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Scuola, dialetto e dialettalità nella società multiculturale

Fase di lavoro progetto "Parole migranti" (ph. Antonio Serradifalco)

Fase di lavoro progetto “Parole migranti” (ph. Antonio Serradifalco)

di Antonio Serradifalco

La scuola al plurale

Immigrazione, multiculturalismo e scuola sono temi strettamente interconnessi, ambiti di una complessa realtà in cui è quanto mai necessario un riadattamento continuo di pratiche di integrazione/inclusione che abbiano come presupposto la valorizzazione delle differenze. Come scrive Enzo Colombo,

«il multiculturalismo ha [...] a che fare con una valutazione positiva della differenza, con un rifiuto dell’omologazione, ma soprattutto con una richiesta di riconoscimento: della legittimità, dell’importanza e della significatività della propria appartenenza a un gruppo particolare, caratterizzato da specifici riferimenti culturali e valoriali» (Colombo 2011: 39).

Sarebbe utile sottolineare come questo concetto non valga solo su scala globale ma anche locale: una volta superate le tendenze etnocentriche, inadeguate nel guardare oltre i propri orizzonti culturali, è possibile parlare di diversità e differenza quanto meno a livello regionale. La Sicilia, in particolare, crocevia del Mediterraneo, è stata al centro di vicende che hanno caratterizzato la sua storia culturale le cui tracce sono rilevabili nelle stratificazioni linguistiche ancora riconoscibili. Difatti, strettamente legato al tema del multiculturalismo è quello del plurilinguismo e del suo impatto all’interno dei percorsi di apprendimento: soprattutto negli ultimi anni, la connotazione di una società come la nostra, sempre più multiculturale (e multilingue), ha posto alle istituzioni scolastiche italiane nuovi interrogativi e nuove sfide nel campo dell’educazione linguistica, anche in vista di un riconoscimento della diversità come valore aggiunto. Tra l’altro, il rispetto e la tutela della diversità linguistica sono sanciti da importanti documenti comunitari (segnatamente il “Trattato sull’Unione Europea” e la “Carta europea delle lingue regionali o minoritarie”) che ribadiscono come la pluralità sia il tratto che più degli altri caratterizza l’identità europea.

Nella scuola di oggi, l’educazione plurilingue può comprendere anche la valorizzazione del patrimonio dialettale, una potenzialità in grado di offrire vantaggi nella formazione dell’individuo sostenendone la crescita culturale e sociale. Di certo siamo lontani dall’esperienza di Giuseppe Lombardo Radice che, negli anni Venti del Novecento, puntava alla valorizzazione del dialetto degli alunni, quasi esclusiva risorsa linguistica da cui partire per l’apprendimento della lingua italiana:

«Viene ad assumere una straordinaria importanza didattica, nelle scuole del popolo il dialetto, il tanto aborrito e disprezzato dialetto, che è – e come! – una lingua viva, sincera, piena, ed è la lingua dell’alunno e perciò (se è vero che il presupposto della lezione è l’alunno) l’unico punto di partenza possibile a un insegnamento linguistico» (Lombardo Radice 2020: 171).

611nd30xl0l-_ac_uf10001000_ql80_A distanza di un secolo, l’apprendimento consapevole del ricco mosaico di lingue che caratterizza sempre di più il contesto sociale contemporaneo, potrebbe per giunta consentire agli studenti di acquisire una conoscenza più approfondita della propria identità culturale e linguistica, oltre alla disponibilità di un serbatoio da cui attingere per spaziare all’interno di codici comunicativi contraddistinti oggi da un revival dei dialetti (considerati, fino a pochi anni fa, a rischio estinzione) che hanno contribuito alla formazione della lingua nazionale e continuano ancora ad arricchirne il repertorio lessicale, oltre ad influenzarne gli aspetti morfologici e sintattici.

Riparlare il dialetto

Alla necessaria regolamentazione di una tutela della diversità culturale e di una educazione linguistica accompagnata da efficaci pratiche didattiche ha contribuito, inizialmente, una serie di interventi legislativi, a livello europeo e nazionale, il cui intento è stato quello di salvaguardare precipuamente le lingue di minoranza storicamente presenti nel territorio italiano. A tal proposito, vedasi la Legge 482 del 15 dicembre 1999; un precedente a livello comunitario, invece, è rappresentato dalla già citata “Carta europea delle lingue regionali o minoritarie”, entrata in vigore nel 1998, che all’articolo 1, tra le altre cose, precisa che: «per lingue regionali o minoritarie si intendono le lingue diverse dalla(e) lingua(e) ufficiale(i) di detto Stato; questa espressione non include né i dialetti della(e) lingua(e) ufficiale(i) dello Stato né le lingue dei migranti». Presupposto imprescindibile rimane comunque la Costituzione italiana che, all’art. 6, afferma: «La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche».

frontespizio-lingue-e-storia-in-sicilia-del-csfls-ph-antonio-serradifalcoAl di là delle discussioni teoriche intorno alle definizioni di status lingua vs dialetto [1], per evitare quei restringimenti di campo che non tengono conto di tante altre varietà, non tutelate dal diritto, caratterizzanti la realtà linguistica della penisola italiana, basti, in questa sede, un riferimento inequivoco al concetto sociolinguistico di repertorio secondo la prospettiva avanzata da Gabriele Iannàccaro e Silvia Dal Negro: non il semplice riconoscimento o la tutela di singole lingue o varietà ma l’insieme dei codici in uso in una comunità, inteso come “ecosistema linguistico”. A partire da questa prospettiva, possono trovare terreno fertile le leggi regionali per la salvaguardia dei patrimoni linguistici, strumenti legislativi di cui alcune regioni italiane, seppur in tempi diversi o con successive abrogazioni/modifiche, si sono dotate. L’urgenza di tali iniziative è nata dalla constatazione di una supposta crisi dei dialetti legata, oltre che alla questione del pregiudizio linguistico, oggi, almeno in parte, al sopravvento di nuovi e diversi codici comunicativi.

pagina-vocabolario-1024x768Per quanto riguarda la regione Sicilia, in particolare, l’approvazione, nel 2011, della Legge Regionale N. 9, “Norme Promozione, valorizzazione e insegnamento della storia, della letteratura e del patrimonio linguistico siciliano nelle scuole” [2], ha riaperto un dibattito all’interno delle istituzioni, che ha interessato soprattutto il mondo della scuola e dell’Università, con l’intento di promuovere percorsi finalizzati alla sua corretta attuazione e alla sensibilizzazione delle comunità. Al comma 1 dell’art. 1 della L.R. 9/2011, difatti leggiamo che «La Regione promuove la valorizzazione e l’insegnamento della storia, della letteratura e del patrimonio linguistico siciliano nelle scuole di ogni ordine e grado.» In vista di una concreta realizzazione degli obiettivi, il comma successivo opportunamente aggiunge:  «Al raggiungimento dell’obiettivo di cui al comma 1 sono destinati appositi moduli didattici, all’interno dei piani obbligatori di studio definiti dalla normativa nazionale, nell’ambito della quota regionale riservata dalla legge e nel rispetto dell’autonomia didattica delle istituzioni scolastiche.» Tuttavia, una delle prime sfide da affrontare riguarda proprio la corretta attuazione della Legge. Scrive Giovanni Ruffino:

«il rischio maggiore sul versante della Scuola è quello di un rinsecchimento dell’attenzione per il patrimonio linguistico siciliano dentro la nicchia “curricolare” dell’“ora di dialetto”, mentre i riferimenti alla storia, alla lingua, alla cultura tradizionale dovrebbero attraversare l’intero arco dei saperi e delle discipline» (Ruffino 2012: 16).

Vengono ribaditi concetti essenziali che richiamano un modus docendi che, in un mondo globalizzato, dovrebbe caratterizzare la scuola contemporanea: multidimensionalità e pluricontestualità. Gli interventi didattici non possono procedere in maniera unidirezionale ma integrata, soprattutto quando si tratta di fatti linguistici che includono molteplicità di situazioni con parlanti di diversa provenienza. A questo punto, però, sorgono degli interrogativi: come promuovere l’interesse per il/i dialetto/i? Che posto potrebbe occupare il dialetto nella scuola e nel repertorio linguistico degli alunni?

Nicola De Blasi, riprendendo un’espressione di Gaetano Berruto, nota che negli ultimi due decenni, le cosiddette “risorgenze dialettali” sono state opportunamente intercettate da iniziative legislative regionali con lo scopo di canalizzarle tramite percorsi di valorizzazione che coinvolgano le istituzioni (Cfr. De Blasi 2020). Dopo una fase di dialettofonia diffusa e preoccupante, problema posto all’attenzione a partire dall’Unità d’Italia, negli ultimi decenni, di contro a un’italofonia ormai consolidata, si è fatta strada, infatti, la necessità di un recupero del dialetto, finalizzata alla valorizzazione delle sue potenzialità comunicative ed espressive (operazione già sperimentata con la poesia del Novecento): basti pensare alla canzone in dialetto che, come ricorda Roberto Sottile,

«sia che usi il codice locale in funzione “poetica” [...], sia che lo usi come “linguaggio” di una nuova canzone di protesta, sembra rappresentare anche una formidabile occasione per “comunicare” (per “raccontare” o per “lanciare messaggi”) attingendo a un serbatoio di immagini, pratiche, valori, denominazioni di cose di un universo culturale ormai in declino (l’universo della cultura tradizionale-dialettale, appunto)» (Sottile 2013: 41).

11Del resto, la canzone, connaturata al mondo dei giovani, rappresenta per la scuola un terreno fertile anche nell’ambito dell’educazione linguistica. Non mancano, in tal senso, esperienze significative tra i banchi, che vanno al di là dei semplici richiami musicali e folkloristici (ci riferiamo alle sperimentazioni da parte di alcuni insegnanti e all’analisi di testi di importanti cantautori come Battiato o De André). Una nuova dialettalità, dunque, si è fatta strada tra i giovani che ne riscoprono così il valore affettivo, ludico, simbolico/ideologico: difatti, la paventata/auspicata scomparsa dei dialetti non è avvenuta. Facendo leva sulle predisposizioni e sugli orientamenti delle nuove generazioni, è possibile recuperare e rendere attuale il patrimonio linguistico e culturale del proprio territorio: questo si propongono le iniziative di alcune istituzioni (in primis Università e Scuola) impegnate su questo fronte.

Per evitare, però, tentativi mal riusciti di attuazione della L.R. 9/2011 [3], si è ritenuto fin da subito necessaria la formazione dei docenti di ogni ordine e grado (ci riferiamo ai seminari svolti nell’anno 2019, promossi dal Centro di studi filologici e linguistici siciliani, dall’Assessorato regionale all’Istruzione e Formazione professionale e dagli Ambiti territoriali dell’U.S.R. Sicilia), l’elaborazione di linee guida nonché la pubblicazione di volumi destinati specificamente al mondo della scuola. Gli strumenti forniti hanno permesso la divulgazione di contenuti e principi della Legge, con il coinvolgimento di dirigenti, insegnanti, alunni e, per riflesso, di famiglie che hanno avuto modo di seguire, in maniera più o meno diretta, i percorsi di valorizzazione del patrimonio linguistico siciliano attuati dalle scuole. Va ricordato che una delle prime sfide affrontate riguarda l’abbattimento del generale pregiudizio antidialettale rilevabile a qualsiasi livello ma soprattutto nei contesti in cui l’uso del dialetto è ancora percepito come svantaggio socioculturale. Una progettazione didattica attenta alle questioni relative ai rapporti tra dialetti e lingua, capace di intraprendere percorsi diversificati di educazione linguistica, può contribuire a sensibilizzare il territorio nella consapevolezza che studiare il dialetto significa considerarlo parte integrante della storia linguistica e culturale regionale, nazionale ed europea. D’altro canto, nel 2018, la Giunta Regionale, con delibera n. 198, stabilisce che:

«le scuole di ogni ordine e grado del territorio siciliano realizzino, nella ricorrenza dell’Autonomia Siciliana del 15 maggio, momenti di aggregazione scolastica per lo studio dello Statuto della Regione Siciliana e per l’approfondimento di problematiche connesse all’autonomia, alla storia e all’identità regionale».

E nella successiva delibera n. 199 si precisa che «nella società contemporanea multietnica e multiculturale vanno tutelati e valorizzati i molti aspetti della cultura tradizionale, e particolarmente il patrimonio linguistico regionale, la letteratura e la storia della Sicilia.»

dialetti-e1526465807568Date queste premesse, nell’anno scolastico 2021/2022, dopo l’accurata valutazione del Tavolo tecnico istituito dall’Assessorato regionale dell’istruzione e della formazione professionale, sono stati approvati e finanziati dalla Regione diversi progetti a carattere sperimentale per l’attuazione della L.R. 9/2011 destinati alle scuole siciliane di ogni ordine e grado. I progetti, presentati dai docenti referenti di ciascuna istituzione scolastica, sono stati realizzati nello spirito delle Linee Guida elaborati dal Tavolo tecnico, le quali prevedono diversi nuclei tematici declinati sulla scorta di quattro prospettive multidisciplinari: linguistico-dialettologica, demo-etnoantropologica, storica, letteraria (Cfr. Ruffino 2012). Tra i contenuti presentati dalle Linee Guida, ciascuna scuola ha potuto selezionare quelli più accattivanti e appropriati al contesto e grado d’istruzione, rintracciando aspetti in cui è stato facile cogliere i nessi tra storia, letteratura e lingua [4]. Il campo d’indagine ha permesso di spaziare dalla storia alla letteratura siciliana, dalle tradizioni scritte a quelle orali (feste e riti, canti popolari, vita domestica, cultura alimentare, mestieri, giochi, soprannomi, toponimi).

frontespizio-progetto-istituto-comprensivo-di-trabia-ph-antonio-serradifalcoConoscere e “chiamare” il territorio

Fra quelli proposti, un nucleo tematico, in particolare, riguarda l’onomastica, argomento di ricerca realizzabile, all’interno di percorsi didattici, già a partire dal primo ciclo d’istruzione (Scuola Primaria e Scuola Secondaria di I grado). Nello specifico, la micro-toponomastica rappresenta un settore di approfondimento utile allo studio e alla conoscenza dei luoghi in cui gli alunni si trovano a pensare e ad (inter-)agire. Va ricordato che la storia del territorio, o storia locale, costituisce, per le scuole, un’attività formativa i cui obiettivi si collocano tra le priorità per il raggiungimento di competenze civiche e sociali; senza dimenticare che la storia e l’identità di una comunità di parlanti possono essere ricostruite e valorizzate anche mediante la conoscenza dei (micro-)toponimi, alcuni dei quali tramandati, quasi esclusivamente, nella loro forma orale-dialettale.

Un esempio virtuoso di attuazione in tal senso è rappresentato da un progetto dal titolo “A caccia di parole”, realizzato dall’Istituto Comprensivo “Giovanni XXIII” di Trabia [5], nell’anno scolastico 2021/2022, che ha coinvolto diverse classi sia della Scuola Primaria che Secondaria di I grado, con un approccio interdisciplinare, in un’ottica di verticalità e continuità del curricolo d’istituto. Il percorso formativo, inserito all’interno del Piano Triennale dell’Offerta Formativa (PTOF), si è caratterizzato per alcune ricerche sul campo, effettuate dagli alunni tramite interviste e somministrazione di questionari a informanti locali, che hanno permesso la restituzione alla comunità di un patrimonio immateriale disperso, la riflessione sul dato linguistico (origine delle parole, influenze linguistiche), una maggiore consapevolezza dello spazio vissuto e il consolidamento del dialogo intergenerazionale. La valorizzazione della cultura locale ha contribuito, inoltre, ad abbattere i pregiudizi antidialettali agevolando un confronto paritario tra siciliano e italiano, lingue e dialetti.

Il prodotto finale è consistito nella stampa di un opuscolo contenente un glossario ragionato dei micro-toponimi raccolti, accompagnato da una documentazione fotografica: nomi propri di luoghi, alcuni dei quali non rilevati dalla cartografia ufficiale, come Arburazzu, Arġa fitenti, Bucu, Caṇṇulicchiu, Cava, Ḍa ‘ncapu alivi, continuano a sopravvivere all’interno della comunità di parlanti oltre che per gli aspetti funzionali anche per il loro valore affettivo (definito dal legame e dal richiamo identitario al proprio territorio). L’uso di strumenti lessicografici (come il Vocabolario siciliano di G. Piccitto, G. Tropea, S. C. Trovato, il Vocabolario storico-etimologico del siciliano di A. Varvaro e il Dizionario onomastico della Sicilia di G. Caracausi) ha permesso la scoperta di un legame tra il dato linguistico e lo spazio vissuto ricostruendo la trafila che ha determinato la forma e il significato di una parola. Un esempio interessante è dato dal nome di un esercizio commerciale, Bar Favarella, punto di riferimento di molti giovani del paese. Il crematonimo deve la sua origine a Favareḍḍa che, a livello popolare, indicava proprio il medesimo luogo (ufficialmente Piazza Lanza) in cui un tempo si trovava un lavatoio pubblico (in siciliano â favara, “sorgente d’acqua”, dall’arabo fawwārah).

pbs1-1000Parole che migrano, parole che dialogano

Altro caso significativo di attuazione della L.R. 9/2011 è rappresentato da un recente progetto, concluso, nel maggio 2023, nella scuola Secondaria di I grado “P. Palumbo” di Villabate, il cui titolo, “Parole migranti”, riprende quello di un volume della collana Lingue e Culture in SiciliaPiccola Biblioteca per la Scuola, edito dal Centro di studi filologici e linguistici siciliani.

Partendo da una prospettiva plurilinguistica, tenendo conto della programmazione annuale di una classe prima (studio delle lingue, delle civiltà e delle migrazioni di età medievale) e della presenza di alunni di origine straniera in un contesto in cui la componente dialettofona è notevole, è stato possibile, grazie alla somministrazione di questionari sociolinguistici e interviste agli adulti, riflettere sul significato di un nome e sulla stratificazione che ha caratterizzato la storia linguistica della Sicilia. Di particolare interesse, la rilevazione, da parte di studenti di origine marocchina, di forme arabe del loro repertorio lessicale confrontabili con quelle dialettali siciliane, che proprio dalla civiltà islamica di età medievale hanno avuto origine: gibel, koufa(ton), jora(ton) ci riportano ai toponimi Mongibello o Gibellina e ai termini coffa (“cesta”) e giarra (“recipiente di terracotta”).

Il supporto delle lingue straniere, inoltre, ha consentito agli studenti di confrontarsi con il sistema delle lingue romanze e scoprire che la presenza dei Normanni o degli Spagnoli in Sicilia ci porta ad accomunare alcune parole del dialetto siciliano con le corrispettive forme del francese, dell’inglese o dello spagnolo, come ad esempio sic. pirciari con ingl. piercing, sic. anciova con sp. anchoa (“acciuga”), sic. racina con fr. raisin  (“uva”). Grazie all’analisi di un nome è stato possibile, infatti, rintracciare, all’interno del contesto mediterraneo ed europeo, convergenze storico-culturali che, accomunando popoli e lingue, sono ancora riconoscibili, a distanza di tempo, nell’attuale realtà sociale in cui il fenomeno delle migrazioni non può che essere considerato, per i suoi apporti, una risorsa imprescindibile. A conferma di quanto detto, la Sicilia dunque «si presenta come un grande laboratorio di multiculturalità, luogo di attraversamenti pluridirezionali che finiscono per configurare la più grande Isola del Mediterraneo come straordinario crocevia di flussi linguistico-culturali di intricata e intrigante complessità» (Cfr. Ruffino, Sottile 2015: 17).

I progetti sopra illustrati, esemplificativi di percorsi didattici significativamente inclusivi, si sono compiuti nella consapevolezza che, salvaguardando il patrimonio culturale immateriale (le parole) di un territorio è possibile ricostruire l’identità di una comunità di parlanti che sa esprimere, tramite il dialetto, gli aspetti più intimi e profondi di un mondo (inter)culturale aperto al dialogo e allo scambio. 

Dialoghi Mediterranei, n. 66, marzo 2024 
Note
[1] In particolare, rimanendo nell’ambito del Centro di studi filologici e linguistici siciliani, la questione se il siciliano sia una lingua o un dialetto è stata affrontata, fra gli altri studiosi, da Giuseppe Paternostro e Roberto Sottile (Cfr. Paternostro, Sottile 2020).
[2] Da ora in avanti questa legge sarà indicata con la sigla L.R. 9/2011.
[3] Nell’attuare la salvaguardia del patrimonio linguistico locale, il rischio è duplice: da una parte l’eccessiva semplificazione che scade in manifestazioni esclusivamente folcloristiche, dall’altra l’esaltazione euforica tipica di certe forme di campanilismo che, per reazione a un mondo globalizzato, presumono di restaurare per decreto l’uso di una lingua o di un dialetto.
[4] Un campione esemplificativo dei progetti realizzati dalle scuole siciliane può essere visualizzato sul sito Identità Siciliana, a cura della Regione Sicilia, USR Sicilia e Liceo Umberto I di Palermo: https://www.identitasiciliana.eu/progetti-scolastici/
[5] L’Istituto comprende anche sezioni staccate della frazione San Nicola l’Arena. 
Riferimenti bibliografici
Calò R., Educazione linguistica e plurilinguismo. Dal Progetto europeo al contesto italiano, Aracne, Roma 2015.
Colombo E., Le società multiculturali, Carocci, Roma 2011.
Dal Negro S., Iannàccaro G., “Qui parliamo tutti uguale, ma diverso. Repertori complessi e interventi sulle lingue” in Ecologia linguistica: atti del XXXVI Congresso SLI, Bulzoni, Roma 2003: 431-450.
De Blasi N., “Dialetti, regionali, leggi regionali: risorgenze e forzature” in Lid’O Lingua italiana d’oggi, XV-2018, Bulzoni, Roma 2020: 103-120.
Lombardo Radice G., Lezioni di didattica e ricordi di esperienza magistrale, Anicia, Roma 2020.
Paternostro G., Roberto Sottile R., Il siciliano è una lingua o un dialetto? Riflessioni utili su una domanda inutile” in Dialoghi Mediterranei, 44, luglio-agosto 2020: 215-228.
Ruffino G. (a cura di), Lingua e storia in Sicilia. Per l’attuazione della Legge Regionale n. 9 del 31 maggio, Centro di studi filologici e linguistici siciliani, Palermo 2012.
Ruffino G., Sottile R., Parole migranti tra Oriente e Occidente, Centro di studi filologici e linguistici siciliani, Palermo 2015.
Sottile R., Il dialetto nella canzone italiana degli ultimi venti anni, Aracne, Roma 2013. 
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Antonio Serradifalco, laurea magistrale in Filologia Moderna e Italianistica presso l’Università degli Studi di Palermo, è dottorando in Studi umanistici presso la stessa Università. Docente di ruolo prima nella scuola Primaria e successivamente nella scuola Secondaria di I grado della provincia di Palermo, è referente per l’attuazione della Legge 9/2011 della Regione Sicilia. Collabora con il CSFLS nell’ambito del progetto DATOS.

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