di Francesca Spinola
La storia delle società nordafricane, dal periodo delle origini dell’era islamica fino al XIX secolo, è stata caratterizzata da due elementi fondamentali: la formazione dello Stato e l’islamizzazione. Le conquiste arabe hanno giocato un ruolo cruciale in questo processo, accelerando la formazione degli Stati e l’organizzazione delle società nordafricane in comunità musulmane. Questo fenomeno si è verificato in Tunisia nell’VIII secolo, in Marocco nell’XI secolo e in Algeria nel XVI secolo, quando queste regioni hanno acquisito identità territoriali e regimi statali. Le conquiste arabe non solo hanno contribuito alla formazione degli Stati, ma hanno anche portato all’istituzionalizzazione dell’Islam per la popolazione, integrando la religione nella struttura politica e sociale delle nuove comunità. Questo processo ha permesso di consolidare l’identità islamica nelle regioni conquistate, creando una base solida per lo sviluppo delle società nordafricane come comunità musulmane organizzate e coese [1].
Per comprendere l’islamizzazione della Tunisia e della sua capitale Tunisi, è importante notare che la Tunisi araba non fu creata ex nihilo, ma si sviluppò su una città preesistente, Tunes, adottandone il nome. È generalmente accettato che questo nome sia di origine berbera. I tre radicali t.n.s., che si incontrano in altri toponimi del Nord Africa, si dice significhino “luogo dove fermarsi”, “bivacco” o “accampamento” nella lingua berbera antica [2].
Tunisi era infatti il luogo di un insediamento antichissimo che si può far risalire al IX secolo a.C., quando dei navigatori punici decisero di fondare qui un primo stanziamento. Già prima del loro arrivo popolazioni numidiche chiamate Amazigh (uomini liberi), quelli che poi i Romani e i Greci denomineranno Berberi, vivevano sulle colline d’argilla e di sabbia racchiuse fra i due laghi, el-buhira, il piccolo mare, e Sebkhet Sedjoumi, lago salato stagionale.
Solo con la conquista araba del VII secolo della nostra era Tunisi cominciò a emergere dall’ombra, poiché i nuovi conquistatori mostrarono subito di preferirla a Cartagine dal punto di vista strategico. Il loro intento era di avere un buon punto geografico da cui far partire le loro conquiste sull’altra sponda del Mediterraneo. La zona di Tunisi sembrava perfetta e iniziò così la costruzione, nell’area che oggi è La Goulette, di un porto e di un arsenale. Gli arabi si stabilirono alla base della laguna, alla periferia di Tunes, e la piccola città, occupata dalle truppe e con nuovi edifici che proliferavano, divenne presto una città che poteva facilmente essere presa per una fondazione araba. Gli storici arabi ne datano la nascita all’anno 80 dell’Egira e attribuiscono la sua fondazione a Hassan b. al-Nu’mān, che prese possesso della grande città antica [3].
Nei primi anni della sua esistenza, la Tunisi araba assunse una funzione militare. Le truppe vi erano di stanza in modo permanente, pronte a contrastare uno sbarco nemico sulla costa, o a prendere il mare e razziare le coste dei Paesi cristiani. Delle numerose spedizioni marittime organizzate dagli arabi nell’VIII secolo, molte partirono proprio da Tunisi [4] dove la presenza di centinaia e migliaia di soldati determinò un immediato impulso allo sviluppo della città. Gli arabi si mescolarono con i berberi che si convertirono all’Islam, volontariamente o con la forza, e un nuovo popolo fu forgiato dall’associazione delle etnie [5].
L’interesse degli arabi era già emerso quando, nel 711, scelsero di costruire un canale fra Radès e Tunisi, con lo scopo di permettere alle navi di gettare l’ancora al sicuro da eventuali attacchi. Questa posizione strategica rese Tunisi il punto di partenza da cui le flotte arabe salparono per andare alla conquista del Mediterraneo occidentale, ovvero dell’Europa. Il fatto che gli arabi ne abbiano fatto una loro base militare protetta da fortificazioni permise alla città di crescere senza troppi problemi attorno a quello che diventò il principale luogo di culto musulmano dell’area, la Jamia al-Zeitouna, la Moschea dell’Ulivo, la cui costruzione si fa risalire al 732 d.C. Da quel momento in poi iniziò a svilupparsi la Medina così come la vediamo oggi, con le sue stradine e i suk. Presto la Medina – che in arabo significa semplicemente città – diventò un polo commerciale che conferì a Tunisi una nuova veste: non più solo città militare ma anche polo economico.
Va però ricordato che nel corso dei secoli Tunisi non è sempre stata la capitale della Tunisia. Durante il regno degli Aghlabidi (800-909), la capitale fu trasferita nella più interna cittadina di Kairouan. Successivamente, sotto i Fatimidi (909-1171), la capitale divenne la cittadina di mare Mahdia. Durante questo periodo, Tunisi subì gravi danni a causa della rivolta dei Kharidjiti, una setta islamica guidata da Abou Yazid, che arrivò a minacciare la stessa Mahdia. La ricostruzione di Tunisi fu poi affidata a Sidi Mahrez (949-1022), che sarebbe diventato il santo patrono della città e che è ancora oggi venerato come protettore della capitale [6].
Dunque, se le conquiste arabe hanno conferito al Nord Africa un’identità araba, dovuta a successive ondate di migranti dalla penisola arabica, è importante notare che vaste aree della Tunisia meridionale, dell’Algeria e del Marocco erano prevalentemente berbere. Queste regioni hanno mantenuto la loro identità culturale e linguistica per secoli. Solo nel XX secolo l’arabo è diventato la lingua riconosciuta dalle società che erano musulmane sin dai tempi degli Almohadi. Questo cambiamento linguistico è stato il risultato di politiche di arabizzazione e di un crescente riconoscimento dell’arabo come lingua ufficiale, che ha portato a una maggiore uniformità linguistica nelle regioni nordafricane [7].
Con l’arrivo degli arabi, la giurisprudenza islamica si diffuse rapidamente e, già a partire dall’VIII secolo, la scuola di giurisprudenza malikita trovò terreno fertile in tutto il Nord Africa. Questa scuola divenne il pilastro dell’amministrazione legale, dell’istruzione e della legittimazione statale fino al XIX secolo. La giurisprudenza malikita, una delle quattro principali scuole giuridiche sunnite ancora esistenti, si sviluppò intorno al pensiero di Mālik ibn Anās, uno studioso nato a Medina nel 796 [8]. Il suo pensiero si diffuse rapidamente verso Occidente, diventando predominante in Spagna fino alla riconquista cristiana del 1492, e si affermò soprattutto nell’Africa settentrionale e occidentale, dove rimane ancora oggi la scuola giuridica maggioritaria [9].
Fu Asad Ibn al-Furat [10] a introdurre il malikismo nel Nord Africa e Sahnun [11] a stabilirlo come setta formale. Un malikismo di estrema severità dominò poi il Maghreb, in particolare l’Ifrikiya [12] sotto la dinastia Aghlabide, e ciò continuò fino all’arrivo dei Fatimidi (298/910) che segnò il trionfo dello sciismo. Una vigorosa resistenza fu rivolta contro quest’ultimo dagli studiosi malechiti di Kairouan, ma fu solo nel 440/1048 che il malikismo fu definitivamente adottato nel Maghreb in seguito all’espulsione dei Fatimidi dall’Ifrikiya [13].
È, da un lato, con la civiltà hafside in Ifrikiya, sotto l’influenza delle scuole giuridiche di Tunisi, Bugia (Algeria) e Kairouan, e di studiosi del calibro di Ibn ‘Arafa (m. 804/1401), e dall’altro, con la civiltà merìnide [14] nel Maghreb occidentale, e le famose madrase di Fes e Tlemcen, che si osserva la rinascita del malikismo in Nord Africa.
Se, oggi, l’islam nel Maghreb sembra particolarmente rigoroso, ciò è dovuto proprio al malikismo. Infatti, pratica e dottrina sono rimaste totalmente immutate dalla metà del VII/XIII secolo, subito dopo la caduta degli Almohadi. Il successo del malikismo in Nord Africa può essere spiegato con riferimento alla teoria dello storico e sociologo tunisino Ibn Khaldun (m. 808/1406) secondo cui la cultura beduina spiega la predominanza di questa scuola nell’Occidente musulmano. In effetti, il malikismo è fedele alla Tradizione e ostile alle spiegazioni razionali; è quindi perfettamente adatto alla mentalità berbera del Maghreb, dove le popolazioni autoctone Amazigh rifiutano di accettare qualsiasi idea a meno che non possa essere ricondotta a una tradizione. È per questo motivo che il malikismo nel Maghreb sembra rigido rispetto a quello dell’Oriente, che non rifiuta lo sforzo di interpretazione (idjtihād). Nel Nord Africa contemporaneo, il malikismo è predominante in Marocco, Algeria, Tunisia e Libia e coesiste con alcuni centri ibaditi e hanafiti in questi ultimi tre Paesi [15].
Il malikismo mostra la sua forza anche nella persistenza di antiche tradizioni del periodo hafside, come la cerimonia dell’akhtām (pl. di khatm) “chiusura” delle letture pubbliche (riwāya), con o senza commento (dirāya), delle raccolte canoniche di al-Bukhari e Muslim, letture che terminano il 27 del Ramadan nella Grande Moschea alla presenza del Capo dello Stato in persona. Allo stesso modo, il Mawlid, il compleanno del Profeta, è segnato dalle letture della Sīra (mawlidiyyā) del Profeta nelle moschee e, a Tunisi, dalla recitazione cantata dei 400 versetti della Hamziyya di al-Būsīrī [16].
Il sufismo, una corrente mistica dell’Islam, ha avuto un ruolo significativo in Tunisia a partire dal XII secolo. Visto come un percorso interiore verso Dio, il sufismo esiste sin dagli inizi dell’Islam. I membri delle confraternite sufi sono diventati importanti missionari, diffondendo la fede lungo le vie del commercio, come la Via della seta, senza imporre conversioni. In Tunisia, i sufi hanno provveduto alle necessità delle comunità locali, convertendo le popolazioni con cui vivevano e diventando leader delle comunità, specialmente nelle aree rurali. La storia del Nord Africa, dal XIII al XIX secolo, può essere vista come una serie di relazioni tra lo Stato e i sufi.
Nei primi secoli dell’Islam in Nord Africa, il sufismo era caratterizzato da un attaccamento particolare all’ortodossia e alla rinuncia personale al mondo e ai suoi beni. Tuttavia, sotto gli Hafsidi e i loro successori, l’ascetismo sufi in Tunisia si trasformò in una forma di misticismo chiassoso. Questo misticismo era associato a pratiche taumaturgiche volte ad attrarre le masse e stimolava i pellegrinaggi alle tombe dei santi, che venivano trasformate in centri per gli ordini sufi e arricchite dalle offerte dei fedeli [17]. Oggi, in Tunisia, le confraternite sufi sono meno diffuse rispetto al passato. Rimangono solo le Kadiriyya, in varie località dell’interno, le zāwiya di al-Sayyida Aisha al-Mannûbiyya, frequentate soprattutto da donne, e quelle di Sidi Mahrez, Sidi al-Halfāwī a Tunisi, e poche altre. L’aumento dell’istruzione, l’urbanizzazione e l’opposizione all’oscurantismo hanno inesorabilmente alienato la popolazione urbana e perfino quella rurale da questi marabutti, anche se non del tutto. Ci fa notare Laura Faranda, studiosa esperta del culto di Sayyda Mannûbiyya:
«Nonostante le censure, i sussulti fondamentalisti, le minacce e gli attentati che all’indomani delle cosiddette Primavere Arabe hanno opposto una resistenza decisa alle forme di misticismo confraternale, il culto di Sayyda Mannûbiyya non sembra mostrare segni di flessione. Né sembra ridursi il consenso devozionale verso la confraternita shâdhiliya, la tarîqa fondata da Sidi Bel Hassen Shâdhily al quale si fa ricondurre l’iniziazione della santa. Si tratta di una delle principali confraternite che ancora oggi contemplano in Tunisia luoghi di culto e consistenti fasce marginali di devoti, la cui fede si traduce in una forte domanda di giustizia, in una forma di opposizione implicita all’ortodossia ufficiale, in una rivendicazione di autonomia nell’espressione cultuale e rituale dell’esperienza religiosa. (…) Né è un caso che, nonostante le derive fondamentaliste del post-rivoluzione, la presenza di santi, zâwiya, confraternite, venisse incoraggiata nel 2015 dal ministro degli affari religiosi, Othman Batthik, che ne sottolineava il ruolo centrale nell’educazione dei giovani, proprio come forma di contenimento dell’insorgenza di un fondamentalismo incontrollato» [18].
Nel XVI secolo, con l’arrivo delle truppe ottomane in Tunisia nel 982/1574, si instaurò l’hanafismo, una corrente religiosa basata sugli insegnamenti di Abu Hanifa (m. 767 d.C.). Questa scuola musulmana di rituale e di diritto è considerata la più liberale tra le quattro scuole ortodosse dell’Islam. Originaria della Mesopotamia, l’hanafismo fu imposto nel XIX secolo a tutti i tribunali dell’Impero ottomano e attualmente è riconosciuta in Siria, Iraq, Palestina, Afghanistan, India e nei Balcani. In Tunisia, l’hanafismo sopravvive oggi in alcune città costiere come Biserta, Kelibia, Sousse e Monastir, e in alcune città dell’entroterra come Beja, Le Kef e Zaghouan, dove i turchi avevano guarnigioni. Nella capitale, i gruppi vicini al potere beylicale, tra cui dignitari militari, civili e religiosi, seguivano il madhhab della corte.
Nel corso dei secoli, le differenze tra le scuole di pensiero islamiche in Tunisia si sono attenuate. I minareti ottagonali, un tempo distintivi delle moschee hanafite, non sono più esclusivi di queste. Delle sette moschee hanafite di Tunisi, solo due hanno ancora un imam hanafita. In generale, l’hanafismo ha perso la sua importanza, che non è mai stata particolarmente grande, a causa del predominio del malikismo in tutto il Paese. La fine dell’hanafismo è stata determinata principalmente dall’abolizione del potere degli Husaynidi, con la Tunisia che il 25 luglio 1957 è diventata una Repubblica con un Parlamento. A quel punto, l’adesione alla scuola di diritto hanafita non aveva più alcuna giustificazione per il conseguimento o lo svolgimento di cariche pubbliche. Inoltre, nel 1956, ci fu la soppressione del tribunale religioso, istituito a Tunisi un secolo prima con il nome di Diwān. Questo tribunale supremo aveva due camere: una hanafita e una malikita, entrambe competenti a esaminare casi relativi al diritto personale, come stato civile, matrimonio, divorzio, tutela e successione. Anche i tribunali distrettuali nelle province furono soppressi e annessi ai tribunali civili, che ampliarono la loro sfera di competenza e furono dotati di codici legislativi in vari ambiti, tra cui diritto commerciale, investimenti e finanza, diritto marittimo, proprietà immobiliare, assicurazioni e, soprattutto, diritto civile. Quest’ultimo è diventato la parola d’ordine della liberazione della donna tunisina, al punto che l’anniversario della promulgazione del codice, il 13 agosto 1956, è diventato la Giornata della celebrazione delle donne [19].
Oggi, l’Islam in Tunisia può essere definito atipico, pur essendo la religione ufficiale della Repubblica. Questo carattere distintivo si manifesta in diverse pratiche e politiche progressiste. Ad esempio, la Tunisia vieta la poligamia, una pratica comune in molti Paesi islamici, e permette alle donne di sposare non musulmani, un diritto raro nel mondo islamico. Inoltre, il Paese è teatro di un vivace dibattito sulla parità di genere, un tema molto sentito sia dalla popolazione che dalle istituzioni. Questo dibattito riflette l’impegno della Tunisia verso l’uguaglianza e i diritti delle donne.
L’slam in Tunisia è anche fortemente regolamentato dallo Stato. Le moschee sono sotto la giurisdizione del ministero degli Affari religiosi, che ha il compito di scegliere e stipendiare gli Imam. Questo controllo statale garantisce che le pratiche religiose siano in linea con le politiche nazionali e contribuisce a mantenere un equilibrio tra tradizione e modernità [20].
In sintesi, la Tunisia, pur mantenendosi nell’ambito dell’Islam attraverso una formula abile nel primo articolo della Costituzione, che la definisce come «uno Stato indipendente la cui religione è l’Islam», ha compiuto grandi passi verso la modernità. I primi leader della Repubblica non hanno nascosto la loro ammirazione per Kemal Atatürk, e molte delle misure legislative adottate dal 1956 portano il sigillo della modernità, mostrando una tendenza progressiva e sensata verso la secolarizzazione delle istituzioni statali. Questo approccio ha permesso di contrastare efficacemente i tentativi di alcuni gruppi politico-religiosi di “re-islamizzare” il Paese e riportarlo a una presunta purezza originaria. Tali tentativi sono stati frustrati dalle autorità pubbliche e condannati dalla quasi totalità della popolazione.
Dialoghi Mediterranei, n. 72, marzo 2025
Note
[1] Carole Hillebrand, Islam, Una nuova introduzione storica, Einaudi, 2016.
[2] G. Mercier, La langue libyenne et la toponymie antique de l’Afrique du Nord, in JA [October- December 1924]: 298-299; A. Pellegrin, Essai sur les noms de lieux d’Algerie et de Tunisie, Tunis 1948: 108-9.
[3] cf. Ibn Abi Dinar, K. al-Munis, tr. J. Magnin, in IBLA, [1952]: 156, 158
[4] Ibn ‘Abd al-Hakam, Conquete de l’Afiique du Nord et de l’Espagne, a cura e tr. A. Gateau, Algiers 1948, 115)
[5] TUNIS, EI2 (v 10 T – U): 630.
[6] TUNISIA, EI2 (v T – U): 645-646.
[7] Carole Hillebrand, Islam, Una nuova introduzione storica, Einaudi, 2016.
[8] MALIKIYYA, EI2 (v 6 Mahk – Mid): 278.
[9] Meriem Rezgui, Quelque chose de Tunisie, Nanika, 2020.
[10] Asad Ibn al-Furat è un giurista e studioso musulmano (Harran 759-Siracusa 828). Trasferitosi dall’Oriente in Ifriqiya, fu nominato qadi di Kairouan dal sovrano aghlabide, che gli affidò inoltre il comando della spedizione che dette inizio alla conquista musulmana della Sicilia, nel corso della quale trovò la morte. (https://www.treccani.it/enciclopedia/asad-ibn-al-furat_%28Dizionario-di-Storia%29/)
[11] Sahnūn, giurista musulmano malikita (n. 777 – m. 855), raccoglitore della Mudawwana (“Raccolta di leggi”), in cui S. riunì le opinioni del caposcuola Mālik ibn Anas, a lui giunte attraverso il suo discepolo Ibn al-Qāsim al-῾Utaqī. L’opera è tra le fonti principali per lo studio della dottrina malikita. (https://www.treccani.it/enciclopedia/sahnun/)
[12] La parte orientale del Maghreb, da cui il nome adottato da alcuni storici moderni per la Barberia orientale. Il termine Ifrikiya è senza dubbio, qualunque cosa dicano gli scrittori arabi, preso in prestito dall’Africa latina; quindi, l’origine della parola araba deve essere ricercata nell’etimologia del termine latino. Dalla voce IFRIKIYA in EI2 (v3 H-Iram): 1047.
[13] MALIKIYYA, EI2 (v 6 Mahk – Mid), 280.
[14] Merìnidi, dinastia berbera musulmana del gruppo etnico degli Zanāta. Comparsi sulla scena politica del Marocco dal 1195, verso la metà del XIII sec. i M. si sostituirono di fatto alla dinastia almohade, da cui ereditarono il titolo ufficiale di amīr al-mu᾿minīn ”principe dei credenti”. I M. furono molto attivi nelle opere artistiche e culturali: costruirono nuovi centri, tra cui la nuova città di Fez, e arricchirono altre località di moschee e madrase.
[15] MALIKIYYA, EI2 (v 6 Mahk – Mid): 281.
[16] TUNISIA, EI2 (v T – U): 657.
[17] TUNISIA, EI2 (v T – U): 656.
[18] Laura Faranda, Aïsha al-Sayyda Mannûbiyya. Peripezie di una santa islamica, tra presente etnografico e fonti agiografiche, in VOCI, 163-164. anno XVI / 2019.
[19] TUNISIA, EI2 (v 10 T-U): 655.
[20] Meriem Rezgui, Quelque chose de Tunisie, Nanika, 2020.
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Francesca Spinola, giornalista professionista attualmente residente a Tunisi, ha conseguito un diploma in Studi arabi e islamistica presso l’Istituto Dar Comboni al Cairo e un master in Studi arabi e islamici presso il PISAI – Pontificio istituto di studi arabi e islamica. È laureata in scienze politiche indirizzo politico internazionale (Università “La Sapienza”). Sta associando al giornalismo la ricerca in studi islamici con un focus sulle questioni di genere. È autrice di numerosi articoli giornalistici e di alcuni saggi di cui l’ultimo è Blu Tunisi: viaggio nella città e nei suoi cinque storici villaggi edizioni Infinito, 2024.
