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Sei vuoi la mia terra, prendi la mia croce

Nablus 2002, soldati israeliani durante la seconda Intifada (ph. Mariam Barghouti)

Nablus 2002, soldati israeliani durante la seconda Intifada (ph. Mariam Barghouti)

di Muin Masri 

Un vecchio adagio indiano dice “Prima di giudicare una persona, cammina tre lune nelle sue scarpe”; è un modo per dire che niente come l’empatia crea le condizioni ottimali per consentire a persone lontane in tutto di dialogare civilmente tra di loro. E io, come la maggior parte dei palestinesi e non solo, ne ho consumate di scarpe a forza di camminare in lungo e in largo per il globo in cerca di qualcuno con cui dialogare! 

Ormai non so più come presentarmi, ho lasciato la mia identità all’ultima frontiera, altrimenti non mi lasciavano passare.

Non so in quale lingua aprire il discorso, l’arabo che c’è in me è stato denudato all’ultimo checkpoint a tutela della sicurezza delle nazioni altrui.

Non so come tornare al principio di ogni cosa, casa mia è sparita dal mappamondo e spesso mi domando se valga la pena continuare a mendicare un po’ di umana giustizia. 

Per questo, e per tanto altro, ho deciso di mettere in vendita la mia croce. Sì, amici, avete capito bene. Vendo la mia croce! Avete presente Tom Hanks in “Forrest Gump” che, dopo avere corso ininterrottamente per 3 anni, 2 mesi, 14 giorni e 16 ore, ad un certo punto si ferma dicendo a bassa voce: “Sono un po’ stanchino”.

Nablus, la città vecchia e il minareto della Grande Moschea, 1940 (Matson Collection)

Nablus, la città vecchia e il minareto della Grande Moschea, 1940 (Matson Collection)

Ecco, io, dopo i miei 62 anni di umiliazione e vagabondaggio, sono un po’ stanco di portare la croce di palestinese. 

Sono stanco di morire di fame e di sete ogni volta che scoppia un conflitto a casa mia.

Sono stanco di dover scappare in cerca di un rifugio.

Sono stanco di essere chiuso in una gabbia come un animale feroce, perché feroce non lo sono come la gabbia vuol fare credere.

Sono stanco di cercare la risposta giusta a chi mi chiede cosa penso del 7 ottobre; ma voi pensate davvero che non mi faccia male? Non scordate mai che l’uomo che piange solo il suo simile è un uomo perduto.

Sono stanco di fare da cavia per testare ogni tipo di armi e di sistemi di sicurezza.

Sono stanco di rispondere negativamente ai miei figli ogni volta che mi chiedono di andare a trovare la nonna a Nablus. “Ragazzi, non scherziamo! Lì è una prigione, un manicomio a cielo aperto!”.

Sono stanco di vedere gli studenti essere presi a manganellate solo perché hanno sventolato la mia bandiera, vorrei abbracciarli tutti.

Sono stanco di vedere i pacifisti invecchiare male e perdere gli anni più belli a forza di manifestare ogni sabato per la pace in Terrasanta. Amici, grazie, ma questo sabato non scendete in piazza, state a casa a fare l’amore e fate nascere figli bellissimi come voi.

Sono stanco di contare i bambini morti sotto i bombardamenti.

Sono stanco di vedere madri piangere abbracciate a dei minuscoli teli bianchi.

Sono stanco di chiedere al Padre che senso ha tutto questo.

Sono stanco di cercare qualcuno disposto per davvero a mettere le mie scarpe prima di rubare la mia terra

Vendesi croce perché sono stanco di piangere inutilmente il mio dolore in pubblico. 

1966, naibul, la famiglia Masri, in occasione del pranzo della festa del Sacrificio

1966, naibul, la famiglia Masri, in occasione del pranzo della festa del Sacrificio

A proposito di dolore, nessuno può ripagare il rifugiato dall’impossibilità di tornare a casa. È bello avere una patria, anche solo per tornarci, scriveva Cesare Pavese.

È doloroso perdere un amico, un padre, un fratello, una sorella e non poter essere presente al funerale perché, per tornare in certe patrie e in tempo per l’ultimo saluto, bisogna avere il permesso di attraversare faticose frontiere. Poi, la tradizione islamica che ci mette del suo: il funerale va celebrato il giorno stesso della morte o, al massimo, il successivo. E tutto diventa tristemente complicato.

Quando è mancato il mio vecchio, l’ho saputo alcuni giorni dopo, allora non c’erano le comunicazioni istantanee di oggigiorno. Quando è deceduto mio fratello maggiore, me l’hanno detto il giorno dopo il funerale. Di recente è mancata Raia, mia sorella. Sono stato avvisato poco prima della preghiera di mezzogiorno, a funerale già celebrato.

Quando sei lontano e un tuo caro viene meno e non lo vedi con gli occhi chiusi per l’ultima volta, di lui ti rimangono i ricordi vivi. Questi, per fortuna, non muoiono mai e la loro patria, il cuore, non ha bisogno di visti né di permessi: entri ed esci dalla porta dei sentimenti quando vuoi e come ti pare. Se volessi ricordare Raia, mi verrebbe in mente un piccolo miracolo: era una ragazzina di poco più di 10 anni e venne investita sulle strisce pedonali. “Morta, non c’è nulla da fare”, dissero i medici. Ma la mamma, come tutte le mamme, non voleva sentire questa parola: la prese in braccio e la strinse al petto per 7 giorni. “Viva, rinata!”, dissero i medici. È diventata una bellissima ragazza, ha trovato un bellissimo beduino come marito, ha avuto dei bellissimi figli e altrettanti bellissimi nipoti.

È bello avere una patria, anche solo per tornarci in tempo utile per i funerali. Ma per i palestinesi ci vuole sempre un miracolo anche per l’ultimo abbraccio.

Ieri l’altro la mamma ha provato ad abbracciare la figlia per farla rinascere ancora, ma questa volta, sia Dio che i medici, erano già andati via.

Peccato che nell’aldilà nessuno abbia più memoria altrimenti, un giorno, si potrà tornare a giocare a nascondino tra noi fratelli. 

Nablus, la granfde Moschea e scocio sulla città vecchia (ph. Reham Omar Abu Soud)

Nablus, la grande Moschea e scorcio sulla città vecchia (ph. Reham Omar Abu Soud)

In tutti questi anni di esilio, di sofferenza e di ingiustizia, ho sempre avuto la netta sensazione di avere dentro di me una forza bruta che non ho mai usato per paura di pentirmene. Subisco, taccio e cammino nel buio. Ma ogni volta che sento Trump, o chi come lui, nominare la sua soluzione finale per i Palestinesi in generale e per gli abitanti di Gaza in particolare, mi viene voglia di fermarmi, chiudere gli occhi e lasciare libera la mia anima nera di fare tutto ciò che ritiene necessario per porre fine all’arroganza di un povero uomo gonfio di sé come un tacchino che pensa di essere il nuovo messia. 

Ho sempre avuto la sensazione che ognuno di noi possieda una sua anima nera. Alcuni, a fatica, riescono a domarla e altri si lasciano convincere di essere guidati dal Signore per scatenare l’inferno in Terrasanta.

Questo è il tempo dei cattivi, quelli che danzano sul tetto del mondo mostrando i denti, questo è il tempo dei poveri cristi, quelli che camminano scalzi in cerca di riparo. Questo è il tempo degli uomini crudeli e meschini, questo è il tempo di chiudere gli occhi e viaggiare al buio in mezzo alle macerie senza avere paura, questo è il tempo di sperare che mamma giustizia faccia da sé e in fretta. 

Dialoghi Mediterranei, n. 72, marzo 2025 

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Muin Masri,  di Nablus (Palestina), in Italia dal 1985, ha studiato informatica al Ghiglieno di Salerano e si è laureato in Scienze Politiche all’Università degli Studi di Torino. Ha esordito nel 1994 con Racconti?, una raccolta bilingue (italiano – francese) pubblicata da Scriptorium. Ha pubblicato, tra l’altro, il miniracconto Le mutande nere (Goethe Institut, 1996), i romanzi Il sole d’inverno (Lupetti & Fabiani, 1999), Pronto ci sei ancora? (Portofranco, 2001 – Lochness libri, seconda edizione 2006) e Io sono di là (Michele di Salvo – Traccediverse, 2005). Nel 2001 ha realizzato Viaggio di sola andata, cinque episodi trasmessi da Radiotre nell’ambito del programma Centolire. Nel 2007 ha pubblicato due contributi nelle raccolte Cuori migranti (a cura di Lorenzo Dugulin – CACIT Editore) e Mondopentola (a cura di Laila Wadia – Cosmo Iannone Editore). Ha partecipato alla rassegna “Autori per Roma – la città e il mondo” con il testo teatrale “Mamma a Roma. Stop” (a cura del Teatro Eliseo e del Comune di Roma). Nel 2008 ha pubblicato il racconto “Estraneità” incluso nella raccolta Amori Bicolori (a cura di Flavia Capitani ed Emanuele Coen – Contromano, Editori Laterza). Dal 2007 al 2011 ha collaborato alla rubrica “Cronache italiane” per il settimanale Internazionale. Nel 2015 ha pubblicato con Streetlib e in formato ebook i racconti “Il fantasma, la vergine e lo spirito santo”. Nel 2024 ha pubblicato Vendesi croce con www.edizioninautilus.it di Torino.

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