispetto al ciclo temporale della storia dell’uomo e gli elementi di cui disponiamo nel presente sono troppo pochi per poter comprendere appieno a quali esiti giungerà la nostra società nel prossimo futuro. Quello che possiamo fare, dunque, è osservare il passato, sforzarci di guardare oltre le nostre possibilità, e avere fiducia nel fatto che la storia ci risponderà, ma probabilmente noi non faremo in tempo a raccogliere i frutti di ciò che abbiamo seminato.

«Noi schiacciamo la durata temporale mano a mano che il tempo scorre; i nostri ricordi personali si mescolano a volte con avvenimenti accaduti qualche decennio, qualche anno, o, addirittura, qualche mese prima. Lo spessore della stratigrafia storico-temporale è dunque fragile, perché esso prende corpo solo se la nostra memoria − la memoria collettiva dell’umanità – è in grado di rendergli giustizia e dargli la sua vera dimensione» (Gras, 1997: 69).

È necessario dunque impegnarsi per diffondere semi di solidarietà verso il genere umano, contro gli insuccessi del presente e contro l’evidenza se necessario, perché il futuro ci darà ragione e perché − come dice Margherita, la giovane protagonista di un divertente romanzo di Stefano Benni (2006:156)−  «La storia ci guarda e non vorrei che vomitasse».

Dialoghi Mediterranei, n.28, novembre 2017
Note

[1] Quest’immagine è anche l’icona scelta dal Festival delle letterature migranti per l’apertura del programma.
[2] Come espresso anche nel corso dell’incontro questo tipo di provvedimenti ha contribuito negli anni ad instillare sottilmente l’idea che possono esserci morti di serie A e morti di serie B.
Riferimenti bibliografici
Benni S., Margherita Dolcevita, Feltrinelli Editore, Milano 2006
Crialese E., Terraferma, 2011
Duran W.,  La vita della Grecia, in La storia della civiltà. Parte II, Simon &Schuster, New York 1939
Gras M., Il Mediterraneo nell’età arcaica, Fondazione Paestum, Paestum 1997.
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 Cinzia Costa, dopo aver conseguito la laurea in Beni demoetnoantropologici all’Università degli Studi di Palermo si è specializza in Antropologia e Storia del Mondo contemporaneo presso l’Università di Modena e Reggio Emilia con una tesi sulle condizioni lavorative dei migranti stagionali a Rosarno, focalizzando l’attenzione sulla capacità di agency dei soggetti. Si occupa principalmente di fenomeni migratori e soggettività nei processi di integrazione.
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