Mappe
Forse un antropologo dovrebbe guardarsi dallo scrivere su problemi di storia. Ma è spesso la storia, da quando è diventata public history a farsi oggetto dell’antropologia. Ci sono tanti modi di interpretare la storia pubblica, di certo essa non è lo spazio degli storici di professione e del loro lessico specialistico ma può essere una arena anche per loro. La public history disorienta la ricerca accademica perché la misura non è data dalle referenze sulle riviste scientifiche ma dalla domanda sociale di storia. Si intuiscono nuove missioni, nuove battaglie, nuove ipotesi per lavorare insieme, per aiutare le comunità a fare la propria storia in un clima di partecipazione e condivisione. Tutte idee di cui si parla da anni e che ad alcuni non piacciono e che altri usano a parole ma senza cambiare il loro approccio. Praticamente che tutto cambi perché tutto rimanga come prima.
Da qualche tempo le rievocazioni storiche sono diventate molto di moda, sono molto diffuse e a crescita impetuosa L’appartenenza alla categoria delle rievocazioni storiche consente di ottenere finanziamenti regionali e nazionali per cui molti paesi e associazioni ne fanno domanda e si attivano per realizzarle. A questo proposito ricordo, con un certo disagio, l’impressione che ebbi nel sapere che un laureato in storia nell’Università di Siena faceva il consulente per la regia di una rievocazione storica che avveniva nel territorio. Nella mia mente di studioso la storia mutava di collocazione e si spostava in luoghi per me imprevedibili e inquietanti, cambiando i miei riferimenti e le mie mappe mentali.
A questo proposito segnalo che ormai da alcuni anni un nutrito gruppo di antropologi e di studiosi universitari collabora ad una ricerca sul censimento e lo studio del fenomeno delle ‘Rievocazioni storiche’ nel quadro di un progetto dell’Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale [1], che ha realizzato una mappa del fenomeno con schede analitiche.
All’epoca dei miei studi, l’antropologia era una disciplina di forte impianto teorico in cui si inscriveva l’approccio empirico e la ricerca sul campo. Era strutturalista, funzionalista, marxista, storicista, simbolista: anche la ricerca su un villaggio aveva lo scopo di proporre una idea di umanità plurale, di teoria dell’azione e dell’attività simbolica e rituale, della diversità delle culture e delle sue ragioni. In Italia vivemmo il conflitto tra storicismo e strutturalismo, tra strutturalismo dei mondi simbolici e strutturalismo marxista, tra storicismo crociano e storicismo gramsciano. La nostra mente classificava e analizzava dentro questi conflitti teorici. Come allievo di Alberto Mario Cirese, avevo una base storicista gramsciana e una prospettiva teorica marxista e/o di tipo astrattivo logico formale.
Io sono stato marxista gramsciano fino al 1980, poi ho perseguito una prospettiva di tipo interpretativo con forti aperture postmoderne. In seguito, collaborando con gli storici, scoprii che non avevano problemi teorici simili a noi antropologi ma piuttosto i loro problemi riguardavano le fonti e le sequenze temporali. All’uscita del libro del filosofo Pietro Rossi La teoria della storiografia oggi (Milano, Il Saggiatore 1988), nessuno degli storici che conoscevo lo aveva sentito menzionare. Era un filone di pensiero in cui storia e filosofia si connettevano e che aveva come lontano riferimento un libro di Benedetto Croce del 1917. Cirese, antistoricista, coinvolse allora i suoi allievi nel dibattito, ci fece inoltrare nei grandi nodi teorici del Novecento tra idiografico (la storia) e nomotetico (le scienze sociali), tra razionalità e relativismo, Popper e la teoria della falsificabilità, e infine ci impegnò nel dibattito tra primo e secondo Wittgenstein.
Quasi tutti gli storici hanno teorie di riferimento sottese ma per lo più taciute. Quando Carlo Ginzburg espresse una teoria chiara del mestiere dello storico come forma di sapere empirico analoga a quella del cacciatore primitivo, fu per me una interessante rottura con il pensiero filosofico e storico che predominava nella scena del Novecento fino agli anni 70 [2]. Infatti il senso stesso della continuità storica è problematico. Anni fa mi capitò di indagare sul Beato Franco da Grotti, un eremita del ‘200 senese, la cui storia era descritta in gran parte da uno scrittore del 1600 (quindi quattro secoli dopo) e la cosa sembrava non fare problema ai miei colleghi storici dell’arte. A Siena la stessa vicenda accadeva per Ambrogio Sansedoni, la cui storia di beatificazione venne riesumata molti anni dopo la sua morte per l’intenzione politica di valorizzare una genealogia familiare marginale [3].
In un libro collettaneo lo storico Franco Cardini [4] riflette sulle fratture di continuità nel dare senso al mondo, nel costituirsi delle società locali, nell’affermarsi dei valori. Nella storia vi sono grandi continuità ma anche grandi fratture. Quasi tutto il nostro senso della società e della morale si sono formati dopo l’Ottocento, e ci riesce difficile pensare il passato senza queste coordinate. Nel Laboratorio di Storia creato da Sergio Bertelli al quale ho partecipato, gli storici che condividevano questi temi erano spesso ai confini della storia ufficiale: erano storici dell’economia, della religione, della microstoria, ma non ‘storici’ tout court [5]. Per non parlare poi dei pregiudizi sulle fonti orali che ho conosciuto nel campo degli studi storici lungo gli anni ’70 e ’80.
Questo titolo ha un doppio senso possibile che assumiamo in tutta l’ampia gamma di significati. La lettura del numero unico di Farestoria. Società e storia pubblica [6], sul tema È in gioco la storia (a cura di Edoardo Lombardi e Igor Pizzirusso), è stata per me una festa. Leggendo il titolo, in un primo tempo avevo pensato alle rievocazioni storiche. Si trattava invece di giochi da tavola e di giochi di guerra, basati su avvenimenti storici, che si fanno sul web. Da un lato ci sono le mille guerre potenziali che da anni si fanno davanti a un computer, senza riferimenti al mondo reale, come Risiko, dall’altro le recenti evoluzioni con giochi che si collocano in un preciso tempo storico, addirittura consentendo di ‘fare la storia’ dentro il gioco stesso. Tra il mondo delle rievocazioni e il mondo dei giochi di storia esiste un nesso sul quale tornerò. È subito evidente che si tratta di due famiglie di attività culturali collocate fuori dai confini della conoscenza, sia dagli storici accademici che dagli storici territoriali, ma più in generale da un mondo di studi formatosi prima del digitale e del virtuale.
Il ladro notturno
Ancora una volta il ladro notturno è venuto a decimare le nostre già devastate fila. Di nuovo un vecchio deve piangere chi quasi poteva essergli figlio…. La morte lacera e stronca, agli studi cui s’affidò noi oggi ci affidiamo per riallacciare il filo [7].
Ho deciso di recensire il volumetto È in gioco la storia…dopo che uno dei suoi due curatori Edoardo Lombardi è morto con la sua compagna Ester in un incidente stradale in Toscana il giorno di Natale del 2023. Avevano entrambi 29 anni, erano insegnanti nel Mugello e vivevano a Borgo San Lorenzo. Da anni Edoardo faceva ricerche sulla storia del ‘900 e collaborava con l’Istituto Storico della Resistenza di Pistoia. La sua morte ha impressionato tantissimo gli ambienti di ricerca degli Istituti della Resistenza che apprezzavano la sua vivacità intellettuale e le doti di umanità.
Anche io sono rimasto molto colpito e ho chiesto di poterlo ricordare recensendo il suo lavoro di curatela È in gioco la storia, un testo difficile e innovativo. La mia è una recensione ‘sui generis’: una sorta di pianto funebre, un modo di avvicinarsi a sora nostra morte corporale e al gioco crudele del destino. Anche io avrei potuto essergli padre, forse addirittura nonno. Quasi un topos del pensiero occidentale ‘perché hai preso lui e non me’. L’ho pensato per lui, che pure non conoscevo personalmente, come per altri che sono morti prematuramente prima di poter compiere imprese cui erano destinati o dedicati.
E per lui riscrivo le parole che scrissi ricordando Rocco Scotellaro, sindaco di Tricarico, poeta e scrittore, morto a trent’anni nel 1953:
Ma forse una vita più breve contiene una carica di senso compressa, dotata di grande potenzialità espansiva, che la distanza nel tempo modifica e carica di nuove significazioni purché non venga seppellita nell’oblio.
Per questo ricordare, continuare a pensare, è anche il modo di far continuare un pensiero interrotto.
Edoardo
Ecco come lo hanno ricordato i suoi amici e compagni di studi e di didattica dell’Istituto Storico della Resistenza di Pistoia:
Con immenso dolore comunichiamo la scomparsa di Edoardo Lombardi, nostro caro amico, abile ricercatore storico e consigliere dell’ISRPT da tanti anni.
Lo avevamo conosciuto nel 2018 durante il tirocinio universitario svolto presso il nostro ente, dove aveva subito mostrato grande curiosità, abilità e competenza, unite a un’indescrivibile passione per la storia del ‘900.
Si era laureato in scienze storiche all’Università degli Studi di Firenze, poi era diventato il responsabile della nostra biblioteca, ruolo che ha ricoperto fino a poco tempo fa, guadagnandosi il rispetto e l’ammirazione di tutti.
Si era distinto per la sua attività di ricerca storica e di didattica con le scuole del territorio. I suoi campi di studio erano la Repubblica Democratica Tedesca, l’occupazione tedesca in Italia, il confine orientale. Era membro della redazione della rivista “Farestoria. Società e storia pubblica”. Sebbene giovanissimo, aveva già all’attivo due curatele e una monografia di grande valore.
Nel 2022 aveva ottenuto una borsa di ricerca per lo studio dell’occupazione tedesca di Pistoia durante la Seconda guerra mondiale, dove con grande competenza aveva consultato gli archivi tedeschi e quelli italiani. Stava lavorando a una “Guida ai materiali archivistici per lo studio dell’occupazione tedesca di Pistoia” che avrebbe pubblicato nei prossimi mesi. Non avremmo mai pensato che sarebbe stato il suo ultimo dono.
Avevamo conosciuto Ester Raccampo, anche lei prematuramente scomparsa, insegnante capace e intelligente, sua compagna di vita, con cui aveva stretto un forte legame di amore e con la quale si era trasferito a Borgo San Lorenzo.
Edoardo amava fare rievocazione storica ed era diventato insegnante di scuola media, dove riceveva grandi apprezzamenti dai suoi studenti.
Ci uniamo al dolore delle famiglie a cui porgiamo le nostre più sincere condoglianze per queste perdite incommensurabili. Ci mancherai Edoardo.
L’Istituto storico della Resistenza e dell’Età contemporanea in provincia di Pistoia.
De Martino la morte e la storia
È proprio nel volume Morte e pianto rituale nel mondo antico (1958) che De Martino mette in relazione la morte, la memoria, la storia, il valore. Ma più in generale De Martino pone il problema delle diverse temporalità, connettendo l’idea del tempo lineare, nato col cristianesimo, al tempo ciclico delle religioni pagane. In De Martino poi, il senso del tempo storico percepito dagli individui può venir meno nelle condizioni di crisi della presenza, di perdita della continuità della vita. Così può avvenire nelle crisi psichiatriche, ma anche davanti all’immenso dolore per la morte di una persona cara. Più volte De Martino definisce certe sindromi come un ‘uscire dalla storia’, dando così alla storia una dimensione fortemente soggettiva ma al tempo stesso paradigmatica.
La storia è lo scorrere laico del tempo in cui avvengono le azioni coscienti; chi si trova ad esserne fuori può tornare a mettersi in pari attraverso tecniche culturali. Nei mondi antichi il lutto può essere superato attraverso il pianto rituale, per noi può essere il ‘trascendimento nel valore’: non morire con ciò che muore, ma farlo morire in noi trascendendolo nel valore. De Martino riflette sulla storicità e sulla natura della temporalità ed elabora una sorta di teoria del lutto e del cordoglio come forme culturali per affrontare la morte e superarla culturalmente. La ricerca antropologica abitua da subito ai vari modi di intendere la temporalità, soprattutto alla coabitazione nella vita del tempo lineare e del tempo ciclico, ma anche del tempo genealogico e delle accelerazioni soggettive della temporalità.
Per De Martino esiste la ‘destorificazione’ come perdita di sé rispetto al tempo collettivo del fare, e la ri-storificazione come ritorno nel mondo dell’azione collettiva. Il lutto è per lui uno dei principali agenti della crisi umana della presenza e della destorificazione. Ma, oltre alle varie forme di pianto funebre, egli affronta il rapporto contemporaneo con la crisi del lutto, “il lavoro del lutto”: ‘ci proponiamo di farli vivere ancora (i nostri morti) e di continuarne l’opera a cui lavorarono che è rimasta interrotta [8]. Così torniamo ai due fenomeni che ci interessano: il rapporto storia- antropologia e il dialogo con Edoardo per continuare a pensare al suo lavoro, alle sue passioni, perché il ricordo si trasformi in nuovo valore.
Il libro qui presentato è costituito da 16 voci [9] e ha il merito di affrontare l’ambientazione storica dei giochi da tavola, dei giochi da console, dei giochi di ruolo come problema di interesse per gli storici. E già questo non è cosa ovvia. L’accademia ha una lunga tradizione di ostilità alle forme ludiche per cui per alcuni la Storia del Teatro o del Cinema erano considerate divertimenti e non oggetto di studio. Anche gli Istituti Storici della Resistenza non riservano molta attenzione a fumetti, graphic stories, giochi perché vengono ritenuti non adeguati alla serietà della storia che viene studiata. Ma ci sono importanti cambiamenti e aperture.
Nel libro si parte dalla constatazione che molti giochi da tavolo di guerra e combattimenti hanno fatto la scelta di costruirsi un ambiente storico realistico con protagonisti storicamente probabili. Messo da parte Risiko e i suoi continenti con Stati e imperi virtuali, si entra in giochi di guerra storicamente definiti come la storia del colonialismo e della Resistenza.
Nell’Introduzione al volume Lombardi e Pizzorusso segnalano una nuova attenzione a questo fenomeno, una nuova letteratura e convegni sull’argomento. Viene subito introdotto il caso dello ‘sviluppatore’ bielorusso di War Thunder che, dopo l’invasione russa dell’Ucraina, cercava di tranquillizzare i suoi utenti su twitter. dichiarando l’assoluta estraneità del gioco alla guerra in atto, affermando che i giochi di guerra sono contro la guerra vera, guerra che «dovrebbe essere confinata nel gioco videoludico».
La forte intersezione tra i più recenti giochi di guerra e il presente e quindi la guerra combattuta rende l’argomento molto attuale. Ma di fondo occuparsi dei giochi di guerra spinge a lavorare sulla storia per modelli e per protagonisti. Ci troviamo di fronte a due dimensioni: da un lato la costruzione di un modello di gioco, dall’altra la possibilità nel gioco di essere protagonisti della storia. In passato gli sviluppatori usavano guerre astratte e conflitti puramente inventati, ma più di recente l’ambientazione nella storia reale è diventata centrale e origina dibattiti e critiche [10].
Leggendo i testi di Farestoria scopro un mondo per me ignoto: analisi di giochi da me mai sentiti, bibliografie amplissime, convegni e siti internet. Scopro che forse per età sono anche io come quelli che un tempo dicevano che il gioco è un divertimento e non un oggetto di studio. Sono dimensioni che ho conosciuto solo attraverso le mie figlie e i miei nipoti, ma per le prime non andando mai oltre una consapevolezza esterna del Risiko e dei videogiochi al computer. Quindi il mio approccio analitico a Farestoria è da non giocatore. Anche se ciò che leggo mi fa venir voglia di giocare.
Nelle pagine del saggio a tre firme Giocare col fuoco. La Resistenza nei giochi da tavolo [11] emerge una letteratura critica, vengono menzionati incontri annuali degli studiosi del settore e viene evidenziata la messa in discussione degli studi relativi alla Resistenza. Si mettono in campo giochi da tavolo sulla Resistenza prodotti in diversi Paesi e, in Italia, anche da qualche museo a scopi didattici [12]. Si rileva l’importanza di una ‘terza dimensione’ del gioco: la motivazione, la finalità, ma anche una soggettività libera di agire, ovvero una dimensione ‘politica’ [13].
Il gioco ‘Repubblica ribelle’ è così raccontato nel sito dove viene venduto:
Repubblica Ribelle è un gioco parzialmente collaborativo per 1-6 Comandanti “Ribelli” che devono difendere la zona libera della Repubblica di Montefiorino, nel cuore dell’appennino tosco-emiliano, durante i lunghi mesi di guerriglia che vanno dall’estate del 1944 alla primavera del 1945, tra attacchi nazifascisti, difficili equilibri politici e innumerevoli difficoltà sociali.
Componenti: 1 mappa di gioco, 1 regolamento, 6 schede dei ribelli, 150 carte, 60 pezzi di legno, 1 foglio di etichette
Giocatori: 1-6
Tempo: 1-2 ore
Il regolamento del gioco si apre con una foto dei partigiani di Montefiorino e della motivazione della medaglia d’oro per avere liberato la zona, Riproduco un brano che rappresenta i questi documenti storici che precedono il gioco, per dare una idea della complessità e della rilevanza dei giochi di cui stiamo parlando:
… il territorio libero di Montefiorino costituiva base offensiva e difensiva ’agguerrite formazioni, ad interdizione d’importanti comunicazioni dello schieramento nazista; più volte attaccato si difendeva con bravura e, in durissima impari lotta di sopravvivenza, opponeva alla morsa inesorabile di due imponenti rastrellamenti nazifascisti il valore e il sanguinoso sacrificio di migliaia di combattenti e di stremate popolazioni.
Dai reparti veterani della sua montagna sottrattisi all’annientamento, logori ma non domi e sempre risorgenti la Repubblica di Montefiorino rigenerava, infine, le formazioni partigiane della riscossa, che, ai passi appenninici e in nobile gara con le forze di pianura e con le martiri popolazioni, davano, perla redenzione della Patria, largo concorso di combattimento e di sacrificio agli eserciti di liberazione, generoso tributo di valore, di sangue e di sofferenza alla causa della libertà.
— Appennino Modenese, giugno 1944 – aprile 1945…
Nel parlare dei giochi sulla Resistenza, gli autori si riferiscono all’interpretazione data da Claudio Pavone e tengono conto dei tanti contributi sulle Resistenze di altri Paesi europei (ad esempio quello sloveno). Tra l’altro emerge che molti sviluppatori di giochi sono dell’Europa orientale. Il saggio, assai ampio e ricco di informazioni, chiude con la considerazione che i giochi sulla Resistenza di ultima generazione superano la logica binaria di amico-nemico, introducendo elementi di asimmetria propri della tipologia CO-IN (contro-insurrezione) che riguarda non tanto conflitti tra eserciti ma la presenza di insurrezioni, guerre civili, rivoluzioni.
I giochi sono realizzati con la consulenza degli storici e sono dotati della relativa documentazione storiografica. Si tratta dunque di fenomeni importanti di costruzione di contesti in cui ‘fare esperienza della storia’. Si ritiene utile che i giochi possano essere usati nell’ambito della didattica. Alcuni Istituti storici della Resistenza hanno sostenuto la realizzazione di alcuni di questi progetti e il mondo della Public History li sostiene e li rende oggetto di attenzione.
Giochi di guerra
Il sito boardgameitalia.it recensisce, promuove, vende e dà istruzioni per i giochi. Entrandoci ci si accorge che per cercare i giochi di storia si deve passare dentro un ambiente ‘giovanile’ (un po’ imbarazzante per gli studiosi). Infatti il gioco di storia sta in mezzo a giochi per bambini e ragazzi ma infine si trova La resa dei conti ambientato alla fine della Seconda Guerra mondiale in Italia. Ecco la presentazione:
Italy 43-45: la Resa dei Conti! Tutorial e Recensione
Pubblicato il Maggio 18, 2022 di ShareinGame
Gli anni della guerra sono stati anni difficili e, soprattutto quelli finali, sono stati caratterizzati da un’enorme confusione…L’esercito era allo sbando, senza una guida che gli dicesse cosa fare…i partigiani erano pochi, male armati e dispersi tra loro…la Repubblica di Salò non era altro che il rimasuglio del fascismo, in cerca perenne di consensi…e i tedeschi non sapevano se dover combattere, ritirarsi o contro chi combattere…
Ed è qui che entri in ballo tu! Sei pronto per prendere in mano la situazione, e riscrivere la storia? Il destino dell’Italia è nelle tue mani!
“Italy 43-45: “La resa dei conti” è un wargame storico di tipo COIN, per 2-4 giocatori, della durata di 120-180 minuti.
Anche dallo stile si ha l’impressione che lo studioso debba ormai entrare nel mondo delle pratiche collettive e della comunicazione di massa. Non siamo più in cattedra a ragionare sulla storia, siamo nella mischia. Una sensazione disagevole ma assai utile da vivere anche per gli antropologi che dovrebbero esserci per statuto.
Tutti i saggi di È in gioco la storia – che mi sarebbe qui difficile restituire per intero – vivono e ci fanno vivere in un ambiente composito e ci fanno entrare nella produzione ‘creativa’ dei prodotti che analizzano. In questo è davvero preziosa l’intervista che Edoardo Lombardi ha fatto a Wojciech Setlak [14] a partire dal gioco This war of mine sviluppato dallo studio 11 bit. Ecco come viene presentato [15]:
«This War of Mine racconta un conflitto ispirato all’assedio di Sarajevo durato dal 1992 al 1996 dal punto di vista delle persone comuni. I protagonisti del gioco sono quindi delle persone completamente sconfitte dal conflitto in corso, dal punto di vista psicologico e fisico, che non sono in grado di affrontare di petto tutto ciò che succede quando gli uomini decidono che non c’è nessun’altra soluzione rispetto alla distruzione reciproca.
La “partita” di This War of Mine ci vede impegnati a gestire una piccola comunità di sopravvissuti all’interno di una casa. In questo caso è possibile scegliere prima una serie di impostazioni, come la durata della partita prima del cessato il fuoco, i personaggi coinvolti (ognuno con punti di forza e debolezza), così come l’arrivo dell’inverno e la sua rigidità».
Un gioco quindi che vede impegnati non più nella logica del vincitore/vinto ma nella lotta per la sopravvivenza, evento così terribilmente comune alle guerre moderne. Lombardi ha fatto l’esperienza del gioco e racconta il suo disagio per alcune situazioni ‘drammatiche’ vissute da giocatore. Nell’intervista fa domande da dentro il gioco della storia, come un antropologo nel suo campo di ricerca. Non intervista da fuori, prendendo con le pinze il gioco come se fosse un ‘oscuro oggetto’.
Ci sono stati lavori storici che hanno affrontato il tema della storia nei mass media e nel cinema ma lo hanno fatto per lo più con un atteggiamento ironico [16]. Lombardi fa domande sull’ambientazione, sulle critiche che il gioco ha ricevuto, sulla presenza dei bambini nel mondo in guerra. Dalle risposte emerge che il creativo di questi giochi cerca delle ambientazioni significative, fa ricorso a esperienze storiche diverse di assedi (Sarajevo, Leningrado, Varsavia, Raqqua) ma costruisce uno scenario ‘fittizio’, non cerca la storia come evento unico ma come ambito di ispirazione di ambientazioni, una storia emozionale e patchwork, una ‘fictional history’.
Il gioco può produrre effetti emotivi moralmente interessanti nei giocatori. Infatti TWOM, diversamente da molti altri giochi, non è basato sull’esaltazione dell’uccidere un nemico, ma sulla complessità delle situazioni, sulla guerra virtuale come ambiente drammatico che aiuta a capire cosa significa trovarcisi nel mezzo. È una fiction in cui il giocatore più che esaltare la sua parte si trova a muoversi nel disagio di un conflitto che lo sovrasta. Qualche volta – ci dice il suo designer – è servito a capire meglio le guerre in corso (l’Ucraina in particolare) e a intuire gli aspetti e i backstage del conflitto che le televisioni nascondono. Ma il gioco resta una creazione fantastica, una esperienza ludica, non ha pretese di fare storia. Anche se un suo uso guidato nel campo della didattica può aiutare a fare esperienza immaginativa ed emotiva dei contesti bellici.
Siamo dunque in uno scenario di complessità, tra arte, creatività digitale, storia, che disorienta un uomo della mia età. Ma può disorientare anche uno studioso, uno storico. Tanti anni fa scrissi che i musei devono vivere nel ‘mercato orientale’ della quotidiana esperienza della gente. Così gli autori di questi testi, tutti giovani se non erro, ci stanno dicendo che sono immersi in questo mercato orientale, cercando di capire, di raccontare, di criticare, ma dall’interno della complessità.
Lo scritto La storia con i ’se’ e con i ’ma’. Un laboratorio di storia controfattuale in un museo [17]. mostra l’applicazione di modelli di storia ‘possibile’ nell’ambito della didattica museale. Cercare di giocare alla storia anche modificandone esiti e accadimenti appare – se basato su fonti valide e conoscenze adeguate – uno strumento davvero importante di formazione ed educazione sia museale che storica.
Vi è poi il tema «della partecipazione attiva delle persone e della comunità alla costruzione del sapere storico», di una storia ripensata che sia «capace di scardinare visioni della storia di tipo deterministico, di restituire ai singoli e alle masse il ruolo di protagonisti all’interno dei processi storici…» (ivi: 95). Si tratta di temi molto forti di politica della formazione storica.
Gli abstract mostrano subito i tratti innovativi di questi saggi:
«Studiare come l’espansione coloniale europea dell’età moderna e contemporanea venga rappresentata nei giochi da tavolo. Attraverso l’esame di sei giochi…» (Daffonchio, The great game)
«comprendere se giocare la posizione dello sconfitto possa consentire di ripassare il passato» (Gonzato e Sorrentino Giocare lo sconfitto)
Un forum su Mille e uno …modi di giocare (con) la storia (Uberti e Caselli in dialogo) è quasi una introduzione ai saperi del gioco interattivo. Con altri testi e con i saggi di cui ho già accennato formano una configurazione ricchissima e sorprendente. Almeno per me. È tutto da imparare e sul piano delle teorie della storicità è davvero – come accennavo all’inizio – una festa. Una immersione in universi mutevoli e caleidoscopici in cui il gioco è una sfida alla comprensione e all’uso della conoscenza storica. Non sono temi molto frequentati dall’antropologia, e forse sono di confine anche nella ricerca pedagogica. In anni passati l’antropologia ha aperto alcuni fronti sul gioco in quanto tale [18], ma in una dimensione del tutto diversa rispetto ai giochi di guerra, dimensione rivolta piuttosto ai giochi detti di azzardo (lotto, roulette) e ai temi dell’‘alea’ che possono essere estesi anche alla vita, alla fortuna, alla possibilità. Probabilmente questa letteratura può essere rimessa in circolo anche intorno ai giochi di guerra, arricchendone la dimensione teorica e sperimentale.
Dalla storia si entra e si esce, come scriveva Ernesto De Martino a proposito delle crisi della presenza. Ma in modo ormai plateale è la televisione a mostrarci giornalisti che fanno entrare nella storia vittorie di calcio, di tennis, eventi vari. Poi ci sono i politici che vantano motu proprio di entrare nella storia per le loro riforme. Nessuno aspetta più che siano gli storici a farlo. È anche vero che le storie più specializzate sono largamente traversate oltre che da giornalisti anche da storici tuttologi. Parlano tutti della storia ed è il segno che della storia come campo di conoscenza non se ne occupa nessuno. Ognuno fa da sé. Non è certo questa la Public History. Questa cultura è ben lontana dalla storia fatta insieme, dalla condivisione delle nuove prospettive di partecipazione e dall’uso comunitario delle conoscenze.
Tutto sommato è più facile che entrino nella storia i ‘rievocatori’ assai più che politici o giornalisti di storia. I rievocatori sono oggi una comunità amplissima. A questo proposito propongo ora un esempio di schedatura ministeriale legata a una indagine nazionale sulle rievocazioni. Si tratta della ‘Festa medievale di Cassine’ [19] :
1991- La denominazione dell’evento non è mai cambiata, ma per alcune edizioni si è aggiunto un sottotitolo. Dal 1994 al 1999 “Rassegna dei Gruppi Storici Medioevali”. Dall’ottava edizione il sottotitolo indica il tema a cui è dedicata la Festa ogni anno: l santo Graal nel 1998, San Giorgio tra Oriente e Occidente nel Pagina 2 di 9 OGDS – Note 1999, Le Roman De Merlin: magia, sacralità e umana condizione nell’immaginario medioevale nel 2000, Paure, sogni e miti leggendari nell’immaginario medioevale nel 2001, Tempus Veritatis – Natura , realtà e Trascendente: i nuovi sentimenti di Francesco nel 2002, Sapori, gusti e suggestioni del Medioevo nel 2003, L’eterna lotta tra il Bene e il Male nel 2004, i guardiani del Tempio – sulle tracce del misterioso ordine templare nel 2005, La Città delle dame – Sogno, Ideale e Realtà nell’Amore medioevale nel 2006 Et invasit eum horror terribilis: Manifestazioni evanescenti, fantasmi e spiriti del medioevo nel 2007, Charger a la lance! La Sfida per diletto: tornei e cavalieri del medioevo nel 2008, “Ludendo Intelligere”, feste apparati e spettacolarità del medioevo nel 2009, “Viginti in media aetate” – 20 anni attraverso il medioevo nel 2010, “Il Medioevo in viaggio” Il Milione e altre storie nel 2011, “Artifex et Aedificator” L’Arte del costruire nel medioevo nel 2012, “Dal bestiario alla favola cortese – l’animale nel medioevo” nel 2013, “La Festa Medioevale – Medioevo e cinema” nel 2014. Dal 2017 ad oggi l’evento acquisisce un sottotitolo stabile: “un evento di spettacolo e di living history”. DTC – DATI CRONOLOGICI DTCD – Datazione 1991- DTCC – Ciclicità si DTCP – Periodicità annuale DTCU – Durata 2 giorni DTCN – Note L’evento si tiene il primo fine settimana di settembre. Non si è tenuto nel 2020 per le restrizioni imposte dalla pandemia Covid-19. Per le stesse ragioni si è tenuto in forma ridotta nel 2021. DAD – DATI DESCRITTIVI L’evento rievoca il giorno in cui, secondo la tradizione, Gian Galeazzo Visconti passò per Alessandria e anche per Cassine, visitandone il borgo. Nasce come cena Medioevale a cui negli anni si sono affiancati mostre, concerti, spettacoli, sfilate, sbandierate, concorsi di danza e di sartoria medioevale. La manifestazione ricostruisce scene di vita del tempo, dall’ospitalità nei conventi al passaggio dei pellegrini, dai duelli dei cavalieri alle gare d’arco tra bande di briganti. L’evento è diventato un appuntamento di grande risonanza e attrazione per i rievocatori e per il pubblico e un momento di promozione delle attività, dei prodotti e delle tradizioni per la comunità locale. La festa si tiene il sabato sera con la storica cena medievale, spettacoli e animazioni nel cortile d’onore di Palazzo Zoppi, edificio centrale del paese risalente al XV secolo. A seguire, le vie del borgo sono animate da scene in costume, musiche, danze, un mercato medioevale, la ricostruzione degli antichi mestieri nelle botteghe, teatro di strada, mangiafuoco e Pagina 3 di 9 DADD – Descrizione incantatori di serpenti. Una delle peculiarità della festa di Cassine è la bottega di Merlino, riproduzione del laboratorio del celebre mago. Il sabato sera in piazza Vittorio Veneto si tiene uno spettacolo a tema, seguito da una visita notturna al campo d’armi in località La Ciocca. La festa termina la domenica: dalle prime ore del mattino convergono nel borgo i figuranti dei gruppi storici ospiti che interpretano mercanti, villici e uomini d’arme con animazioni in costume, momenti di musica e teatro di strada. Alle 11 si tiene la messa solenne nella chiesa di San Francesco; a pranzo i ristoranti si trasformano in osterie e taverne e servono piatti a tema. Per molte edizioni, nel pomeriggio partiva un corteo storico che attraversava le vie e le piazze del borgo fino a giungere davanti al Palazzo comunale, per il saluto delle autorità e cerimonia di consegna degli attestati di partecipazione. Oggi l’organizzazione predilige una modalità rievocativa di tipo immersivo, che riconduce ai canoni della “living history”[20].
In casi come questo si entra e si esce dalla storia.
Oltre alla mappa nazionale realizzata dall’ICPI (Istituto Centrale del Patrimonio Immateriale), le Regioni sono impegnate sul fronte delle rievocazioni storiche. Nel calendario per il 2024 la Regione Toscana riconosce a quasi 200 eventi la natura di Rievocazioni, fornendo anche un discreto contributo finanziario. Da tempo le rievocazioni sono diventate un lavoro per attori, gruppi teatrali, cuochi, saltimbanchi, artigiani e in parte per i circuiti turistici di tutta Italia. L’esperienza di essere in un altrove temporale viene fatta con una sorta di rituale di vestizione collettiva dove si indossano panni di altri tempi per poi partecipare a sfilate, a cortei o ad altri eventi in spazi previsti ed allestiti. Chi partecipa ha l’idea di vivere, per un po’ di tempo, in un mondo storico precedente, di uscire dal suo tempo per poi ritornarci arricchito di una esperienza inconsueta, forse straordinaria.
Ricordo che per il Regno Unito il sociologo Urry aveva raccolto la testimonianza di un ‘rievocatore’ che diceva che il mondo attuale è talmente grigio e triste che non si potrebbe viverci senza rituffarsi ogni tanto in altri tempi e mondi [21]. Si tratta dichiaratamente di ‘uscire’ dalla storia vissuta in una sorta di «destorificazione attuata per mezzo della storia» [22] , concetto che avevo segnalato in occasione di un convegno dedicato ai Falsi d’Arborea. In quel caso si trattava di un inconsueto uso della storia: la sua invenzione. Infatti si raccontava del reperimento di uno straordinario documento storico ritrovato nell’Archivio di Cagliari, risultato poi un falso rivolto a costruire, spacciandolo per vero, il Medioevo sardo come una epoca gloriosa. Si direbbe nel lessico di questo numero di Farestoria un esempio criminoso e non didattico di storia ‘controfattuale.
Oggi molta storia pubblica ha a che fare con queste complicate dimensioni. Come non considerare anche questa dimensione della storia se si pensa alla propaganda di guerra e alle vistose falsità che essa utilizza e che vediamo in modo sempre più evidente. È possibile che, come dice Wojciech Setlak nell’intervista a Lombardi, l’uso dei war games renda i giocatori più critici verso la comunicazione televisiva e le varie propagande. In ogni caso benvenuta ‘storia’ nel mercato orientale del mondo.
Il libro-rivista È in gioco la storia ci mostra l’ampiezza della storicità in tanti contesti. È un modo di guardare alla storia come un largo campo pieno di proposte, di idee, di esperienze, di didattiche, di giochi della storia e di storia dei giochi. In cui si trovano riferimenti alle teorie, alla critica storica e ai modi della didattica. La storia non tanto ‘magistra vitae’ quanto ‘sodalis vitae’ o ‘comes vitae’.
Mi piace a questo punto citare questo brano dell’intervista che Lombardi ha fatto a Wojciech Setlak, writer e narrative designer di TWOM:
«Nel primo o secondo playtrough (sessione di gioco) ricordo di essere uscito fuori dal rifugio, durante la notte, e di aver incontrato un uomo che mi avvertiva che in casa lì vicino c’erano tre donne e che una di queste era un cecchino. È stato un approccio alla cieca, perché era la prima volta che giocavo a TWOM e come prima cosa ho deciso di uccidere la ragazza che aveva il fucile di precisione, ma solo e unicamente perché un altro personaggio mi aveva detto che erano pericolose, senza però che io me ne accertassi prima di compiere un omicidio, di conseguenza non ero certo che loro fossero ostili nei miei confronti. Uno sconosciuto me l’ha detto e io mi sono fidato…» (ivi:84)
Ecco un frammento di una esperienza di gioco di guerra e di sconcerto dentro il gioco. Che ci ricorda Edoardo che ora non è più con noi a vivere lo sconcerto della guerra vera della quale ogni giorno attendiamo, con sempre minore speranza, la fine. Ma lo sentiamo con noi, e scriverne ci aiuta a trascendere nel valore la sua assenza.
Dialoghi Mediterranei, n. 66, marzo 2024
Note
[1]I CPI – Home – Istituto Centrale per il patrimonio immateriale (beniculturali.it)
[2] V. Ginzburg, Spie. Radici di un paradigma indiziario in Aldo Gargani (a cura di), Crisi della ragione. Nuovi modelli nel rapporto tra sapere e attività umane, Torino, Einaudi 1983
[3] Odile Redon, Una famiglia, un santo, una città. Ambrogio Sansedoni e Siena, Viella, 2015, a cura di Sofia Boesch Gajano.
[4] Franco Cardini, Storia, storia, sociale, storia orale, folklore in Alessandro Falassi a cura di, Tradizioni italiane, codici, percorsi e linguaggi, Siena, Università per Stranieri, 1992
[5] Un esempio è il primo volume cui collaborai: S. Bertelli, P. Clemente, a cura di, Tracce dei vinti, Firenze, Ponte alle grazie 1994
[6] Periodico dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Pistoia, n.1, 2022, sul tema È in gioco la storia. Giocare il passato nel tempo presente
5 La citazione viene dal discorso di Cirese in occasione della morte di un collega dell’Università di Roma La Sapienza, A. M. Cirese, Per Italo Signorini, Ossimori, 4, 1994: 126-127
[8] De Martino cita largamente B. Croce, Frammenti di etica, Laterza 1922
[9] Nell’ordine in cui compaiono nel testo E. Lombardi, I. Pizzorusso, C. Daffonchio, G. Babini, M. Carrattieri, M. Zanoni, G. L. Gonzato, G. Sorrentino, S. Caselli, G. Uberti, W. Setlack, I. Bolzon, I. Trotta, L. De Marchi, I. Romeo, E.F. Russo
[10] Su queste problematiche viene coinvolta l’associazione italiana di public history AIPH (AIPH – Associazione Italiana di Public History – Storia bene comune (hypotheses.org)
[11] Glauco Babini, Mirco Carrattieri, Mirco Zanoni, ivi: 37-54
[12] Il gioco Senio 1945 di Gabreile Mari e Gianluca Santopietro, sulla famosa battaglia, è pubblicato dal Museo della Battaglia del Senio nel 2007. Io lo scopro in queste pagine. Così vale per il gioco Repubblica Ribelle, di Glauco Babini, Chiara Asti, Gabriele Mari
[13] Ivi:39
[14] “29 days”: This war of mine. Giocare il civile in tempo. Dialogo di Edoardo Lombardi con Wojciech Setlak: 83-91
[15] spaziogames.it/
[16] Penso in particolare a Sergio Bertelli, Corsari del tempo. Quando il cinema inventa la storia, Firenze, Ponte alle grazie 1994
[17] Di Irene Bolzon, dottore di ricerca in Storia culture strutture delle aree di frontiera, che opera nel Memoriale Veneto della Grande Guerra ed è impegnata negli Istituti storici della Resistenza in Veneto
[18] Tra i più sistematici Paola De Sanctis, Antropologia e gioco Napoli, Liguori, 1994
[19]https://rievocazionistoriche.cultura.gov.it/search/eodir_search=1&stype=gd_place&s=alessandria&snear=&sdata_e_luogo=cassine&sstreet
=&sort_by=&speriodo__occasione=&sgeo_lat=&sgeo_lon=
[20] La scheda è stata redatta da Maria Elena Buslacchi. La rievocazione si svolge a Cassine in provincia di Alessandria
[21] The Tourist Gaze. Leisure and Travel in Contemporary Societies, Sage 1990 trad. it, Lo sguardo del turista. Il tempo libero e il viaggio nelle società contemporanee, 1995, Seam, Roma.
[22] Pietro Clemente, Destorificare per mezzo della storia: riti, documenti, prove, fondazioni nell’immaginazione antropologica corrente, in Luciano Marrocu, a cura di, Le carte d’Arborea. Falsi e falsari nella Sardegna del XIX secolo, Cagliari, Am&D 1997.
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Pietro Clemente, già professore ordinario di discipline demoetnoantropologiche in pensione. Ha insegnato Antropologia Culturale presso l’Università di Firenze e in quella di Roma, e prima ancora Storia delle tradizioni popolari a Siena. È presidente onorario della Società Italiana per la Museografia e i Beni DemoEtnoAntropologici (SIMBDEA); membro della redazione di LARES, e della redazione di Antropologia Museale. Tra le pubblicazioni recenti si segnalano: Antropologi tra museo e patrimonio in I. Maffi, a cura di, Il patrimonio culturale, numero unico di “Antropologia” (2006); L’antropologia del patrimonio culturale in L. Faldini, E. Pili, a cura di, Saperi antropologici, media e società civile nell’Italia contemporanea (2011); Le parole degli altri. Gli antropologi e le storie della vita (2013); Le culture popolari e l’impatto con le regioni, in M. Salvati, L. Sciolla, a cura di, “L’Italia e le sue regioni”, Istituto della Enciclopedia italiana (2014); Raccontami una storia. Fiabe, fiabisti, narratori (con A. M. Cirese, Edizioni Museo Pasqualino, Palermo 2021); Tra musei e patrimonio. Prospettive demoetnoantropologiche del nuovo millennio (a cura di Emanuela Rossi, Edizioni Museo Pasqualino, Palermo 2021); I Musei della Dea, Patron edizioni Bologna 2023). Nel 2018 ha ricevuto il Premio Cocchiara e nel 2022 il Premio Nigra alla carriera.
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