di Olimpia Niglio [*]
La protezione e la valutazione del rischio del patrimonio culturale, se pur di recente acquisizione normativa, specialmente in Europa trovano radici ideologiche in quelle scienze finalizzate alla conoscenza del mondo fisico, i cui studi si sono basati su osservazioni di natura puramente scientifica solo a partire dal XVII secolo. È impossibile infatti non ripartire da alcuni significativi eventi storici per intendere i metodi e i criteri che hanno caratterizzato, a partire dal XX secolo, le concezioni e i processi analitici più moderni e utili a valutare nonché proteggere il patrimonio culturale.
Il risveglio intellettuale del Rinascimento aveva indicato nuovi valori della conoscenza umana ed aveva avviato gli studi del mondo fisico verso nuovi percorsi, anche se a quei giorni il contributo per una scienza moderna era ancora piuttosto limitato[1]. La solitaria esperienza di Leonardo da Vinci aveva chiaramente anticipato molte riflessioni di natura scientifica nonché sul rapporto tra uomo e ambiente[2]; tuttavia il Rinascimento in Europa non aveva posto ancora quelle basi sufficientemente stabili per assicurare una forte affermazione degli studi scientifici.
La Nuova Scienza, come oggi è comunemente concepita, ha mosso i primi passi solo a partire dal XVII secolo. Il momento decisivo è avvenuto quando, nello studio della meccanica si è rinunciato ad interpretare i movimenti degli astri seguendo il presupposto di una perfezione teologica le cui radici dovevano rispettare l’interpretazione scolastica della filosofia aristotelica[3]. Poco prima del Concilio di Trento la teoria eliocentrica, già conosciuta dagli antichi greci, era comparsa di nuovo in una pubblicazione di Copernico. Differentemente Galileo andò oltre rinunciando ad assumere una posizione “strumentalista” e senza usare la stessa prudenza di Copernico preferì insistere nel presentare una concezione unificante della meccanica celeste e di quella terrestre, diventando così il referente fondatore della Scienza Moderna. Con il processo del 1633 Galileo fu sconfitto dall’Inquisizione, ma il suo entusiasmo per la scienza sperimentale si è propagato attraverso i suoi scritti (Il Dialogo dei Massimi Sistemi) nonché attraverso i suoi allievi.
Già nel 1657 Evangelista Torricelli e Vincenzo Viviani fondarono a Firenze l’Accademia del Cimento, ossia dell’esperimento, la prima società scientifica europea che con il famoso motto “provando e riprovando” propugnava una rigorosa verifica sperimentale per lo studio dei princìpi della filosofia naturale. Dietro questa iniziativa sono sorte poco dopo anche la Royal Society of London (1660) e l’Académie des Sciences di Parigi (1666)[4].
Galileo era nato nel 1564, nell’anno in cui, chiudendo l’esperienza rinascimentale, era morto Michelangelo, e morì nel 1642 anno in cui invece era nato Isaac Newton, poco tempo dopo aver pronunciato la storica abiura impostagli dall’Inquisizione[5]. Oggi queste coincidenze appaiono molto suggestive anche per i temi che questo contributo intende analizzare, perché la sequenza storica degli avvenimenti definisce la nascita di un periodo certamente complesso ma in cui si è verificata una svolta epocale nello studio delle scienze, settore che ha avuto un ruolo fondamentale per la protezione del patrimonio culturale. In realtà fu abbandonato il metodo secondo il quale si dovevano cercare le verità materiali nella lettura di messaggi rivelati, mentre si comprese come una migliore conoscenza del mondo fisico si poteva e doveva ottenere mediante la lettura diretta del grande «Libro della Natura». Fu proprio a partire dal secolo XVII che ebbe inizio un interessante percorso finalizzato ad analizzare direttamente la realtà fisica per conoscerla in modo scientifico, cioè senza intermediazioni preconcette e senza finalizzazioni se non quelle di una conseguente utilizzazione tecnica[6], ma accettando come limiti soltanto il modo in cui essa appare «al nostro metodo di interrogazione»[7].
È su queste basi che ebbe impulso la concezione di quella dinamica classica, oggi riconosciuta come «la scienza occidentale più antica, fenomeno unico nella storia delle scienze»[8], al quale sono seguiti poi tutti i successivi sviluppi e quindi le osservazioni di natura fisica che intervengono oggi anche sui temi inerenti la conservazione e la protezione del patrimonio culturale. Tuttavia la concezione di una conoscenza fondata sulle informazioni ottenute direttamente attraverso le osservazioni interpretate secondo metodi scientifici si è affermata in modo definitivo solo durante l’Illuminismo Europeo, per espandersi poi in tutto il mondo dando vita a quello sviluppo tecnico e tecnologico che da allora ha caratterizzato sempre più l’epoca moderna [9].
Le scienze hanno trovato così un solido fondamento nella meccanica newtoniana, potendo tradurre in pratica le maggiori teorizzazione in campo sia tecnico che umanistico proprie del XIX secolo. È in questa fase scientifico-evolutiva che vanno reinterpretate anche quelle prime norme e prescrizioni che in particolare avevano interessato, in Italia, soprattutto il territorio dello Stato Pontificio. Dopo la svolta del XVII secolo molti rami della Nuova Scienza avevano iniziato a crescere e a consolidarsi fino ad entrare a far parte delle conoscenze comuni e a modificare molte concezioni e molte abitudini di vita delle comunità umane più evolute. Gli studi riguardanti il problema della protezione del patrimonio culturale iniziarono lentamente a svilupparsi, anche se dobbiamo aspettare la fine del XX secolo per specifiche normative nonché procedure attuative. Infatti le informazioni spesso dipendevano da manifestazioni naturali non sempre chiare e troppo spesso occasionali, di non facile rilevamento e di non immediata interpretazione.
Prima di riuscire a trovare una giusta collocazione dei metodi di valutazione all’interno della scienza moderna, le ipotesi che sono state formulate per spiegare le cause rischi a cui è soggetto il patrimonio culturale hanno seguitato a vacillare ancora per molto tempo fra credenze popolari e congetture di fantasia. Per un certo tempo si è seguitato a descrivere gli episodi, soprattutto determinati da eventi sismici se pur significativi, annotando tutte le particolarità degli eventi naturali associati alle manifestazioni dei terremoti e ritenuti singolari. Ciò avveniva con una descrizione dei dettagli osservati la cui scrupolosa esposizione testimoniava proprio la palese mancanza di una chiara metodologia interpretativa.
Il ritardato sviluppo di metodi più scientifici è stato favorito anche da residui di credenze superstiziose e di timori soprannaturali, forse non ancora del tutto abbandonati, nonché da quegli atteggiamenti fatalistici che ancora oggi, come conseguenza di una scarsa conoscenza della realtà, accompagnano facilmente il rapporto con i fenomeni naturali, nonché da quelle credenze che in passato hanno indotto l’Inquisizione a ricorre perfino agli autodafé[10]. In ogni caso, le varie motivazioni che hanno provocato questo ritardo di sviluppo si sono riflesse fortemente sia sulle scienze ingegneristiche quanto poi anche su quei metodi di valutazione oggettiva fondamentali per proteggere e valutare correttamente il rischio del patrimonio culturale.
Certamente alcuni eventi a noi più noti perché avvenuti in Europa hanno determinato le basi per gli sviluppi sia normativi che operativi per intervenire sul patrimonio culturale sottoposto a rischi di varia natura. Lo stimolo certamente è stato sollecitato da alcune gravi catastrofi quali: il terremoto di Lisbona del 1755, che aveva devastato vasti territori già densamente edificati dell’Europa Occidentale, nonché il terremoto della Calabria Ulteriore (in Italia) che nel 1783 aveva distrutto le stesse zone del terremoto del 1908; evento avvenuto quasi un secolo dopo quello altrettanto grave della Val di Noto che nel 1693 aveva interessato zone della Sicilia Orientale [11].
I primi studi di una certa rilevanza con i quali è stato aperto il cammino verso una concezione più moderna della valutazione dei rischi del patrimonio culturale sono apparsi ancora più tardi, all’inizio del secolo XX, dopo altri noti eventi storici, come il terremoto di San Francisco del 1906 in California, seguito poco dopo in Italia dal terremoto di Messina e di Reggio Calabria del 1908. Anche questi studi sono stati condotti ancora senza poter seguire appieno quegli approcci che caratterizzano oggi anche più in particolare l’Ingegneria Sismica. Tuttavia è solo in questa prima parte del XX secolo che hanno cominciato a circolare le prime informazioni scientifiche utili per sviluppare nuove ed appropriate concezioni progettuali, basate sull’analisi diretta dei rischi. Insieme a queste essenziali informazioni hanno iniziato ad essere disponibili anche i risultati degli studi teorici e soprattutto di quelli sperimentali riguardanti la capacità di risposta delle strutture nelle loro condizioni di comportamento in condizioni estreme. Si sono potuti stabilire così quei criteri di progetto, come quelli del «Capacity Design», che hanno condotto alle recenti procedure progettuali e in seguito ai quali è stato possibile proporre anche l’impiego dei primi sistemi di protezione di tipo innovativo sia per costruzioni più recenti quanto per gli edifici storici. Pertanto oggi gli studi ingegneristici sono arrivati ad un adeguato stato di maturazione rispetto a quello nel quale si è sviluppata la maggior parte degli altri settori dell’ingegneria delle strutture, tanto che i risultati ottenuti da questi studi sono convogliati in molte normative che riguardano proprio la protezione del patrimonio culturale, e non poco significativa in Italia è stata la collaborazione tra il Ministero per i Beni e le Attività Culturali ed alcune facoltà di ingegneria che hanno messo appunto le Linee Guida per la valutazione e riduzione del rischio sismico del patrimonio culturale (2006). Come recita la premessa al testo delle Linee Guida «La salvaguardia del patrimonio culturale dal rischio sismico in Italia è innanzitutto un tema di prevenzione, finora non attuata, se non in casi assolutamente singolari, tanto da non costituire neanche un precedente»[12].
In realtà per troppo e lungo tempo la necessità di approcci valutativi finalizzati al patrimonio culturale è stata dominata da una certa dipendenza dalle scienze ingegneristiche non sempre così disponibili ad avvicinarsi ai temi del costruito storico e dell’arte. Tutto questo ha prodotto non poche difficoltà per la diffusione e per l’accettazione a livello operativo di nuove idee e di nuovi paradigmi progettuali che fossero realmente appropriati al problema della valutazione del rischio del patrimonio esaminato in tutta la sua complessità. Per aprire questa strada è stato infatti necessario che avvenisse una separazione, o meglio una specie di scisma da quella filosofia della sicurezza e da quei presupposti teorici sui quali tale filosofia si era a lungo basata, sia pure con notevoli successi al di fuori però del campo sismico e della valutazione del rischio. Tuttavia tale realtà è facilmente riscontrabile in molti altri Paesi, che come l’Italia o forse anche più, sono fortemente coinvolti in progetti di protezione del patrimonio soprattutto architettonico. Differenti invece sono certamente gli approcci metodologici nei confronti del costruito storico dato che diverse sono le teorie secondo le quali certi interventi vengono concepiti e realizzati nelle distinte realtà territoriali del mondo. A questo riguardo va anche annotato che nelle distinte culture concetti come restauro, conservazione, protezione, valorizzazione ed anche il termine stesso patrimonio assumono significati differenti e a volte neppure esistenti; per questo è fondamentale tenere sempre ben presente queste distinzioni anche terminologiche quando si affrontano studi comparativi così come in questo contributo.
Sviluppo delle conoscenze e paradigmi procedurali in alcuni paesi del mondo
Le esperienze e le sperimentazioni europee in campo scientifico certamente hanno costituito e costituiscono tuttora un importante riferimento per gli sviluppi normativi e procedurali applicati in differenti Paesi del mondo sia per intervenire sul costruito storico quanto per proteggerlo dai rischi naturali. Tuttavia il processo di lenta accettazione ai nuovi metodi proposti dalla Scienza Moderna ha trovato in Europa le sue motivazioni in un complesso di cause e di condizionamenti molto ampi, certamente di natura economica, ma anche di natura etica e culturale.
Per quel che riguarda in particolare i progetti di protezione e valutazione del patrimonio costruito, esaminando anche quanto è avvenuto in epoca passata, sia pure in limitati ambiti geografici (Messico, Colombia, Giappone ed Italia), il problema sembra presentare perfino una certa analogia con i comportamenti che alcuni autorevoli scienziati e filosofi della scienza, come Max Planck[13], Werner Heisenberg[14], Thomas Samuel Kuhn[15] ed altri, hanno indicato per interpretare più in generale i processi, non privi di una componente genetica, secondo i quali in contesti più ampi si diffondono e si accettano più facilmente i mutamenti delle conoscenze di base.
Nella realtà, dietro questi comportamenti esistono quasi sempre sollecitazioni provenienti da convenienze sia di settore, sia individuali. In particolare quando si interviene nel campo della conservazione del patrimonio culturale ci si trova di fronte a consuetudini e ad assuefazioni non semplici da modificare. Si tratta principalmente di abitudini con le quali le attività e le procedure attuative sono state stabilite, tenendo conto principalmente delle necessità operative ritenute valide fino a quel momento e alle quali spesso è difficile apportare opportuni cambiamenti. In realtà le richieste di modifiche normative e procedurali coinvolgono interessi economici che inducono a non accogliere favorevolmente cambiamenti che possano produrre interferenze con l’organizzazione di un lavoro che è stato svolto secondo procedure e modi di operare ormai stabilizzati. Tutto questo è quanto si verifica in molti Paesi del mondo dove l’inserimento di normative e procedure attuative per la protezione del patrimonio culturale si scontra sovente con normative che rigidamente impongono procedure non disponibili a valutare cambiamenti. Se pur sono presi in esame procedimenti connessi alla protezione del patrimonio storico non sempre tali procedimenti rispondono alle esigenze proprie del manufatto a causa di una mancanza di conoscenza preliminare e fondamentale per attuare metodi e procedure operative corrette. Analizziamo in seguito alcuni casi con riferimento a differenti realtà geografiche.
Continente Americano
Con riferimento a questa premessa risulta interessante osservare quanto accade oggi in America Latina ed in particolare in Colombia dove nel 1983 un evento sismico ha distrutto la città coloniale di Popayan ed ancora nel 1999 la città di Armenia.
Qui le normative nazionali per la protezione delle costruzioni soprattutto da rischi sismici e di natura vulcanica fanno riferimento alle norme statunitensi che non prendono in esame il patrimonio storico. Differentemente in Colombia l’Asociación Colombiana de Ingeniería Sísmica con il supporto anche della Presidenza della Repubblica, tra il 2001 ed il 2004, ha elaborato due interessati manuali operativi finalizzati a promuovere studi e procedure per proteggere il patrimonio costruito locale di tipo tradizionale, realizzato con muri di terra, strutture di legno o canne di bambù [16]. È da annotare che tali manuali sono stati redatti anteriormente alla prima legge di protezione del patrimonio culturale colombiano, legge nazionale emanata solo nel 2008. Questi manuali hanno avuto il merito di avvicinare e sensibilizzare i professionisti impegnati nel settore della costruzione su procedure volte a proteggere e salvaguardare questo antico patrimonio costruito e non a demolirlo come purtroppo in molti casi si continua a fare anche per motivi economici, senza tener conto della perdita di valore sia economico che culturale che tale distruzione apporta poi nel tempo. Tuttavia queste procedure approvate dall’Asociación Colombiana de Ingeniería Sísmica purtroppo non costituiscono parte di una normativa nazionale e pertanto di libera applicazione e non sempre il governo centrale interviene per proteggere il proprio patrimonio culturale.
Sempre in America Latina e in questo caso in Cile esiste un ufficio presso il Ministero degli Interni (Oficina Nacional de Emergencias Ministerio del Interior) che, nell’ambito delle sue mansioni, si occupa in modo specifico della protezione del patrimonio culturale del Paese intendendo con questo tutte quelle espressioni e testimonianze realizzate dall’uomo ed appartenenti alla nazione. Tuttavia pur essendo attivo questo ufficio non sono prese in esame risorse specifiche per la protezione del patrimonio né tanto meno delle procedure normative finalizzate a promuovere tali attività che sono controllate dal Consejo Nacional de la Cultura y las Artes istituito nel 2003 presso il Ministero dell’Educazione [17].
In generale i Paesi dell’America Latina convogliano il problema del patrimonio all’interno della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre del 1948. Tale dichiarazione fa riferimento principalmente ai diritti delle persone e agli impegni che i singoli Stati devono adempiere per i loro cittadini, quindi la Dichiarazione mette al centro dell’attenzione un aspetto del patrimonio che va al di là della visione materiale che generalmente caratterizza i Paesi occidentali. Infatti al centro del problema c’è il patrimonio umano e poi a seguire quello che quest’ultimo ha realizzato nel corso dei secoli [18]. È quanto emerge anche in Messico dove sin dal principio del XIX secolo le prime norme per la protezione del patrimonio culturale locale hanno riguardato proprio quello antropologico ed archeologico [19]. In particolare l’istituzione dell’Instituto Nacional de Antropología e Historia fondato nel 1938 e che dopo il 1988 è entrato a far parte del controllo del Consejo Nacional para la Cultura y las Artes, svolge un ruolo fondamentale nel Paese e non è un caso che si tratti di un istituto che pone al centro degli interessi culturali quello dell’antropologia e quindi il patrimonio umano.
Lo stesso tipo di impostazione è possibile riscontrarlo anche in Costa Rica. Più in generale è possibile affermare che in tutti i Paesi del centro e Latino America i riferimenti normativi tecnici per interventi di protezione del patrimonio costruito si avvalgono delle norme statunitensi e con particolare riferimento per i nostri temi alle norme FEMA n. 273 del 1997 e n. 356 del 2000 Guidelines for the seismic rehabilitation of buildings. Tuttavia queste norme non prendono in esame il patrimonio storico né tanto meno si trovano riferimenti specifici in altre norme che si riferiscono a metodi di conservazione. Tutto questo dipende dal fatto che gli ambiti disciplinari che intervengono sul patrimonio culturale non sono ancora in grado di dialogare in modo adeguato tra loro e quindi le discipline scientifiche non opportunamente si pongono in relazione con le esigenze di quelle umanistiche e viceversa, con la diretta conseguenza di non apportare alcun beneficio alla protezione e conservazione del patrimonio ereditato. Non sono mancati però importanti simposi come quello promosso nel 1993 a Quito in Ecuador dal Fondo de Salvamento del Patrimonio Cultural della città di Quito dalla Fondazione Caspicara e dal Getty Conservation Institute di Los Angeles [20]. Scopo del convegno fu quello di analizzare e proporre adeguati metodi di salvaguardia degli edifici storici e dei monumenti in zona sismica. Il colloquio internazionale propose un interessante scambio tra esperti di ingegneria, architettura ed arte, proprio sulle teorie, principi, metodi, norme e tecnologie da applicare per la protezione dei monumenti e dei beni in essi custoditi ma purtroppo i risultati non hanno trovato ampie applicazioni se non in casi singoli e molto rari.
In ambito Europeo una prima importante esperienza di condivisione interdisciplinare si è svolta a partire dal 2002; infatti presso la Commissione Europea, Servizio Comunitario di Informazione in materia di Ricerca e Sviluppo [CORDIS] è stato promosso il progetto internazionale PROHITECH, coordinato da quindici istituzioni accademiche provenienti da dodici Paesi per lo più appartenenti all’area del Sud Europa e del Mediterraneo, dedicato alla Tutela e conservazione del patrimonio culturale nell’area del Mediterraneo. Il progetto ha affrontato nel corso di oltre quattro anni di studi il tema della protezione dai rischi naturali di edifici storici e dei monumenti, quindi di costruzioni risalenti dall’età antica fino alla metà del XX secolo. L’obiettivo è stato quello di studiare, analizzare, sviluppare e proporre metodologie adeguate e sostenibili per l’impiego di tecnologie finalizzate alla protezione delle costruzioni esistenti, con particolare riferimento agli edifici di interesse storico ed artistico. Tale ricerca ha concentrato parte del suo impegno sullo studio di tecnologie reversibili e allo stesso tempo di un uso combinato di materiali e tecniche in grado di ottimizzare il comportamento globale degli edifici sottoposti ad azioni sismiche e quindi a particolari rischi naturali [21].
Questa ricerca ha certamente posto le basi per importanti riflessioni che in parte sono confluite anche nell’esperienza italiana promossa dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali e divulgata grazie alla redazione delle Linee Guida per la valutazione e riduzione del rischio sismico del patrimonio culturale (allineate alle Norme Tecniche per le costruzioni con Decreto Ministeriale del 14 gennaio 2008) ed ha costituito un riferimento legislativo molto importante che trova oggi molti riscontri anche in progetti realizzati all’estero ed in particolare in alcuni paesi proprio del continente americano. Merita in questo contesto ricordare anche il progetto promosso dall’Istituto Centrale per il Restauro a cura di Giovanni Urbani già al principio degli anni ’80 del XX secolo dal titolo La Protezione del patrimonio monumentale dal rischio sismico e che vide operare insieme docenti e ricercatori di differenti afferenze disciplinari i cui risultati furono poi presentati in una mostra allestita a Roma presso lo stesso Istituto nonché in quattro volumi editi sempre in occasione dell’esposizione. Tuttavia tutto questo fermento di ricerca scientifica nel settore della protezione del patrimonio culturale che si è attivato soprattutto in Europa a partire dalla seconda metà del XX secolo dimostra proprio come il graduale accrescimento delle conoscenze tecniche e scientifiche maturato nel corso dei secoli – precedentemente descritto – analizzando ed interpretando gli aspetti più significativi della realtà osservata, ha richiesto più volte sostanziali modifiche ai riferimenti ed alle concezioni di base che hanno governato e devono governare il progetto della protezione del patrimonio costruito. Gli aggiornamenti sono stati necessari per mirare con una precisione sempre maggiore verso quegli obiettivi fondamentali che a loro volta si sono andati definendo.
Grazie a questo sviluppo, rispetto ad un secolo fa, quando si è iniziato ad affrontare il problema soprattutto della protezione sismica con un’ottica prevalentemente scientifica, le conoscenze riguardanti il comportamento meccanico delle strutture soggette agli attacchi dei terremoti di maggiore intensità, insieme alle concezioni di fondo che devono guidare il processo progettuale, si sono notevolmente evolute. I livelli di sicurezza che oggi si possono pretendere per proteggere le costruzioni nelle zone maggiormente esposte ai rischi naturali sono ben più impegnativi di allora ma anche più adeguati alle tecniche costruttive tradizionali. Se però si esamina il risultato pratico cui di fatto si è arrivati nel settore puramente operativo e realizzativo, la situazione si presenta in modo piuttosto insoddisfacente.
In realtà l’accettazione delle nuove concezioni progettuali e le metodologie da usare per la definizione dei problemi riguardanti la protezione dai rischi naturali del patrimonio culturale non sempre hanno seguito in modo attento ed appropriato i risultati proposti dallo sviluppo e dal progresso delle conoscenze scientifiche. In Italia, forse più che negli altri Paesi di cultura avanzata, la divulgazione e l’accettazione da parte dei progettisti e da parte degli operatori impegnati nei vari settori decisionali, realizzativi e di controllo, delle nuove concezioni e dei nuovi metodi di progetto che sono stati proposti nei successivi momenti del progresso conoscitivo sono avvenute spesso in ritardo e più volte in modo improprio. Tuttavia le procedure da adottare devono essere ora finalizzate a fortificare i processi di informazione e formazione in ambito sia accademico che professionale e quindi poter ricanalizzare la realtà e gli obiettivi perseguiti almeno entro il prossimo decennio.
Estremo Oriente
A differenza del bacino mediterraneo europeo ma con maggiori similitudini rispetto all’area andina latino-americana il Giappone presenta tutte quelle caratteristiche geologico ed ambientali che necessariamente hanno sempre richiesto una forte attenzione al tema della protezione del patrimonio culturale. L’organizzazione governativa giapponese però prevede una chiara distinzione tra coloro che si occupano della tutela e conservazione dei templi e santuari e coloro invece deputati alla tutela del paesaggio e del costruito civile. Si tratta di due entità separate: i templi ed i santuari sono gestiti direttamente dai loro referenti e custodi, mentre il tema del paesaggio e del costruito civile fa capo all’Agency for Cultural Affairs istituita presso il Ministero dell’Istruzione nel 1968. Nel 1950 è stata introdotta la prima legge n. 214 per la tutela del patrimonio nazionale [22] anche se già a partire dalla fine del XIX secolo, con l’imperatore Meiji, sono state emanate diverse leggi per la conservazione del patrimonio sia mobile che immobile. Tuttavia nessuna di queste norme ha preso in esame il tema della protezione dai rischi naturali, pur essendo tali rischi le principali cause dei danni al patrimonio della nazione.
Presso il tempio di Sanjōsangendō in Kyoto un antico disegno descrive sistemi di protezione sismica che i monaci avevano messo in atto per proteggere il luogo sacro durante i fenomeni tellurici. Questo sta a dimostrare come da sempre il sistema della protezione dei templi e dei santuari in Giappone non è dettato da leggi e norme nazionali ma dipende esclusivamente dalla memoria orale dei suoi custodi che tramandano nel tempo anche sistemi di conservazione e protezione [23]. Per quel che concerne invece il patrimonio della nazione – fatta esclusione dei templi e dei santuari – in Giappone esiste la National Financial Assistance for Disaster Recovery che provvede a finanziare i restauri ed interventi di riparazione di tutti i beni che sono sotto la protezione dell’Agency for Cultural Affairs. Ogni finanziamento opportunamente valutato prevede come contributo circa il 50% del costo di intervento per opere di restauro ed una disponibilità addizionale del 20% proprio in caso di progetti realizzati a causa di danni inferti da disastri e quindi finalizzati alla protezione dai rischi del bene culturale. Gli eventi del marzo 2011 hanno riproposto studi ed interventi sul patrimonio storico-culturale ed un interessante report elaborato dal Comitato Nazionale ICOMOS Giappone ne mette in risalto valori e qualità metodologiche [24].
Considerazioni programmatiche
Le esperienze introdotte in questo contributo lasciano intuire che il problema della protezione del patrimonio culturale, indipendentemente dalla realtà geografica di riferimento, sia stato fortemente condizionato da percorsi particolarmente tortuosi soprattutto quando si è trattato di analizzare lo specifico tema in realizzazione ad altre discipline ed in particolare a quelle prettamente scientifiche. Certamente è da ritenere che la principale causa di queste difficoltà risieda proprio nella complessità degli interessi e delle competenze che in genere governano l’intero processo di protezione del patrimonio, riflettendosi poi sul delicato settore delle applicazioni attinenti in modo specifico agli architetti ed ai restauratori. Evidentemente, il problema non è privo di conseguenze pratiche, perché proprio nell’ambito della progettazione della protezione dai rischi, forse più che in altri, si sta manifestando un crescente divario tra le modalità con cui sarebbe auspicabile operare ed il rinnovamento delle conoscenze di base, man mano che queste sono proposte dal progresso tecnico-scientifico di settore. Una crescita di questo distacco fa aumentare sempre più il rischio di perdere buona parte di quella potenzialità che l’acquisizione delle nuove conoscenze consentirebbe di mettere utilmente a frutto. Per questo motivo progetti e ricerche così come questa promossa dal Kunsthistorisches Institut, Max-Planck-Gesellschaft di Firenze hanno il merito di mettere a confronto studiosi di differenti ambiti disciplinari in grado di potersi confrontare proprio su queste oggettive e concrete difficoltà che il mondo operativo incontra proprio nel momento in cui è importante agire per la protezione del patrimonio culturale. Mai come in questo periodo storico, considerato anche il rischio in cui è coinvolto non solo il patrimonio materiale ma principalmente quello umano, è auspicabile una concreta e costruttiva riflessione internazionale su questi temi qui solo introdotti.