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Selinunte insieme a Hulot e Fougères

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di  David Camporeale

Vede finalmente la luce, in una fase di rinnovato interesse per l’archeologia selinuntina, la traduzione italiana della celebre monografia di Jean Hulot e Gustave Fougères, Sélinonte. Colonie dorienne en Sicile. La Ville, l’Acropole et les Temples, pubblicata nel 1910 a Parigi, per i tipi di Charles Massin, in soli cinquecento esemplari. L’importante iniziativa editoriale, patrocinata dall’Assessorato Regionale dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana, è stata realizzata dal CRICD, Centro Regionale per l’Inventario, la Catalogazione e la Documentazione, grazie all’impegno di un’équipe di studiosi coordinata da Giuseppe L. Bonanno e Adriana Fresina.

Ma la suddetta pubblicazione è molto più della semplice riedizione dell’opera originale: la traduzione italiana occupa, infatti, solo la parte centrale delle tre in cui il volume è articolato, con il pregio di mantenere l’impostazione grafico-illustrativa e la numerazione del testo francese e di presentare a colori, anziché in monocromia, le splendide tavole di Hulot, acquisite (con altre inedite) presso l’ESBA, École Supérieure des Beaux-Arts di Parigi.

L’opera, dedicata alla memoria di Vincenzo Tusa, presenta nella prima parte gli Appunti selinuntini, a firma dei due curatori, che, con i profili di Vincenzo Tusa (fondatore del Parco Archeologico, che ha tutelato Selinunte dalla speculazione edilizia e dagli scavi clandestini) e di Vincenzo Consolo (che in Retablo e ne Le Pietre di Pantalica ha consacrato pagine indimenticabili all’eterna suggestione delle rovine della grande colonia greca), offrono utili ragguagli sull’archeologia di Selinunte, trattando delle fonti antiche, della riscoperta del Fazello e degli studi posteriori, fino al 1910.

La prima sezione, le cui pagine introduttive sono arricchite dalle riproduzioni di antiche fotografie di Selinunte, conservate negli archivi del Museo della fotografia siciliana del CRICD, è completata dal documentato saggio di Martine Fourmont Jean Hulot e Gustave Fougères, ieri e oggi, che ricostruisce, con dettagli inediti, l’identità dei due autori e l’ambiente storico-culturale in cui la loro opera nasce, fornendo un contributo di grande interesse.

La seconda parte del libro offre l’attesa traduzione italiana della monografia di Hulot e Fougères, curata da Giuseppe L. Bonanno, Aurelio Giardina e Martine Fourmont; e se lievi imperfezioni (peraltro ineludibili in imprese di tale impegno) possono denotare che essa è stata condotta da due studiosi italiani non francesisti e da un’archeologa francese non italianista, deve comunque essere riconosciuto pienamente il merito del servizio da loro reso alla cultura, che appare tanto maggiore considerando l’insufficiente grado di conoscenza della lingua francese da parte delle giovani generazioni di studiosi.

Al lettore contemporaneo l’opera riserva la sorpresa di un’inopinata modernità d’impostazione e di sviluppo, con un eccezionale apparato documentario che rivela la grande erudizione di cui Gustave Fougères aveva già dato segno in Mantinée et l’Arcadie Orientale, edita nel 1898 a Parigi per i tipi di Albert Fontemoing e che  confermerà nel 1911 in Grèce, uscita nella collana de Les Guides Bleus di Louis Hachette.

La monografia comprende un’introduzione, che descrive in due capitoli il paesaggio e le caratteristiche del sito d’insediamento coloniale di Selinunte, seguita dal libro I, che in sette capitoli ricostruisce organicamente i 378 anni di vita di Selinunte, dal 628 al 250 a.C., utilizzando in modo esaustivo la superstite documentazione storica, e dal libro II, in nove capitoli, che ne illustra l’archeologia in un quadro di visione unitario, ampliato da costanti riferimenti ai monumenti della Grecia, di cui il Fougères possedeva una vasta e sicura conoscenza.

Nei tre capitoli iniziali del libro II viene rappresentato nei suoi vari aspetti (dalla cinta di fortificazione all’assetto viario, dalle aree sacre ai quartieri residenziali, dalle strutture portuali alle necropoli) l’impianto urbanistico della città, prima e dopo la distruzione del 409 a.C.; nei successivi quattro capitoli viene illustrata con esemplare chiarezza, favorita dai rilievi e dalle ricostruzioni di Hulot, l’architettura templare selinuntina, passando in rassegna i monumenti dell’acropoli, della collina orientale e della Gaggera; inoltre vengono debitamente affrontate problematiche, ancora attuali, relative all’origine e all’evoluzione dell’ordine dorico.

Il capitolo VIII è dedicato alla scultura di Selinunte, che il Fougères, in contrapposizione con l’indirizzo al suo tempo prevalente, che riconduceva allo “ionismo” tutte le manifestazioni dell’arte ellenica, collega originalmente alle correnti doriche e peloponnesiache, con cui in effetti Selinunte intrattenne più frequenti e intensi rapporti, derivanti anche dalla partecipazione alle feste panelleniche.

Nel capitolo IX, infine, Fougères illustra le motivazioni e i criteri esecutivi del restauro architettonico della città e dei templi proposto nell’opera attraverso le tavole di Hulot, spiegando che gli elementi integrativi non sono frutto di vuota immaginazione, ma derivano dal confronto con quelli realmente presenti in città coeve, venuti alla luce negli scavi di Tera, Priene, Delo, Pompei e Atene; giustifica altresì l’esigenza del collega Hulot, condivisa con profonda adesione, di non limitarsi ad una «restituzione puramente lineare e architettonica dei monumenti», ma di offrire al lettore «un panorama pittoresco e animato» dell’antica e della nuova Selinunte. E alla luce di queste considerazioni appaiono insussistenti le riserve espresse ne La Magna Grecia da Jean Bérard, il quale ha giudicato Sélinonte «opera da consultarsi con cautela».

Occorre rilevare che per Fougères la colta immaginazione, cui talvolta egli stesso non esita a fare ricorso nella sua trattazione, è lo strumento principe di cui il lettore di antichità deve avvalersi per completare e comprendere quanto ai suoi occhi appare mutilo e frammentario; sicché, in polemica con i sostenitori dell’anastilosi, e anticipando una tesi ancor oggi vivamente dibattuta, sostiene che «la tragica disseminazione delle rovine “distese” di Selinunte è un’opera rara che sfida gli artifici della ricostruzione».

La terza parte del volume comprende la bibliografia, mancante nell’edizione del 1910, e qui curata da Donatella Metalli, e la traduzione (di Giuseppe L. Bonanno e Martine Fourmont) della Memoria storica ed esplicativa allegata al Saggio di ricostituzione di una città antica. Selinunte, colonia dorica in Sicilia alla fine del V secolo a.C., che l’architetto Jean Hulot, allora borsista dell’Accademia di Francia a Roma, presentò il 2 luglio 1906 come elaborato finale del suo IV anno.

Nelle descrizioni della Memoria si colgono distintamente le singolari capacità di osservazione dell’architetto parigino, cui Dieter Mertens tributa un dovuto riconoscimento in Selinus I. Die Stadt und ihre Mauern, chiamandolo il «geniale Hulot»; e a conferma del valore dei suoi rilievi, basti ricordare che recentemente l’indicazione di una Chapelle en ruines, contenuta nel suo Plan d’ensemble di Selinunte, ha permesso di riportare alla luce nell’area portuale alla foce del Modione un battistero cristiano del V secolo. E anche Ferdinando Lentini, l’archeologo che ha effettuato lo scavo, non esita a definire «geniale» la lettura fatta da Hulot, che ha esattamente interpretato il monumento senza neppure esplorarlo.

Può dunque concludersi che l’opera Selinunte insieme a Hulot e Fougères, oltre al godimento intellettuale di uno splendido libro, offre uno strumento ancora valido di consultazione e di ricerca, di cui potranno avvalersi le molte indagini, ancora aperte, sull’archeologia di Selinunte. Potrà servire come compiuto modello di riferimento per una monografia aggiornata, di cui è sempre più avvertita l’esigenza.

Dialoghi Mediterranei, n.4, novembre 2013
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