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Sul genocidio dei Palestinesi

Banner sul Ponte Palatino a Roma, opera della street artist Laika

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di Alberto Giovanni Biuso 

Premessa. Un evento coloniale 

A quale altro popolo, nazione, esercito sarebbe stato consentito di praticare ciò che lo Stato di Israele mette in atto dal 7 ottobre 2023 e, con modalità e gradazioni diverse, dal 1948? Credo che questa sia la domanda essenziale da porre anche solo per avviare un discorso onesto e realistico sul genocidio in atto in Palestina.

Quello di Israele nel Vicino Oriente è infatti un caso esemplare di elaborazione e di inveramento dell’ideologia e delle pratiche colonialiste, delle quali l’Occidente è esperto attuatore a partire almeno dal XVIII secolo e che ebbe un momento fondativo, anche in chiave formale e geopolitica, con la Conferenza di Berlino del 1884. Hanno dunque ragione gli antropologi che in un loro documento dedicato alla tragedia palestinese affermano che «l’occupazione della Palestina da parte dello Stato di Israele è un progetto coloniale»[1].

Chiaro segnale di tale continuità, che dal genocidio dei nativi americani conduce a quello dei palestinesi, è quanto dichiarato dalle stesse autorità dello Stato di Israele: «Il Primo ministro e il Presidente israeliano hanno affermato che Israele stava combattendo a nome di “tutti gli Stati civili e… i popoli”, “una barbarie che non trova posto nel mondo moderno”, che “sradicheranno il male e sarà un bene per l’intera regione e per il mondo”. Questa retorica razzista fa eco a quella di altre potenze coloniali e cerca di interpretare la violenza genocida di Israele come legittima alla luce del presunto carattere “barbaro” e “premoderno”» [2]. Nel 2014, in occasione di un’altra fase del genocidio palestinese, una deputata dell’estrema destra israeliana aveva affermato con grande chiarezza che «tutti i palestinesi meritano di morire» [3]. 

chomsky_its-not-war-1«It is not a war, it is murder» 

Il primo passo ermeneutico per comprendere quanto da decenni – e non dal 7.10.2023 – accade in Palestina consiste dunque nel non utilizzare per questo conflitto la parola guerra, poiché una guerra è possibile soltanto quando lo scontro avviene tra forze simmetriche, non quando una delle parti in conflitto può minacciare l’altra di sterminio e mettere in atto tali minacce senza subire per questo alcuna reazione da parte della comunità internazionale. Non si tratta dunque di una guerra ma di altro, come Noam Chomsky, ebreo e uno dei maggiori filosofi viventi, aveva rilevato già nel 2012, durante un’altra fase del genocidio: 

«The incursion and bombardment of Gaza is not about destroying Hamas. It is not about stopping rocket fire into Israel, it is not about achieving peace. The Israeli decision to rain death and destruction on Gaza, to use lethal weapons of the modern battlefield on a largely defenseless civilian population, is the final phase in a decades-long campaign to ethnically-cleanse Palestinians.
Israel uses sophisticated attack jets and naval vessels to bomb densely-crowded refugee amps, schools, apartment blocks, mosques, and slums to attack a population that has no air force, no air defense, no navy, no heavy weapons, no artillery units, no mechanized armor, no command in control, no army… and calls it a war. It is not a war, it is murder.
When Israelis in the occupied territories now claim that they have to defend themselves, they are defending themselves in the sense that any military occupier has to defend itself against the population they are crushing. You can’t defend yourself when you’re militarily occupying someone else’s land. That’s not defense. Call it what you like, it’s not defense» [4]. 

‘It is not a war, it is murder’, non si tratta di guerra ma di omicidio. Che cosa significhino davvero queste parole sarà chiaro dai riferimenti che farò più avanti al documento, al quale ho già accennato, redatto dall’ONU tramite la sua «Relatrice Speciale sulla situazione dei diritti umani nei Territori Palestinesi Occupati dal 1967».

Non è una guerra anche perché i palestinesi vivono da decenni in un regime di vera e propria segregazione (apartheid) che nella cosiddetta ‘Striscia di Gaza’ diventa miseria, frequente mancanza di acqua, di elettricità, di cibo, incertezza sulla vita e sulla morte, pervasiva e quotidiana umiliazione rispetto ai padroni israeliani. Tra le tante ragioni dell’attacco dell’organizzazione Hamas contro Israele credo ci sia anche la disperazione di chi cerca di morire non come un topo in trappola ma almeno combattendo contro chi lo sta portando alla fine. 

gazaSchizofrenie imperialiste 

Che Israele abbia intenzione di accelerare il genocidio del popolo palestinese dovrebbe risultare evidente a chiunque guardi con un minimo di oggettività quello che da più di settanta anni accade in Palestina. La deportazione di milioni di persone dalle loro case; il trasferimento forzato di migliaia di malati; il radere al suolo intere città della Striscia di Gaza; il massacro di vecchi, donne, bambini attraverso bombardamenti indiscriminati, costituiscono delle prove schiaccianti di una volontà genocida che non ha intenzione di fermarsi prima di raggiungere i suoi obiettivi.

Si tratta anche dell’ennesima schizofrenia della quale è vittima la soggettività che definisce se stessa «progressista» e reclama l’accoglienza più o meno universale di «migranti» che sono per la più parte di religione e identità islamica e tuttavia sostiene poi il sionismo dello Stato di Israele che vede nell’Islam sia arabo (per la più parte sunnita) sia iraniano (sciita) un pericolo mortale. Israele è l’ennesimo strumento dell’imperialismo anglosassone; chi conosce un poco la storia sa che il movimento sionista fu ai suoi albori sostenuto appunto dallo Stato britannico come ulteriore strumento di controllo del Vicino Oriente.

L’incoerenza logica e politica costituisce una tendenza inevitabile dei «progressisti», che nel loro paradigma universalista, globalista e dunque imperialista si trovano sempre davanti a contraddizioni che o cercano di ignorare o non comprendono proprio o verso le quali nutrono sovrana indifferenza, essendo loro i ‘buoni e giusti’ per definizione.

Sostenere il più implacabile colonialismo e suprematismo anche culturale, basato sui ‘valori’ dell’Occidente, contro tutti gli altri popoli e civiltà del pianeta (ritenuti autoritari, gerarchici, antidemocratici, maschilisti, patriarcali, superstiziosi, arretrati e così via) e insieme credersi ‘accoglienti’ mi sembra essere appunto il frutto di una schizofrenia politica.

Di tale contraddizione non è invece vittima chi è contrario all’immigrazione islamica in Europa per i gravi problemi di ogni genere che essa comporta e per l’impoverimento culturale ed economico delle terre di provenienza. E anche per questo è del tutto favorevole all’autonomia, all’indipendenza, al diritto di esistere dell’Islam e dei suoi popoli – a partire dai Palestinesi e poi dai Tunisini, Marocchini, Afghani, Iraniani… – nelle loro terre. Terre che per secoli sono state vittime del colonialismo e dell’imperialismo europei (in particolare anglosassone e francese ma anche belga; basti leggere il magnifico e terribile Cuore di tenebra di Conrad) e che continuano a essere vittime di tale imperialismo anche tramite la creazione dello Stato sionista in Palestina, propaggine della Gran Bretagna e soprattutto degli Stati Uniti d’America.

Di tale natura coloniale dello Stato di Israele è segno anche la modalità con la quale il sionismo afferma questo: 

«a) il Presidente Isaac Herzog ha dichiarato che “un’intera nazione là fuori… è responsabile” dell’attacco del 7 ottobre e che Israele “spezzerà loro la spina dorsale”;
b) il Primo ministro Benjamin Netanyahu si riferiva ai palestinesi come “Amalek” e “mostri”. Il riferimento ad Amalek è a un passaggio biblico in cui Dio comanda a Saulo: “Ora va’ e colpisci Amalek e distruggi completamente tutto ciò che hanno, e non risparmiarli; ma uccidi uomo e donna, bambino e lattante, bue e pecora, cammello e asino”;
c) il ministro della Difesa Yoav Gallant ha definito i palestinesi “animali umani”, e ha annunciato la “piena offensiva” su Gaza, avendo “sciolto tutti i vincoli”, e che “Gaza non tornerà mai più a quello che era”;
d) il portavoce dell’IDF Daniel Hagari ha affermato che l’attenzione dovrebbe concentrarsi sul causare “il massimo danno”, dimostrando una strategia di violenza sproporzionata e indiscriminata;
e) il ministro dell’Agricoltura Avi Dichter ha definito l’azione di Israele “la Nakba di Gaza”;
f) il ministro del Patrimonio Amihai Eliyahu ha chiesto di colpire Gaza con le “bombe nucleari”;
g) il deputato del Likud Revital Gottlieb ha scritto sui suoi social media: “Abbattere gli edifici!! Bombardare senza distinzione!!…Appiattire Gaza. Senza pietà! Questa volta non c’è spazio per la misericordia!»[5]. 

Durante i mesi che vanno dall’ottobre 2023 a oggi i numerosi ‘inviti’ dell’esercito israeliano (IDF) a milioni di persone (compresi migliaia di malati ricoverati negli ospedali) di spostarsi di decine di chilometri tutti insieme nell’arco di poche ore dalle aree di Gaza verso sud hanno avuto un tono tra il burocratico e l’intimidatorio che ricorda da vicino analoghe tragedie del Novecento [6].

gaza_2024_senza_memoriaPoniamo dunque un’altra domanda: i palestinesi e un loro Stato hanno diritto a esistere oppure devono essere spazzati via dalla faccia della Terra? Da parte israeliana la risposta è chiara: il problema palestinese sarà risolto quando neppure uno di loro abiterà più la Palestina, diventata definitivamente ‘il grande Israele’. Tali opzioni politiche e storiche sono la conseguenza di ciò che il filosofo Eugenio Mazzarella ha definito come la «postura fanatica del fondamentalismo ebraico votato a prendere o a restituire ad Israele tutta la terra “promessa”»[7].

A confermare tale ‘postura’ è un documento secretato, ma che alcuni media sono riusciti a divulgare, con il quale il Ministero dell’Intelligence israeliano lo scorso 13 ottobre 2023 delinea tre possibili soluzioni della questione palestinese nei seguenti termini: 

«a) Opzione A: la popolazione rimane a Gaza e viene insediato il governo dell’Autorità Palestinese (AP).

b) Opzione B: la popolazione rimane a Gaza ed emerge un’autorità araba locale.

c) Opzione C: evacuazione della popolazione civile da Gaza al Sinai. […]

L’opzione C è quella che produrrà risultati strategici positivi a lungo termine per Israele ed è un’opzione realizzabile. Richiede determinazione da parte dei vertici politici di fronte alle pressioni internazionali, con particolare attenzione a sfruttare il sostegno all’impresa da parte degli Stati Uniti e di altri Paesi filo-israeliani» [8]. 

La preferenza per la terza opzione, vale a dire per la deportazione dell’intero popolo palestinese fuori dalla Palestina, è inoltre motivata con il fatto che «la divisione tra la popolazione palestinese in Giudea, Samaria e Gaza è oggi uno dei principali ostacoli che impediscono la creazione di uno Stato palestinese. È inconcepibile che l’esito di questo attacco sia una vittoria senza precedenti per il movimento nazionale palestinese e un percorso verso la creazione di uno Stato palestinese» [9]. Tra le numerose indicazioni operative per ottenere questo risultato si insiste sulla determinazione militare che non deve guardare alle eventuali numerose morti dei civili e sull’opportunità di «campagne dedicate agli stessi residenti di Gaza per motivarli ad accettare questo piano: i messaggi dovrebbero ruotare attorno alla perdita di terra, chiarendo che non c’è speranza di tornare nei territori che Israele occuperà presto, che ciò sia vero o meno. L’immagine deve essere: “Allah ha fatto in modo che perdeste questa terra a causa della leadership di Hamas, non c’è altra scelta se non quella di trasferirvi in un altro posto con l’assistenza dei vostri fratelli musulmani”»[10].

Il genocidio che in questi mesi arriva al suo culmine è dunque in corso da molto tempo, è attuato da Israele ed è sostenuto in tutti i modi dagli Stati Uniti d’America, un Paese che mostra ormai senza infingimenti la propria natura guerrafondaia e terroristica, un Paese che è diventato il più pericoloso per la pace su questo martoriato pianeta. Di fronte a tali dinamiche, realtà e fatti, vanno poste alcune domande ‘ingenue’ (al modo del bambino della favola di Andersen) ma essenziali:

Che cosa autorizza un Paese come gli Stati Uniti d’America a intromettersi nelle decisioni, nella vita, nelle libertà di altri Paesi?

In nome di che cosa gli USA sono giudici dei destini di ciò che avviene nel continente asiatico, in America Latina, nel Vicino Oriente, in Europa, ovunque?

Da dove proviene questo privilegio assoluto di stabilire per tutti che cosa sia il bene e che cosa il male?

Su che cosa si fonda la pretesa che gli altri popoli, Stati, nazioni debbano obbedire ai giudizi, alle decisioni, alle azioni e alle armi degli Stati Uniti d’America?

Credo che la sola risposta plausibile a tali interrogativi sia la seguente: ‘Perché gli Stati Uniti d’America sono attualmente il Paese più forte e militarizzato del mondo e i più forti fanno ciò che vogliono dei più deboli’. 

pci_vs_israele_1982Alcuni appelli 

E tuttavia non tutto è spento e morto in Occidente. Delle minoranze intellettuali e civili si stanno in questi mesi muovendo con l’unico strumento che di fatto possiedono: la parola. Trascrivo pochi brani di alcuni ‘appelli’, invitando a leggere integralmente questi testi (peraltro sintetici) e le note che li corredano. 

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Richiesta di un’urgente azione per un cessate il fuoco immediato e il rispetto del diritto umanitario internazionale [11] 

Come membri della comunità accademica italiana, da molti anni assistiamo con dolore e denunciamo ciò che accade in Palestina e Israele, dove vige, secondo Amnesty International, un illegale regime di oppressione militare e Apartheid. Ancora una volta, ci sentiamo atterriti e angosciati dal genocidio che sta accadendo a Gaza, definito a ragione dalla scrittrice Dominque Eddé come ‘un abominio che bene esemplifica la sconfitta senza nome della nostra storia moderna’. 

Interi quartieri abitati, ospedali, scuole, moschee, chiese e intere università (Islamic e Al-Azhar University tra le più grandi e rinomate) sono state completamente rase al suolo.  Il governo israeliano ha intimato ad oltre un milione di abitanti nella striscia di lasciare le loro case in vista di un attacco da terra, sapendo che non vi sono via di fuga e via di uscita dalla Striscia di Gaza. Molti di questi sfollati sono stati poi bombardati nelle “zone sicure” del sud della Striscia di Gaza, rivelando un chiaro intento di pulizia etnica da parte del governo israeliano.  

Secondo l’UNICEF ‘Gaza è diventata un cimitero per migliaia di bambini. Inoltre, l’escalation di violenza si è estesa anche in Cisgiordania, con violenze e aggressioni quotidiane, numerose vittime ed espulsioni di intere famiglie dalle loro case e terre. 

Come affermato dall’organizzazione pacifista Jewish Voice for Peace, l’escalation a cui assistiamo rappresenta l’ennesimo esempio di come gli attacchi coloniali e illegali perpetrati da Israele contro la popolazione palestinese costituiscano un rischio per la vita di tutti coloro che vivono nella regione, siano essi israeliani o palestinesi. 

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Fermiamo il genocidio. L’appello degli intellettuali [12]

Chi pagherà per quei bambini e quegli anziani ammazzati perché appartenenti a un popolo “inferiore”, esseri umani per sembianza fisica ma in fondo “animali” (così si è espresso un ministro israeliano), e perciò considerati indegni di vivere? Nessuno pagherà quei morti, come nessuno ha pagato quelli che ci sono stati in Iraq e in molti altri Paesi, colpevoli soprattutto di non essersi conformati al modello unico del capitalismo statunitense e occidentale della Nato e della UE (ma l’Occidente è tutt’altra cosa, le sue radici e i suoi valori sono ben altri! E l’Europa è stata nei secoli un’altra realtà del tutto diversa da quella che vediamo oggi, e il progetto europeo aveva altri contenuti e obiettivi!), perché la coscienza non esiste più come forza critica e vitale, espressione nobile e universale di libertà-e-giustizia. Anzi molti autori di quei crimini anche recenti si sono arricchiti e hanno ricevuto premi in più passando alla storia come uomini di pace ed esempi di saggezza!

In questi giorni molte maschere stanno cadendo, di governi, organizzazioni nazionali e mondiali e singoli individui (in primis di politici, giornalisti e intellettuali) e la loro totale ipocrisia e il loro becero cinismo traspaiono pienamente. È terribile constatare come ci sia una maggioranza di uomini (nell’Occidente in decadenza) che si mostrano indifferenti o approvano e addirittura appoggiano il genocidio in corso, questo massacro di un popolo inerte e indifeso (ripetiamo, soprattutto bambini, anziani e malati). È una cosa orrenda, rivoltante, inaccettabile, culturalmente, politicamente, moralmente, semplicemente umanamente.

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Antropologi per la Palestina [13] 

Nel momento in cui, da oltre sette mesi, si susseguono senza sosta violenze atroci ad opera dell’esercito israeliano in un lembo di terra massacrato da decenni; nella consapevolezza che la sofferenza della popolazione civile nella Striscia di Gaza si accompagna a soprusi, arresti sommari, torture, distruzioni, accaparramento di terre e abitazioni anche in altre aree dei Territori occupati della Palestina; al cospetto dell’ennesimo trasferimento forzato di centinaia di migliaia di persone da Rafah, fino a qualche settimana fa ancora considerata “zona sicura”, verso luoghi senza sbocco e strade ingombre di macerie, assistiamo impotenti alla confusione di un intero popolo, preso da smarrimento e disperazione di fronte al proprio genocidio. 

gideon_levy_su_israele_il_sole_24ore_18-12-2023-1«Né Dio né l’Idf hanno pietà dei bambini» 

Il titolo di questo breve paragrafo è tratto da un dolente e lucido articolo che Gideon Levy, giornalista israeliano, ebreo, ha dedicato all’olocausto palestinese [14]. Le sue tesi e soprattutto la sua Stimmung, la stessa tonalità emotiva che guida le riflessioni di altri analisti, sono vicine a quelle di Eugenio Mazzarella, studioso anche di politica oltre che filosofo, apprezzato per l’equilibrio e la pacatezza delle sue analisi. In alcuni suoi interventi, Mazzarella ha rilevato come un ostacolo pressoché insormontabile a qualunque pacificazione, e dunque a qualunque sopravvivenza del popolo palestinese, sia costituito dal fatto che Israele ritenga tale popolo «come irrimediabile humus di cultura del terrorismo e come tale da sradicare dalla Palestina – non Hamas ma i palestinesi in quanto palestinesi. Che è peraltro il senso dell’insultante proposta di qualche giorno fa di esponenti israeliani di un’isola artificiale di fronte a Gaza dove deportarli» [15].

Prendendo atto dei fatti e dei loro significati, il filosofo scrive che 

«dal momento che su 25mila morti a Gaza due terzi sono donne e bambini, e quindi almeno questi 17mila morti sono già 17mila singoli atti genocidari, ammesso l’inverosimile statistico che gli 8mila maschi adulti ammazzati siano tutti miliziani e nessun civile incolpevole per caso, se il governo di Netanyahu si assume questo rischio di immagine e di ulteriore isolamento internazionale, la ragione sensata può essere una sola: formalizzare l’annessione della Cisgiordania, e ridurre Gaza (se non si riesce ad espellere i due milioni e mezzo di palestinesi) ad una sorta di micro Libano, pseudo staterello fantoccio, bombardabile in ogni momento se non sta buono. Può accettare la comunità internazionale una prospettiva di questo tipo? Uno scenario da incubo». 

In un successivo articolo Mazzarella osserva, e ha perfettamente ragione, che «questa storia di Gaza è la nostra storia. Non restarvi con la mente e con il cuore prendendo la parola è disertare dalla nostra coscienza morale. Ce lo ha ricordato un aviere, dandosi fuoco, nel senso dell’onore impotente del suo gesto. Nella vita talvolta siamo messi in condizione […] che l’unica cosa che possiamo fare è limitare il disonore di questo mondo, del nostro stare al mondo»[16]. 

israele_2023Anatomia di un genocidio 

Il documento politicamente e storicamente più significativo che vorrei presentare in questo mio breve resoconto è il rapporto ufficiale (citato già più sopra) diffuso il 25 marzo 2024 dall’ONU e stilato dal «Relatore speciale sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati dal 1967», incarico attualmente ricoperto dall’italiana Francesca Albanese.

La traduzione integrale in italiano di questo documento fondamentale – A/HRC/55/73, Anatomia di un genocidio – è stata predisposta dalla rivista Paginauno, la quale presenta così il testo: «Un documento preciso e rigoroso che dettagliando i singoli eventi da ottobre 2023, legandoli fra loro e contestualizzandoli, mostra come Israele abbia strategicamente invocato la struttura del Diritto Internazionale Umanitario come “mimetizzazione umanitaria” per legittimare la sua violenza a Gaza» [17].

Credo sia sufficiente riportare alcuni brani da tale analisi, brani assai chiari e che non necessitano di commenti. I numeri di pagina tra parentesi si riferiscono alla rivista che ha pubblicato il testo. La versione completa del documento si può leggere cliccando il link  allegato a questo articolo [18].

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Dopo cinque mesi di operazioni militari, Israele ha distrutto Gaza. Sono stati uccisi oltre 30.000 palestinesi, tra cui più di 13.000 bambini. Si presume che vi siano oltre 12.000 morti e 71.000 feriti, molti dei quali con mutilazioni che cambiano la vita. Il 70% delle aree residenziali sono state distrutte.

L’80% dell’intera popolazione è stata sfollata con la forza. Migliaia di famiglie hanno perso i propri cari o sono state sterminate. Molti non hanno potuto seppellire e piangere i propri parenti, costretti invece a lasciare i propri corpi in decomposizione nelle case, per strada o sotto le macerie. Migliaia di persone sono state detenute e sistematicamente sottoposte a trattamenti inumani e degradanti. L’incalcolabile trauma collettivo sarà vissuto per le generazioni a venire (36).

Da quando ha imposto l’assedio a Gaza nel 2007, rafforzando la chiusura imposta dal 1993, Israele, la potenza occupante, ha effettuato cinque grandi attacchi prima di quello attuale (37).

Le azioni di Israele sono state guidate da una logica genocida che è parte integrante del suo progetto coloniale di insediamento in Palestina, segnalando una tragedia annunciata (38).

Il genocidio è un processo, non un atto. Gli intenti e le pratiche genocidarie sono parte integrante dell’ideologia e dei processi del colonialismo di insediamento, come illustra l’esperienza dei Nativi Americani negli Stati Uniti, delle Prime Nazioni in Australia o degli Herero in Namibia (38).

I modelli storici di genocidio dimostrano che la persecuzione, la discriminazione e altre fasi preliminari preparano il terreno per la fase di annientamento. In Palestina, lo sfollamento e la cancellazione della presenza araba indigena è stata una parte inevitabile della formazione di Israele come ’Stato ebraico’. Nel 1940, Joseph Weitz, capo del Dipartimento di Colonizzazione Ebraica, dichiarò: “Non c’è spazio per entrambi i popoli insieme in questo Paese. L’unica soluzione è la Palestina senza arabi. E non c’è altra via che trasferirli tutti: non deve rimanere nemmeno un villaggio, nessuna tribù” (38).

Il genocidio non può essere giustificato in nessuna circostanza, inclusa la presunta legittima difesa. La complicità è espressamente vietata, dando luogo ad obblighi per Stati terzi (39).

Durante i primi mesi della campagna, l’esercito israeliano ha impiegato oltre 25.000 tonnellate di esplosivo (equivalenti a due bombe nucleari) su innumerevoli edifici, molti dei quali sono stati identificati come obiettivi dall’intelligenza artificiale. […] Migliaia di persone sono state uccise dai bombardamenti, dal fuoco dei cecchini o da esecuzioni sommarie; altre migliaia sono state uccise mentre fuggivano lungo rotte e in aree dichiarate “sicure” da Israele. Tra le vittime figuravano 125 giornalisti e 340 medici, infermieri e altri operatori sanitari (il 4% del personale sanitario di Gaza), studenti, accademici, scienziati e i loro familiari. Il 70% dei decessi registrati sono sempre stati donne e bambini. Israele non è riuscito a dimostrare che il restante 30%, ovvero i maschi adulti, fossero combattenti attivi di Hamas – una condizione necessaria affinché possano essere presi di mira legalmente (41).

I sopravvissuti porteranno un trauma indelebile, essendo stati testimoni di tanta morte e aver sperimentato distruzione, mancanza di casa, perdita emotiva e materiale, umiliazione e paura senza fine (42).

L’assedio totale e i bombardamenti a tappeto quasi costanti, insieme agli ordini draconiani di evacuazione e alle “zone sicure” in continuo cambiamento, hanno creato una catastrofe umanitaria senza precedenti. Oltre 1,7 milioni di palestinesi sono stati sfollati e costretti in rifugi sovraffollati dell’UNRWA e in quartieri angusti nel sud di Gaza, sistematicamente presi di mira dall’esercito israeliano, e successivamente in rifugi di fortuna. L’assalto di Israele ha decimato il già fragile sistema sanitario di Gaza (43).

Gaza è stata completamente saccheggiata. L’incessante attacco da parte di Israele a tutti i mezzi di sopravvivenza di base ha compromesso la capacità dei palestinesi della Striscia di vivere su quella terra. Questo collasso architettato delle infrastrutture di sostentamento corrisponde alle intenzioni dichiarate di rendere Gaza “permanentemente impossibile da vivere” dove “nessun essere umano può esistere (44).

Rivelando una condotta delle ostilità eliminazionista (46) […] Israele ha così di fatto abolito la distinzione tra obiettivi civili e obiettivi militari (48).

Israele sembra presentare se stesso come portatore di un ‘genocidio proporzionato’ (50).

Le “aree sicure” sono state deliberatamente trasformate in aree di uccisioni di massa (51). 

Proprio mentre venivano implementate le evacuazioni e le zone sicure, funzionari israeliani di alto rango invocavano la sostituzione con le colonie. Il Primo ministro israeliano ha caldeggiato il trasferimento etnico; il ministro delle Finanze israeliano ha espresso sostegno all’espulsione di due milioni di palestinesi da Gaza; il ministro della Sicurezza Nazionale israeliano ha dichiarato che la guerra è un’opportunità per “concentrarsi sull’incoraggiare la migrazione dei residenti di Gaza”, mentre altri ministri del gabinetto hanno proposto di “reinsediare” i palestinesi nel Sinai, nei Paesi occidentali e altrove (51).

La natura travolgente, e la portata dell’assalto israeliano a Gaza, e le condizioni di vita distruttive che ha inflitto, rivelano l’intento di distruggere fisicamente i palestinesi come gruppo. Questo rapporto rileva che ci sono ragionevoli motivi per ritenere che sia stata raggiunta la soglia che indica la commissione dei seguenti atti di genocidio contro i palestinesi a Gaza: uccidere membri del gruppo; causare gravi danni fisici o mentali ai membri dei gruppi; e infliggere deliberatamente al gruppo condizioni di vita intese a provocarne la distruzione fisica, totale o parziale. Gli atti di genocidio sono stati approvati e resi effettivi a seguito di dichiarazioni di intenti genocidari rilasciate da alti funzionari militari e governativi (53). 

Il genocidio israeliano dei palestinesi di Gaza è una fase progressiva di un lungo processo coloniale di cancellazione (53). 

corte-penale-internazionaleConclusione 

Le generazioni future si vergogneranno di un’epoca “democratica e progressista” che ha permesso il genocidio giustificando in tutti i modi i carnefici. Si chiederanno come sia potuto accadere. Troveranno le risposte nel fanatismo della storia; nel razzismo degli eletti da Dio; nella situazione geopolitica; negli interessi finanziari del capitalismo trionfante; nella menzogna sistematica dei media; nell’indifferenza diffusa tra le persone.

Quanto sta accadendo in Palestina tra il 2023 e il 2024 ci permette pertanto di rispondere alla domanda, attiva da decenni, su ‘come sia stato possibile’ nelle civili Europa e Germania degli anni Trenta e Quaranta del Novecento lo sterminio di milioni di persone. Adesso abbiamo la risposta: è così che è stato possibile, è così che è possibile. Con la capacità distruttiva che è frutto di un rapporto di forze del tutto sproporzionato; con una volontà genocida consapevole di se stessa; con una serie di atrocità commesse in nome di un Valore Supremo; con la complicità – attiva o silenziosa – del resto del mondo. Con la nostra complicità, oggi. 

Dialoghi Mediterranei, n. 68, luglio 2024 
Note 
[1] Antropologi per la Palestina, in «il manifesto», 18.5.2024: https://ilmanifesto.it/antropologi-per-la-palestina-appello-pubblico-alle-istituzioni-e-alle-universita.
[2] Relatore speciale sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati dal 1967, A/HRC/55/73, Anatomia di un genocidio, in «Paginauno», numero 86 – aprile / maggio 2024: 45. Il testo originale della relazione, corredato da 309 note che documentano le affermazioni ivi sostenute si trova qui: https://www.ohchr.org/en/documents/country-reports/ahrc5573-report-special-rapporteur-situation-human-rights-palestinian.
[3] Fonte: Televideo RAI, 20.7.2014, ore 00:05.
[4] Fonte: https://mahmag.org/blog/2012/11/18/it-is-not-a-war-it-is-murder-prof-noam-chomsky/ .
[5] A/HRC/55/73, Anatomia di un genocidio, cit.: 44-45.
[6] «‘Abitanti di Gaza, negli ultimi giorni vi abbiamo esortato a lasciare Gaza City e il nord della Striscia e a spostarvi a sud del Wadi Gaza per la vostra sicurezza. Oggi vi informiamo che fra le ore 10 e le 13 Israele non colpirà l’itinerario indicato dalla nostra cartina per raggiungere quella zona’. Così il portavoce militare israeliano. ‘Sfruttate questo breve lasso di tempo per andare a sud. State certi che i dirigenti di Hamas hanno già pensato alla loro sicurezza’» (Fonte: Televideo RAI, 15.10.2023, ore 09:00).
[7] E. Mazzarella, in La voce di New York, 3.11.2023: https://lavocedinewyork.com/lettere/2023/11/03/in-palestina-e-lora-del-coraggio-occidentale/.
[8] Ministero dell’Intelligence dello Stato di Israele – Dipartimento tematico, Documento politico: opzioni per una politica riguardante la popolazione civile di Gaza, tradotto e pubblicato in «Paginauno», numero 86 – aprile / maggio 2024: 58.
[9] Ivi: 60.
[10] Ivi: 67.
[11] Fonte: https://docs.google.com/forms/d/e/1FAIpQLSft18atRcR4SkUW-7m-afrlizNim7y9YdWPC02cJg5-DJHOaA/viewform?fbzx=8743994497894049468.
[12] Fonte: https://comedonchisciotte.org/palestina-lappello-degli-intellettuali/.
[13] Antropologi per la Palestina, cit.
[14] Uscito sul quotidiano Haaretz e tradotto su Il Sole 24ore del 18.12.2023.
[15] Il Fatto Quotidiano, 29.1.2024; https://www.ilfattoquotidiano.it/2024/01/29/dallaja-una-spinta-a-israele-a-ragionare-ma-lintento-di-netanyahu-e-ben-diverso/7425740/.
[16] Avvenire, 4.3.2024; https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/quel-gesto-estremo-per-limitare-il-disonore-del-nostro-stare-al-mondo.
[17] «Paginauno», numero 86 – aprile / maggio 2024: 4. 
[18] https://rivistapaginauno.it/anatomia-di-un-genocidio-rapporto-del-relatore-speciale-sulla-situazione-dei-diritti-umani-nei-territori-palestinesi-occupati-dal-1967/

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Alberto Giovanni Biuso, professore ordinario di Filosofia teoretica nel Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università di Catania, dove insegna Filosofia teoretica, Filosofia delle menti artificiali e Epistemologia. È collaboratore, redattore e membro del Comitato scientifico di numerose riviste italiane ed europee. È direttore scientifico della rivista Vita pensata. Tema privilegiato della sua ricerca è il tempo, in particolare la relazione tra temporalità e metafisica. Si occupa inoltre della mente come dispositivo semantico; della vitalità delle filosofie e delle religioni pagane; delle strutture ontologiche e dei fondamenti politici di Internet; della questione animale come luogo di superamento del paradigma umanistico. Il suo libro più recente è Ždanov. Sul politicamente corretto (Algra Editore, 2024).

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