di Alessandro Curatolo
Il mercato di Billingsgate nasce nel XVI secolo e viene istituzionalizzato da un decreto parlamentare nel 1699. Origi- nariamente era situato in Lower Thames Street, lungo il fiume, non lontano dalla City of London, il centro economico della città: formato da una piccola piazza centrale e alcune bancarelle in legno, era uno dei più importanti tra i mercati londinesi. Nel corso degli anni il mercato subì non pochi rimodernamenti e ampliamenti fino a ricoprire i 30 mila metri quadrati. Il soffitto era in vetro e metallo, una sorta di immensa serra che faceva filtrare la luce e permetteva una maggiore visibilità sui banchi.
Billingsgate market è il più grande mercato del pesce d’Inghilterra ed è aperto al pubblico dalle 4 alle 8 del mattino. Venne trasferito nel 1982 nella cosiddetta Isola dei Cani (Isle of Dogs), la sua sede attuale, più ad est rispetto alla vecchia collocazione storica. Il pesce che si può acquistare qui al mercato proviene da tutte le parti del mondo: dalla vicina Scozia, dall’Islanda e perfino da mete molto più lontane come lo Sri Lanka (per lo più per via aerea approda all’aeroporto internazionale di Heathrow). Cinquantatremila metri quadri di magazzini per il deposito e di spazi destinati alle vendite.
File di uomini e donne provenienti da tutte le parti della città si avvicinano silenziosamente all’ingresso, dove alcuni poliziotti di guardia chiacchierano con alcuni acquirenti. All’interno del mercato un clima più vivace e frizzante mi si apre di fronte, in netta contrapposizione al silenzio e all’oscurità del grande parcheggio e dell’autostrada non lontana da lì. Cinquanta banchi del pesce sono allineati all’interno del mercato in file ordinate creando quattro lunghi corridoi; decine di persone sono lì per acquistare il prodotto di lunghe ore di pesca in mare.
I rivenditori di pesce, i fishmongers, sono arrivati molto presto e hanno preparato i loro banconi con minuzia. Il loro lavoro era tramandato di generazione in generazione e sono molti i chioschi con le targhe che indicano il nome della famiglia inglese e la data di fondazione, simbolo di un passato vivo ancora oggi. Una tradizione centenaria che risente di una crisi dovuta all’espansione e alla specializzazione del mercato stesso: anche i porters, gli scaricatori londinesi, coloro che trasportano il pesce dai magazzini alle bancarelle, lottano contro una precarizzazione della loro figura. Essi si ritrovano oggi a competere con molti altri immigrati (provenienti da Paesi europei ed extraeuropei, ma anche da altre aree del Regno Unito) nell’assegnazione del lavoro. L’abolizione della licenza di porter, che era stata istituita nel 1878, ha reso ancor più semplice l’impiego per questo mestiere amplificando la rivalità tra etnie diverse all’interno del mercato e marcando una netta contrapposizione tra coloro che sono stati assegnati alla professione dalla famiglia di origine e i migranti provenienti dall’esterno in un gioco di forze endogene ed esogene che è la più alta espressione della globalizzazione e del libero mercato contemporaneo. Un grande orologio posto al centro del mercato sul soffitto in metallo scandisce le ore di lavoro: alle cinque in punto del mattino il suo rintocco apre il via all’uscita degli scaricatori che trasportano i prodotti ittici dai magazzini ai banconi.
Oggi, come accennavamo sopra, insieme ai banchi dei pescivendoli inglesi troviamo molti altri rivenditori immigrati, che propongono pesci di provenienza di oltremanica e che servono proprio a completare la funzionalità e la varietà di questo grande mercato che si impone come il luogo di tutti e per tutti. Immigrati che vendono e immigrati che acquistano: una mescolanza di lingue diverse si ode al mercato, segno di una grande commi- stione di culture che s’incontrano in questa piazza sociale, di uomini che comunicano e che s’influenzano a vicenda. Un’attività ludica si intreccia a quella commerciale, dal momento che i rivenditori interpretano dei ruoli ben precisi in una sorta di messa in scena organizzata per attrarre l’attenzione del pubblico. I pescivendoli sono dei veri e propri attori sociali – come ben espresso da Bonanzinga (2011:11) – «nulla è lasciato al caso nell’allestimento della scena, giornalmente ricostruita da attori che sanno adattare i modelli tradizionali alle esigenze individuali e al mutare dei tempi».
Uno stretto legame emerge dai rapporti che s’istituiscono tra i vari venditori, ben noti al Billingsgate market per la loro loquacità e trivialità: allusioni sessuali e scherzi da camerata sono all’ordine del giorno e servono proprio a rafforzare quel sistema di relazioni che è il cardine stesso della socialità di gruppo e che serve ad alleggerire le lunghe e faticose ore di lavoro. Diversamente dai mercati siciliani, dove l’esposizione e la preparazione dei banchetti sono essenziali per la messa in scena delle merci così da rendere ancor più esplicito il messaggio da proporre al passante, il mercato del pesce, qui si impernia su una forte specializzazione e su una settorializzazione del prodotto: ogni chiosco ha la sua caratteristica specifica di vendita, frutti di mare, granchi, pesci di piccola o grande taglia, ogni rivenditore è rinomato per la sua qualificazione. Non riscontriamo qui, a differenza dei mercati siciliani, nessun decoro o abbellimento dei banconi: in Sicilia è noto l’uso di ramoscelli di rosmarino, alloro o alghe che rendono la bancarella più allettante e colorata e di conseguenza più seducente agli occhi di chi acquista.
In questo mercato è possibile acquistare ogni tipo di pesce: aragoste e granchi vivi, sgombri, salmoni, cozze, anguille e aringhe. Le stesse aringhe erano state descritte da Braudel in Civilization and Capitalism: «le aringhe catturate in Olanda e nelle coste inglesi e scozzesi erano esportate nell’Europa del sud, giù fino a Venezia. Quelle bianche venivano conservate ricoperte di sale, le rosse, affumicate». Il pesce era ed è una pregiata merce di scambio. Diventato recentemente ancor più prezioso e costoso per via delle nuove regolamentazioni europee che applicano non poche restrizioni alla pesca, esso percorreva e percorre ancora oggi centinaia di chilometri per terra e per mare. Tonnellate di merluzzo passano ogni giorno per questo mercato per servire centinaia di ristoranti inglesi dove il pesce viene utilizzato per celebrare uno dei piatti della cucina tradizionale che è il fish and chips, il merluzzo panato con patatine fritte.
Il mercato si è molto evoluto nel corso degli anni, come accennavamo sopra, e così anche la sua clientela è cambiata. Il consumatore medio, che prima era il cliente inglese che si recava al mercato per le provviste per la famiglia o i proprietari di ristoranti che vi si rifornivano per le scorte giornaliere, è adesso l’acquirente cinese, bangladese, italiano, marocchino o di qualsiasi altra provenienza europea o extraeuropea. La multiculturalità londinese e inglese in generale ha notevolmente ampliato il raggio della clientela. Il Billingsgate market si è dovuto riadattare per poter sopperire alla domanda più specializzata di pesce “esotico” sempre più richiesto dai residenti stranieri. Primi fra tutti sono i cinesi, ghiotti di granchi della Cornovaglia utilizzati per la preparazione di salse o condimenti vari per riso e zuppe. I granchi vengono venduti qui al mercato a Londra o esportati, vivi, a Shangai in aereo. Le femmine di granchio sono le predilette dai consumatori cinesi in quanto più ricche in polpa.
Non mi limito ad osservare e a fare delle foto. Decido di comprare del pesce anch’io e, a fatica, tra decine di acquirenti, ricevo l’attenzione di uno dei rivenditori che a malapena mi rivolge la parola. Molti dei commercianti, infatti, qui vendono all’ingrosso ed io di certo non ho l’aria di un compratore abituale ma piuttosto di un turista curioso.Tra le bancarelle, ci sono due bar molto frequentati, sia dai rivenditori che dagli acquirenti. Al loro interno è presente solo qualche tavolino e una piccola cucina. Le pareti sono interamente ricoperte di foto in bianco e nero che raffigurano i volti storici del mercato e tra queste perfino una foto del principe William con uno dei pescivendoli.
Lontano dal chiasso, dai colori, dai profumi e dalle “abbanniate”dei mercati storici palermitani, il Billingsgate market sembra essere più consono alla sua fruizione notturna: dolci chiacchiere, pochissimi i rivenditori che urlano per attirare l’attenzione dei compratori. Gli acquirenti si divincolano dagli scaricatori di pesce nei lunghi corridoi che trasportano le merci dai magazzini ai chioschi.
Parecchi sono i mercati a Londra che ho visitato: il Borough Market nei pressi di London Bridge è ricco di prodotti biologici, frutta e verdure, carne e formaggi ed è fruito per lo più dai turisti; il Columbia market è il mercato di fiori e piante; l’Old Siptafileds Market è il mercato dei vestiti usati e lo Smithfield Market quello delle carni. Portobello Road Market a Notting Hill è il preferito per chi è in cerca di oggetti vintage o di mobili usati.
Il denominatore comune di questi mercati è di sicuro la socialità della sua fruizione: anticamente il fulcro della comunità, il mercato era allestito nella piazza centrale del villaggio o della città, spesso vicino alla chiesa o al municipio. Luogo di incontro per eccellenza, il mercato, fin dall’epoca romana, era il luogo privilegiato degli acquisti e degli scambi. Connotava le peculiarità e i confini dei quartieri della città, così come evidenziato da Orietta Sorgi (2015) per Palermo:
«già in età musulmana la città era suddivisa in quartieri, ognuno in funzione dei suoi mercati: il Cassaro e la Galca corrispondenti alla paleopolis, dove vi era il principale emporio di mercanzie varie, As-asimat(la fila), presente, con ogni probabilità, già nel periodo punico-romano e bizantino; la Kalsa, sede dell’emirato, con quella che poi si sarebbe chiamata la fiera vecchia, destinata alla compravendita del bestiame; e i due quartieri ricadenti nella prima espansione urbana, il rabat fuori le mura: Ballarò, dall’etimologia ancora incerta, che potrebbe rimandare ad un luogo di raccolta dei prodotti dei villaggi agricoli circostanti, si sviluppava lungo il fiume Kemonia; il Seralcadi col mercato del Capo, sito nella parte superiore del quartiere»
I mercati a Londra sono stati trasformati dalla globalizzazione e dalla multietnicità crescente: la frequente domanda di prodotti “esotici” ha costretto i rivenditori inglesi ad importare merci dall’estero per poter accontentare tutti i palati. Altro elemento che ha contribuito alla metamorfosi dei mercati londinesi è di certo l’aumento esponenziale dei turisti. Londra è una delle città più visitate al mondo con una media di quindici milioni di turisti l’anno che invadono le vie della città. I mercati, che in passato erano i luoghi privilegiati per comperare i prodotti da preparare in casa, sono adesso anche gli spazi elettivi del cibo di strada. Decine i chioschi al Borough market dove si possono acquistare le più svariate pietanze provenienti da ogni parte del mondo, o il Greenwich market nei pressi del villaggio di Greenwich, vicino all’Osservatorio astronomico e al meridiano zero, un concentrato della multiculturalità cittadina con le bancarelle thailandese, spagnola, portoghese, cinese, giapponese, italiana, inglese o indiana.
Variegato e profumato, il mercato, anche a Londra, si delinea come il luogo dell’incontro e dello scambio e la convivialità, anche se fatta in piedi e con un piattino di plastica, rimane comunque un elemento essenziale della socializzazione umana in epoca contemporanea.
Dialoghi Mediterranei, n.19, maggio 2016
Riferimenti bibliografici
A.A.V.V., The Borough Market, From roots to Renaissance, Civic Books, London 2004.
Bonanzinga S., Giallombardo F., Il cibo per via, Paesaggi alimentari in Sicilia, Centro di studi filologici e linguistici siciliani, Dipartimento di Scienze filologiche e linguistiche, Palermo 2011.
Braudel F., Civilization and Capitalism – 15th-18th Century -The Structure of Everyday Life, volume 1, University of California Press, 1992.
Gallino L., Mercato e società, Enciclopedia del Novecento, Il Supplemento, 1998.
Giallombardo F., La tavola l’altare la strada. Scenari del cibo in Sicilia, Sellerio, Palermo 2003.
Hann C., Hart K., Market and Society: The Great Transformation Today, Cambridge University Press, 2009.
Hallett A., Markets and Marketplaces, Shire Pubblications, Oxford 2009.
Sorgi O., Mercati storici siciliani, CRICD, Regione siciliana, Palermo 2006.
Sorgi O., I mercati di Palermo fra storia e attualità. Un fenomeno di lunga durata, in “Dialoghi Mediterranei”, n.12, marzo 2015.
Winn C., I never knew that about London, Ebury Press, London 2007.
http://www.cosedimare.com/2012/03/mazara/
Un interessante documentario prodotto dalla BBC sul mercato di Billingsgate può essere consultato su Youtube (https://www.youtube.com/watch?v=UTmD5wAdrDI)
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Alessandro Curatolo, giovane laureato in Beni Demoetnoantropologici e in Antropologia culturale ed Etnologia presso l’Università degli Studi di Palermo con una tesi sull’origine rituale del matrimonio indiano e iraniano. Nel 2010 ha collaborato con Vittorio Sgarbi e la sua Fondazione alla realizzazione del Museo della Mafia “Leonardo Sciascia” a Salemi. Nel 2012 ha curato i cataloghi di Demetz e Notari per la mostra organizzata nell’ambito del “Festival dei Due Mondi di Spoleto”.Trasferitosi a Londra nel 2013, attualmente collabora con i Musei di Greenwich.
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