di Alessandro D’Amato
Il ruolo esercitato dagli epistolari nella ricostruzione delle vicende biografiche e intellettuali di letterati e personaggi celebri assume una notevole importanza, determinata dalla possibilità di portare alla luce notizie di prima mano, approfondire informazioni già note oppure, più semplicemente, trovare una piccola indicazione da cui partire per la ricostruzione di un percorso del tutto oscuro (perlomeno, nella sua fase iniziale). In quest’ultimo caso, vengono a contrapporsi, da un lato, l’entusiasmo che il ricercatore può provare dinnanzi a un indizio potenzialmente in grado di condurlo verso la scoperta di un prezioso tesoro e, dall’altro, le oggettive difficoltà di chi si trovi a fare i conti con una traccia dalle dimensioni estremamente ridotte.
Nel caso in questione, la traccia è rappresentata da uno stralcio di lettera, inviata dal compositore Salvatore Pappalardo a Serafino Amabile Guastella (1819-1899), letterato e studioso di tradizioni e costumi popolari, noto tra gli appassionati di studi demologici per aver pubblicato importanti contributi [1] e, soprattutto, per essere stato uno dei più vivi e apprezzati collaboratori ‘periferici’ di Giuseppe Pitrè. Al medico palermitano, primo titolare in Italia di una cattedra di demopsicologia, infatti, attraverso un rapporto epistolare durato per ben venticinque anni (dal 20 dicembre 1873 al 29 dicembre 1898), Guastella inviò una mole considerevole di informazioni relative ai territori di quella un tempo nota come Contea di Modica e oggi, a grandi linee, corrispondente alla provincia di Ragusa [2]. Il contributo di Guastella, tuttavia, va ben oltre l’aspetto immateriale, condensandosi nell’invio di alcuni capi di vestiario contadino, utilizzati da Pitrè per l’Esposizione Industriale di Milano del 1881 e, successivamente, in occasione della celebre Mostra Etnografica Siciliana del 1891-92 e inevitabilmente destinati a confluire nelle collezioni del Museo Etnografico Siciliano, fondato dallo stesso Pitrè a Palermo, nel 1909 [3].
Ben prima che Guastella iniziasse a coltivare la passione per il mondo dei costumi e delle tradizioni popolari, quando ancora le sue attività erano prioritariamente orientate verso il mondo delle lettere, della poesia e dell’impegno civile [4], il compositore Salvatore Pappalardo gli inviò una missiva contenente le seguenti parole:
«Venerato sig. Guastella, nel mandarle le mie Brezze Nolane, dove trovasi il suo divino Ti vidi appena!, mi permetto pregarla d’un segnalato favore.
Potrebbe scrivere per me qualche duettino? È un genere da camera ricercatissimo, principalmente dai forestieri. Io non ne ho scritto niuno di questi componimenti, e, per provarmi anche in questo campo, amerei il sussidio della sua mente creatrice, che conosce così profondamente il cuore umano […]» [5].
Come accennato, il suddetto brano costituisce parte di una lettera scritta nel 1855, a testimonianza di un rapporto di fiducia e collaborazione, iniziato dieci anni prima e consumatosi per poco più di un decennio. Per quanto reperito attraverso difficoltose ricerche, Guastella scrisse, per conto di Pappalardo, i testi di quattro opere musicali, dimostrando una volta ancora quell’eclettismo che, da più parti, gli è stato riconosciuto. Purtroppo, l’assenza di un organico corpus epistolare guastelliano rende meno agevole la ricostruzione dei rapporti che condussero a tale collaborazione: tuttavia, essa dovette svilupparsi in modo complesso, così come testimonia la lettera di Pappalardo, che pregò Guastella di un’evoluzione – “qualche duettino” – rispetto a quanto precedentemente elaborato. L’esito di tale richiesta si risolse in un testo ancor più complesso, un terzettino poetico, intitolato L’alba, che accompagnò l’omonima opera del musicista di origini etnee.
Salvatore Pappalardo nacque a Catania nel 1817. Fu allievo di Pietro Raimondi al Conservatorio di Palermo, da dove, una volta conseguito il diploma, tornò a Catania, per divenire direttore d’orchestra del locale Teatro Comunale e, nel 1841, docente di contrappunto all’Ospizio di Beneficenza. A questa fase, molto probabilmente, si devono i suoi primi contatti con Guastella. Successivamente, infatti, nel 1855, si trasferì a Napoli, dove insegnò contrappunto presso l’Albergo dei Poveri e ricevette il titolo di Compositore di Camera del Conte di Siracusa, Leopoldo di Borbone, fratello del re delle Due Sicilie. Alla città partenopea si legò la maggior parte della sua produzione connessa al teatro e alla musica da chiesa e, qui, Pappalardo portò in scena due tra le sue opere principali: L’Atrabiliare, commedia in 4 atti, rappresentata nel 1856 al Teatro Nuovo, e Mirinda, opera seria in 3 atti, eseguita nel 1860 al San Carlo. Fu da alcuni considerato come un precursore del risveglio musicale partenopeo [6], così come da altri ricordato come «autore di musica da camera rimasta inedita e sconosciuta» [7]. Probabilmente furono proprio le melodie per canto e pianoforte le sue migliori composizioni, apprezzate all’estero (e, in specie, in Germania) più di quanto non lo siano state in Italia. Firmò alcune opere con lo pseudonimo Paraladopp (banale anagramma di Pappalardo) e si occupò anche di Letteratura Musicale, scrivendone su un giornale politico napoletano. Morì nel capoluogo campano nel 1884 [8].
Nel 1846, per l’editore Giovanni Ricordi di Milano, Pappalardo pubblicò sei melodie per canto, con accompagnamento di solo pianoforte, dal titolo Brezze del Sebeto. Questa raccolta comprende i primi due testi di Guastella, La Penitente e Pepita, e un terzo, dal titolo L’estinta, le cui parole sono attribuite a una non meglio precisata «Sig.ra Guastella» [9]: allo stato attuale, non siamo in grado di stabilire se si trattò di semplice omonimia, di errore tipografico d’attribuzione o di una parente del barone [10].
Tornando ai testi certamente attribuibili a Serafino Amabile Guastella, nel caso de La Penitente si tratta di una melodia per voce di soprano o tenore, con accompagnamento di pianoforte e violoncello, dedicata alla Sig.ra Mariannina Finati. Pepita, invece, è un Bolero per voce di basso o contralto, con accompagnamento di pianoforte, dedicato al Sig. Marcello Mastrilli de’ Duchi Gallo. I testi di tali opere risultano estremamente diversi l’uno dall’altro, ma danno modo di verificare le due anime della poetica guastelliana. Da un lato, ne La Penitente, emerge tutta la spiritualità dell’autore, evidentemente influenzato dal giovanile insegnamento impartitogli a Palermo dall’abate Borghi, le cui teorie si contrapposero agli ambienti progressisti e alle ideologie riformiste che Guastella frequentò nel capoluogo siciliano. Tra l’altro, questa stessa spiritualità fu segnalata da Giuseppe Micciché nella prefazione alla ristampa dei Primi versi e prose di Guastella, a proposito di alcune poesie che, a soli diciassette anni, pubblicò su «Il Vapore», periodico palermitano [11].
In Pepita, invece, si sublimano, a un tempo, un sottile quanto tenue erotismo e l’amarezza finale, anch’essi elementi tipici di alcune giovanili produzioni poetiche di Guastella, chiaramente influenzate da una vena tardo-romantica. In tal senso, occorre far cenno alla raccolta di testi poetici (composti tra il maggio 1837 e il febbraio 1841) La religione del cuore. Romanze e melodie, esordio editoriale guastelliano, nella cui prefazione, intitolata “Ai giovani siciliani”, il barone afferma:
«il cuore è una poesia per sé stesso, una poesia vera, generosa, profonda; una poesia senza regole, senza orpelli, senz’arte. In ciò solo sta il titolo di queste mie melodie, perché l’amore è poesia. […]. Le mie poesie saranno poche, lievi, fantastiche, perché ritraggono l’indole dei tempi nostri; saranno erotiche perché l’amore è la sola vita di un giovane; saranno sparse di una nube di leggiera tristezza; perché ciò forma l’indole del loro Autore» [12].
Tra l’altro, alcune delle romanze comprese ne La religione del cuore, costituiscono a tutti gli effetti dei testi pronti per essere rappresentati in lirica, rispettando i meccanismi stilistici dell’Opera: essi, infatti, sono caratterizzati dalla presenza di personaggi scenici e di una struttura suddivisa in atti (o parti). Inoltre, altre due composizioni in versi sono intitolate A Listz e Il Waltz, a testimonianza dello stretto legame intessuto dall’autore, in questa fase, con il mondo della musica.
La costante dei suoi scritti giovanili fu, quindi, rappresentata da una certa concezione spiritualistica dell’arte, così come rilevato da Sebastiano Lo Nigro: «l’artista è il creatore individuale che s’innalza sulle moltitudini e ne esprime con la potenza del suo linguaggio musicale o poetico i bisogni e gli affetti» [13]. D’altronde, pochi anni prima, Guastella fu impegnato nella stesura di un lungo e articolato saggio, Qualche parola su la musica italiana, che rappresentò il suo esordio come critico [14]. Dalla lettura di tale testo «si evince una sicura conoscenza della tematica relativa ai caratteri della musica lirica italiana, e in particolare di Rossini, Bellini e Donizetti, nei primi decenni dell’‘800 a confronto di quella espressa nei secoli precedenti in Italia e nello stesso ‘800 dalle scuole tedesca e francese» [15].
Come è lecito attendersi, Guastella volle manifestarvi le proprie idee, relativamente al ruolo esercitato tanto dall’unicità del genio individuale quanto dal sentimento, nella realizzazione di un’opera d’arte, sia essa afferente all’ambito musicale che riferita alla letteratura, alla pittura o alla scultura: «Quando un’arte qualsiasi è circoscritta; quando la sua perfezione non si ripete da circostanze straordinarie ed esterne; da circostanze che dipendano dal complesso delle genti e del tempo; e allora basta una spinta, basta una più viva scintilla, basta una mente che concepisca i bisogni del secolo; che si addentri nel cuore e negli affetti di chi voglia piacere; e l’arte sul nascere sarà nata perfetta». Queste parole, da un lato, dimostrano un senso dell’arte estremamente elevato, fondato su un’idea della genialità che trova espressione nella capacità di introdurre degli elementi prima di allora inediti e nel saper andare oltre il rischio e la tentazione dell’imitazione e, dall’altro lato, ci indicano anche in quale alta considerazione Guastella dovette tenere Salvatore Pappalardo, se accettò di collaborare con lui, nell’elaborazione di alcuni testi musicali, per di più con scansioni temporali piuttosto dilatate nel tempo.
Tornando, per l’appunto, ai testi per le liriche di Pappalardo, le ultime due opere, databili nella seconda metà degli anni 1850, si connotano essenzialmente per gli espliciti riferimenti al sentimento amoroso. Ti vidi appena!, cui si riferisce la lettera di Pappalardo citata inizialmente, fa parte della raccolta di quattro melodie intitolate Brezze Nolane, edita dallo Stabilimento Musicale Partenopeo, dell’Antica Casa Girard di Napoli, presumibilmente nel 1855. Si tratta di una composizione per solo pianoforte, nel cui testo guastelliano il tema dell’amore eterno e irraggiungibile determina la cifra stilistica dell’opera intera.
Infine, il terzettino L’alba, per le voci di soprano, contralto e tenore, con accompagnamento di pianoforte, è compreso nell’Album vocale da stanza, pubblicato nel 1857 dal Privilegiato Stabilimento Musicale Partenopeo, di Teodoro Cottrau, e dedicato «all’Eccellente Dottore Raffaele Buonomo». Qui, probabilmente, i temi dell’amore etereo e del desiderio raggiungono l’apice, consolidandosi nella struttura stessa dell’opera, dove le tre voci si rincorrono e intrecciano, contribuendo ad elevare toni, ritmi e qualità del componimento.
Gli anni in cui Guastella si impegnò nella stesura di questi due ultimi testi ci avvicinano a una fase molto particolare della sua biografia intellettuale: una fase di rottura rispetto al passato, culminata nell’elaborazione delle sue più apprezzate opere, laddove si cimentò nello studio e nell’analisi della realtà sociale del suo tempo, con un’attenzione particolare per le tradizioni popolari e la realtà contadina, dando prova di senso critico e sensibilità insoliti.
Prima di arrivare a questa maturità, tuttavia, tra la fine degli anni Quaranta e i primissimi anni Sessanta, Guastella profuse un notevole impegno politico e ideologico che lo condusse, dapprima, a sostenere le speranze sicilianiste dei moti rivoluzionari del 1848 e, successivamente, nel 1860-61, ad assumere un atteggiamento democratico-borghese di adesione al governo liberale piemontese. Nelle speranze di Guastella, difatti, la soluzione unitaria avrebbe sollevato la realtà siciliana – contraddistinta da una classe dirigente incompetente e corrotta – dai pericoli clericali e borbonici [16]. Fu in questo più ampio contesto che egli scrisse un dramma sacro, da portare in scena nel Duomo di Chiaramonte, in occasione del novenario di Maria SS. di Gulfi, nel 1859, accompagnato dalle musiche dell’autore ennese Antonino Pregadio. Si tratta dell’Aod, composizione musicale d’ispirazione religiosa ambientato in terra d’Israele, dove i due protagonisti principali – il tiranno Eglon e l’eroe Aod – rappresentano rispettivamente, in modo allegorico, l‘assolutismo borbonico e l’eroe chiamato a liberare la Sicilia, a testimonianza del riformismo sociale caratterizzante questa fase del pensiero guastelliano [17].
Più che altro, quest’ultimo riferimento ci sembra utile per rafforzare il senso e la portata del legame esistito tra Guastella e la musica, dagli esordi – appena ventenne – in veste di critico della realtà operistica italiana a lui contemporanea, ad autore di testi per melodie da teatro e da camera – per un decennio, dai trenta ai quarant’anni. A proposito di quest’ultima attività, ci sembra di poter affermare che i quattro testi realizzati per le composizioni di Pappalardo rappresentino il vertice della fase ascendente di questa parabola. Purtroppo, a causa delle scarse notizie biografiche relative al compositore catanese e all’assenza di ulteriori riscontri archivistici non ci è dato sapere se mai tali opere furono eseguite pubblicamente o se, come appare più probabile dato il genere cui esse vanno ascritte, esse furono destinate a esclusive esecuzioni in forma privata.
Dialoghi Mediterranei, n.25, maggio 2017
Note
[1] Per brevità, ricordiamo soltanto le opere note al grande pubblico: Canti popolari del circondario di Modica (Lutri & Secagno, Modica 1876); Le parità e le storie morali dei nostri villani (Piccitto & Antoci, Ragusa 1884); L’antico carnevale della Contea di Modica (Piccitto & Antoci, Ragusa 1887).
[2] G. Brafa Misicoro (a cura di), Lettere di Serafino Amabile Guastella a Giuseppe Pitrè. Carteggio epistolare (1873-1898), Ragusa-Palermo 2003.
[3] Sull’argomento abbiamo già dedicato un contributo, nel 2003: A. D’Amato, I ‘musei’ del Guastella-antropologo, «Antropologia museale», II, 4, estate 2003: 24-30.
[4] Relativamente all’impegno civile e politico di Guastella si rimanda alla pubblicazione periodica, interamente a cura dello stesso studioso, Fra Rocco. Gazzettina morale, Tip. Gioberti, Modica-Chiaramonte 1860-62.
[5] Lettera di S. Pappalardo a S.A. Guastella, anno 1855, cit. in V. Interlandi, Serafino Amabile Guastella. Compilazione, Tipografia G. Cenerelli, Bologna 1899: 27-28.
[6] G. Pannain, La musica strumentale in Italia, Arione, Torino 1939.
[7] A. Capri, Storia della musica. Dalle antiche civiltà orientali alla musica elettronica, Vallardi, Milano 1969: 16
[8] F. Pastura, Secoli di musica catanese. Dall’«Odèon» al «Bellini», Niccolò Giannotta Editore, Catania 1968:134-135. Altre, essenziali notizie, possono ricavarsi dal sito web www.armelin.it/Autori/Pappalardo.htm. Sull’attrattiva esercitata dal teatro musicale sui compositori dell’Ottocento, si rinvia all’articolo di E. Abbadessa, Quei musicisti siciliani inghiottiti dall’oblio. Siciliani all’opera alla Scala ma senza gloria, «La Repubblica» (edizione di Palermo), 3 settembre 2010: 1 e 12.
[9] L’estinta, melodia per voce di soprano o tenore, con accompagnamento di pianoforte, composta da S. Pappalardo, con parole della Sig.ra Guastella, dedicata a Miss Georgiana Duff Gordon, in Brezze del Sebeto, Ed. Ricordi, Milano 1846: 27-33.
[10] Per le sue origini aristocratiche, e per la contemporanea passione per lo studio del mondo contadino, Guastella fu, da Giuseppe Cocchiara, ribattezzato “barone dei villani”, parafrasando la celebre etichetta di “contessa dei contadini”, attribuita alla studiosa friulana Caterina Percoto (cfr. G. Cocchiara, Popolo e letteratura in Italia, Einaudi, Torino 1959: 222-224).
[11] G. Micciché, prefazione a S.A. Guastella, Primi versi e prose, Centro Studi ‘Feliciano Rossitto’, Ragusa 1986: 3-6.
[12] S.A. Guastella, La religione del cuore. Romanze e melodie, Pedone, Palermo 1841
[13] S. Lo Nigro, Serafino Amabile Guastella tra letteratura e sociologia, in AA.VV., Serafino Amabile Guastella e la cultura contadina nel Modicano, Atti del Convegno, Modica-Chiaramonte Gulfi, 13-16 marzo 1975, a cura della Società di Storia Patria per la Sicilia Orientale, «Archivio Storico per la Sicilia Orientale», LXXV, I, 1979: 15
[14] S.A. Guastella, Qualche parola su la musica italiana, «Giornale di Scienze Lettere ed Arti per la Sicilia», XVII, 65, gennaio 1839: 44-69.
[15] G. Micciché, cit.: 7
[16] «[...] l’intransigente unitarismo guastelliano, […], trae origine dalla radicata convinzione dell’incapacità politica della classe dirigente siciliana di far da sé, divisa com’è dagli odii municipali e dalle scissioni politiche»: G. Barone, Ideologia e politica nel «Fra’ Rocco» (1860-1862), in AA.VV., Serafino Amabile Guastella e la cultura contadina nel Modicano, cit.: 131.
[17] S.A. Guastella, Aod, con musica di Antonino Pregadio, Tipografia di C. Galatola, Catania 1859.
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Alessandro D’Amato, dottore di ricerca in Scienze Antropologiche e Analisi dei Mutamenti Culturali, vanta collaborazioni con le Università di Roma e Catania. Oggi è un antropologo freelance. Esperto di storia degli studi demoetnoantropologici italiani, ha al suo attivo numerose pubblicazioni sia monografiche che di saggistica. Insieme al biologo Giovanni Amato ha recentemente pubblicato il volume Bestiario ibleo. Miti, credenze popolari e verità scientifiche sugli animali del sud-est della Sicilia (Editore Le Fate 2015)
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