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Se un villaggio in Marocco indica la strada. Il graphic journalism racconta nuove connessioni

Tavole del graphic novel in preparazione (ph. Antonella Selva)

Tavole del graphic novel in preparazione (ph. Anita Paolicchi)

di Antonella Selva 

Qualche anno fa pubblicai un libro di graphic journalism in cui intrecciavo un collegamento ideale tra tre località remote, accomunate solo dall’essere percepite come “periferiche”, in cui si erano svolte vicende che in qualche modo mi sembrava “risuonassero” una con l’altra. Il libro si intitolava Cronache dalla periferia dell’impero (2018, Nuova S1 Edizioni) e le località descrivevano un triangolo ideale ai cui vertici si trovavano la piccola isoletta di Raasay nell’arcipelago delle Ebridi, al largo della costa della Scozia, il minuscolo villaggio di Smira, ingoiato dal deserto dell’Anti Atlante, nel sud-est del Marocco, e Rosarno, nella piana di Gioia Tauro, in Calabria.

Per qualche motivo sono attratta dalle località periferiche, “invisibili”, dalle zone liminali, da quelle vicende apparentemente insignificanti ma che, guardandole da vicino, sono capaci di rivelare sperimentazioni inedite e indicare possibili vie d’uscita attraverso strade insolite e poco battute. La storia del villaggio di Lambarkiyne (traslitterazione molto approssimativa dall’arabo marocchino), nell’entroterra di Rabat, è uno di quei casi: una vicenda per molti aspetti eccezionale, quasi un esperimento sociale “in vitro” condotto nella dimensione circoscritta e “controllabile” del villaggio. Ed è quella che ho provato a raccontare nel graphic novel Donne terra dignità in uscita in questi giorni per Astarte Edizioni. 

villaggio

villaggio nell’entroterra di Rabat (acquarello di Antonella Selva)

Ma partiamo dall’inizio. Ho sentito parlare per la prima volta di Had Brachoua, o più precisamente del minuscolo villaggio Lambarkiyne che ne costituisce una frazione, intorno al 2015, quando il processo di trasformazione cominciava a guadagnarsi un’attenzione crescente dapprima sui social media e poi sulla stampa marocchina, fino a rimbalzare sempre più insistentemente in rete, su pagine ambientaliste di lingua francese e poi inglese. Chi per prima attirò la nostra attenzione sulla vicenda fu Asmaa Kherrati, al tempo una giovane cooperante freelance italo-marocchina cresciuta in Calabria e da poco laureatasi a Bologna.

Ma forse a questo punto è il caso di fare un salto indietro, perché innanzitutto va dato conto al lettore dei motivi della mia connessione con il Marocco. Essa inizia nei primi anni Novanta quando, giovane militante spinta dall’interesse per il fenomeno dell’immigrazione (allora nuovo per il nostro Paese), conobbi quello che di lì a poco sarebbe diventato mio marito, Mohamed Rafia Boukhbiza, che appunto è marocchino. Insieme a un gruppetto di altri migranti e attivisti antirazzisti italiani fondammo nel 1995 l’associazione «Sopra i ponti» (il nome voleva essere di buon auspicio per tutti quei migranti che vivevano o avevano vissuto – come era successo a lui e a tanti altri – sotto un ponte, in specifico il ponte sulla ferrovia in via S. Donato, per chi conosce Bologna).

logo-bassam-grandeL’associazione si è sempre occupata di inclusione di persone migranti nel tessuto sociale, culturale e politico della città, ma dalla metà degli anni zero del Duemila si è focalizzata sempre di più anche su microprogetti di cooperazione con i villaggi rurali del Marocco da cui provenivano molti nostri soci. Dal 2008-2010 questo interesse si è concretizzato in un progetto di turismo responsabile e commercio equo che poi ha dato vita, nel 2018, alla cooperativa marocchina Asdikae bila Houdoud (Amici Senza Frontiere) di cui Mohamed Rafia, che nel frattempo era rientrato in Marocco, è oggi presidente. La cooperativa si occupa di servizi turistici e impiega ormai sei o sette ex migranti rimpatriati, nel ruolo di mediatori culturali per i viaggiatori solidali.

Fatima

Fatima (acquarello di Antonella Selva)

È nel quadro di queste attività che conoscemmo Asmaa, una studentessa che nel 2012 faceva un tirocinio universitario presso la nostra associazione per approfondire la conoscenza dell’artigianato delle donne rurali in Marocco. Qualche anno e molte esperienze dopo, Asmaa ci fece conoscere Brachoua. Larbi Chaoubi, giovane e dinamico attivista del villaggio, e Mohamed Chafchaouni, storico animatore dell’associazione ambientalista Ibn Al-Baytar, erano attivissimi sui social, e in rete il villaggio si era già guadagnato una certa notorietà come esperimento di transizione ecologica su piccola scala, capace di trasformare un territorio sull’orlo dello spopolamento in un progetto pilota di rinascita sociale e ambientale basato sui principi dell’agroecologia.

Fatna

Fatna (acquarello di Antonella Selva)

Avevamo già conosciuto Chafchaouni e l’associazione Ibn Al Baytar: potremmo descriverla come un think tank progressista nato in seno all’università di Rabat, che da una trentina d’anni conduce studi scientifici sulla flora marocchina e la sua influenza sull’ambiente, mettendo in luce le interconnessioni con le condizioni di vita della popolazione contadina (in Marocco ancora prevalente sul piano demografico). La fondatrice, e indiscutibilmente la personalità più di spicco al suo interno, è la Prof.ssa Zoubida Charrouf, ossia la scienziata che con i suoi studi aveva fatto conoscere al mondo le proprietà dell’olio di argan, oggi il prodotto di punta del Marocco, e incidentalmente anche moglie di Chafchaouni.

Charrouf aveva studiato fin dai primi anni Novanta l’importanza della foresta di argan come barriera naturale alla desertificazione avanzante, ma aveva anche capito che in assenza di un sostegno alle popolazioni contadine, allora poverissime e prive di servizi, la foresta, ormai in declino, avrebbe continuato a ridursi pericolosamente. Fu lei perciò a dare avvio, a metà degli anni Novanta, alle prime cooperative di donne contadine per la lavorazione dell’olio di argan, gettando così le basi per la difesa della foresta, che oggi per fortuna è in forte ripresa proprio grazie all’impegno nella tutela, piantumazione e manutenzione profuso in particolare dalle donne rurali.

Bouchra

Bouchra (acquarello di Antonella Selva)

Le premesse erano quindi interessanti. Verso il 2015 andammo a conoscerli e rimanemmo colpiti dall’esuberanza, dalla vivacità e soprattutto dalla consapevolezza del collettivo del villaggio. E tuttavia mi è rimasto per anni un interrogativo: perché lì? Perché proprio in quel villaggio e non in altri, che magari versavano in condizioni analoghe, si è potuta verificare quella magia? Quali ingredienti hanno permesso che un percorso eccezionale si realizzasse in quel villaggio? E questi ingredienti esistono proprio solo lì?

Finalmente nell’autunno 2022 ho avuto l’opportunità di soggiornare a Brachoua e intervistare a fondo le protagoniste e i protagonisti del villaggio. Frequentando il villaggio, Mohamed Rafia Boukhbiza (oggi non siamo più marito e moglie, ma la nostra collaborazione è sempre forte) aveva capito le motivazioni profonde, sociali e politiche, che ne avevano sostenuto la rinascita ambientale e aveva pensato prima di me che sarebbe stato bello scriverne.

Ed eccoci qui: le interviste raccolte e i ritratti estemporanei fatti alle protagoniste hanno segnato l’avvio del progetto che ha portato alla realizzazione del graphic novel, ma avevo la sensazione che raccontare la storia della lotta della comunità di Lambrakyine non fosse abbastanza. Per renderne evidente il significato mi sembrava che mancasse una connessione con il resto del mondo: la comunità di Lambarkyine non è isolata e non conduce una lotta “privata”, ma al contrario è parte di una resistenza attiva e presente a tutte le latitudini delle persone e delle comunità che difendono la terra. Perciò non deve stupire se nel fumetto sono a commentarla persone che hanno scelto di riavvicinarsi alla terra dell’Appennino bolognese: non credo nei confini, la terra è madre di tutti i popoli.

Bene, a fine 2022 avevo quindi tutti gli elementi per costruire il mio reportage a fumetti e l’idea mi sembrava convincente, però mancava ancora un editore! Ero pienamente consapevole di quanto il mio progetto fosse fuori dagli schemi rispetto alla produzione fumettistica in Italia e stavo quasi per perdermi d’animo, quando mi sono imbattuta, grazie al suggerimento di un’amica arabista, nella giovane e dinamica casa editrice Astarte,  di Pisa, (oltretutto interamente femminile!).

417525044_827237739398173_6428324011362600198_nSul sito della casa editrice si può infatti leggere il loro manifesto, nel quale dichiarano di voler «dare voce e spazio alle soggettività e alle istanze che abitano e percorrono il Mediterraneo e gli spazi geografici, culturali e politici attigui alla regione», credendo che «lo spazio, come la cultura, debba essere libero di essere percorso e vissuto» e «nel superamento della logica respingente dei confini e delle frontiere, reali e culturali». «Contraria a ogni forma di discriminazione e di esclusione» Astarte «si impegna ad andare oltre alla dimensione limitante delle categorizzazioni e delle differenze», lavorando «in un’ottica di decolonizzazione dei saperi, cercando di liberare lo sguardo da una prospettiva occidentale deformante e di decostruire un immaginario che ritrae i paesi dell’area MENA (Middle East and North Africa) in modo parziale e stereotipato». Forte è l’attenzione, nel loro progetto e quindi nel loro catalogo, ai temi della cooperazione, dell’intercultura e del reciproco scambio culturale.

Inutile dire che mi sono pienamente identificata nella carta d’intenti di Astarte, «casa editrice femminista, anticolonialista ed ecologista», per cui ho inviato loro il mio progetto di graphic journalism e il risultato è la pubblicazione del reportage a fumetti Donne terra dignità”. 

Dialoghi Mediterranei, n. 66, marzo 2024

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Antonella Selvasocia fondatrice e membro del comitato direttivo di Sopra i ponti, ha collaborato alle trasmissioni di informazione della emittente locale Radio Città 103 (oggi Radio città Fujiko) dal 1989 al 1997, è stata consigliera comunale a Bologna dal 1992 al 1999 per Rifondazione comunista. Dalla fine degli anni 80 si interessa al tema dell’immigrazione e partecipa al movimento antirazzista e pacifista. Approfondisce la conoscenza degli squilibri nord-sud con viaggi di conoscenza e cooperazione in Nicaragua (1992 e ‘93), marcia della pace a Sarajevo dei Beati costruttori di pace (dicembre 1992), Iraq (1993), Palestina (1990, 1994), Kurdistan (1994), Libia (1995). Lavora come impiegata presso la Ausl di Bologna e scrive e disegna fumetti: ha pubblicato due graphic novel (Femministe, 2015, e Cronache dalle periferie dell’impero, 2018) e due racconti brevi a fumetti contenuti in pubblicazioni collettanee (Alla ricerca della sua terra, 2012, e Come il Titanic, 2013).

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