di Alfonso Campisi
Sauveur (Salvatore) Almanza è nato a Mateur, in Tunisia, il 1 gennaio 1931, da un padre proveniente dall’isola di Pantelleria, in provincia di Trapani e da una madre di Camporeale, in provincia di Palermo. Si sono incontrati in Tunisia. Suo padre André, era un ferroviere come la maggior parte dei siciliani di Tunisia e obbligato a naturalizzarsi francese per mantenere il suo lavoro presso la compagnia ferroviaria di Tunisia, oggi “Société Nationale du Chemin de Fer de Tunisie”.
Questa difficile situazione, diventerà quasi una regola per tutti quei siciliani che, durante il 1940-1945, per un motivo o per un altro, rifiuteranno di prendere la cittadinanza francese. In quel periodo era impossibile possedere le due nazionalità, la francese e l’italiana, così molti cittadini siciliani, per amor di patria, rifiuteranno in massa la seconda politica di naturalizzazione del 1943 imposta dalla Francia, definita come la “politique du chantage”, cioé del ricatto.
La madre, Joséphine Rizzuto, senza professione, lavorerà come casalinga per crescere i suoi tre figli: Laurent, Sauveur e Marinette. Un quarto figlio, che arrivò molto più tardi, finì ucciso da un carro, attraversando la strada di fronte casa sua, all’età di soli due anni. Questo dramma lascerà l’intera famiglia Almanza in un dolore immenso e infinito. Sauveur, essendo il secondogenito ma più grande di Marinette, ricorderà per sempre questa perdita dolorosa che sarà presente fino alla fine dei suoi giorni.
Malgrado questo triste evento, Sauveur ci racconta di un’infanzia felice, circondata da una famiglia numerosa. Dal lato paterno, avevano fatto fortuna intorno alle campagne di El Fahs. I suoi zii possedevano una fattoria con bestiame, e ogni fine settimana, Salvatore e la sua famiglia andavano lì per trascorrere la domenica insieme. Il padre di Sauveur, non ha mai fatto fortuna a causa di sua moglie Joséphine, una donna timida, analfabeta, pia e molto superstiziosa. Sauveur ci dirà che ogni volta che suo padre voleva comprare un pezzo di terra o fare un investimento, sua madre era sempre contraria e pronta a scoraggiare l’iniziativa del marito. Il padre finirà i suoi giorni in Francia dove sarà ricoverato e poi sepolto al cimitero del Père Lachaise a Parigi. La madre morirà poco dopo, sconvolta dal dolore e dalla perdita del suo piccolo. Sarà sepolta a Tunisi nel cimitero cristiano del Borgel.
Sauveur visse tutta la sua infanzia nel centro di Tunisi, in rue du Maroc, una strada in cui casette tutte uguali, incollate le une alle altre a forma di trenino, si susseguivano nella miseria più nera. In effetti, questi erano gli alloggi per i lavoratori delle ferrovie. C’era Peppi “u muraturi”, Antoinette chiamata “a beddra”, per il mestiere che faceva, Pippina “a meggera”, mastru Titta “u piscaturi”, e così via … tutti siciliani.
Ognuno parlava a modo suo e tutti si capivano, una sorta di sabir, un misto di siciliano, arabo e francese, che più tardi sarà classificato come il siciliano di Tunisia! Accanto alla casa di Sauveur viveva Lidia, sua cugina, una ragazza bellissima, bruna, alta, dalla folta chioma, grandi occhi scintillanti e neri come due tizzoni di carbone. Lidia, dieci anni più grande di Sauveur, esercitava di nascosto di sua madre, l’unica che non lo sapesse in tutto il quartiere, la professione più antica del mondo, raccontando così a Sauveur tutte o quasi tutte le sue focose avventure e incontri con i soldati in cerca di un amore fugace. Ma un giorno, uno dei clienti, un bell’ufficiale francese, si innamorò di Lidia. Si sposarono e lasciarono la Tunisia per stabilirsi in Francia. «Figghia disgraziata, m’allibbittai di tia, vattinni vattinni …» – Maledetta ragazza, finalmente mi sono liberata di te, vai via, vai via … – urlò sua madre in siciliano fuori dall’uscio della sua povera casa, il giorno della partenza. Per Sauveur fu una grande perdita, la perdita di una grande amicizia ma soprattutto di una grande complicità.
Sauveur frequenterà la scuola elementare del quartiere di rue du Maroc, una scuola francese situata a due passi da casa sua. Studierà lì solo per tre anni. La sua famiglia riusciva a malapena a sopravvivere e quindi Sauveur, che non era affatto uno studente brillante, interruppe i suoi studi per iniziare a lavorare come cameriere in un caffè dell’avenue de France. Stanco e mal pagato, decise all’età di dodici anni di lasciare questo piccolo lavoro e iniziare una sorta di praticantato con un siciliano, specializzato nella “haute coûture pour femme”. Questo sarà il lavoro ufficiale che Sauveur svolgerà fino all’età della pensione. Vestirà le grandi famiglie borghesi tunisine e i ricchi francesi e italiani. Anche Madame Bourguiba, moglie del Presidente della Repubblica tunisina di allora, si faceva disegnare e cucire i vestiti da Sauveur.
Un giorno, mentre Sauveur stava provando un abito a Madame Baldambembo, una bellissima donna tunisina di origine italiana e di fede ebraica, vide un distinto gentiluomo molto ben vestito, entrare nel suo negozio, con in mano un cilindro.
– «Sei Salvatore Almanza»? chiese, rivolgendosi al giovane Salvatore.
– «Sì, sono io e Lei chi è scusi?» rispose.
– «Monsieur Lévy, Moses Lévy».
Sauveur, lasciò cadere le forbici che teneva in mano. Era commosso, ma allo stesso tempo si chiedeva perché un pittore così famoso come Moses Lévy fosse nel suo negozio a chiedere di lui. Moses Lévy mostrerà tre piccoli dipinti, olio su tela, chiedendo a Salvatore se queste opere fossero sue. Salvatore annuì. In realtà erano i suoi dipinti: il primo raffigurava un mazzo di fiori, il secondo un ritratto e il terzo una natura morta.
Sauveur aveva venduto questi tre piccoli quadri a un commerciante nel souk Al Attarine, nel centro di Tunisi, che a sua volta lo stesso commerciante aveva rivenduto a Monsieur Lévy, rimasto incantato dalle opere. Sarà grazie a questo incontro fortuito che Sauveur Almanza incontrerà molti pittori, appartenenti alla “École de Tunis” e condividerà con loro emozioni, speranze, gioie ma anche dolori.
La “École de Tunis”, è stata un’importantissima corrente artistica tunisina e internazionale che nacque dopo la Seconda guerra mondiale a Tunisi, grazie ad alcuni pittori tunisini, francesi e italiani, di diverse religioni. Nel 1936, grandi nomi come Moses Lévy, Pierre Boucherle, Jules Lellouche e Antonio Corpora formarono il “Gruppo dei Quattro”. La “Ecole de Tunis” è stata fondata nel 1949 sotto la presidenza di Pierre Boucherle.
Questa tendenza artistica è stata una combinazione di temi popolari e un’immagine idealizzata della realtà. Gli artisti condividevano una certa idea di affiliazione culturale comune e contribuirono a definire un’arte autenticamente tunisina evidenziando il patrimonio poliedrico della cultura popolare e tradizionale tunisina.
Nel 1947, altri pittori furono aggiunti al gruppo come Yahia Turki, Ammar Farhat, Jellal Ben Abdallah, Abdelaziz Gorgi, Ali Bellagha, Edgard Naccache, Zoubeir Turki … rompendo con tutte le tendenze artistiche coloniali e portando avanti idee e opinioni innovative in una Tunisia dove gruppi di sinistra e intellettuali iniziavano a rivendicare l’indipendenza dalla Francia. Più tardi, alla fine degli anni ’50, artisti tunisini anticonformisti non parteciparono a questa tendenza artistica del dopoguerra e si evolsero in nuove tendenze.
Sauveur, entrerà così in una cerchia di intellettuali tuniso-italo-francesi grazie alla sua passione per la pittura, all’arte, ai colori e alla gioia di vivere, ma anche perché questo gli permetterà non solo di fuggire dal ghetto siciliano di rue du Maroc in cui era vissuto, ma di integrarsi anche alla cultura francese. «È grazie alla lingua francese che sono stato in grado di integrare e conoscere questo bellissimo mondo», dirà Sauveur Almanza, un po’’come Mario Scalesi, “il “poète maudit” siciliano di Tunisia che ha elogiato la lingua e la cultura francese come il solo vettore per il successo e il progresso sociale in Tunisia.
In questo periodo, la Tunisia e la sua capitale Tunisi, sono luoghi visitatissimi da intellettuali, pittori, cantautori francesi, ma anche italiani e Sauveur, farà parte di un movimento culturale di sinistra chiamato “Les pieds nus”, i piedi nudi. Si trattava di un piccolo gruppo multietnico di intellettuali anticonformisti che si incontrava nel centro della capitale, al Café de Paris situato ancora oggi nella vecchia Avenue de France. “Les pieds nus” erano così chiamati, perché camminavano scalzi, senza scarpe: una forma di provocazione e protesta contro la società moderna dell’epoca. Questi artisti “rifacevano il mondo” attorno ad una birra o un bicchiere di vino.
Sauveur continuerà a lavorare come sarto, una professione che adorava, ma anche come pittore, vendendo i suoi dipinti un po’ ovunque, a prezzi stracciati. Sarà il più piccolo del gruppo dei pittori italiani della “École de Tunis”.
L’esigua pensione che l’ambasciata francese gli concesse, non fu abbastanza per coprire le spese di Sauveur, che amava comprare tutto e niente al souk domenicale di Bouselsla, un quartiere popolare della periferia di Tunisi, dove risiedeva: orribili fiori di plastica, vecchi divani malconci, gatti, animali rari, tessuti, vecchi maglioni bucati. Sauveur, bevitore di vino rosé, teneva sempre una bottiglia sul tavolo per accompagnare il pasto e dare il benvenuto ai suoi amici. Dirà in siciliano «senza vinu u mangiari nun mi scinni»: senza il vino non posso ingoiare il mio pasto. Aveva le mani bucate e dopo aver pagato l’affitto e essere andato al souk per due settimane consecutive, non gli rimaneva più nulla della magra pensione. Decise quindi di rimettersi alla pittura, un’attività, alla quale non aveva mai rinunciato completamente. I suoi soggetti preferiti erano sempre ritratti, mazzi di fiori, nature morte, nudi.
Sauveur, rimase molto legato alla Tunisia, un Paese che non ha mai voluto lasciare. I suoi amici erano siciliani, ebrei di Tunisia, francesi, “arabi” e tutti parlavano francese, tranne nella rue du Maroc dove Sauveur avrebbe continuato a vivere e parlare la lingua dei suoi antenati, “una lingua volgare” ci dirà, ma sempre la sua lingua madre, il siciliano.
Con i suoi amici, il problema religioso non si era mai presentato, amici ebrei, musulmani o cristiani, vivevano insieme nella Tunisia multiculturale dell’epoca coloniale. Erano molto affiatati gli uni agli altri, celebravano tutti il Natale, il Ramadan, l’Aid, la Pasqua ebraica insieme. Ogni venerdì, Sauveur, pur non essendo di confessione musulmana, accendeva una candela al profeta Mohamed e ogni domenica alla Vergine Maria.
Sauveur morirà nella casa di riposo di Radès in Tunisia nel 2017, in quella casa dove ancora oggi risiedono diversi anziani siciliani di Tunisia. Morirà con i suoi ricordi e con un amore sproporzionato per la Sicilia e per la sua terra natia di Tunisia. È seppellito a Tunisi, nel cimitero cristiano del Borgel.
Dialoghi Mediterranei, n. 42, marzo 2020
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Alfonso Campisi, docente di Filologia romanza e di Letteratura italiana presso l’Università de la Manouba-Tunisi, è nato a Trapani Presidente della Cattedra “Sicilia per il dialogo di Culture e Civiltà” e dell’AISLLI, Associazione internazionale per gli studi di lingua e letteratura italiane, per la diffusione della lingua e cultura italiana nel continente africano. Collabora con le università di Pennyslvania, Philadelphia e Montpellier. È autore di numerosi studi sul Mediterraneo. Le sue ultime ricerche si focalizzano sull’identità, la lingua e la storia dell’emigrazione siciliana in Tunisia e negli Stati Uniti. Fra i suoi libri per la maggior parte in francese ricordiamo: Ifriqiyya e Siqilliyya, un jumelage méditerranéen (2010), Filologia siciliana e le diverse parlate di Sicilia (2013); Trilinguisme en Tunisie (2013); Memorie e conti del Mediterraneo: l’emigrazione siciliana in Tunisia XIX e XX secolo (2016).
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