di Giovanni Gugg
Il fiume è un bocciodromo
Il 17 luglio 2022 l’agenzia giornalistica ANSA ha pubblicato [1] alcune fotografie di Andrea Fasani sul Po in secca tra Parma e Reggio Emilia: vi sono ritratti due uomini a petto nudo, con i pantaloncini e il cappellino in testa; quello con il copricapo bianco ha appena lanciato in aria una palla, mentre quello con il cappello blu ne tiene in mano un’altra e aspetta il suo turno; giocano a bocce sulla sabbia del letto di un torrente laterale del Po, prosciugato dalla siccità. Nell’estate 2022, l’osservato speciale è stato proprio il Po, il simbolo dell’estrema aridità che ha caratterizzato gran parte dell’anno, con molti mesi particolarmente difficili per l’intera Pianura Padana.
I flussi dei corsi d’acqua sono scesi al di sotto delle quote minime durante i mesi estivi per l’effetto combinato di due fattori: da un lato l’aumento delle temperature più della media stagionale e, dall’altro, la rarefazione delle precipitazioni, talvolta cadute in modo disomogeneo sul territorio e con violenza. Tuttavia, la causa principale del problema va ricercata nei mesi precedenti, quelli invernali, quando sulle montagne dell’arco alpino ha nevicato molto poco.
Nella seconda puntata del podcast “L’ultima goccia”[2], la giornalista Francesca Milano ha intervistato Elisa Palazzi, professoressa di Fisica del clima all’università di Torino, la quale ha spiegato che la temperatura in montagna è aumentata di circa il doppio di quanto abbia fatto a livello medio globale o nelle regioni circostanti: «quest’anno abbiamo avuto meno neve, la precipitazione nevosa ha scarseggiato tantissimo, fino al 60%, anzi più del 60% in molte regioni delle Alpi italiane, soprattutto quelle nordoccidentali; inoltre la precipitazione è scarseggiata, quindi i ghiacciai si ritirano, c’è una frammentazione dei grandi ghiacciai, per cui viene dato spazio a ghiacciai più piccoli che, però, sono molto più vulnerabili rispetto al riscaldamento globale».
Quando i ghiacciai fondono e si ritirano c’è una prima fase di alimentazione dei fiumi e dei torrenti impulsiva, che nello stesso momento fornisce un apporto di acqua importante, ma questo non contrasta l’aridità, perché l’equilibrio dell’ecosistema richiede una disponibilità idrica a lento rilascio. Inoltre, aggiunge Elisa Palazzi, la riduzione dei ghiacciai preoccupa molto perché questi rappresentano «una disponibilità di acqua per i decenni a venire», per cui la loro scomparsa ha effetti che dureranno ancora a lungo nel tempo. La crisi climatica che ci troviamo ad affrontare non è dunque un fenomeno estivo, ma una condizione che si è creata soprattutto con la scarsità di precipitazioni nevose nell’inverno precedente: «la neve che cade nella stagione fredda è quella che poi, fondendo in estate, garantisce l’approvvigionamento di acqua per gli usi civili, per l’agricoltura e anche per la produzione di energia».
Secondo uno studio di Eurac Research sullo stato del clima in Alto Adige [3], in quella provincia la temperatura media annua è aumentata di 2°C dal 1980 a oggi e a Bolzano e Bressanone di 3°C in estate. Ad altitudini superiori ai 1.000 metri, i giorni di gelo sono circa 40 in meno all’anno rispetto agli anni ’80. Evidentemente, i casi vissuti quest’anno non sono episodici, ma vere e proprie conseguenze tangibili del riscaldamento globale: caldo estremo, siccità, incendi boschivi, precipitazioni intense e inondazioni sono ormai considerati scenari di rischio abituali da chi si occupa di Disaster Risk Reduction e di Climate Change Adaptation, ad esempio nell’ambito della progettazione di nuovi insediamenti o in quello della pianificazione di una “resistenza” quanto più elevata possibile rispetto alle conseguenze, inevitabili e già in atto, del mutamento attuale.
A questo proposito, il monitoraggio dei cambiamenti climatici e l’aggiornamento continuo dei dati rende visibili le trasformazioni ed evidenzia le tendenze, che non rappresentano un punto di arrivo, ma un punto di partenza per ulteriori riflessioni e sviluppi futuri. L’auspicio è di orientare le azioni verso una “neutralità climatica”, ovvero verso l’azzeramento delle emissioni nette di gas a effetto serra [4]. L’assunto di base è che il cambiamento climatico antropogenico non è un problema a sé stante, ma l’espressione di una più ampia crisi del rapporto della società con la natura, per cui – per tentare una mitigazione del fenomeno – non ci si può affidare unicamente a soluzioni di carattere tecnologico, ossia orientate a un incremento dell’efficienza, perché la questione necessita, piuttosto, di una più vasta trasformazione socio-ecologica della società, la quale è chiamata ad affrontare aspetti non solo ambientali, ma anche sociali, politici ed economici.
Importante, dunque, è anche monitorare con attenzione e costanza le risposte sociali e locali a tali fenomeni: come le persone e i gruppi danno senso a quel che accade, quali azioni mettono in pratica per difendersi, mitigare e prevenire, quali misure simboliche adottano per rapportarsi a una tematica certamente nuova, eppure non del tutto inedita. In questo quadro, la crisi della siccità che nel 2022 ha colpito l’Italia, soprattutto nelle regioni settentrionali, ha visto un fiorire di pratiche rituali collettive, accanto a iniziative tecnico-scientifiche di emergenza, come il razionamento dell’acqua per l’irrigazione o per gli usi domestici, lo stoccaggio di riserve idriche da cui attingere in momenti di particolare gravità, la sperimentazione di pratiche di gestione del territorio più ecosostenibili e così via.
Preghiere collettive contro la siccità
Nei mesi scorsi, alcuni esperti di crisi idriche hanno spiegato [5] quanto fosse delicata la situazione nel bacino distrettuale del Po, evidenziando che era il frutto di «ritardi decennali e regole sbagliate», aggiungendo che «stiamo ballando sul Titanic». Quella dell’affondamento del celebre transatlantico è un’immagine ricorrente nei discorsi sull’elaborazione sociale del rischio, viene evocata per smuovere le coscienze, per far prendere consapevolezza del pericolo e, dunque, per indurre una forma di urgente attivismo a più livelli. È una figura retorica efficace e che può avere una sua utilità; tuttavia, ha in sé anche una quota di giudizio di valore, lo stesso emerso in certi commenti alle foto dei giocatori di bocce sul letto del fiume in secca, come se quelle persone fossero indifferenti e fataliste, disinteressate al disastro che si stava compiendo sotto i loro piedi. In realtà, non sappiamo nulla di loro, di quel che pensano del caso in oggetto, di quel che potrebbero fare, del perché fossero lì a giocare. Ciò che sappiamo, invece, è che l’atteggiamento più diffuso è di sconcerto, stupore, disorientamento rispetto a fenomeni inusuali, se non addirittura sconosciuti nell’esperienza della generazione attuale di certe zone del Paese.
Ogni crisi richiede la ricerca di una spiegazione, per cui frequentemente si fa ricorso a codici culturali del passato, ad elementi identitari profondi da riattivare per l’occasione. Per questo la modernità ci sembra particolarmente affollata di credenze, riti, utopie, religioni, leader carismatici, leggende metropolitane… dandoci l’impressione di vivere in una società non più “secolarizzata”, se mai lo sia stata. In realtà, nessuna collettività sembra poter fare a meno dei riti, i quali, come si può cogliere in tanti contesti disastrosi, rappresentano insieme un atto di cucitura del sociale, spazi di negoziazione e discussione attorno ai valori, contese di potere e anche sguardi protesi al futuro. Come riferisce Adriano Favole, «una società senza riti è una società monca, una costellazione di individui o famiglie singole, un coacervo di solitudini» [6]. Pertanto, i riti non vanno considerati alla stregua di “incrostazioni di passato” che “sopravvivono” in una modernità sempre più “sviluppata”, bensì come oggetti complessi e dalle sfaccettate sfumature che possono essere utili a svariate funzioni.
Accogliendo «la preoccupazione dei coltivatori della terra, degli allevatori e delle loro famiglie», sabato 25 giugno l’arcivescovo di Milano, Mario Delpini, si è recato in tre chiese della sua diocesi, presso «le terre del riso e del grano, le terre dei fossi e dei campi» (a Trezzano sul Naviglio, a Mediglia e a Trezzano Rosa), al fine di «pregare il santo Rosario per il dono dell’acqua, per il saggio utilizzo di questo bene vitale, per quanti soffrono il dramma della mancanza di risorse idriche». In particolare, monsignor Delpini ha invocato «la “Madonna della Bassa” perché la provvidenza di Dio venga in aiuto alla nostra debolezza» [7]. Inoltre, il portale-web della diocesi ambrosiana ha fornito ai fedeli alcune indicazioni elaborate dall’Ufficio per la Pastorale liturgica in modo che ogni comunità possa chiedere a Dio, nella forma più opportuna, «il dono della pioggia»:
1) il Messale prevede un’orazione apposita «per chiedere il dono della pioggia» (ivi: 1078) che può essere utilizzata con l’eucologia «per un saggio uso dei beni della terra» (ivi: 1069)
2) nella preghiera dei fedeli dei prossimi giorni si potrebbe aggiungere questa intenzione: «Grati perché ogni bene viene da te, Ti chiediamo il dono della pioggia che irriga e rende feconda la terra, ristora l’uomo e lo disseta. Rendici sempre più consapevoli della nostra responsabilità per il creato e solidali con quanti vivono il dramma per la mancanza di risorse idriche. Ti preghiamo
3) soprattutto nella campagna o comunque in spazi di verde si potrebbe pregare con il rosario o con alcune preghiere che si trovano sul benedizionale della Cei (per esempio, «benedizione alla campagna»: 757, oppure «benedizione alle acque»: 760).
Non molto distante da Milano, a Lodi, negli stessi giorni il vescovo Maurizio Malvestiti ha invitato i suoi fedeli a pregare «per la fine della siccità» e, anche in questo caso, l’Ufficio Liturgico Diocesano ha predisposto un breve sussidio [8], suggerendo in particolare di inserire una apposita intenzione nella “preghiera dei fedeli” della messa di domenica 26 giugno:
O Padre, da Te tutte le creature ricevono energia, esistenza e vita, dona alla terra assetata il refrigerio della pioggia, perché l’umanità, sicura del suo pane, possa ricercare con fiducia i beni dello spirito. Preghiamo
In altri casi, invece, le autorità ecclesiastiche hanno recuperato una preghiera pronunciata da san Paolo VI Papa durante l’Angelus del 4 luglio 1976 [9], come i vescovi Corrado Sanguineti di Pavia [10] e Douglas Regattieri di Cesena [11] o gli arcivescovi Gian Carlo Perego di Ferrara-Comacchio [12] e Andrea Bruno Mazzocato di Udine [13]:
Dio, nostro Padre, Signore del cielo e della terra (Mat. 11, 25),
tu sei per noi esistenza, energia e vita (At. 17, 28).
Tu hai creato l’uomo a tua immagine (Gen. 1. 27-28)
perché con il suo lavoro faccia fruttificare
le ricchezze della terra
collaborando così alla tua creazione.
Siamo consapevoli della nostra miseria e debolezza:
nulla possiamo senza di te (Cfr. Gv. 15).
Tu, Padre buono, che su tutti fai brillare il tuo sole (Mat. 5, 45)
e cadere la pioggia,
abbi compassione di quanti soffrono duramente
per la siccità che ci ha colpito in questi giorni.
Ascolta con bontà le preghiere a te rivolte
fiduciosamente dalla tua Chiesa (Luc. 4, 25),
come esaudisti le suppliche del profeta Elia (1 Re 17, 1),
che intercedeva in favore del tuo popolo (Giac. 5, 17-18).
Fa’ scendere dal cielo sopra la terra arida
la pioggia sospirata,
perché rinascano i frutti (Ibid. 5, 18)
e siano salvi uomini e animali (Sal. 35, 7).
Che la pioggia sia per noi il segno
della tua grazia e benedizione:
così, riconfortati dalla tua misericordia (Cfr. Is. 55, 10-11),
ti renderemo grazie per ogni dono della terra e del cielo,
con cui il tuo Spirito soddisfa la nostra sete (Gv. 7, 38-39).
Per Gesù Cristo, tuo Figlio, che ci ha rivelato il tuo amore,
sorgente d’acqua viva zampillante per la vita eterna (Ibid. 4, 14).
Amen.
Altrove sono state organizzate cerimonie più articolate, come ad esempio a Forlì, dove oltre alla preghiera è stato effettuato, alle 6 del mattino del 23 luglio, un pellegrinaggio al santuario della Beata Vergine della Consolazione a Rocca delle Caminate, in modo da «innalzare a Dio preghiere e suppliche per il dono della pioggia e dell’acqua». Per evitare confusioni con atteggiamenti superstiziosi, il vescovo Livio Corazza ha tenuto a precisare che «non viene proposto un gesto magico in cui si chiede a Dio di fare secondo la nostra volontà, ma un gesto di fede in cui chiediamo a Dio di essere pronti ad agire secondo la sua volontà»[14].
La settimana seguente, sempre nei paraggi della chiesa, il vescovo ha presieduto una processione di 150 fedeli con la benedizione dei campi e la recita, durante il percorso, di varie preghiere specifiche, fra cui quella di Papa Paolo VI. Come ha dichiarato mons. Corazza in un’intervista, «si tratta di un’antica tradizione, quella della benedizione dei campi. E siccome in questo momento sono arsi dalla siccità, è diventato un pellegrinaggio per il dono della pioggia. Ci pensavo da tempo, poi si sono incontrate varie esigenze»[15].
Processioni si sono tenute anche in altre località, come a Stagno Lombardo, nel cremonese, dove il 1° luglio la statua della Madonna del Brancere è stata portata in riva al Grande fiume [16], oppure come a Magenta, nel milanese, dove il 12 luglio si è recitato il Rosario camminando dalla chiesa di san Rocco alla cappella di san Bernardo; qui un articolo di cronaca locale fornisce un elemento in più per inquadrare il fenomeno e la sua percezione generale, perché una frase in grassetto e con un tono alquanto spigoloso lascia trasparire una certa preoccupazione per il giudizio che quella pratica devota può avere fuori dalla comunità: «non si è trattato e non si tratta di magia o superstizione, ma semplicemente di fede cristiana. Cosa che evidentemente cozza contro la dilagante secolarizzazione di oggi» [17]. Un’ulteriore processione si è tenuta a Imperia, in Liguria, dove Alessandro Ferrua, parroco della basilica di san Giovanni, ha recuperato un’antica tradizione propiziatoria, quella delle rogazioni, per la buona riuscita della semina, e di «una pioggia ristoratrice». Venerdì 12 agosto un centinaio di parrocchiani sono usciti in corteo per un breve giro intorno al quartiere di largo Ghiglia, hanno benedetto con il Crocefisso ai quattro punti cardinali e poi, una volta rientrati in chiesa, hanno recitato il Rosario «affinché i defunti della nostra parrocchia intercedano per noi»[18].
Le rogazioni sono state riscoperte anche nelle parrocchie della provincia di Bergamo, dove si è tornati a pronunciare un’invocazione ripetuta per secoli, ma poi pressoché scomparsa nella seconda metà del Novecento: «A fulgure et tempestate, a peste, fame et bello, libera nos Domine, Te rogamus, audi nos», cioè «Da fulmine e grandine, da peste, fame e guerra, liberaci Signore, Te lo chiediamo, ascoltaci»[19]. È il caso della parrocchia di Almè, dove sono state effettuate sette rogazioni in altrettante diverse località, per esempio i cimiteri di Almè e Villa d’Almè, l’ex stazione ferroviaria e la cappella dei Morti degli Spazzi. Sui media locali, il parroco don Pinuccio Leidi ha detto che si tratta di «una grande occasione per pregare e condividere questo momento drammatico della nostra storia».
Più nello specifico, il termine «rogazione» viene dal latino «rogare», ossia “chiedere pregando”, e può essere “maggiore” o “minore”. Questo rito consiste in una processione con cui si implora la divinità affinché protegga la campagna contro i danni atmosferici (grandine, siccità, alluvioni) e contro le malattie di piante e bestiame. Evidentemente, le rogazioni hanno origine nel mondo rurale precristiano e sono una vera e propria richiesta corale a Dio per la sicurezza del pane quotidiano che, dopo essere quasi scomparse, sono state reintrodotte e revisionate nel 1984 da papa Giovanni Paolo II, che ne prevedeva la celebrazione in alcuni momenti particolari.
Gli esempi di “riti in emergenza” [20] per la crisi idrica sono innumerevoli, ma per completare il quadro della loro varietà, vanno menzionati ancora almeno due casi. Il primo si è tenuto a Monticelli, in provincia di Cremona, dove il parroco don Stefano Bianchi ha organizzato un triduo, ossia la recita del Rosario per tre sere consecutive nella basilica di san Lorenzo Martire, i cui effetti concreti, stando alle parole della giornalista che ne ha riportato la cronaca, non si sono fatti attendere: «il primo, ieri sera, pare avere funzionato perché proprio durante le preghiere è arrivato il temporale» [21]. Il secondo caso, infine, si è avuto in riva al Po, a Sacca di Colorno, in provincia di Parma, dove il 16 luglio il vescovo Enrico Solmi si è riunito con la comunità locale per un pellegrinaggio sulle sponde del fiume, dove poi ha celebrato una messa «in segno di vicinanza a chi è colpito dalla siccità e per chiedere il dono della pioggia». Mons. Solmi ha ricordato come «la preghiera possa fare miracoli e convertire, mettendoci nel cuore sentimenti diversi per costruire un’ecologia integrale», aggiungendo che siamo tutti chiamati ad essere responsabili nei confronti del Creato, perché «la siccità si manifesta e anticipa quello che potrebbe succedere in futuro» [22].
La ricerca di un senso nella siccità
Tutto ciò che accade tra cielo e terra ha una dimensione di mistero e di sacro; infatti, le letterature antropologica e archeologica sono ricche di testi su “riti della pioggia” e relativi sacerdoti, sciamani e maghi in grado di controllare i fenomeni atmosferici, dai temporali ai cicloni, dai fulmini al caldo soffocante. Eva Jobbova, Christophe Helmke e Andrea Bevan (2018) [23] hanno analizzato le fonti scritte dell’età classica dei Maya, rilevando che i rituali di semina e di invocazione della pioggia, denominati “at” (“fare il bagno”) e “chok” (“sparpagliare, spruzzare”), erano estremamente comuni in quella società, venendo praticati in occasione della stagione delle piogge e, quindi, in relazione al ciclo agrario. L’aspetto suggestivo dello studio è che quelle antiche cerimonie sarebbero in forte continuità storica con gli attuali riti legati alle condizioni meteorologiche incerte eseguiti in Guatemala, Belize e Messico orientale, confermando che determinate difficoltà della condizione umana ritornano e che certe risposte ritenute efficaci restano nel tempo.
In un testo in lingua kirundi del 1978 [24], lo studioso burundese Jean Baptiste Ntahokaja fa riferimento agli “abavurati”, i “produttori di pioggia” del Burundi tradizionale, i quali erano in grado di far tornare l’acqua in caso di aridità, ma che al contempo rischiavano il linciaggio se sospettati di trattenere la pioggia. La loro figura è riemersa il 16 ottobre 2022, quando il Presidente Evariste Ndayishimiye e l’intero governo del Paese africano hanno preteso che quella domenica, in tutte le chiese cristiane della nazione – che da mesi soffre la siccità – si pregasse per l’arrivo della pioggia e per scongiurare una carestia, dacché alcuni storici locali hanno commentato l’iniziativa facendo un parallelo con l’antico detentore di sapere meteorologico [25].
Già James Frazer nel Ramo d’oro [26] aveva dedicato un paragrafo al “Potere magico sulla pioggia” posseduto da specifiche personalità, spiegando che
«nelle comunità selvagge colui che fa venire la pioggia è un personaggio della più alta importanza, e spesso esiste una speciale classe di maghi che hanno il compito preciso di regolare la caduta dell’acqua dal cielo. I metodi con cui questi maghi cercano di adempiere le loro funzioni sono spesso, se non sempre, basati sul principio della magia omeopatica o imitativa. Se vogliono far venir la pioggia la simulano spruzzando dell’acqua o imitando le nuvole; se vogliono farla cessare e far venire la siccità, evitano l’acqua e ricorrono al calore e al fuoco, per asciugare l’eccesso d’umidità» (ivi: 102-103).
Come osservano Esther Katz, Annamária Lammel e Marina Goloubinoff (2002) [27], i fenomeni meteorologici sono generalmente rappresentati come l’emanazione o la personificazione di esseri soprannaturali, situati oltre gli spazi umanizzati (ad esempio negli alberi, nelle grotte, nelle montagne o, appunto, tra il cielo e la terra), i quali possono essere influenzati da magia, riti propiziatori, preghiere o sacrifici. Generalmente, nelle società tradizionali tutti i membri del gruppo condividono un certo livello di conoscenza degli elementi climatici, mentre la conoscenza specialistica è prerogativa degli iniziati, che dunque risultano detentori di un potere, «come il re di Cambogia e i Khmer rossi, gli sciamani e i sacerdoti cattolici dell’Europa medievale e moderna, i sapienti di provincia e della capitale nella Francia della fine dell’Ottocento» (ivi: 19).
Nel volume sulle gravi siccità del Sahel, curato nel 1975 da Jean Copans [28], l’autore spiega che siccità e carestia hanno una storia propria, che tuttavia non è autoesplicativa, dal momento che è la descrizione dei legami tra determinismo naturale (clima, riproduzione umana) e sociale (condizioni di produzione), concludendo che, «anche se c’è oggettivamente siccità, raramente è di per sé decisiva» (ivi: 44). È un’affermazione che sembra anticipare la tendenza odierna delle scienze sociali secondo cui i disastri non sono ritenuti naturali, compreso il cambiamento climatico, secondo la consolidata osservazione che gli eventi nefasti, come quelli meteorologici estremi, colpiscono di più e in maniera più violenta proprio nelle zone in cui la povertà è maggiore e dove le disuguaglianze sono più marcate.
In un certo senso, è quanto sembrano suggerire anche alcuni proverbi marathi dell’India analizzati da Amit Kumar Srivastava [29], come «La siccità è un problema per i poveri e un’opportunità di sfruttamento per gli usurai», oppure come «La siccità non si verifica a causa della mancanza di piogge, ma accade a causa del cattivo governo» (ivi: 232). I due testi popolari sono di natura predittiva ed esplicativa: annunciano la siccità, ma ne forniscono anche una spiegazione, perché ne individuano l’innesco, i presupposti che ne aggravano l’entità e, infine, la sua multidimensionalità.
Ogni crisi provoca incertezza e paura: paura di cadere nel disordine, paura – nel caso della siccità – che la pioggia non ritorni e questo causi ulteriori peggioramenti, come nell’alimentazione o, più ampiamente, nell’economia (specie quella legata all’agricoltura, al turismo e alla produzione di energia). Tutti i riti e i saperi locali citati in precedenza sono tentativi per gestire preoccupazioni e insicurezze, cioè sono pratiche codificate nel tempo al fine di spiegare eventi minacciosi e sovrastanti, così da poterli “pensare” e “controllare”. Le preghiere collettive effettuate durante l’estate 2022 nel Nord Italia a causa della «peggiore siccità degli ultimi cinque secoli» [30], tuttavia, non sono forme rituali consolidate, ma pratiche abbozzate, improvvisate sebbene organizzate da vescovi e parroci, sicuramente cercate e apprezzate da molti fedeli, ma comunque indotte e preparate dalle gerarchie ecclesiastiche locali, non sorte spontaneamente dal basso o facendo riferimento a conoscenze tradizionali condivise.
Nell’universo folklorico cattolico non mancano santi da invocare contro la siccità, sebbene spesso siano chiamati anche per controllare il fenomeno opposto, quello dell’eccesso di acqua. Si tratta di san Gemolo (la cui memoria liturgica è il 4 febbraio), sant’Eulalia di Barcellona (12 febbraio), san Giorgio (23 aprile), sant’Antonio da Padova (13 giugno), san Lucio di Cavargna (12 luglio), san Francesco Solano (14 luglio), san Giacomo (25 luglio), santa Sabina (29 agosto), santa Angadrisma (14 ottobre), san Francesco Antonio Fasani (29 novembre) e probabilmente molti altri, come sant’Elia o sant’Antonino Abate, di cui in determinate località si tramanda la memoria di alcuni miracoli legati all’acqua. Spesso sono santi arcaici che attualmente non godono più di grande notorietà, oppure che sono stati messi intenzionalmente in disparte, come è accaduto a san Optato, le cui reliquie un tempo venivano portate in processione nei momenti di siccità a San Vito al Tagliamento, in Friuli, ma che poi – mi ha raccontato un abitante del posto – sono state accantonate quando l’acqua miracolosa concessa dal santo fu eccessiva, causando un allagamento.
La memoria meteorologica è piuttosto labile, infatti è usuale sentire ripetere espressioni sentenziose come “sempre” o “mai” in riferimento alle temperie del presente. In realtà, i fenomeni climatici tornano periodicamente, per cui anche nel passato [31] le comunità locali hanno dovuto superare periodi caldi e freddi, subire le bizzarrie del tempo, con i danni e i rischi che ciò ha costantemente comportato. Dovendo adattarsi ai momenti di crisi, quegli eventi andavano innanzitutto capiti e spiegati, ovviamente con gli strumenti tecnici e intellettuali di ciascuna epoca e territorio, per poter essere affrontati, proprio come siamo chiamati a fare noi oggi, sebbene forse ad una scala di maggiore complessità, dinanzi ai repentini cambiamenti indotti dal riscaldamento globale e dagli eventi estremi che ne conseguono.
L’assenza di un rito forte e di una figura sacra riconoscibile in relazione alla siccità fa presupporre che quel determinato evento – l’aridità – sia stato progressivamente dimenticato nelle ultime generazioni, come se avesse subìto una cesura nella trasmissione della memoria. Forse il relativo benessere economico raggiunto dall’Italia settentrionale e l’alto livello del processo produttivo dell’agricoltura in Pianura Padana, sia in termini tecnologici che di resa per ettaro, hanno favorito una forma di oblio che adesso, di fronte alle dimensioni della nuova emergenza climatica, costringe a cercare forme rituali nuove e diverse, a sperimentarle e valutarle. Osservandoli nel loro insieme, questi singolari “riti in emergenza” sembrano avere un ruolo diverso e più specifico rispetto a quelli rilevati in occasione di altri disastri (terremoti, eruzioni, epidemie…): sembrano volti innanzitutto a cercare un senso, a dare un significato a un evento soffocante, ma lento e discreto, quale è, appunto, la siccità.
Le preoccupazioni locali sono state rivolte a lungo alla difesa dagli allagamenti o alla protezione delle risaie, per le quali sono state individuate nuove figure sacre, come il 15 marzo 2008, quando Papa Benedetto XVI ha nominato beato Francesco Pianzola, un sacerdote della Lomellina vissuto a cavallo tra Ottocento e Novecento, soprannominato il “santo delle risaie” perché in vita si adoperò per migliorare le condizioni delle mondine. Se i riti sono “finestre critiche” sulla società, allora le preghiere collettive recitate quest’anno in riva ai fiumi in secca lasciano trasparire sorpresa, se non addirittura “inesperienza”. Lo si evince dalle parole del vescovo di Parma, Enrico Solmi, che, parlando della sua messa sulla sponda del Po, ha spiegato che quella attuale è
«una situazione del tutto diversa rispetto al passato, dove il problema dell’area emiliana non era la mancanza di piogge ma il forte aumento della portata del fiume. I miei predecessori, tra cui San Bernardo degli Uberti, erano andati sull’argine per fermare le piene, io sono andato sull’argine per invocare l’acqua» [32].
La preghiera collettiva è certamente una maniera per chiedere un aiuto, chiedere una grazia o il perdono, per lodare, ringraziare, santificare o esprimere devozione, ma è anche un modo per cercare un significato in un contesto oscuro e confuso, una forma di condivisione delle emozioni che, attraverso un’invocazione al divino, tenta di dare una cornice di senso all’emergenza in corso. La preghiera “al plurale”, quindi, è una prassi per confermare un legame con la collettività in una dimensione di precarietà, per cui non è sempre una preghiera formale e codificata, perché spesso è invece spontanea o, per meglio dire, adattata alle circostanze. È un modo per «ascoltare il grido della Terra», per usare ancora le parole di mons. Solmi, ma anche per capire che «ogni evento negativo è un campanello di allarme e un richiamo alle nostre responsabilità», per citare il rabbino Riccardo Di Segni che, invitando la comunità ebraica italiana a invocare il Signore per affrontare la siccità, ha concluso tuttavia con un’esortazione molto concreta: «Pregare sì, ma diamoci anche una smossa» [33].
Ogni rito è presenza, partecipazione, condivisione di esperienze, eppure i gesti e le parole dei riti osservati durante i mesi estivi del 2022 contro la siccità nell’Italia settentrionale evocano contesti simbolici comuni e richiamano a una empatia generalizzata che, tentando di cogliere il senso di questa ennesima crisi, provano ad affrontare il senso di impotenza e di confusione. I rituali della pioggia sono, per usare un’efficace immagine di L. Jen Shaffer (2017) [34], come «un barometro della vulnerabilità», all’interno di un’epoca dominata dall’incertezza del clima e che, aggiunge Elisabetta Dall’Ò (2021) [35], rischia di avere implicazioni immense e irreversibili non solo per gli umani, ma anche per tutta una miriade di altre creature.
Dialoghi Mediterranei, n. 58, novembre 2022
Note
[1] L’agenzia ANSA ha pubblicato le foto dei giocatori di bocce nel fiume Po in un tweet del 17 luglio 2022: https://twitter.com/Agenzia_Ansa/status/1548624818081304579. Il giorno successivo ulteriori organi di stampa ne hanno pubblicate altre, come ad esempio Tgcom24: https://www.tgcom24.mediaset.it/cronaca/emilia-romagna/foto/siccita-nel-po-in-secca-si-gioca-a-bocce-le-foto-shock_52549606-202202k.shtml
[2] Il podcast «L’ultima goccia», di Francesca Milano, pubblicato per Chora Media tra luglio e agosto 2022, è ascoltabile gratuitamente a questo indirizzo: https://choramedia.com/podcast/l-ultima-goccia/
[3] Wolfram Sparber, Georg Niedrist, Mariachiara Alberton, Marc Zebisch, 2022: “Scenari per l’Alto Adige. Verso la neutralità climatica. Analisi scientifiche per il Piano Clima – Update 2022”, Eurac Research, disponibile online: https://webassets.eurac.edu/31538/1660032775-scenaristrategieclima.pdf
[4] Voce «Climate neutrality», in IPCC, 2018: “Annex I: Glossary” [Matthews, J.B.R. (ed.)], disponibile online: https://www.ipcc.ch/site/assets/uploads/sites/2/2022/06/SR15_AnnexI.pdf
[5] Paolo Viana, 2022: “Siccità, stiamo ballando sul Titanic. Ritardi decennali e regole sbagliate”, in “Avvenire”, 10 luglio, disponibile online: https://www.avvenire.it/attualita/pagine/siccit-stiamo-ballando-sul-titanic-ritardi-decennali-e-regole-sbagliate
[6] Adriano Favole, 2020: “Confini, socialità, riti”, in Marco Aime, Adriano Favole, Francesco Remotti, Il mondo che avrete. Virus, Antropocene, Rivoluzione, Utet, Torino.
[7] “La preghiera dell’Arcivescovo per il dono dell’acqua”, in “Chiesa di Milano. Il Portale della Diocesi Ambrosiana”, 21 giugno 2022: https://www.chiesadimilano.it/news/chiesa-diocesi/la-preghiera-dellarcivescovo-per-il-dono-dellacqua-743916.html
[8] Per chiedere il dono della pioggia, in “Diocesi di Lodi”, 21 giugno 2022: https://www.diocesi.lodi.it/wp-content/uploads/2022/06/preghiera_pioggia.pdf
[9] Così la Chiesa prega per la pioggia (anche con le parole di Paolo VI), in “Avvenire”, 29 giugno 2022: https://www.avvenire.it/chiesa/pagine/cosi-la-chiesa-prega-per-la-pioggia-la-preghiera-di-paolo-vi
[10] La preghiera di San Paolo VI per chiedere la pioggia, in “Diocesi di Pavia”, 1 luglio 2022: https://www.diocesi.pavia.it/2022/07/01/la-preghiera-di-san-paolo-vi-per-chiedere-la-pioggia/
[11] Il 15 agosto la preghiera per la pioggia. L’invito del vescovo Douglas, in “Corriere Cesenate”, 3 agosto 2022: https://www.corrierecesenate.it/Diocesi/Il-15-agosto-la-preghiera-per-la-pioggia.-L-invito-del-vescovo-Douglas
[12] “Preghiera per la pioggia”, in “La Voce di Ferrara”, 8 agosto 2022: https://lavocediferrara.it/preghiera-per-la-pioggia/
[13] Troppa siccità, la preghiera in Friuli della Diocesi per chiedere la pioggia, in “Friuli Oggi”, 5 luglio 2022: https://www.friulioggi.it/friuli-venezia-giulia/siccita-preghiera-chiedere-pioggia-diocesi-friuli-5-luglio-2022/
[14] Piero Ghetti, Contro la siccità ci si rivolge a Dio: anche a Forlì si prega per chiedere il dono della pioggia, in “Forlì Today”, 22 luglio 2022: https://www.forlitoday.it/cronaca/preghiera-contro–siccita.html
[15] Marco Bilancioni, Il vescovo: ‘Nuovi invasi? Si decida presto’, in “il Resto del Carlino”, 31 luglio 2022: https://www.ilrestodelcarlino.it/forl%C3%AC/cronaca/il-vescovo-nuovi-invasi-si-decida-presto-1.7937866
[16] Madonna del Brancere, venerdì sera rosario per chiedere fine siccità, in “Oglio Po News”, 29 giugno: https://www.oglioponews.it/2022/06/29/madonna-del-brancere-venerdi-sera-rosario-per-chiedere-fine-siccita/
[17] I cristiani di Magenta pregano per la pioggia. E fanno bene: non è magia. È Fede, in “Ticino Notizie”, 12 luglio: https://www.ticinonotizie.it/i-cristiani-di-magenta-pregano-per-la-pioggia-e-fanno-bene-non-e-magia-e-fede/
[18] Siccità, in cento alla processione per la pioggia: ‘momento di preghiera e penitenza, in “Primocanale”, 12 agosto 2022: https://www.primocanale.it/attualit%C3%A0/13089-siccita-cento-processione-pioggia-momento-preghiera-penitenza.html
[19] Carmelo Epis, Con la siccità tornano le rogazioni: ‘Un’occasione per pregare in un momento drammatico della nostra storia’, in “Sant’Alessandro”, 28 luglio 2022: https://www.santalessandro.org/2022/07/28/con-la-siccita-tornano-le-rogazioni-unoccasione-straordinaria-di-preghiera/
[20] Giovanni Gugg, 2014: “«Mettici la mano Tu!». Emergenza e commemorazione: vecchi e nuovi riti vesuviani”, in Gianfranca Ranisio e Domenica Borriello (a cura di), Linguaggi della devozione. Forme espressive del patrimonio sacro, Edizioni di Pagina, Bari. Si veda anche: Giovanni Gugg, 2020: I riti della pandemia, in “Dialoghi Mediterranei”, n. 45, settembre: https://www.istitutoeuroarabo.it/DM/i-riti-della-pandemia/
[21] Elisa Calamari, Siccità, a Monticelli triduo di preghiera per invocare la pioggia, in “La Provincia. Cremona”, 26 luglio 2022: https://www.laprovinciacr.it/news/cronaca/390930/siccita-a-monticelli-triduo-di-preghiera-per-invocare-la-pioggia.html
[22] Debora D’Angelo, Siccità, il vescovo Solmi: ‘Sulle rive del Po per invocare l’acqua’, in “Vatican News”, 16 luglio 2022: https://www.vaticannews.va/it/chiesa/news/2022-07/siccita-vescovo-parma-messa-po-cambiamenti-climati-laudato-si.html
[23] Eva Jobbova, Christophe Helmke, Andrea Bevan, 2018: Ritual responses to drought: An examination of ritual expressions in Classic Maya written sources, in “Human Ecology”, n. 46, vol. 2, ottobre.
[24] Jean Baptiste Ntahokaja, 1978: Imigenzo y ikirundi, Université du Burundi, Bujumbura.
[25] Guillaume Muhoza, 2022: The rain is drying up? Trust the science, in “Iris News”, 16 ottobre: https://en.irisnews.org/the-rain-is-drying-up-trust-the-science-burundi/
[26] James George Frazer, 1973 (1922), Il ramo d’oro. Studio sulla magia e la religione, Editore Boringhieri, Torino.
[27] Esther Katz, Annamária Lammel, Marina Goloubinoff, 2002: Entre ciel et terre. Climat et sociétés, Editions Ibis Press, IRD Editions, Parigi.
[28] Jean Copans, 1975: Sécheresses et famines du Sahel. Tome I. Écologie / Dénutrition / Assistance, François Maspero Éditeur, Parigi.
[29] Amit Kumar Srivastava, 2019: “Drought in folklores of India: Mapping the change and continuity in traditional knowledge through orality”, in Giovanni Gugg, Elisabetta Dall’Ò, Domenica Borriello (Eds.), Disasters in Popular Cultures, Il Sileno Edizioni, Rende.
[30] Rhal Ssan, 2022: Europe faces its worst drought in five centuries, says report, in “Euronews”, 23 agosto: https://www.euronews.com/2022/08/23/europe-faces-its-worst-drought-in-five-centuries-says-report
[31] Emanuela Guidoboni, Antonio Navarra, Enzo Boschi, 2010: Nella spirale del clima: culture e società mediterranee di fronte ai mutamenti climatici, Bononia University Press, Bologna.
[32] Debora D’Angelo, Siccità, il vescovo Solmi: ‘Sulle rive del Po per invocare l’acqua’, in “Vatican News”, 16 luglio 2022:https://www.vaticannews.va/it/chiesa/news/2022-07/siccita-vescovo-parma-messa-po-cambiamenti-climati-laudato-si.html
[33] Ariela Piattelli, 2022: Siccità e crisi climatica: ‘Pregare sì, ma diamoci anche una smossa’. Intervista a Rav Riccardo Di Segni, in “Morasha”, 26 giugno: https://morasha.it/siccita-e-crisi-climatica-pregare-si-ma-diamoci-anche-una-smossa/. È opportuno ricordare che in Italia anche altre confessioni hanno esortato i propri fedeli a pregare contro la siccità, come la Sacra Arcidiocesi Ortodossa d’Italia, che ha proposto di recitare un componimento del patriarca di Costantinopoli Kàllistos (http://www.ortodossia.it/w/media/com_form2content/documents/c17/a8510/f255/
Preghiere%20per%20la%20siccit%C3%A0.pdf) e come l’Unione delle Comunità Islamiche Italiane (Ucoii), che ha suggerito un’invocazione riportata da Abu Huraira (https://www.agensir.it/quotidiano/2022/6/23/siccita-domani-nelle-moschee-preghiera-per-la-pioggia-ucoii-chiederemo-a-colui-che-provvede-alle-necessita-delle-sue-creature-di-dissetare-la-terra/).
[34] L. Jen Shaffer, 2017: Rain Rituals as a Barometer of Vulnerability in an Uncertain Climate, in “Journal of Ecological Anthropology”, vol. 19, n. 1.
[35] Elisabetta Dall’Ò, 2021: Cambiamenti climatici, ghiacciai, pandemie. L’importanza di uno sguardo multidisciplinare tra dati climatici, zoonosi e pandemie, in “AM – Antropologia Medica”, vol. 22, n. 51.
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Giovanni Gugg, dottore di ricerca in Antropologia culturale e ricercatore post-doc presso il LESC (Laboratoire d’Ethnologie et de Sociologie Comparative) dell’Università di Paris-Nanterre per il progetto internazionale “Ruling on Nature. Animals and Environment before the Law”, attualmente è scientific advisor per ISSNOVA (Institute for Sustainable Society and Innovation). Ha insegnato presso il Dipartimento di Ingegneria dell’Università “Federico II” di Napoli e al master Erasmus Mundus Dyclam+ coordinato dall’Università di Saint-Etienne “Jean Monnet”. I suoi studi si concentrano sulle relazioni tra le comunità umane e il loro ambiente, in particolare nei territori a rischio. Ha condotto una lunga etnografia nella zona rossa del Vesuvio e studiato le risposte culturali dopo alcuni terremoti italiani e altri disastri. Tra le sue pubblicazioni più recenti: Ordinary life in the shadow of Vesuvius: surviving the announced catastrophe (2022), Guarire un vulcano, guarire gli umani. Elaborazioni del rischio ecologico e sanitario alle pendici del Vesuvio (2021), Inquietudini vesuviane. Etnografia del fatalismo su un vulcano a rischio (2020), Disasters in popular cultures (2019).
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