di Antonella Selva
St. Soline
St. Soline è una minuscola località rurale nella regione agricola delle Deux Sèvres, Francia occidentale, entroterra atlantico, più o meno tra le città di Poitiers a nord e Niort a ovest. Già una definizione geografica così lunga per poterla collocare fa comprendere quanto sia persa in mezzo al nulla.
Eppure è proprio lì che, sabato 25 marzo 2023, nel pieno dell’insurrezione popolare contro la riforma delle pensioni voluta dal governo Macron, diverse decine di migliaia di persone dai quattro angoli della Francia e da altri Paesi europei si sono date appuntamento per dare vita a una sorprendente manifestazione in difesa della terra e dell’acqua come bene comune.
Il campeggio di lotta
I manifestanti, facenti capo alle più disparate organizzazioni ambientaliste, anticapitaliste e antifasciste, sono stati accolti in un campeggio temporaneo ospitato in un ampio terreno incolto concesso da un proprietario privato sensibile agli obiettivi della lotta. Nella vigilia della manifestazione il campo si è andato riempiendo di migliaia di tende, e le stradine di accesso di chilometri e chilometri di auto e camper parcheggiati, in molti casi con le targhe coperte di fango per evitare l’identificazione fotografica (la manifestazione non era autorizzata). E di sicuro il fango non mancava perché col clima piovoso (correnti atlantiche!) e la terra morbida con decine di migliaia di persone a calpestarla, l’erba aveva dato forfait.
L’assenza di attrezzature per cucinare e la quasi inesistenza di bagni non hanno costituito un problema per nessuno: nell’assemblea di organizzazione, tenutasi al buio intorno al tendone centrale il venerdì sera, gli organizzatori hanno chiarito che quella era la base di partenza per la mattina dopo, l’avamposto più avanzato a ridosso della “zona rossa” istituita dalle autorità per tutta la giornata del 25. Poi, compiuta l’impresa, il campo temporaneo sarebbe stato smobilitato per convergere sulla cittadina “amica” di Melle, a una ventina di chilometri, dove un ampio parco pubblico dotato di servizi avrebbe accolto le tende dei manifestanti e l’intero centro cittadino sarebbe stato in festa per l’evento.
La manifestazione (o la battaglia?)
Al sabato mattina alle 10, tutti in tuta blu e partenza del corteo di massa e “tranquillo”. In coda, alle 11, i due spezzoni più “dinamici” e veloci, che avrebbero a un certo punto deviato per circondare il cantiere del mega-bacino di Sante Soline. Obiettivo della manifestazione: operare un “disarmo” del cantiere, ossia un sabotaggio simbolico smontando un pezzo dell’enorme pompa destinata a pompare nel bacino l’acqua rubata alla falda sotterranea (trattandosi di un progetto ecocida la sua neutralizzazione equivale a “disarmarlo”).
Era chiaro a tutti come il programma fosse borderline, al limite della legalità – o meglio tecnicamente proprio “illegale”, per quanto sostanzialmente dimostrativo, e come pertanto comportasse qualche rischio, anche alla luce di precedenti esperienze simili. Proprio per questo la chiamata era stata così vasta e la partecipazione così alta: l’idea di base era probabilmente che le autorità avrebbero trattenuto la violenza più estrema di fronte a una massa di almeno 20 mila persone (questo era l’obiettivo iniziale di partecipazione, poi ampiamente superato, tanto che la stampa ha parlato di “almeno” 30 mila manifestanti – a occhio una vera marea umana dilagante per le campagne). Peraltro la manifestazione era stata oggetto di settimane di trattative tra gli organizzatori e la locale prefetta. In breve: ci si aspettava di dover fronteggiare il lancio di lacrimogeni, e per questa evenienza le ali “d’assalto” del corteo avevano preso precauzioni.
Il serpentone dunque si snoda lungo le cavedagne tra i campi verso il grande bacino distante una decina di chilometri, sotto l’occhio vigile di elicotteri in ricognizione. La gente continua a confluire nel corteo dalle stradine laterali, verso le 11 è ormai lungo chilometri. La composizione è variegata: giovani studenti e attivisti dalle università e dai movimenti ambientalisti per il clima hanno risposto in massa da tutta la Francia, e poi i contadini della Conféderation Paysanne che si oppongono all’agroindustria, e vecchi militanti “verdi” e “rossi”. Se la componente giovanile, sotto i 30 anni, è nettamente prevalente, una minoranza corposa di teste grigie sopra i 60 fa orgogliosa mostra di sé portando l’esperienza di lotte del passato. Meno evidente la generazione adulta: a quanto pare, come anche in Italia, è la più disillusa e rassegnata. Assenti o quasi i volti afrodiscendenti, che pure in Francia sono massa critica: l’incomprensione della sinistra verde e rossa per le banlieues è un problema storico oltralpe e non solo.
Al punto stabilito le ali “mobili” deviano per i campi tentando l’accerchiamento. Lo schieramento di polizia però è impressionante: i giornali del giorno dopo parleranno di 1700, 2500, 3200 poliziotti in assetto antisommossa disposti tutt’intorno al bacino in costruzione. Dalla mia posizione (a distanza di sicurezza, lo confesso!) vedo circa un quarto del perimetro del bacino e riesco a contare oltre 50 camionette della polizia: moltiplicando per 4, ci dovrebbero essere almeno 200 camionette per completare il cerchio (ma non ha proprio niente da fare la polizia francese? Non vi sono altri crimini nel Paese oltre alle manifestazioni ambientaliste?!).
Uno schieramento così imponente non è lì solo per fare teatro, e infatti appena i cortei sono a tiro comincia il lancio da parte delle forze dell’ordine, oltre che dei candelotti – come da previsioni – anche di una gragnuola di “bombe stordenti”, vere e proprie granate di piccola taglia che in teoria non dovrebbero essere letali, ma non ci pensano due volte a cavarti un occhio o spappolarti una mano, e se ti prendono bene possono anche riuscire a infliggere ferite mortali. La stampa francese parlerà di 4000 di questi ordigni sparati ad alzo zero contro i manifestanti. Chiaro che questi ultimi non sono rimasti a guardare, e almeno 4 mezzi della polizia vengono dati alle fiamme.
I feriti contati dai medici del campo sono almeno 250, di cui 4 gravissimi che riporteranno danni permanenti, e uno di essi, un giovane in stato di coma per una scheggia al collo, nei giorni seguenti rimarrà in prognosi riservata. Probabilmente a peggiorare le sue condizioni anche il ritardo nei soccorsi dovuto agli ostacoli posti dalla polizia all’ambulanza – denunciano gli organizzatori.
La battaglia prosegue per alcune ore – e sembra che nel frattempo alcuni manipoli riescano a portare a segno l’invasione e il “disarmo” del cantiere, manomettendo la mostruosa pompa. Solo nel pomeriggio la folla si ricompatta sulla via del ritorno, in serata il campo smobilita e si trasferisce a Melle, dove nientemeno che il sindaco dà il benvenuto ai manifestanti, e apre la festa che prosegue fino a tarda notte.
Nella retrovia di Melle, la “città amica”
A Melle la tensione cala e si fanno bilanci: il successo di partecipazione è oltre ogni aspettativa, la “guerra dell’acqua” per la seconda volta guadagna i titoli di apertura (già nel 2022 una prima manifestazione con azione di “disarmo” aveva fatto parlare il ministro dell’interno addirittura di “eco-terrorismo” e “radicalizzazione dei movimenti ambientalisti”) e finalmente stampa e TV danno spazio ad autorevoli voci scientifiche che spiegano la natura ecocidaria del progetto dei mega-bacini. La brutalità della polizia è messa sotto accusa, e i sindacati convocano per il martedì seguente l’ennesimo sciopero nazionale, stavolta proprio contro la violenza repressiva dello Stato. Un successo politico, non c’è dubbio, ma il costo umano è davvero alto.
Il giorno seguente, domenica, ogni spazio della cittadina ospita assemblee e dibattiti di restituzione. Le organizzazioni contadine ed ambientaliste fanno analisi e coordinano le proprie agende. Le numerose delegazioni internazionali, dall’Europa, dal sud America e dall’Africa guardano con interesse alla radicalità delle lotte ambientali francesi. Commercianti e ristoratori di Melle non hanno mai visto tanta gente in città e trovano che questi “ecoterroristi” non sono poi così male.
Cosa c’è dietro? Il progetto dei “mega-bacini”
Il mega-bacino in costruzione a St. Soline è solo uno di alcune decine di infrastrutture simili previste nella Francia centro-occidentale. Il progetto è presentato dal governo, e dal cartello di grandi agroindustriali che lo spingono, come “la risposta dell’agricoltura ai cambiamenti climatici”: la loro funzione sarebbe infatti di stoccare acqua negli invasi artificiali prelevandola dalle falde con enormi pompe durante l’inverno, per permettere l’irrigazione di grandi estensioni cerealicole anche d’estate, quando i fiumi e le falde non hanno abbastanza portata. Però il termine “agricoltura” in questo caso non è esatto, perché si tratta in realtà di “agroindustria”: stiamo parlando infatti di produzioni industriali di cereali e foraggio per l’esportazione e gli allevamenti intensivi.
In pratica il progetto intende privatizzare l’acqua di un’intera regione, dunque sottraendola all’agricoltura contadina che produce cibo, al suolo, alla natura e agli usi civili di tutti gli insediamenti a valle dei bacini, per destinarla ad alcune grandi aziende private dell’agribusiness affinché possano continuare a fare soldi. Nota bene: il tutto grazie a ingentissimi investimenti pubblici, dunque provenienti dalle tasse dei cittadini, per la costruzione e manutenzione degli impianti. Autorevoli voci scientifiche hanno potuto spiegare al grande pubblico, nei giorni successivi alla manifestazione, le conseguenze nefaste per l’ambiente e per l’economia locale di un simile progetto, che, nell’incapacità di uscire dal paradigma estrattivista, pretende di combattere i cambiamenti climatici moltiplicandone le cause.
Les Soulèvements de la terre
Si tratta di un movimento cresciuto a partire dal gennaio 2021, in occasione della lotta vittoriosa della ZAD (Zone A Défendre) di Notre Dame des Landes, quando una inedita mobilitazione nazionale riuscì a impedire la cementificazione di terreni agricoli nei pressi di Nantes per la costruzione dell’ennesimo aeroporto internazionale. All’indomani dei confinamenti pandemici, che sembravano aver suonato il de profundis per i movimenti sociali dei gilet gialli e di quelli ambientalisti dei giovani per il clima, la mobilitazione per la ZAD vide una nuova convergenza (anche in Francia usano questo termine) di movimenti e lotte settoriali e sindacali, rendendo evidente che “la fine del mondo e la fine del mese” sono parte dello stesso problema, e che partendo dalla difesa del territorio, delle comunità e delle economie locali da progetti estrattivisti ed ecocidi si possono ottenere vittorie parziali e costruire alleanze [1].
La visione della Confédération Paysanne ha permesso di comprendere la centralità della questione ecologica contadina della riproduzione della vita sulla terra, coniugandola con la questione sociale della redistribuzione delle risorse e con la questione politica della strutturazione capitalistica dei settori produttivi.
I Soulèvements de la Terre hanno poi sviluppato una elaborazione molto interessante centrata sul metodo per coordinare e organizzare un movimento che voleva essere contemporaneamente globale e locale. Da qui l’importanza attribuita alle vittorie intermedie su specifici nodi locali, come la ZAD di Notre Dame des Landes, perseguite attraverso mobilitazioni nazionali che volta a volta fanno proprie determinate battaglie locali individuate come strategiche. Il movimento si organizza a “stagioni”, pianificate in assemblee semestrali, durante le quali definire alcuni appuntamenti di massa a sostegno di un fronte locale che si trova in un momento di svolta della propria lotta. In questo modo da un raduno all’altro si costruiscono momenti d’incontro tra componenti del movimento e referenti locali e si costruisce dal basso una rete di luoghi, di complicità, di comunità ancorate nei territori. In ogni “atto” dei Soulèvements qualcosa, piccola o grande, deve cambiare. Per questo le azioni dirette sono privilegiate: occupazioni di terre, blocco di cantieri e/o industrie, smantellamento diretto e collettivo di infrastrutture ecocide (“disarmo”). Il fronte estrattivista deve sapere che il costo del mantenimento delle proprie strutture sarà destinato a crescere a causa dell’opposizione popolare che incontrerà nei territori.
È così che, attraverso il movimento dei soulèvements de la Terre e la Confédération Paysanne la lotta del collettivo “Bassines non merci” del Poitou ha potuto addirittura varcare i confini nazionali.
La delegazione di Bologna: “il pullman degli italiani” entrato nella leggenda
Grazie alla intensa mobilitazione degli attivisti francesi nei mesi precedenti, che ha portato la visione e l’agenda dei Soulèvements de la Terre in diversi Paesi europei mediante internet e delegazioni di giovani, la partecipazione internazionale era significativa e, com’è naturale data la vicinanza geografica (e la deprimente situazione politica interna), la rappresentanza italiana era tra le più folte (probabilmente oltre un centinaio di persone, in prevalenza da Bologna, Torino e Veneto). E la delegazione di Bologna era davvero sorprendente: siamo partiti infatti dal capoluogo emiliano in 60 persone, 47 giovani studenti e 13 militanti di vecchia data, ultrasessantenni con diverse storie politiche alle spalle (dunque una composizione simile a quella presente alla manifestazione), riempiendo interamente un pullman e un furgoncino da 9 posti. La cosa ha sorpreso evidentemente anche la polizia francese, che ci ha dato il benvenuto nel Paese trattenendoci a Modane, sul confine, per quasi due ore per imprecisati “controlli”.
È logico che una simile entusiastica partecipazione non nasce dal nulla e il passaggio, pur coinvolgente, della delegazione dei Soulèvements non sarebbe stato di per sè sufficiente. Ci sono infatti dei precedenti significativi che l’hanno resa possibile.
Nel nostro territorio, come noto uno dei più antropizzati, inquinati e cementificati del Paese – per non dire del pianeta – continuano a concentrarsi progetti di ulteriori infrastrutture altamente impattanti, progetti generati da una logica estratttivista e sviluppista assolutamente sorpassata, e sostenuti dai settori economici ancora in grado di condizionare pesantemente i decisori politici locali. Nella città di Bologna, già a rischio a causa del cambiamento climatico per le paurose ondate di calore estive, sempre più lunghe e intense, e i livelli di inquinamento più che preoccupanti, si dà il via in questi mesi ai lavori per l’ulteriore allargamento del “passante autostradale” (il nastro di asfalto che, affiancato alla tangenziale, taglia il tessuto urbano della periferia nord della città) per portarlo dalle attuali 12 a16 e in alcuni tratti a ben 18 corsie, col conseguente aumento esponenziale previsto dell’inquinamento e la distruzione di molti ettari di parchi alberati.
Ma neanche la cima delle montagne è risparmiata, se, nonostante l’evidenza dell’assenza di neve ormai da anni e il declino del turismo dello sci in Appennino, si intende andare avanti con un progetto ad alto impatto di nuova seggiovia sul crinale del Corno alle Scale (la cima più alta del bolognese), quando il territorio montano avrebbe bisogno semmai di servizi, che invece sono sempre più concentrati sulla città.
Proprio dalla montagna (che da anni sta vivendo un sotterraneo rinnovamento per opera di giovani in cerca di modi di vita più sostenibili e conviviali) gli attivisti del “Comitato Reno Contro Tutto l’Insostenibile” hanno lanciato una intelligente campagna ispirata al metodo francese dei Soulèvements, proponendo in settembre 2022 una marcia di 12 giorni che ha congiunto idealmente i luoghi dei due progetti impattanti sopra descritti con un terzo luogo, nella pianura a nord della città, dove invece l’ennesimo progetto di cementificazione (un nuovo “polo logistico” previsto proprio sopra l’ultima risaia attiva del bolognese) è stato bloccato sul nascere dall’attivismo ambientalista (una vittoria intermedia come la ZAD di Notre Dame des Landes!) [2].
L’iniziativa, che si è data il nome di “Sollevamenti della Terra in Marcia” è riuscita a mettere in rete le numerose organizzazioni e singole persone che già da tempo si battevano in modo isolato, ha dato protagonismo all’agricoltura contadina e ha mostrato come tutti questi progetti non siano a sé stanti ma siano legati dal medesimo paradigma estrattivista, retrogrado e ormai obsoleto. La pratica della marcia, poi, ha favorito la convivialità e lo scambio tra i partecipanti, costruendo e consolidando una visione comune.
Successivamente, il 22 ottobre, c’è stata a Bologna una imponente manifestazione contro il “passante”, organizzata in collaborazione con il collettivo di fabbrica GKN all’insegna della “convergenza” tra le diverse lotte, sociali e ambientali. Quindi una delegazione bolognese si è spinta fino a Luetzerath, in Germania, per supportare la resistenza locale contro il progetto di allargamento della miniera di carbone [3].
Attraverso queste tappe, in un certo senso fondative di una nuova piccola comunità politica, si è potuti arrivare a una partecipazione così notevole alla manifestazione di St. Soline. La spedizione, durata complessivamente sei giorni, ha avuto anche una valenza formativa, non solo per la conoscenza ravvicinata dell’interessantissima esperienza francese (in un momento poi così particolare di mobilitazione dell’intero Paese!), ma anche per la pratica della completa autogestione logistica del gruppo (pasti ecc.), dell’autofinanziamento, e soprattutto per la conoscenza diretta, durante le tappe intermedie, della imprescindibile esperienza della lotta NO TAV della Val di Susa (e poi della Maurienne, sul versante francese), che, analogamente all’esperienza zapatista nel lontano Chiapas, fornisce il modello di una resistenza, anzi di un contropotere, basato sulla costruzione di comunità, sulla difesa del territorio e della vita e sull’azione diretta.
Dialoghi Mediterranei, n. 61, maggio 2023
Note
[1] Cfr. per dettagli la chiamata internazionale per la mobilitazione del 25-26 marzo tradotta in italiano a cura de “I sollevamenti della terra in marcia”: https://sollevamentiterra.noblogs.org/post/2023/02/18/25-26-marzo-poitou-francia-non-un-bacino-di-piu-mobilitazione-internazionale-in-difesa-dellacqua/
[2] Approfondimenti sulla marcia qui: https://sollevamentiterra.noblogs.org/post/2022/09/01/dalla-risaia-di-ponticelli-al-corno-alle-scale-i-sollevamenti-della-terra-una-marcia-per-dire-no-a-opere-dannose-e-imposte/
[3] Vedi: https://sollevamentiterra.noblogs.org/post/2023/02/03/chiacchiera-su-lutzi/.
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Antonella Selva, socia fondatrice e membro del comitato direttivo di Sopra i ponti, ha collaborato alle trasmissioni di informazione della emittente locale Radio Città 103 (oggi Radio città Fujiko) dal 1989 al 1997, è stata consigliera comunale a Bologna dal 1992 al 1999 per Rifondazione comunista. Dalla fine degli anni 80 si interessa al tema dell’immigrazione e partecipa al movimento antirazzista e pacifista. Approfondisce la conoscenza degli squilibri nord-sud con viaggi di conoscenza e cooperazione in Nicaragua (1992 e ‘93), marcia della pace a Sarajevo dei Beati costruttori di pace (dicembre 1992), Iraq (1993), Palestina (1990, 1994), Kurdistan (1994), Libia (1995). Lavora come impiegata presso la Ausl di Bologna e scrive e disegna fumetti: ha pubblicato due graphic novel (Femministe, 2015, e Cronache dalle periferie dell’impero, 2018) e due racconti brevi a fumetti contenuti in pubblicazioni collettanee (Alla ricerca della sua terra, 2012, e Come il Titanic, 2013).
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