di Omerita Ranalli
La sequenza di immagini, tutte rigorosamente in bianco e nero, scattate da Luca Bertinotti a Cocullo durante la Festa di San Domenico Abate si apre e si chiude con una veduta d’insieme dell’abitato.
All’inizio il paese ci appare, come in una cartolina, avvolto da una vegetazione rigogliosa – segno di una primavera già avviata; si vede parte del campanile della Chiesa di San Domenico (non è più da qui che parte la processione dei serpari, dopo che il terremoto del 2009 l’ha resa inagibile), che domina un borgo di case in pietra. Le finestre per lo più sembrano chiuse da tempo: questa parte del paese, che si scorge salendo dalla strada provinciale, è in buona parte oggi inabitata.
L’ultima immagine ci restituisce il paese immerso nella valle: dal fianco sinistro, quello della montagna di San Domenico, in passato arrivavano a piedi i pellegrini il giorno che precede la festa.
Oggi la montagna è attraversata da una galleria autostradale che con i suoi 4 km è tra le più lunghe di Strada dei Parchi: chi ne ha memoria racconta il lungo lavoro necessario a scavare il tunnel, che avrebbe collegato il paese alla capitale e al capoluogo, riducendo notevolmente i tempi di viaggio e permettendo ad alcuni di restare a vivere a Cocullo pur lavorando fuori dal paese.
Sopra il paese una enorme cava, che domina la valle: lo scatto ci risparmia la vista del grande parco eolico che dagli anni Novanta ha modificato ulteriormente il paesaggio, consentendo però che il paese continuasse a vivere; il parco eolico, infatti, impiega manodopera locale e contribuisce all’economia del piccolo comune montano.
Gli altri scatti ci consegnano due differenti tipologie d’immagine: anzitutto, alcune fotografie in cui posano bambini e adolescenti con uno (e raramente più d’uno) serpenti al collo o tra le mani. Colti al di fuori della folla, isolati: ritratti di uomini e serpenti. Sono cervoni, biacchi e lattarine: le tre specie ofidiche care ai serpari cocullesi; si possono distinguere anche nelle immagini: il cervone, Elaphe quatuorlineata ha il corpo più grande, ed è il serpente usato per “vestire” la statua del santo in occasione della processione (è infatti noto come “serpe del santo”); il biacco, Hierophis viridiflavus (ma al Sud Italia le specie sono scure, malgrado il nome), è la “serpe nera”, più irrequieta: si porta al polso, non resterebbe a lungo fermo sulla statua. La lattarina (o saettone, Elaphe longissima) deve il suo nome alla leggenda per cui succhierebbe il latte ai mammiferi .
Quello che molti non sanno, ancora oggi, in merito alla festa “dei serpari”, è che uno specifico Progetto di salvaguardia della specie è stato attivato dal Comune di Cocullo in seguito all’applicazione della Direttiva Habitat «per la salvaguardia della biodiversità mediante la conservazione degli habitat naturali» (DPR 357/1997): oggi i rettili sono monitorati da un’équipe internazionale di erpetologi, in collaborazione con il veterinario responsabile della ASL locale, e ricollocati, dopo la festa, nel luogo in cui erano stati catturati.
Ad ogni serpente catturato viene applicato un microchip che permette di controllare negli anni lo stato di salute della specie nel territorio. Non tutti, infatti, possono catturare serpenti, ma solo un gruppo di “serpari” che collabora con il Comune e opera a stretto contatto e sotto l’osservazione degli erpetologi incaricati: non è affatto vero che a Cocullo i serpenti siano trattati come oggetti.
Le immagini, infatti, ci mostrano bene il rapporto che i serpari instaurano con gli animali: veri animali “domestici”, animali da compagnia (come più volte è emerso durante le interviste dal campo); di questo si accorge bene il nostro fotografo, che accosta un cagnolino incuriosito, tenuto in braccio dal suo amico umano, al biacco portato anch’esso quasi in braccio dal serparo.
Un secondo gruppo di immagini ci mostra, invece, la grande folla che riempie il paese nel giorno della festa (ancor più numerosa dal 2001, quando la Festa di San Domenico Abate, tradizionalmente fissata al primo giovedì di maggio, è stata anticipata al primo maggio): sembra quasi incredibile che un paese che non raggiunge i 250 abitanti possa contenere, in un’unica giornata, un numero di visitatori che è stato stimato raggiungere le 20 mila unità, eppure tutto si svolge con grande accortezza organizzativa e la folla riesce a trovare il suo posto nelle strade e nella piazza principale.
A Cocullo si arriva da ogni parte del mondo: devoti, turisti, pellegrini, curiosi, giornalisti, fotografi (questi ultimi numerosissimi) ne riempiono vicoli, strade e ogni piccolo angolo calpestabile, balconi compresi, per partecipare al rito collettivo, farsi ritrarre col serpente al collo; in paese si dice che anche i più timorosi riusciranno a portare a casa una foto-ricordo con un serpente. Protagonisti della piazza sono i serpari di San Domenico, riconoscibili da una pass card (portata anch’essa al collo, uguale per tutti: “serparo”, senza nome o ulteriori specifiche); sono loro che hanno catturato i serpenti, per devozione al santo, che li hanno tenuti in casa per quasi due mesi, e che ora li mettono in mostra e li lasciano avvicinare, fotografare, avvolgere al polso o al collo di quanti hanno aspettato per ore al casello autostradale, o di quanti hanno cercato alloggio in paese (ma alloggi non ce ne sono, per i visitatori, malgrado l’enorme numero di case vuote), o hanno raggiunto la stazione ferroviaria (ci sono treni speciali da Roma e da Pescara, in occasione della festa), per assistere al rituale.
Oggi l’arte del serparo non è più mestiere: oggi anche a Cocullo si vive di altro; così alcuni sono costretti a chiedere le ferie per poter garantire la riuscita della festa (molti, infatti, lavorano a centinaia di chilometri dal paese), e altri invece – rimasti o venuti in paese – nel tempo libero si dedicano alla cattura delle serpi. Così ad esempio Roberto, il postino di Cocullo, originario di Anversa, paese limitrofo, ma accolto nella comunità e oggi parte di essa.
Ma a mezzogiorno i serpari lasciano il ruolo al vero protagonista della giornata: la statua del santo che, deposta sul sagrato, viene “vestita” di serpenti per essere portata in processione lungo le vie del paese. La piazza si ferma nell’attesa: quando la statua, vestita, viene sollevata, si leva dalla folla, assieme al grido “Viva San Domenico”, un fragoroso applauso: allora suona la banda e il santo si fa strada tra la folla, lentamente, scortato dai serpari.
Dicono in paese che quando il santo passa sotto casa (e quando possono vedere la statua passare sotto le loro case) il tempo si ferma e si compie: si torna bambini e si rivive ogni volta, ad ogni passaggio, il senso della festa.
Due figure restano quasi isolate in questa sequenza fotografica, ma entrambe caratterizzano a loro modo la festa. Una donna dal colorito scuro, con dei vistosi orecchini d’oro, ritratta sulla porta della sua casa, nei pressi della torre civica: non siamo mai riusciti a conoscerla, nel corso dell’etnografia cocullese, ma i tratti del viso e il suo portamento – che ricordano i ritratti delle donne abruzzesi del secolo scorso eseguiti da Francesco Paolo Michetti – hanno sempre colpito la nostra attenzione di ricercatori (nostra, perché il lavoro etnografico a Cocullo è stato condotto in équipe con Valentina Lapiccirella Zingari e Enrico Grammaroli, e inizialmente anche con Vita Santoro).
Anche il suonatore cieco di fisarmonica, che spesso si incontra nei paesi dell’Abruzzo montano e costiero, ogni anno il primo maggio raggiunge il paese, apre la sua sedia lungo la strada che collega le due chiese e per un giorno partecipa con il suo repertorio al paesaggio sonoro della festa del santo “dei serpari”.
Dialoghi Mediterranei, n. 38, luglio 2019
_______________________________________________________________
Omerita Ranalli, ricercatrice presso l’Archivio Sonoro “Franco Coggiola”, si occupa di cultura contadina e di repertori musicali della tradizione orale. Redattrice del “Bollettino di Italianistica. Rivista di critica, storia letteraria, filologia e linguistica”, ha pubblicato saggi sulla poesia a braccio, sul canto sociale e sui canti tradizionali come fonti per la storia d’Italia. Tra i suoi ultimi lavori si segnala: Canti e racconti dei ontadini d’Abruzzo (2015).
_______________________________________________________________