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di Maurizio Sapienza
Quadraro. Uno dei quartieri di Roma con una storia recente dove è possibile imbattersi, come in tanti altri quartieri, in numerosi graffiti e murales. Estrosi, colorati, proporzionati alla dimensione libera disponibile, o tracciati grossolanamente ad altezza d’uomo, imposti sui muri a volte con grazia a volte con sgarbo.
Colori che il tempo sbiadisce velocemente, screpolando gli intonaci come il viso di un vecchio, rendendo “antichi” anche i manufatti recenti, trasformandoli nella muta testimonianza di persone che hanno vissuto e partecipato alle attività di quei luoghi e che li hanno marcati allo scopo di farli propri e riconoscibili.
La zona del Quadraro è adiacente ad una delle aree archeologiche del parco dell’Appia Antica, quella della Torre del Fiscale, anche nota come “campo barbarico”, un’area compresa tra gli acquedotti romani Claudio, Anio Novus, Marcio, Tepula e Julia che lì si intersecano e che i Goti, i barbari per antonomasia, nel VI secolo fortificarono per l’assedio di Roma (da qui l’aggettivo “barbarico”).
Gli acquedotti sono ancora lì, in alcuni scorre ancora l’acqua, e sono inclusi in un interessante parco di notevole bellezza, costituito negli anni ’80. Ma nel dopoguerra e fino agli anni 70 circa, le sue poderose arcate furono utilizzate da una moltitudine di profughi come abitazioni di fortuna. Se ne può scorgere qualche traccia volutamente lasciata come testimonianza durante i lavori di riqualificazione.
Il quartiere urbanisticamente nasce negli anni 20, distante e isolato, anche a causa della ferrovia Roma-Cassino-Napoli che la separa a ovest dal resto della città. Il Quadraro era allora una specie di paese a sé stante, con le sue costruzioni basse circondate da orti, separato dagli altri rioni da prati e spazi verdi, abitato da commercianti, operai, muratori, artigiani, immigrati arrivati prevalentemente dall’Italia meridionale.
Si espande poi negli anni 50 con le realizzazioni INA Casa degli architetti De Renzi, Muratori e Libera e viene infine inglobato nel resto della città negli anni 60-70. È uno dei quartieri dove nel dopoguerra i piani di edilizia popolare furono realizzati sui terreni dei grandi latifondisti della zona, seguendo il metodo che prevedeva che una porzione di questi grandi possedimenti, a una certa distanza dalla città, fosse venduta a basso prezzo allo Stato cosicché una volta edificati e raggiunti dai servizi – a spese del bilancio pubblico – il valore dei terreni circostanti aumentasse di 20 o 30 volte, consentendo così enormi guadagni agli speculatori che riempivano gli spazi tra la città e il nuovo quartiere.
Oggi i piccoli edifici di tipo “case a villetta” nella parte più vecchia del Quadraro sono infatti circondati dagli enormi palazzi di edilizia intensiva tipici di quel periodo [1]. Una parte delle abitazioni dell’INA Casa furono assegnate alle persone che dalla fine della guerra vivevano in uno dei campi profughi più grandi d’Italia. Gli Americani nel ‘44 utilizzarono infatti gli studi di Cinecittà, distante un paio di chilometri lungo la via Tuscolana, per creare un campo profughi per migliaia di sfollati che lì confluirono tra il ‘44 e il ‘50. C’erano i figli dei coloni italiani in Libia (tra cui i miei genitori che lì si conobbero), gli esuli giuliano-dalmati, gli sfollati dai bombardamenti di Monte Cassino e di Roma, molti ebrei internati e rientrati dai campi di concentramento.
Quella dei profughi a Cinecittà è una storia poco nota e in parte rimossa. Poco tempo prima, nell’aprile del ‘44, Cinecittà era stata usata dai nazisti di Kappler come campo di concentramento per un migliaio di abitanti del Quadraro, tutti uomini tra i 18 e i 60 anni [2], catturati nei rastrellamenti subito prima dell’arrivo degli Alleati, e deportati in Germania come “lavoratori volontari”.
Il Quadraro aveva allora la fama di quartiere antifascista, partigiano e sabotatore; la via ferroviaria per Napoli era usata dai tedeschi per rifornire le linee che combattevano gli alleati sbarcati ad Anzio [3].
Come molto spesso accade, dal punto di vista urbanistico le opere di raccordo del quartiere al resto della città rimasero in gran parte incompiute, per cui in alcune parti, dopo le ultime case e a ridosso della ferrovia, si possono trovare squallidi spazi, incolti e abbandonati.
Col tempo l’età media della popolazione è aumentata, giovani generazioni spesso di immigrati hanno preso il posto di quelle vecchie, come in tante altre zone non solo periferiche, rendendo così di fatto questo quartiere multiculturale e multietnico.
Negli ultimi anni il fenomeno dei murales e dei graffiti [4] ha acceso con colori e opere grafiche i muri di molte strade, eseguiti sia da famosi artisti di Street Art [5] che da anonimi autori.
In alcuni casi li hanno trasformati in vere opere d’arte, in altri in semplici testimonianze spontanee di militanza sociale e politica, e più spesso semplicemente in un disordine di colori appoggiati lì senza un pensiero preciso, ma nel comune tentativo di strapparle dal loro anonimato, notificando così un desiderio di partecipazione e di presenza tanto effimeri quanto urgenti ed evidenti.
Quei muri, come fogli di carta bianca lasciati su un tavolo, sono stati usati per tracciarvi bei disegni o semplici scarabocchi a seconda dell’estro di chi ha deciso di scriverci sopra. Sono ornamenti, commenti, gridi di protesta, manifestazioni di ideali, o semplici colori sbiaditi, ma comunque “segni” di una presenza urbana che vuole manifestare la sua esistenza.
Dialoghi Mediterranei, n. 48, marzo 2021
Note
[1] Cfr. Roma moderna di Italo Insolera, Einaudi Torino 1962:196 e passim.
[2] Una rappresentazione efficace e toccante di quel periodo è fornita dallo spettacolo Scemo di guerra di Ascanio Celestini.
[3] Nel 2004 il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ha conferito al quartiere la Medaglia d’oro al merito civile. Nelle motivazioni si legge: «Centro dei più attivi e organizzati dell’antifascismo, il quartiere Quadraro fu teatro del più feroce rastrellamento da parte delle truppe naziste».
[4] Dal 2010 al 2014, street artist italiani e internazionali sono stati invitati ad esprimere la propria creatività sui muri dei villini a due piani tipici della borgata edificata negli anni ‘30; architetture che rendono il Quadraro Vecchio un’oasi arroccata tra gli osceni palazzoni costruiti lungo Via Tuscolana nel dopoguerra.
[5] La street art al Quadraro è arrivata grazie al progetto MURo, acronimo di Museo di Urban Art di Roma, dove per arte urbana si intende una forma d’arte che si avvale degli stessi strumenti della street art, e per cui la “strada” resta la principale fonte di ispirazione.
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Maurizio Sapienza, vive a Roma e dopo la laurea in Ingegneria lavora per molti anni in campo informatico. Si occupa ora di volontariato con l’associazione Informatici Senza Frontiere, dedicata a combattere il digital divide in Italia e nei Paesi in via di sviluppo. Appassionato da sempre di fotografia vi si è ultimamente dedicato con maggiore impegno, partecipando a workshop e allo sviluppo di tematiche sulla relazione tra ambiente e società.
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