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Rose di Gaza. Note sulla trasmissione e contaminazione delle culture a Gaza tra il periodo tardo-bizantino e la conquista islamica (secoli V-VII)

Eugenio Amato (ed.), Rose di Gaza. Gli scritti retorico-sofistici e le Epistole di Procopio di Gaza, Edizioni dell’Orso, Hellenica 35, Alessandria, 2010

Eugenio Amato (ed.), Rose di Gaza. Gli scritti retorico-sofistici e le Epistole di Procopio di Gaza, Edizioni dell’Orso, Hellenica 35, Alessandria, 2010

di Daniele Sicari 

Pienezza di gioia troverà colui che abita una delle due spose, Ġazza e ‛Asqalān.

(Ḥadīth) 

Ormai persino i discorsi sono cosparsi di rose; ne deriva grazia ed eleganza. Ebbene, che il dio ci si mostri benevolo e ci conceda di nuovo di tornare a vedere la primavera e ad inneggiare alla rosa.

(Procopio di Gaza) 

30630838334Introduzione 

A conclusione dell’importante volume Storia degli Arabi di Umberto Rizzitano (Alessandria d’Egitto, 1913 – Palermo, 1980), compendio delle lezioni del Corso di Storia e Istituzioni musulmane tenuto all’Università di Palermo [1], è inserito, in maniera significativa, un breve capitolo intitolato “Palestinesi senza Palestina”, in cui è descritta a grandi tratti la storia della regione a partire dalla Nakba, o “catastrofe”, del 1948, termine con cui in lingua araba si fa riferimento al momento della fondazione dello Stato di Israele. Allora – siamo tra gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso – la cattedra palermitana dedicava particolare attenzione alla questione palestinese, che nel Mondo arabo è spesso definita come la “madre delle questioni”.

Ricordando la figura del grande arabista palermitano, onde mettere in rilievo l’importanza della sua Scuola e della tradizione di studi da lui continuata, che ancora oggi permette a decine di studenti universitari di avvicinarsi allo studio della lingua araba, nonché a quello della storia, della letteratura e della cultura dette islamiche, si sceglie pertanto di porre la terra di Palestina al centro di questo contributo, e in particolare la regione di Gaza (in arabo, Ġazza), fatta oggi oggetto di inaudita barbarie, con un’immane perdita di vite umane e la irreparabile distruzione di un inestimabile patrimonio storico e culturale.

La storia islamica della città di Gaza rimane poco nota. Si tratterà qui, però, di indagare alcuni aspetti legati al periodo più antico (secoli V-VII d. C), che appena precede la conquista della città da parte dei Musulmani, occorsa nell’anno 634 della nostra era.

Lo studio di questa storia più antica, normalmente tenuta in lieve conto al di fuori di certi studi di settore, è tuttavia importante per comprendere meglio, da un lato, la portata delle trasformazioni – intervenute a livello sociale e culturale – che la conquista islamica ha apportato, per alcuni versi irreversibilmente, alla regione palestinese, e, dall’altro, il contributo che la cultura più antica, intrisa di elementi non sempre ben scindibili legati vuoi alla sfera della cristianità vuoi a quella del paganesimo, ha offerto al processo di radicamento dell’Islam nel territorio.

Attraverso questo contributo, pertanto, saranno indagati alcuni aspetti legati alla produzione e alla reciproca contaminazione di culture che, sebbene abbiano segnato la storia antica e la società di Gaza, si riflettono in un’area più vasta, che è quella del Mediterraneo. Lo si farà attraverso un simbolo, quello della rosa, comunemente associato alla bellezza, alla purezza, all’amore, e talvolta anche alla morte, presente in maniera trasversale nella produzione artistica e letteraria di culture diverse. 

10Il ruolo della città nel periodo preislamico 

Gaza è città antica, della quale non è possibile stabilire con precisione la data di fondazione, ininterrottamente abitata fin da epoche remote, le cui vestigia ci parlano di un ricco passato, di civiltà che si sono avvicendate nel tempo, e di culture che si sono stratificate e influenzate reciprocamente facendone centro di grande importanza nell’area del Mediterraneo.

Essa è definita, nell’abbondante letteratura storica e geografica in lingua araba, “porta del deserto” (bāb al-ṣaḥrā’) [2], per via della sua posizione strategica tra il mare e il margine del deserto egiziano. Fu importante punto di approvvigionamento al crocevia di lucrosi traffici carovanieri provenienti dalla Siria o dallo Yemen, ma anche centro di smistamento – grazie al suo porto – nella via della seta, che congiungeva i territori della Cina all’Egitto e ai Paesi del Mediterraneo. Il dominio di Gaza assicurava il controllo delle principali arterie commerciali che mettevano in comunicazione ben tre continenti: l’Asia, l’Africa e l’Europa [3].

In epoca bizantina, tra il 390 e il 634, anno della conquista islamica, in seguito alla suddivisione amministrativa della regione siro-palestinese, Gaza entrò a far parte della provincia denominata Palaestina Prima, la cui capitale era Caesarea Maritima. Vi si parlava prevalentemente il greco [4]. Oltre ad aver assunto un importante ruolo economico e commerciale, dalla fine del IV secolo Gaza tese a svilupparsi anche quale rilevante centro di elaborazione culturale, soprattutto per il fiorire nella città di una scuola di retorica il cui prestigio, insieme a quello di una seconda scuola a Caesarea, richiamava studenti da ogni parte dell’Impero, desiderosi di intraprendere o affinare la loro formazione. Tale era la reputazione della scuola di Gaza che essa divenne persino più nota del mercato di ‛Ukāẓ alla Mecca [5]. Va precisato, inoltre, che gli spostamenti tra le diverse parti dell’Impero erano, in quel periodo, estremamente frequenti, e furono proprio tali spostamenti a stimolare ed arricchire, sia tra i pagani che tra i Cristiani, lo sviluppo della cultura letteraria classica in Palestina [6]. La scuola di retorica di Gaza, «colonia spirituale di Alessandria d’Egitto», la quale venne peraltro definita «the common mother of literary studies» [7], insieme alla scuola di Cesarea, divenne presto il simbolo della straordinaria elevatezza culturale della regione [8].

Nei tempi antichi, Gaza fu roccaforte del paganesimo (in arabo, ma‛qil li’l-wathāniyya) [9]. L’arrivo dei Bizantini in Palestina favorì la diffusione del Cristianesimo nella regione, che, tuttavia, incontrò non poche resistenze all’interno delle città costiere, e soprattutto a Gaza, dove più forte era la presenza di genti che praticavano il culto degli idoli, e che erano quindi restie a convertirsi [10].

La città ospitava otto templi dedicati ad altrettante divinità, la cui costruzione sembra fosse stata stimolata, almeno in parte, dalla visita nella città, nell’anno 130 d.C., dell’imperatore romano Adriano (117-138 d.C.), il quale, profondamente affascinato dall’arte e dalla letteratura greca, promosse a Gaza lo sviluppo della cultura classica [11]. Tale fu l’importanza connessa all’evento che una particolare festa gioviale era celebrata a Gaza ogni anno per commemorarne l’occasione [12]. 

Amorini intrecciano rose. Casa dei Vettii (Pompei)

Amorini intrecciano rose. Casa dei Vettii (Pompei)

La “festa delle rose” 

Diverse erano le feste a carattere profano o religioso, collettive o private, celebrate nella Gaza bizantina, il cui svolgimento era consentito da un «clima notevolmente disteso»[13] nonostante l’atteggiamento ostile dei pagani idolatri nei confronti della cultura cristiana che andava affermandosi, e che attiravano ogni anno un gran numero di visitatori [14]. Va, infatti, rimarcato che il Cristianesimo, proprio per via della forte componente pagana, ebbe modo di diffondersi a Gaza, a partire dagli inizi del V secolo, in maniera piuttosto lenta e graduale [15]. Quando, nell’anno 394, Porfirio, appena ordinato vescovo, giunse nella città, il numero dei Cristiani era ancora considerevolmente ridotto (appena 280 su un numero complessivo di circa 50 mila o 60 mila abitanti!) [16].

Ancora alla fine del periodo bizantino, tra il V e il VI secolo, era celebrata a Gaza un’importante festa, associata all’arrivo della stagione primaverile, che era chiamata “giorno delle rose” (dal latino dies rosarum), o anche “festa delle rose” (in arabo, ‛īd al-ward), probabilmente derivante dai Rosalia di età romana. Tale ricorrenza, che mostrava avere «profonde radici pagane», godette di una lunga tradizione anche in seno al Cristianesimo [17].

I Rosalia (o anche Rosaria) erano celebrati nel mondo romano fin dal I secolo d.C. [18]. Si trattava di celebrazioni pagane inizialmente associate al culto dei morti, nel corso delle quali si tenevano banchetti, venivano distribuite rose ai convitati mentre petali rossi venivano sparsi sulle tombe [19]. Assunsero importanza anche in ambiente cristiano, dove vennero associate soprattutto al culto dei martiri, e dove le rose, intrecciate a formare corone, divennero simbolo della loro passione, e della loro gloria [20].

19I Rosalia conobbero una notevole diffusione anche nell’area del Vicino Oriente, e in Asia Minore. Secondo il celebre astronomo e matematico Abū Rayḥān Muḥammad al-Bīrūnī (973-1048), nel suo monumentale compendio sui sistemi calendariali, gli usi e i costumi dei popoli del Vicino Oriente e dell’Asia Centrale, Al-āthār al-bāqiya ‛an al-qurūn al-ḫāliya (Cronologia delle antiche nazioni), redatto intorno all’anno 1000, la “festa delle rose” (‛īd al-ward) veniva celebrata presso le comunità cristiane melchite dell’Asia centrale in due diverse occasioni, e in due differenti località geografiche. L’astronomo stabilisce per esse, tuttavia, anche delle differenze di rito. La prima era celebrata nel Ḫwarizm il 4 maggio, “secondo il rito antico”: «in quell’occasione, portano delle rose nelle chiese [...] Quel giorno, infatti, Maria portò in dono ad Elisabetta, madre di Giovanni il Battista, le prime rose» [21]. La seconda, nella regione del Ḫorasan, il 15 maggio, “secondo il nuovo rito”, «e ciò per via della loro più vigorosa presenza [delle rose] rispetto al quarto giorno [del mese] » [22].

I Rosalia sono attestati anche nel Mediterraneo occidentale. In una sua predicazione, nell’anno 399, Sant’Agostino, vescovo di Ippona, allude al sentimento di allegria che l’approssimarsi della festa suscitava nella comunità cristiana di Cartagine [23]. Fu il retore Procopio di Gaza (465-528 ca.), principale esponente della scuola di retorica sorta nella città palestinese, a menzionare per la prima volta la “festa delle rose” all’interno di una delle sue orazioni. Rispetto ai Rosalia di età romana, però, le celebrazioni che si tenevano a Gaza avevano «un carattere pagano assai gioioso. Vi avevano luogo agoni, spettacoli, danze e pantomime», e vi erano «estranei i motivi funerari che caratterizzavano invece l’antica festa romana» [24]. Ciò porterebbe a pensare che, nel corso della loro diffusione e del loro sviluppo, i Rosalia abbiano sperimentato particolari forme di ibridazione. 

  Venere Anadiomene

Venere Anadiomene

La simbologia della rosa a Gaza e nel Mediterraneo 

Al simbolo della rosa è anche associata la dea dell’amore e della bellezza, la Venere Anadiomene (cioè “nascente dal mare”) dei Romani, e l’Afrodite dei Greci [25]. Afrodite era particolarmente venerata a Gaza, tanto che la sua statua si trovava eretta nel cuore della città [26]. La Vita di Porfirio del diacono Marco (m. 420) rivela in tal senso dettagli di grande interesse. L’opera mette bene in luce il clima di ostilità dei pagani nei confronti della nuova fede nascente, forte a tal punto che il vescovo Porfirio, vessato dall’atteggiamento degli idolatri, si era deciso ad inviare il diacono a Costantinopoli per sollecitare l’imperatore Teodosio II a distruggere i templi pagani che si trovavano nella città. Di ritorno da un secondo viaggio a Costantinopoli, il diacono si sofferma a descrivere la statua marmorea di Afrodite, che si ergeva nel centro di Gaza, e più precisamente nel tetramphodon, «crocevia bordato di portici», punto d’incontro delle due principali arterie della città. La statua, posta in cima a una colonna anch’essa di marmo, nota come la “colonna di Afrodite”, «metteva in bella mostra le sue vergogne». La gente che vi passava dinanzi chinava il capo in segno di venerazione e di rispetto. Essa era particolarmente venerata dalle donne che desideravano unirsi in matrimonio, e dai pescatori. Le prime accendevano lampade e bruciavano incenso in suo onore, nell’attesa che Afrodite giungesse a visitarle in sogno; i secondi guardavano al suo simulacro come al dio del mare, a cui chiedevano di placarne la furia ogni qualvolta le onde apparivano agitate [27].

La nudità femminile della statua era causa di scandalo per i Cristiani. Quando Porfirio e il diacono Marco raggiunsero la base del simulacro di Afrodite, videro dei Cristiani che portavano una croce. Incapace di resistere alla presenza di un tale segno, come fosse abitata da un demone, la statua andò in pezzi [28].

Carta di Madaba (photo credits: Bernard Gagnon).

Carta di Madaba (ph. Bernard Gagnon)

Il crocevia detto tetramphodon si troverebbe rappresentato all’interno di un celebre mosaico pavimentale risalente al tempo dell’imperatore Giustiniano (527-565), all’interno della chiesa di San Giorgio a Madaba, in Giordania, e pertanto noto come “Carta di Madaba”. Si tratta con ogni probabilità del primo esempio di topografia cristiana. Vi è raffigurata la Terrasanta: dal Libano, a nord, fino al delta del Nilo, a sud; dallo spazio desertico oltre il Mar Morto, ad est, al Mar Mediterraneo, ad ovest. Al centro figura emblematicamente la città di Gerusalemme. La città di Gaza vi si rileva facilmente. Essa è rappresentata da un crocevia bordato da portici, il tetramphodon, con al centro un’ariosa piazza, probabilmente la piazza principale della città. Vi si distingue anche un edificio dalle dimensioni imponenti, forse la basilica maggiore, o una qualche chiesa importante [29].

Sempre a Madaba, all’interno di un’antica villa privata, si trova un altro interessante mosaico pavimentale risalente alla seconda metà del VI secolo, dove il tema di Afrodite e quello della rosa sono intrecciati al mito di Teseo e al dramma amoroso di Fedra e Ippolito, gli eroi della tragedia greca di Euripide [30].

Amorini. Mosaico pavimentale di una villa privata a Madaba, VI secolo (Sala di Ippolito, pannello su-periore) (particolare,.(ph. Haupt & Binder)

Amorini. Mosaico pavimentale di una villa privata a Madaba, VI secolo (Sala di Ippolito, pannello superiore, particolare)(ph. Haupt & Binder)

Nel primo pannello è sviluppato il tema della conversazione amorosa tra due amanti. Afrodite e Adone, simbolo dell’abbondanza della natura e della gioia di vivere, appaiono seduti in trono tra altre figure, Grazie e Amorini. Una giovane si avvicina alla coppia portando con sé un cesto colmo di frutta. È un altro, tuttavia, il particolare che cattura la nostra attenzione, nell’angolo in basso a destra del riquadro: si tratta della rappresentazione di un Amorino alquanto maldestro, che rovescia un canestro colmo di rose, le quali vengono così a trovarsi sparse ai piedi dei due amanti. Se da un lato è evidente il richiamo al tema dell’amore, o dell’impossibile amore se si considerano la morte di Adone e la sofferenza di Afrodite per la perdita del suo amato, dall’altro, è netto il riferimento alla “festa delle rose”, anche per ragioni che saranno esposte più avanti [31].

Nel secondo pannello è, invece, rappresentato il mito di Fedra e Ippolito: qui la coppia è ritratta insieme alla figura di un falconiere. Quello di Madaba non è l’unico esempio.

A Šayḫ Zuwayd, nel Sinai, in Egitto, a circa 50 chilometri da Gaza, all’interno di un’altra grande villa, si trova un mosaico risalente alla fine del V secolo. Anche qui uno dei pannelli mette in scena il mito di Fedra e Ippolito, dove il protagonista è rappresentato nell’atto di ricevere la lettera che lo informa del sentimento della sua matrigna nei suoi riguardi. Un’iscrizione in greco, circondata da uccelli e fiori, paragona il mosaico ad un velo tessuto dalle Grazie per la più bella delle dee, Afrodite. Nemmeno in questo caso il rimando è casuale [32].

Tale stesso motivo iconografico, caro all’ambiente artistico siro-palestinese, è attestato anche altrove: nel bassorilievo di un sarcofago di Villa Albani a Roma, risalente agli inizi del IV secolo, ad esempio, e perfino in Sicilia, in un rilievo custodito nella chiesa di San Nicola ad Agrigento, risalente al III secolo [33]. 

immagine8La “festa delle rose” e la descrizione della città: Procopio e Coricio 

L’interesse verso questi temi, associati, come si è visto, al ricco simbolismo della rosa, non si esaurisce nella loro rappresentazione artistica. Il mito di Afrodite e quello di Ippolito – che erano patrimonio comune della cultura classica – si trovavano anche al centro dell’arte oratoria e, in modo particolare, erano oggetto di orazioni pubbliche/declamazioni che venivano pronunciate a Gaza in occasione della festa delle rose. Soprattutto due nomi si ricordano: quello del summenzionatoProcopio di Gaza, che fu anche oratore ufficiale e figura apprezzata in tutto l’Impero d’Oriente, e quella di un suo allievo, Coricio, noto principalmente per la descrizione di due chiese che si trovavano nella città – quella di San Sergio e quella di Santo Stefano – grazie al quale siamo in grado di confermare la partecipazione annuale dei sofisti di Gaza alla festa [34].

Del primo ci restano due descrizioni di opere d’arte (ekphraseis) e sette declamazioni (dialexeis), il cui principale merito – per ciò che riguarda il nostro discorso – è quello di restituirci un’immagine della città di Gaza tra la fine del V secolo e gli inizi del successivo:

«Nei suoi scritti rivive [...] una Gaza assai lontana dall’attuale, una città raffinata, ricca di opere di notevole pregio artistico, una città dalla vita culturale vivace, e scenario, alla vigilia della conquista araba, di una convivenza tra popoli e convinzioni differenti, oltre che di un inatteso e sorprendente dialogo tra paganesimo e cristianesimo, tra classicità e attualità, tra periferia e centro dell’Impero, una sintesi culturale che spiega il ruolo cruciale svolto dagli intellettuali gazei nel ripensare l’eredità classica e nel consegnarla, attraverso il Medioevo greco, al mondo occidentale» [35].

La prima delle due descrizioni riguarda un monumentale orologio ad acqua che doveva trovarsi nella piazza più importante della città, dinanzi a un edificio che Procopio designa come il «portico imperiale» [36], e che non può non riportare alla mente la Gaza raffigurata nella “Carta di Madaba”.

Anche l’opera dell’allievo Coricio, succeduto a Procopio nella direzione della scuola di retorica, può ritenersi fondamentale per approfondire la conoscenza della sistemazione della città, come si può leggere nel Secondo Elogio al vescovo Marciano, composto tra il 536 e il 548: 

«La valeur de la cité réside dans l’harmonie et le mélange des brises, également réparties sur l’année, l’élégance des constructions, le caractère modéré des habitants. Voilà les caractéristiques de ta cité – Gaza – que les servantes communes de la vie, la terre et la mer, parent l’une et l’autre de leurs dons. La terre en effet est capable de produire pour les habitants tout ce que font naître les saisons, s’abaissant toute unie vers la mer [...] La mer, à peu de distance de la cité, la sert en en étant assez éloignée pour ne pas la gêner du battement de ses flots [...]» [37]. 

La seconda delle descrizioni di Procopio (Descriptio imaginis) ha, invece, per soggetto un grande affresco che raffigura, ancora una volta, l’amore incestuoso di Fedra per Ippolito. Sorprende non poco che la descrizione coincida in più punti con uno dei due mosaici pavimentali rinvenuti a Madaba, e di cui si è detto [38] . Anche l’orazione di questa Descriptio era con ogni probabilità destinata alla “festa delle rose” [39]. Appare significativo, infatti, che la descrizione sia preceduta da un prologo ove è narrata la storia d’amore di Afrodite e Adone, simboleggiata dalla rosa, tema che comunque pervade l’intera opera del retore [40].

Va qui sottolineato che l’uso, da parte di Procopio, di immagini tipiche del patrimonio pagano non aveva in sé nulla di eretico né di scandaloso: «in una società imbevuta di richiami letterari e figurativi al paganesimo [...] il mito pagano rappresentava un elemento costitutivo ed identitario, in cui riconoscersi e al quale restare fedele» [41]. Esso era altresì reso possibile dal clima particolarmente disteso che si era instaurato a Gaza tra il V ed il VI secolo [42]. 

3La conquista islamica 

Gaza mantenne la sua posizione di rilievo anche nella successiva età islamica. La sua importanza tese a scemare sensibilmente, come le altre città costiere palestinesi, solo al termine delle guerre crociate [43]. Della conquista islamica di Gaza, occorsa nell’anno 634, all’epoca del califfo Abū Bakr (632-634) – epoca nella quale ebbero inizio le grandi operazioni di espansione – tanto la letteratura classica che la storiografia in lingua araba tendono a mettere in luce alcuni aspetti importanti.

Nell’Elogio di Stefano, governatore della Palestina, Coricio afferma che «due elementi proteggono la città: la benevolenza divina e un robusto bastione». E in effetti, quando i Musulmani raggiunsero la città per conquistarla, la trovarono «circondata da mura e da poderose roccaforti» [44].

La conquista di Gaza inaugurò la serie di operazioni militari che di lì in poi si sarebbero spinte ben oltre i confini della Penisola araba, verosimilmente stimolate da una certa familiarità che gli Arabi dovevano avvertire rispetto all’ambiente ancora intriso di paganesimo che permeava la città e i villaggi circostanti. Oltre a ciò, tale conquista non venne tanto percepita dagli Arabi come acquisizione di nuovi territori, ma come una conferma del loro predominio su un’area che era già loro familiare, e nella quale erano in certo modo stanziati da tempo [45]. Lo dimostra, ad esempio, il nome con cui Gaza è conosciuta in epoca islamica, Ġazzat Hāšim, dal nome di un avo del Profeta che si ritiene fosse morto in quella città, nella quale svolgeva attività di commercio.

Sebbene numerosi Cristiani preferirono abbandonare la città al momento del ritiro delle truppe bizantine, la comunità cristiana vi rimase comunque fiorente, pur se minoritaria rispetto alla maggior parte della popolazione che era di fede musulmana, ciò dovuto al trasferimento in Palestina di diverse famiglie arabe all’indomani della conquista [46]. I Cristiani, protetti dall’istituto della dhimma, che garantiva la tutela delle loro persone, delle loro famiglie e dei loro beni, ebbero assicurata libertà di culto in cambio del versamento della ǧizya [47]. Questi vissero in pace ed in sicurezza fino all’accendersi delle guerre crociate: 

«I Cristiani vivevano insieme ai Musulmani, fianco a fianco [...] [A Gaza] era impensabile distinguere gli uni dagli altri. Non si differenziavano per via del cibo, né per le loro bevande, né per i loro indumenti [...] né per le loro abitudini» [48]. 

In seguito alla conquista, Ġazza divenne araba ed islamica. Viene in tal senso messo in rilievo il suo carattere di arabicità (‛urūba), che ebbe modo di realizzarsi in modo capillare attraverso il processo di arabizzazione dei «funzionari, la lingua, le monete, ed ogni altra cosa presente» [49]. 

‛Ārif al-‛Ārif (Gerusalemme, 1891 - Ramallah, 1973)

‛Ārif al-‛Ārif (Gerusalemme, 1891 – Ramallah, 1973)

Conclusioni 

Si è voluto provare, attraverso questo contributo, a mettere in rilievo la centralità della città e della regione di Gaza nel contesto del Mediterraneo attraverso alcuni aspetti legati alla contaminazione e alla reciproca influenza tra culture diverse nel tardo periodo bizantino (secoli V-VII), prima della conquista islamica. Conquista che, nell’anno 634, inaugurando la serie di operazioni militari compiute al di fuori della Penisola araba, conferma e corrobora il valore tradizionalmente attribuito alla regione non soltanto da parte bizantina, ma anche dagli Arabi, che avevano nel frattempo acquisito una certa familiarità con la città, soprattutto in virtù della sua rilevanza commerciale.

Importante stazione di approvvigionamento e nevralgico punto di approdo, Gaza non spicca, tuttavia, soltanto per la sua rinomanza economica, ma anche per quella culturale, ciò dovuto principalmente alla presenza di un’importante scuola di retorica che ha stimolato, attraverso i suoi maggiori esponenti – fra i quali il retore Procopio di Gaza e il suo allievo e successore Coricio – lo sviluppo della cultura classica nel territorio, nella quale elementi pagani e cristiani mal si distinguono nelle sue diverse manifestazioni artistiche e letterarie.

L’avvento dell’Islam, che ha certamente imposto sensibili mutamenti alla regione, dal punto di vista politico, ma anche da quello religioso, sociale e culturale, ha però garantito un importante carattere di continuità, soprattutto con riguardo alla tutela, e dunque alla sopravvivenza, della comunità cristiana – divenuta per ovvie ragioni minoritaria – e delle sue principali istituzioni. 

Dialoghi Mediterranei, n. 71, gennaio 2025 
Note
[1] Umberto Rizzitano, Storia degli Arabi, Manfredi Editore, Palermo, 1971.
[2] Si veda ad esempio ‛Ārif al-‛Ārif, Ta’rīḫ Ġazza, Maṭba‛a Dār al-aytām al-islāmiyya, Gerusalemme, 1943: 112.
[3] Martin A. Meyer, History of the city of Gaza. From the earliest times to the present day, Gorgias Press, New Jersey, 2008: 3.
[4] Nur Masalha, Palestine. A four thousand year history, I.B. Tauris, London, 2022: 40.
[5] al-‛Ārif, 71.
[6] Glanville Downey, “The Christian schools of Palestine: a chapter in literary history”, Harvard Library Bulletin XII (3), 1958: 302-3.
[7] Ibid.: 310.
[8] Masalha: 96-7; Downey: 318.
[9] al-‛Ārif : 73.
[10] Downey, 300, 308. Cfr. anche Nicole Belayche, “Pagan festivals in fourth-century Gaza”, in Brouria Bitton-Ashkelony, Aryeh Kofsky (eds.), Christian Gaza in late antiquity, Jerusalem Studies in Religion and Culture, vol. 3, Brill, Leiden-Boston, 2004: 5.
[11] al-‛Ārif: 74-5.
[12] Masalha: 84. Si vedano anche Anthony Richard Birley, Hadrian the restless emperor, Routledge, London and New York, 1997, 233-4; Meyer: 57, e Belayche: 8-9.
[13] George Alexander Kennedy, Greek Rhetoric under Christian emperors, Wipf and Stock Publishers, 2008: 172.
[14] Downey: 315.
[15] Meyer: 57; Belayche: 6.
[16] Marc le Diacre, Vie de Porphyre, Imprimerie Durand, Chartres, 1930: VII (introduzione). Belayche stima, invece, il numero dei Cristiani a Gaza al tempo di Porfirio tra i 20.000 e i 25.000. Porfirio venne, inoltre, rimproverato per aver osato costruire una chiesa smisurata rispetto al numero dei Cristiani presenti nella città. Cfr. Belayche: 5, e nota n. 4.
[17] Masalha: 126.
[18] Elena Nonveiller, “La festa dei Rosalia a Bisanzio: un esempio di ricezione e risemantizzazione del paganesimo antico”. Emese-Egedi Kovács (ed.), Byzance et l’Occident V. Ianua Europae, Collège Eötvös József ELTE, Budapest, 2019: 113.
[19] Eugenio Amato (ed.), Rose di Gaza. Gli scritti retorico-sofistici e le Epistole di Procopio di Gaza, Edizioni dell’Orso, Hellenica 35, Alessandria, 2010: 56 e 61. Cfr. anche Lauretta Magnani, “L’idea della morte nel mondo romano pagano”. Ager Veleias (https://www.veleia.it/notizia/384/l_idea_della_morte_nel_mondo_romano_pagano_di_lauretta_magnani, consultato il 07/11/2024); Mireille Demaules, “Rêve, magie et exercise de la raison dans Le Roman de la Rose”. Christophe Martin, «Raconter d’autres partages ». Littérature, anthropologie et histoire culturelle. Mélanges offerts à Nicole Jacques-Lefèvre, ENS Editions, Lyon, 2017 (https://books.openedition.org/enseditions/8282, consultato il 07/11/2024).
[20] Suzanne Poque, “Des roses du printemps à la rose d’automne. La culture patristique d’Agrippa d’Aubigné”. Revue d’Études Augustiniennes et Patristiques, 17, 1971:157-60.
[21] Abū Rayḥān Muḥammad al-Bīrūnī al–Ḫawārizmī, Al-āthār al-bāqiya ‛an al-qurūn al-ḫāliya, s.l., s.d., 368. Cfr. anche Nonveiller: 121.
[22] al-Bīrūnī: 371.
[23] Amato: 60; Poque: 158.
[24] Nonveiller : 114-5. Cfr. anche Amato: 56; Masalha: 127-8, e Belayche: 17.
[25] Mentre si precipita nel bosco alla notizia della morte del suo amato Adone, Afrodite è punta dalla spina di una rosa, che si tinge di rosso per le gocce di sangue spillato. Cfr. Amato: 52.
[26] al-‛Ārif: 74 e nota n. 1.
[27] Marc le Diacre : 47-9; al-‛Ārif : 74, nota n. 1.
[28] Marc le Diacre: 49.
[29] Catherine Saliou, “L’orateur et la ville: l’apport de Chorikios à la connaissance de l’histoire de l’espace urbain de Gaza”. Saliou (ed.), Gaza dans l’Antiquité tardive: archéologie, rhétorique et histoire, Salerno, 2005: 174.
[30] Rina Talgam, “The Ekphrasis Eikonos of Procopius of Gaza: the depiction of mythological themes in Palestine and Arabia during the fifth and sixth centuries”, in Brouria Bitton-Ashkelony, Aryeh Kofsky (eds.), Christian Gaza in late antiquity, Jerusalem studies in religion and culture, vol. 3, Brill, Leiden-Boston, 2004: 223.
[31] Idem.
[32] Marek T. Olszewski, “Le mosaïque de «style naïf» de Cheikh Zouède au Sinaï”. Archeologia (Warsaw) 53, 2002: 45-61.
[33] Amato: 32 e, in particolare, nota n. 97.
[34] Saliou: 171; cfr. anche Amato, 1; Downey: 310-1.
[35] Amato: VII.
[36] Saliou: 178.
[37] Ibid.: 172.
[38] Amato: 21; Kennedy: 172-3.
[39] Amato: 32, e nota n. 107.
[40] Ibid.: 35, e nota 112; Kennedy: 171. Si vedano anche David Westberg, “The rite of Spring. Erotic celebration in the Dialexeis and Ethopoiiai of Procopius of Gaza”, in Ingela Nilsson (ed.), Plotting with Eros: Essays on the poetics of love and the erotics of reading: Eros and the poetics of narrative, University of Copenhagen and Museum Tusculanum Press, 2009, 188: 190; Federica Ciccolella, “Swarms of the wise bee: Literati and their audience in sixth-century Gaza”, in Eugenio Amato (ed.), Approches de la troisième sophistique. Hommage à Jacques Schamp (Collection Latomus 296), Brussels, 2006: 80-95 e Federica Ciccolella, Cinque poeti bizantini. Anacreontee dal Barberiniano greco 310, Alessandria, 2000.
[41] Amato: 48.
[42] Kennedy: 172.
[43] Meyer: 3, 55.
[44] al-‛Ārif: 115.
[45] Ibid.: 114.
[46] Ibid.: 119-20.
[47] Idem.
[48] Ibid.: 94.
[49] Idem.
Riferimenti bibliografici 
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Daniele Sicari è Professore Associato di Storia e Istituzioni del Mondo Arabo e Islamico presso il Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università degli Studi di Palermo. Tra i principali temi di ricerca, si occupa della produzione e della trasmissione della cultura a Damasco e nella provincia siriana nel tardo periodo ottomano attraverso il ruolo degli ‛ulamā’ e le madāris quale messo in risalto nella documentazione d’archivio e nelle fonti locali in lingua araba (La trasmissione dei saperi a Damasco fra tradizione e innovazione (1876-1908), Aracne Editrice, Roma, 2012; Mudarrisūn e muḥaddithūn a Damasco negli awāmir sulṭāniyyah, Oriente Moderno 94, 2014; ‛Ulamā’ e istituzioni a Damasco all’epoca della fondazione delle madāris ahliyya, in D. Sicari (a cura di), Ulema: dotti musulmani di scienze religiose. Conservatori e misoneisti?, Aracne Editrice, Roma, 2017); della storia di Palestina nel periodo ottomano attraverso resoconti di viaggio in lingua araba (riḥla) (Déplacement et engagement dans l’œuvre Al-rawḍa al-nu‛māniyya fī siyāḥat Filasṭīn de Nu‛mān al-Qasāṭilī (1854-1920), in L. Denooz, Sylvie Thiéblemont-Dollet (éds.), Déplacements et Publics, Editions Universitaires de Lorraine, Nancy, 2017; Familiarity and otherness in late-ottoman travel accounts in Palestine, in Romano-Arabica 18, 2018; Gerusalemme e la Palestina nella riḥla maqdisiyya dello šayḫ Ğamāl al-Dīn al-Qāsimī, in A. Pellitteri et al., Re-defining a Space of Encounter: Islam and Mediterranean, Peeters, Leuven, 2019; Descrizione della Palestina nella riḥla maggiore dello šayḫ ‛Abd al-Ġanī al-Nābulusī (1641-1731), in L. Denooz, M.G. Sciortino, Percorsi della narrazione nel mondo arabo e islamico, Carocci, Roma, 2023); della storia della città di Gerusalemme nel tardo periodo ottomano e del ruolo culturale della città nella regione (Memoria di uno spazio assente. Il “quartiere maghrebino di Gerusalemme e la presenza dei maġāriba nella città, in InVerbis 13 (2), Carocci, Roma, 2023; Gerusalemme, il ḥaram al-šarīf e le madāris nella maǧalla dell’Accademia della lingua araba di Damasco, in M.G. Sciortino, D. Sicari, Delizia doni a voi il tempo che passa. Studi in onore di Antonino Pellitteri, Istituto per l’Oriente C.A.Nallino, Roma, 2024).

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