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di Pinuccia Botta
Era il 1998 quando ho acquistato il mio primo telefono cellulare, il NEC db2000. Mi consentiva di effettuare chiamate ovunque mi trovassi e di inviare brevi messaggi di testo (sms) usando la tastiera fisica basata sul funzionamento t9. Una gran bella comodità a portata di tasca.
A quel tempo immaginavo poco di quella rivoluzione “smart” che sarebbe subentrata negli anni successivi con l’avvento di un dispositivo tecnologicamente più avanzato: lo smartphone. Un telefono “intelligente”, come dice la parola stessa, capace di assolvere funzioni proprie di un PC e non solo.
Con il nuovo dispositivo “smart” non c’è più bisogno di trovarsi a casa davanti al proprio computer o di averne uno portatile con sé per poter scrivere, mandare e leggere mail, per cimentarsi in un nuovo livello del proprio videogioco preferito, per ascoltare la musica, per aver notizie sull’andamento delle Borse o del meteo, per guardare un film, un video, cercare una ricetta per preparare la cena o per trovare all’ultimo minuto il ristorante stellato più vicino in una città che non conosciamo.
E se abbiamo voglia di immortalare luoghi e momenti della nostra vita o abbiamo semplicemente la necessità di documentare qualcosa, ci pensa la fotocamera integrata. Doppia, tripla e chi più ne ha più ne metta. Basta estrarre il proprio smartphone dalla tasca e lo scatto è subito fatto, pronto da guardare in galleria o da condividere con chi si trova in tutt’altra parte del mondo.
Tutto diventa più semplice, immediato e veloce. Tutto è a portata di dito sullo schermo. Basta semplicemente un “touch” e ci si trova immersi in quello che Alessandro Baricco chiama l’oltremondo digitale.
Nonostante l’iniziale reticenza e perplessità, come accade dinanzi a tutte le novità, c’è voluto davvero poco per subire il fascino e sentire la necessità di possedere uno smartphone. Una volta sperimentato l’uso del nuovo Totem ed entrati in quel nuovo mondo, la rivoluzione è fatta!
Così, questo ingegnoso tool ha finito per far parte integrante della vita quotidiana di grandi e piccini, divenendo quasi una naturale estensione del nostro stesso corpo oltre che della nostra mente. Ovunque si è lo smartphone c’è! È il nuovo compagno di vita e guai ad uscire da casa senza!
Se internet e il Web, insieme ai videogames, hanno gettato le basi del nuovo cambiamento, è con lo smartphone che si compie la vera e propria rivoluzione digitale e non solo. Nessun oggetto inventato dall’uomo fino ad oggi è riuscito a cambiare così profondamente la nostra vita, rivoluzionando abitudini e gesti, come lo smartphone.
È impossibile negare i numerosi vantaggi che ci offre, ma oggi l’eccessivo uso di questo strumento, soprattutto fra i più giovani, pone l’attenzione su aspetti ben diversi e soprattutto allarmanti come la dipendenza, che porta con sé profonde conseguenze sul piano fisico, cognitivo e soprattutto relazionale.
Sul divano di casa, al bar, al ristorante, in fila alla cassa del supermercato, alla fermata dell’autobus o addirittura camminando per strada, ogni momento è buono e utile per consultare il proprio smartphone, rinunciando spesso allo sguardo e al dialogo con chi ci sta accanto.
Testa china, spalle ricurve ed occhi fissi sullo schermo, le dita si muovono nel far scorrere pagine, aprire app, fornire comandi digitali, con una velocità che sembra quasi che non seguano più il comando del cervello, ma si muovano in totale autonomia.
E se le dita di un adulto hanno ancora movimenti impacciati e incerti, ben più veloci e sicure sono quelle dei ragazzi o dei bambini di oggi, nati sotto la luce del flash dello smartphone di papà e mamma che li hanno immortalati per la prima volta e che crescendo li hanno acquietati mettendoli dinanzi allo schermo.
Addio alla lentezza! In un tocco di dito ci si trova immersi in un altro mondo totalmente assorti. Presenti assenti! Connessi ovunque, ma estraniati dal luogo della vita reale e del contatto fisico con l’altro.
Immersi in realtà virtuali, come dentro la densa penombra di caverne platoniche, come avviene nei video games, dove tutto è possibile: fare la parte del buono o del cattivo, uccidere o salvare e compiere missioni, crearsi una cerchia di amici che con buona probabilità non si avrà mai modo di conoscere nella realtà o forse sì.
Questo è il nuovo modo dell’iperuomo digitale, come lo chiama Alessandro Baricco nel suo The Game, di stare al mondo o meglio di stare qui ma sostanzialmente altrove, in uno spazio globale immerso nel flusso di relazioni sincrone e asincrone, alla ricerca di nuovi equilibri identitari non privi di disorientamenti e incertezze.
È difficile distinguere quale sia il confine fra i due mondi. Essi si fondono dando vita ad una nuova realtà nella quale ogni relazione è possibile e dove tutto si smaterializza, non solo le cose ma anche gli esseri umani, determinando inevitabilmente un nuovo modello mentale oltre che una diversa percezione di sé stessi.
Nuove presenze identitarie, fantasmi digitali come li definisce l’antropologo M. Augé, si specchiano attraverso lo schermo. Nuove solitudini si sfiorano e si ignorano nei luoghi della presenza fisica, come avviene in casa o in una piazza, luoghi della socialità per eccellenza.
Sono passati quattordici anni dalla presentazione di Steve Jobs al Macworld 2007 di San Francisco del primo iPhone che ha rivoluzionato profondamente la nostra vita e, come ha detto Tim Cook, «il meglio deve ancora arrivare».
Dialoghi Mediterranei, n. 50, luglio 2021
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Pinuccia Botta, trascorre la sua infanzia in Veneto per trasferirsi poi in Sicilia, a Castelbuono (Pa), dove attualmente vive con la sua famiglia. Si laurea in Architettura e lavora come libero professionista, ma ben presto decide di dedicarsi all’insegnamento e alla fotografia. La passione per la fotografia cresce e matura negli anni attraverso la sperimentazione di più generi. Per lei fotografare è un modo di sentire, prima ancora che di vedere. Le piace catturare gli attimi in cui le persone e le cose svelano se stesse. Ha partecipato a concorsi, contest e workshop fotografici. Recentemente ha lavorato ad un progetto fotografico pubblicato nel volume “Nonluoghi”, curato da Michele Di Donato e Fabiola di Maggio ed edito dalla The Dead Artist Society.
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