di Alessandro Perduca
Nell’anno 786 il vescovo Gregorio di Ostia, legato papale in Inghilterra, indirizzando una lettera a papa Adriano circa conclusioni e risultanze dei sinodi di Mercia e Northumbria afferma «Ut nullus ex ecclesiasticis cibum in secreto sumere audeat, nisi prae nimia infirmitate, quia hypocrisis et Saracenorum est» [1]. La menzione degli usi alimentari rituali dei Saraceni sembra alludere in chiave polemico apologetica alla pratica islamica del Ramaḍān [2] e pare un riferimento funzionale, nella logica normo-prescrittiva del sinodo, alla regolazione della buona pratica cristiana.
Di pochi anni posteriore è uno degli artefatti più originali del Medioevo europeo: la moneta di Offa [3]. Oggi conservata al British Museum, questa moneta fu incisa, battuta ed emessa da Offa, re di Mercia dal 757 al 796. È un oggetto unico perché imita un dinar d’oro del califfo al-Mansur. Come noto agli studiosi, sebbene l’iscrizione in arabo non sia stata copiata perfettamente si legge chiaramente parte del testo della shahāda: lā ilāha illā Allāh «Non c’è altra divinità all’infuori di Allah», mentre sulla faccia opposta è incisa la dicitura OFFA REX. L’originale da cui è stata copiata è stato battuto nell’anno dell’ègira 157 (773-74 d.C.) e chiunque sia stato l’incisore, sembra che non conoscesse la scrittura araba e questo lo sappiamo perché il nome e il titolo OFFA REX sono stati inseriti al contrario rispetto all’iscrizione araba. La moneta mostra una sicura ignoranza della lingua araba, ma non della cultura islamica del Mediterraneo e la sua finalità, dono papale o testimonianza di un conio prestigioso sulle rotte dei commerci euro-mediterranei, rimane ancora oggetto di dibattito: gli studiosi hanno perfino ipotizzato che lo stesso Giorgio di Ostia o il suo coadiutore Teofilatto potrebbero essere i latori in Inghilterra di questo stesso artefatto.
Perché il lessema Saraceno, a far tempo dal portato ideologico e testuale delle Crociate viene qui usato in tono polemico e peggiorativo alludendo agli abiti alimentari del digiuno alimentare? Non vi è prova che viaggiatori dal mondo islamico si siano spinti fino in Inghilterra, l’arabo non venne studiato in Europa fino all’XI secolo e la traduzione del Corano risale al XII. Nondimeno il termine Saraceno compare con un riferimento preciso e puntuale. Alcune domande di ordine euristico e metodologico si affacciano all’orizzonte dell’analisi e dello studio. Gli studi storico-linguistici, per natura aperti a ipotesi e suggestioni, procedono suffragati da rigorose prove testuali e more philologico e una breve indagine di quanto rileva dai testi è essenziale.
Da quali fonti il mondo anglosassone avrebbe mutuato conoscenze sull’Islām? Perché si fa riferimento a Saraceni e non ad Arabes o a equivalenti del termine musulmano? Quali riferimenti e occorrenze circolavano nella cultura anglosassone? Quale percezione di questi termini da un punto di vista antropologico e religioso era coscientizzata? Erano in grado di pensare e in quali termini al legame fra la cultura e la religione islamica nascente e l’iscrizione su una moneta? Per il lettore non specialista occorre specificare che il livello di questa riflessione era di natura esclusiva di un novero percentualmente minimo di letterati, intesi come coloro che avevano accesso ai testi, ma i testi stessi, seguendo la natura etimologica di intreccio tessevano relazioni ampie attraverso i canali multiformi dell’immaginario altomedievale, raggiungendo oralmente e iconologicamente un pubblico di illetterati e creando una coscienza valoriale comune.
Le Crociate, come detto, e la successiva espansione turco ottomana sono sicuramente il punto di riferimento cronologico più sicuro per stabilire i rapporti e gli scambi avvenuti fra l’ecumene islamica e quella cristiana europea, ma alcune considerazioni preliminari si impongono. Lo sviluppo del nucleo storico dell’Islām e delle sue conquiste coincidono temporalmente con la cristianizzazione e lo sviluppo della cultura latina cristiana nell’Inghilterra anglosassone fra il VI e l’XI secolo. La chiamata alla profezia di Muḥammad (610) e la missione di Agostino presso la corte di re Æthelbert (597) si collocano su uno stesso asse temporale e i due secoli successivi presentano un ampio respiro di sovrapposizioni, scontri, conversioni fra mondo islamico e cristiano. La nascita dell’Islām si fa visibile allo sguardo occidentale che inizia gradualmente a formulare un vocabolario specifico di riferimento. Ed è proprio a queste occorrenze testuali che lo storico dirige il proprio sguardo.
Un tema di precipuo interesse è la possibilità di ‘retrodatare’ il concetto di Orientalismo, così come proposto da E. Said nel suo fondamentale volume [4]. L’autore stesso intravede la possibilità di applicare questa medesima categoria in riferimento alla cultura medievale. Ed è qui che emerge una problematicità intrinseca agli studi storici: la coestensione cronologica di termini a loro volta terminali di un processo storico di definizione e concrezione. L’orientalismo di Said parte da almeno due presupposti impliciti per la nostra indagine: una idea monolitica di Islām e che l’Orientalismo rappresenti uno sguardo dell’Occidente sull’Oriente volto alla conquista e al dominio. Categorie quali Islām, Oriente e Occidente non hanno solo una valenza sincronica e contestuale con l’orizzonte che profila e distende lo sguardo di un soggetto presente ad un’epoca storica, ma la loro stessa genesi è sottoposta ad una continua revisione posteriore a partire dalla quale ogni indagine critica si rivolge al passato a partire dal proprio presente.
Nel caso in specie che in un periodo compreso fra il VI e l’XI secolo Islām, Occidente e Oriente, cristiano e religione non avessero il medesimo significato attribuito loro da uno sguardo percettivo e una costruzione posteriore, pare cosa ovvia, ma ancorché una trappola nella quale è facile cadere. Valga a mo’ di esempio il dizionario di una lingua antica. Un dizionario Greco-Italiano contiene senza ombra di dubbio il patrimonio lessicale e culturale di una civiltà, ma è altrettanto indubbio che la sua ‘provenienza’ dal passato, la fissazione dei suoi lemmi e significati sono opera di una stratificazione e concrezione che in un esperimento paradossale di viaggio nel tempo potrebbe non essere riconosciuta o addirittura totalmente incomprensibile. In altre parole, il passato appartiene via via a singoli presenti che lo reinterpretano e il processo di costruzione e il metodo di indagine fa parimenti parte della concrezione progressiva dei significati.
Si prenda il termine Saraceno. Utilizzato a partire dal II secolo d.C. non ha una coestensione specifica con arabo e tantomeno con islamico o musulmano. Nella Chanson de Roland designa addirittura i montanari Baschi. Può indicare arabo, berbero, cristiano di fede eterodossa, equivalendo più a ‘nemico’ che a un etnonimo definito o religiosamente connotato. Gli studiosi sono in grado di proporre un’etimologia filologica, peraltro ambigua. Saraceni potrebbe derivare da sarq (deserto) e quindi da sarq(iyy)īn, abitanti del deserto o da sharq (oriente) e quindi sharq(iyy)īn, orientali. Tolomeo e Stefano di Bisanzio lo fanno derivare da Saraka, città del Sinai e Isidoro di Siviglia nelle sue Etimologie, seguito da Giovanni Damasceno scrive:
«I Saraceni sono stati così chiamati o perché si proclamano discendenti di Sara vero perché, come dicono i gentili, sono originari della Siria, quasi Sirigini: abitano un deserto vastissimo. Sono chiamati anche Ismaeliti, così come insegna il libro della Genesi, in quanto discendenti di Ismaele, e prendono anche il nome di Kedar, da quello del figlio di Ismaele, o di Agareni, da Agar» [5].
Solo in seguito, come per arabi, fu associato ad una presa di coscienza inclusiva di professione di fede islamica e di espressione arabofona. Musulmano con la su etimologia mista arabo-persiano-turca (che eloquentemente descrive la parabola della formazione dell’ecumene islamica in epoca premoderna) è posteriore e in Inghilterra compare attorno agli anni venti del ‘600 ad opera del canonico anglicano Samuel Purchas (1557-1626) [6]. Nel periodo preso in considerazione, Saraceni, Arabi e Ismaeliti si contendono uno spettro ampio di aderenze e realtà linguistiche e socioculturali che solo in epoca posteriore sarebbero state sovrapposte ad Islām, islamico e musulmano nel passaggio ad una ‘rappresentazione’ di un’ecumene islamica identificabile, almeno per l’Europa, col mondo turco-ottomano. La presenza del nascente Islām nel mondo antico inglese esclude perlopiù contatti diretti, pur in presenza di testimonianze di relazione, e si conforma a una presenza di testualità biblica, e fonti scritte di autori tardoantichi e cristiani. Quanto questo abbia contribuito a delineare una ‘coscienza’ di un mondo che sarebbe col tempo diventato islamico sarà indagine delle pagine che seguono.
Nell’epoca di Beda, il dotto monaco di Jarrow, autore della fondamentale Historia ecclesiastica gentis Anglorum, furono compiuti due pellegrinaggi in Terra santa che ad oggi rappresentano le principali fonti su un contatto diretto fra Inghilterra antica e cultura islamica: il pellegrinaggio del monaco Willibald che compì il suo viaggio negli anni 723-727 e quello di Arculfo, vescovo di una imprecisata diocesi della Gallia che si recò nei luoghi santi fra il 679 e il 682. Willibald, pur lasciando un resoconto redatto dalla monaca Hygeburg non fece ritorno in Inghilterra per divenire poi vescovo di Eichstätt e condurre la sua vita in Germania.
Il suo viaggio non fu noto a Beda, ma ben diversa è la vicenda di Arculfo. Questi naufragò durante il ritorno dalla Terra Santa sulle coste della Scozia e trovò riparo sull’isola di Iona dove fu accolto dall’abate Adomnán, monaco irlandese divenuto abate dell’isola monastero dal 679 al 704 che raccolse la sua testimonianza in un’opera dal titolo De Locis sanctis presentata ad Aldfrith re di Northumbria. Probabilmente Beda la lesse fra il 702 e il 704 producendone un’epitome dallo stesso titolo. Le due versioni di De Locis sanctis rappresentano ad oggi la sola testimonianza letta in Inghilterra sulla descrizione di luoghi abitati da musulmani [7].
Adomnán fa riferimento a Saraceni in brevi passaggi: ne identifica i luoghi di culto utilizzando l’espressione orationis domus e accenna al fatto che accanto alla basilica di San Giovanni Battista a Damasco sorgerebbe una loro ‘specie di chiesa’ (quaedam etiam Saracinorum ecclesia incredulorum). Menziona il loro ‘re’ Mauias (il califfo Muʿāwiyah I), arbitro di una disputa fra gruppi di ebrei credenti e non (curiosa definizione, probabilmente una storia che adombra dispute precedenti fra giudeo-cristiani) per una reliquia del Cristo. La menzione dei Saraceni sembra qui orientata a connotare una superiorità della fede cristiana senza soffermarsi su alcuna descrizione della fede islamica. Il resoconto di Hygeburg relativo al pellegrinaggio di Willibald rappresenta l’unica reale testimonianza di un incontro fa Anglosassoni e musulmani. Hygeburg descrive con cura la rotta di pellegrinaggio da Southampton a Rouen e via terra fino a Roma poi verso Cipro per approdare in regionem Sarracinorum e dirigersi fino a Emesa in Siria. Sembra che nulla ostasse al raggiungimento di quelle terre. Giunti ad Emesa i pellegrini vengono arrestati e tenuti prigionieri come stranieri, ma interrogati sulla ragione del viaggio da un vecchio (la cui identità e funzione non viene precisata) vengono identificati come pellegrini che «non querunt mala, sed legem eorum adimplere cupiunt» [8].
Katharine Scarfe Beckett nota acutamente come l’uso del termine legge (lex) applicata al pellegrinaggio si avvicini alla concezione islamica di quest’obbligo religioso e potrebbe essere un interessantissimo termine di confronto presente nella coscienza di questi viaggiatori. Il Viaggio verso Gerusalemme termina con una successiva incarcerazione e con l’intercessione di un pio musulmano determinato a liberarli in «elemosinam et animae suae redemptionem» [9].
Ancora una volta Katharine Scarfe Beckett, pur sottolineando il carattere provvidenziale della narrazione della monaca, sottolinea la similarità con l’azione meritoria di riscatto e soccorso presente nei testi coranici. Hygeburg narra di comunità non islamiche presenti e di una chiesa presente a Nazareth che viene preservata contro un pagamento in denaro da parte dei cristiani a conferma dello status di dhimmi per cristiani ed ebrei. Ancora prigionieri vengono condotti «coram rege Sarracinorum cui nomen Myrmumni» [10]. Questo ultimo termine, resa latina di amīr al-muʼminīn. Ancora per intercessione di uno spagnolo che funge da interprete vengono lasciati continuare dopo essere stati riconosciuti e legittimati nella loro azione essendo non animati da cattivi propositi.
Una lettura attenta secondo i canoni della narrazione medievale ci mostra come il racconto di Hyngeburg, pur animato da una concezione provvidenziale tesa a sottolineare la superiorità della fede cristiana e dell’intervento di Dio a favore dei cristiani come latori della verità, riconosce alcune peculiarità riferibili con puntualità alle pratiche di convivenza e di gestione del rapporto fra religioni in territori musulmani oltre a una conoscenza della fede islamica che filtra in controluce dall’uso di alcuni termini. Le figure di Willibald e Arculfo sono costruzioni di Hygeburg e Adomnán, ma sono «lenses through which the audience views Christian cultural space» [11] e iniziano a costruire un immaginario della diversità.
Questi viaggi, pur essendo gli unici ad essere stati relazionati, non furono isolati. Sappiamo da manoscritti diversi della Cronaca anglosassone che nell’anno 884 due pellegrini si recarono verso Roma e la Giudea, che nell’anno 1052 Swein figlio di Godwin si diresse verso Gerusalemme come pure l’arcivescovo Ealdred di York nell’anno 1058. Non ci è dato sapere di più, oltre le scarne note della cronaca, ma è plausibile che questi viaggi abbiano riportato in Inghilterra racconti, idee e suggestioni dalla terra dei Saraceni: ne sono testimonianza il vocabolo ealfara (cavallo da soma) probabilmente voce mutuata dal vocabolo corrispondente arabo-ispanico al-faras [12] e la chiamata alla poesia di Caedmon così come raccontata da Beda pare ricalcare le modalità di rivelazione al profeta [13].
Le monete cambiate durante i viaggi poterono giungere in Inghilterra come artefatti esotici e fornire un modello per il dinar di Offa. Proprio rivolgendosi alla cultura materiale si possono stabilire ulteriori ipotesi di contatti fra l’Inghilterra antica e territori abitati da musulmani. Un esempio è rappresentato da quelle che la letteratura specialistica in lingua inglese definisce kufic coins, monete con iscrizioni arabe antiche. Provenienti da rotte commerciali in due periodi diversi e fino al secolo XIV, nel periodo preso in esame, fra l’VIII e il tardo XII secolo sono per la prima volta testimoniate da due dinar rinvenuti sulla spiaggia di Eastbourne nel Sussex e risalenti a 724-43 insieme al dinar di Offa. Potrebbero essere giunte attraverso la Francia su una rotta commerciale anglosassone col Mediterraneo. Il valore di questi oggetti consiste per l’oro di cui erano fatte e che veniva tesaurizzato con cura.
Una seconda rotta proveniva dalla Scandinavia, in particolare dirham rinvenuti copiosamente in Danimarca e frutto di razzie e riscatti vichinghi. Non è un caso che nel territorio soggetto all’controllo danese del IX secolo, il Danelaw si riscontri un considerevole numero di monete in argento proveniente da territori islamici. Sono oggetti che portano testimonianza di contatti diretti o mediati. Lo scambio di monete presuppone lo scambio di merci e di recente gli studiosi, oltre a registrare i movimenti economici, sottolineano l’importanza dei ‘discorsi’ legati a merci e oggetti, latori di cultura e conoscenza: spezie, prodotti e preparazioni farmaceutiche, armi, materiali, tecniche costruttive. Abbiamo prova che merci quali seta, avorio e altro abbiano raggiunto l’Inghilterra antica attraverso i commerci con Costantinopoli, mediatrice, ma non produttrice, ma se abbiano portato coscienza e conoscenza del mondo islamico, molto, in assenza di una testimonianza scritta, rimane legato a speculazione ipotetica, anche se di sicuro la conoscenza prevalentemente testuale del mondo islamico si intrecciava con la cultura materiale dello stesso e la filosofia intrinseca dello scambio [14].
La connessione fra saraceno, ismaelita e arabo si forma nel contesto della fruizione del testo biblico e del suo commento esegetico. Solo la cultura scritta cristiana poteva stabilire questi legami e la formazione di una coscienza culturale degli stessi procede dalla letteratura corrispondente. Arabo e Arabia appartengono alle fonti classiche, ismaelita solo alla bibbia e saraceno compare solo a partire dalla letteratura del II secolo. Un fattore importante di comprensione consiste nel mettere a fuoco come la cultura medievale non parte dal confronto con la realtà, ma spesso sia la realtà a doversi confrontare con la verità del testo e la sua esegesi. La rappresentazione e la coscienza del mondo sono un’esegesi progressiva a partire da quanto i testi presentano. Il mondo cristiano dovette procedere attraverso una costruzione della propria verità, del proprio libro-mondo in un confronto serrato con i testi che cercavano di com-prenderlo. L’antico Testamento, i testi del mondo tardo antico, la classicità sopravvissuta cooperavano e dovevano combaciare, nella visione degli esegeti in una rappresentazione omnicomprensiva e coerente rispetto a una verità preesistente e data come fondamento.
I viaggi di Arculfo e Willibald, in altre parole, non si preoccupano di testare una verità delle cose, ma di confermarla sulla base dei testi in loro possesso. I testi biblici sono la prima fonte attraverso la quale avviene l’alfabetizzazione culturale del mondo anglosassone. Ma il testo biblico stabilito proveniva dalla tradizione di Gerolamo e dalla sua esegesi. La conoscenza di Arabo ed Arabia proviene proprio dal lavoro traduttivo dello stesso Gerolamo. Egli, non ancora in possesso di un testo ebraico stabilito, aveva lavorato con versioni greche e su un teso ebraico non vocalizzato dove le consonanti relative ad arabo e Arabia possono valere per: corvo, pianura, sera, salice, e i riferimenti a questa varietà permettevano interpretazioni esegetiche mescolando ambiti simbolici e rimandi intertestuali. Se consideriamo la possibilità di incrociare queste interpretazioni con le fonti classiche e i Padri (Plinio, Isidoro, Sant’Agostino) e il Nuovo Testamento oggetto principale e termine del riferimento esegetico, quello che emerge è una costellazione simbolico-letteraria che funge da riferimento per il deposito e l’utilizzo dei significati. Arabo, Saraceno e Ismaelita, tendono a non coincidere in Gerolamo e tale non coincidenza passa al mondo anglosassone, quanto la loro fondamentale inimicizia al popolo di Israele e a fortiori ai cristiani come eredi. In Inghilterra Arabo rimane ancora estraneo per il periodo in questione ad una associazione con islamico e orientale e Saraceni tende a sovrapporsi a Ismaeliti (qui nunc Sarraceni appellantur) come recita il commentario di Gerolamo al profeta Ezechiele [15].
Uno dei testi fondamentali per la definizione del concetto di saraceno è la Vita Malchi dello stesso Gerolamo. Il monaco Malco catturato dai Saraceni nella metà del VII secolo è lo spunto per questo racconto che stabilisce alcuni elementi che diverranno caratteristici e contribuiranno alla definizione di un immaginario testuale di grande suggestione: la vita nel deserto, l’indole predatoria, la vita tribale. Seguendo la categoria di orientalismo i testi di Gerolamo fissano qui uno stereotipo culturale che all’apparire del termine musulmano, fornirà valenze per sovrapposizioni e identificazioni successive col mondo islamico. Il contesto anglosassone è segnato da questa stratificazione testuale come mostra la storia del processo di assimilazione dei testi. Teodoro e Adriano, fautori della missione evangelizzatrice gregoriana in Inghilterra come testimonia Beda nel quarto libro della Historia ecclesiastica provenivano rispettivamente da Edessa e dalla Cirenaica e furono costretti a lasciare le terre natie a causa dell’espansione araba. Come tali rappresentano dei testimoni di eccezione del mondo islamico nell’Inghilterra del VII secolo. Fondarono la scuola esegetica di Canterbury e nei commentari della scuola appaiono riferimenti ad Arabi, Saraceni e Ismaeliti che dovettero risentire delle lezioni dei dotti monaci e della loro interazione con gli studenti.
Il commentatore di Canterbury, nome col quale è noto l’autore dei commenti, si profonde in diversi excursus sulle caratteristiche della geografia fisica, fauna e flora del vicino Oriente e i testi risentono dell’eco delle invasioni arabe come ad esempio nel commento a Genesi 16,12 dove l’autore si distacca dal commento di Gerolamo, il quale offre solo un riferimento geografico molto generale, per introdurre elementi sull’ostilità sempiterna peculiari ai discendenti di Ismaele e parimenti le altre occorrenze e riferimenti ai saraceni e all’Arabia perdono la qualità di generalizzazione presente in Gerolamo per far convergere alcuni particolari, segnatamente la truculenza e la violenza, come tematizzazioni che paiono risentire di racconti di prima mano sulle invasioni arabe.
Beda, autore dell’epitome del testo di Adomnán di Iona, è il primo autore nella letteratura anglosassone a parlare delle invasioni arabe in Europa. Nel De temporum ratione fa cenno all’invasione araba della Sicilia, menziona un trattato di Giustiniano coi Saraceni e narra della traslazione delle ossa di Sant’Agostino da parte di Liutprando a seguito dell’invasione saracena della Sardegna. La formazione culturale di Beda presupponeva la conoscenza testuale di Gerolamo e delle fonti classiche e patristiche, ma la sua rielaborazione è assolutamente originale. Per primo rese conto a un pubblico più vasto le informazioni esegetiche su Saraceni e Arabia identificando gli invasori islamici sulla scorta degli Ismaeliti descritti da Gerolamo. Beda attua una convergenza fra Ismaeliti e abitanti della penisola arabica, risolvendo la vaghezza delle attribuzioni di Gerolamo e attribuisce a Saraceni un valore contemporaneo. Sullo stesso piano vengono esegeticamente connessi Sara, Hagar e Ismaele attribuendo sulla scorta di Isidoro la connessione fra Saraceni e Sara e facendo equivalere Ismaeliti e Saraceni pensando che i primi avrebbero rinunciato al proprio nome in favore del secondo vergognandosi delle proprie origini.
I saraceni, conquistatori delle terre cristiane, erano in realtà gli Ismaeliti che si sarebbero rifugiati nelle tenebre del deserto spirituale rifiutando la comunione con Israele, di cui la Chiesa rappresenterebbe la piena realizzazione. Inizia così un percorso di identificazione etnica e religiosa di grande produttività per il Medio Evo. Il contributo di Beda come conclude Katharine Scarfe Beckett è stato quello di presentare alla storia della percezione occidentale dell’Islām l’immagine dei «present Muslim conquerors of the seventh century as a living verse of the Old Testament» [16]. Il processo di identificazione fra Ismaeliti, Saraceni e musulmani è un continuum esegetico di costruzione della storia cristiana. Il passo successivo sarebbe stato quello di fornire un quadro apocalittico della storia con un’identificazione piena fra Ismaeliti e invasori musulmani. Questa visione, espressa nell’Apocalisse dello pseudo-Metodio, si diffonde in un contesto ricettivo che ha operato conversioni semantiche e terminologiche pronte per una lettura apocalittico-provvidenziale della storia.
Il testo conosciuto in latino come Reuelationes e conservato in Inghilterra in tre manoscritti risalenti alla fine del periodo anglosassone. Fa capo ad un originale siriaco del VII secolo ed è attribuito a Metodio di Olimpio, vescovo del IV secolo e contenente le sue rivelazioni fino al Giorno del Giudizio. Composto nella Mesopotamia settentrionale ha dato origine a molte versioni greche latine e vernacole costituendo una vera e propria tradizione pseudometodiana. Rielaborando le profezie veterotestamentarie fornisce un racconto della conquista islamica ponendola in subordine alla volontà divina e ponendo l’Impero bizantino come baluardo della vittoria finale cristiana. La versione latina giunta in Inghilterra è frutto di elaborazioni successive e fu copiata nella seconda metà dell’XI secolo. Contiene una parte storica e una profetica che dipinge i figli di Ismaele come strumenti della volontà divina e destinati ad essere sconfitti dall’imperatore di Bisanzio. I musulmani nelle redazioni del testo mostrano un percorso testuale che li fa apparire come Saraceni nelle prime redazioni per comparire come turci nelle redazioni più tarde. Passi ne furono distribuiti fra i difensori di Vienna durante il secondo assedio posto dagli Ottomani.
Il testo latino dello pseudo-Metodio traccia una serie di connessioni fra i nemici veterotestamentari di Israele e i musulmani a lui coevi. La connessione fra Saraceni e Figli di Ismaele fu possibile solo seguendo una tradizione esegetica «according to which the muslims (saraceni) were already known to be descendant of Ismael, to dwell in the desert to be hostile, aggressive and distant from God» [17]. A partire dalla seconda metà dell’VIII secolo cominciano a moltiplicarsi i commenti e le osservazioni circa gli attacchi saraceni e il termine saraceni comincia a farsi strada in una pletora di testi in vernacolo: glosse, cronache, omelie e traduzioni permeando anche la tradizione poetica. A titolo esemplificativo valga l’opera di Ælfric il grammatico, il noto abate di Eynsham attivo fra la fine del X e l’inizio dell’XI secolo. La sua Grammatica è l’unico testo dell’Inghilterra anglosassone a definire arabo in senso geografico proprio. Utilizza l’aggettivo arabisc per indicare la Fenice e definisce Saraceni gli eredi della Terra santa in parallelo con gli Ismaeliti del testo delle Reuelationes dello Pseudo-Metodio. Il termine Saraceni si impone sempre più come adatto ad una diffusione che raggiunga lettori meno letterati e si può affermare che alla fine del periodo anglosassone una «wider audience had potentially heard of all three peoples of the Arabs, Ismaelites and Saracens, but it was the Saracens who appeared more frequently in the vernacular and in the most varied contexts» [18].
Presumere che i termini saraceno, arabo, ismaelita potesse coprire nel periodo preso in considerazione un’area semantica equivalente a quella di musulmano o islamico è assolutamente impossibile da dimostrare oltre che contrario alle prove testuali, ma sicuramente si può concludere con Katharine Scarfe Beckett che «educated Anglo-Saxons perceived the Saracens as a biblical people who lived near the Holy Land as they had done in the Old Testament»[19] e che il loro nome era spiegato con una pratica esegetica ed etimologica basata sulla tradizione e la sua complessa elaborazione testuale. La possibilità di spingersi oltre si scontra coi limiti stessi del sapere medievale e della sua gnoseologia mistico-simbolica, ma di sicuro ancora una volta i rapporti col mondo mediterraneo mostrano un’estensione in grado di creare legami e rapporti di lunga durata e profondità.
Dialoghi Mediterranei, n. 68, luglio 2024
Note
[1] K. Scarfe Beckett, Anglo-Saxon Perceptions of the Islamic World, Cambridge University Press, Cambridge 2003: 1. «Che nessuno fra gli ecclesiastici, osi prendere cibo di nascosto, a meno che non si trovi in stato di grave malattia, poiché è un atteggiamento ipocrita e proprio dei Saraceni»
[2] B. Z. Kedar, Crusade and Mission: European Approaches Toward the Muslims, Princeton University Press, Princeton 1984:30.
[3] Per una analisi dettagliata si consulti: C.E. Blunt, M. Dolley. A.E. Werner, R.M.Organ, A gold Coin of the Time of
Offa, in The Numismatic Chronicle, vol 8, Royal Numismatic Society, London 1968: 151-160.
[4] E. Said, Orientalism: Western Conceptions of the Orient, Penguin, London 1995: 61-71.
[5] Etymologiarum sive Originum Libri, IX,2, 57.
[6] Samuel Purchas (1575-1626) cappellano dell’Arcivescovo George Abbot e rettore di St. Martin, Ludgate, Londra. Pubblicò in più volumi le sue raccolte sui pellegrinaggi intitolate Pilgrimages series con l’intento di presentare la varietà della creazione da un punto di vista teologico anglicano.
[7] K. Scarfe Beckett, Anglo-Saxon Perceptions of the Islamic World, cit.: 44-53.
[8] «non vogliono alcun male, solo adempiere alla loro legge»
[9] «in elemosina e a redenzione dell’anima»
[10] «al cospetto del re dei Saraceni chiamato Myrmumni»
[11]K. Scarfe Beckett, Anglo-Saxon Perceptions of the Islamic World, cit.: p.52. «Lenti attraverso le quali vedere lo spazio culturale cristiano»
[12] Cfr. A. Breeze, Old English ealfara, ‘Pack-Horse’: A Spanish-Arabic Loanword, in Notes and Queries 236, 1991: 15-17.
[13] Historia Ecclesiastica Gentis Anglorum, IV: xiv.
[14] K. Scarfe Beckett, Anglo-Saxon Perceptions of the Islamic World, cit.: 54-68.
[15] K. Scarfe Beckett, Anglo-Saxon Perceptions of the Islamic World, cit.:90-115.
[16] K. Scarfe Beckett, Anglo-Saxon Perceptions of the Islamic World, cit.: 138. «gli attuali conquistatori islamici del VII secolo come un versetto vivente dell’Antico Testamento»
[17] K. Scarfe Beckett, Anglo-Saxon Perceptions of the Islamic World, cit.: 163. «secondo cui i musulmani (saraceni) erano già noti per essere discendenti di Ismaele, per abitare nel deserto e per essere ostili, aggressivi e lontani da Dio»
[18] K. Scarfe Beckett, Anglo-Saxon Perceptions of the Islamic World, cit.: p. 188. «un pubblico più ampio aveva potenzialmente sentito parlare di tutti e tre i popoli degli arabi, degli Ismaeliti e dei Saraceni, ma erano i Saraceni a comparire più frequentemente in lingua vernacola e nei contesti più vari»
[19] K. Scarfe Beckett, Anglo-Saxon Perceptions of the Islamic World, cit.: 243. «Gli anglosassoni istruiti percepirono i Saraceni come un popolo biblico che viveva nei pressi della Terra Santa come avevano fatto nell’Antico Testamento».
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Alessandro Perduca è un anglista e germanista di formazione, con esperienza universitaria di insegnamento e ricerca. Si è occupato di letteratura inglese premoderna, moderna e contemporanea in diversi interventi e articoli. Si interessa di storia delle idee in chiave comparatistica e interculturale. Ha all’attivo contributi e studi su Shakespeare, la poesia romantica, Conrad, Auden e Heaney, oltre a numerose traduzioni. Ha tradotto Le ali spezzate di Kahlil Gibran per le Edizioni San Paolo e pubblicistica in lingua tedesca nel campo della teologia e delle scienze dell’antichità. Docente di lingua e cultura inglese nella scuola secondaria, lavora attualmente presso il liceo classico statale “Salvatore Quasimodo” di Magenta (MI).
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